Il legame inscindibile del capitalismo con la guerra
di Domenico Moro
La guerra diventa un’attività caratteristica dell’umanità da quando questa si è divisa in classi sociali. Da sempre, infatti, le cause economiche stanno alla base della guerra. Ma solo con il capitalismo pienamente sviluppato si sono determinate le guerre mondiali, collegate alla mondializzazione del capitale, e la creazione di armi di distruzione di massa, dovuta all’enorme spesa per la ricerca e per le nuove tecnologie. La guerra è soprattutto un elemento propulsivo dell’economia capitalistica nei suoi momenti di crisi strutturale e quando la gerarchia di potenza su cui si basa a livello internazionale viene messa in discussione. Nei momenti di crisi la spesa militare e le immani distruzioni dovute all’uso delle armi moderne arrivano puntuali in soccorso dei profitti.
Non è, infatti, un caso che nel momento attuale, caratterizzato da una crisi che riguarda le aree di tradizionale maggiore sviluppo del capitalismo, gli Usa, l’Europa occidentale e il Giappone, si assista a un incremento della spesa militare. Negli Usa i tagli alle spese dell’amministrazione federale, che hanno già portato al licenziamento di migliaia di impiegati pubblici, si sarebbero dovuti estendere alla spesa militare, che in cinque anni si sarebbe ridotta di circa un terzo: dai 968 miliardi di dollari del 2024 ai 600 miliardi del 2030. Tuttavia, l’amministrazione Trump ha fatto marcia indietro e la spesa militare prevista per il 2026 crescerà a 1.010 miliardi, comprendendo la modernizzazione del nucleare, il Golden Dome, lo scudo spaziale e missilistico, e l’ampliamento delle forze navali[i].
Anche in Europa la spesa militare sta crescendo. La Commissione europea ha varato un piano di riarmo da 800 miliardi di euro spalmati su quattro anni. La Nato fino a qualche tempo fa chiedeva ai suoi stati membri di arrivare a una spesa di almeno il 2% del Pil, sebbene alcuni importanti stati non raggiungessero tale livello, comprese l’Italia e la Germania. Oggi, mentre l’Italia ha dichiarato che nel 2025 raggiungerà il 2%, il segretario generale della Nato, l’olandese Mark Rutte, propone di portare il livello minimo di spesa al 5% del Pil (3,5% di spesa militare vera e propria e 1,5% destinato alla cybersicurezza)[ii].