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Il Clima e la via dei soldi
di F. William Engdahl*
Clima. Ora cosa dovremmo pensare? Le mega-multinazionali e i megamiliardari dietro la globalizzazione dell'economia mondiale negli ultimi decenni, la cui ricerca del valore azionario e della riduzione dei costi ha arrecato così tanti danni al nostro ambiente sia nel mondo industriale che nelle economie sottosviluppate dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina, sono i principali sostenitori della movimento di decarbonizzazione dalla Svezia alla Germania agli Stati Uniti e oltre. È una crisi di coscienza, o potrebbe essere un'agenda più nascosta per la finanziarizzazione dell'aria che respiriamo e oltre?
Qualunque cosa si possa credere circa i pericoli della CO2 e circa i rischi di riscaldamento globale che sta creando una catastrofe globale con un aumento della temperatura media da 1,5 a 2 gradi Celsius nei prossimi 12 anni, vale comunque la pena di verificare chi sta promuovendo l'attuale ondata di propaganda e attivismo climatico. La finanza cosiddetta "green".
La finanza "green"
Diversi anni fa, quando Al Gore e altri hanno deciso di utilizzare una giovane studentessa svedese come bambina-immagine testimonial di un'azione di urgenza a favore del clima, o in Usa, per l'appello di Alexandria Ocasio Cortez volto ad una completa riorganizzazione dell'economia intorno a un New Deal verde, i giganti della finanza hanno iniziato a concepire schemi per guidare centinaia di miliardi di fondi futuri verso investimenti in aziende climate-fiendly prive di valore.
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Il Nobel a Peter Handke
Vivere imparando a vivere
di Luigi Grazioli
Il Nobel a Peter Handke è una sorpresa. Sembra un Nobel di recupero, specie perché assegnato in coppia insieme a Olga Tokarczuk. Un Nobel di doppia riparazione: a una donna, senza voler minimamente sminuire il suo valore, dopo lo scandalo per molestie relativo al marito di una giurata che aveva causato la mancata assegnazione dello scorso anno; e a un autore che avrebbe dovuto vincerlo molto prima, non fosse stato per un altro scandalo, quello delle sue prese di posizione in difesa della Serbia in occasione delle guerre della ex-Jugoslavia. Il ritorno sulla scena di Handke, che in verità non era mai sparito perché ha continuato a pubblicare libri splendidi anche negli ultimi 20 anni; o meglio: il ritorno dell’accettazione pubblica, era stato annunciato dall’assegnazione degli importanti premi “Thomas Mann” e “Kafka” nel 2008 e ribadito dal premio “Ibsen” nel 2014, dopo che nel 1999 egli aveva restituito il premio “Georg Büchner” a causa dei bombardamenti della NATO contro i serbi.
Per uno che aveva iniziato con il libretto teatrale Insulti al pubblico (1966) e opere narrative e poetiche provocatorie e al limite dell’illeggibilità (su questo primo periodo vedi il mio articolo qui) arrivare all’ufficialità planetaria del Nobel, che pure ha trascurato nomi fondamentali a volte per ragioni discutibili e preso abbagli che non depongono a favore della sua infallibilità, potrebbe sembrare un’ironia del destino. Ma per i lettori che lo seguono da 50’anni è solo un atto dovuto.
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Un'alternativa euromediterranea alla gabbia dell'UE
di Eurostop
Il presente documento presenta la proposta di Eurostop, una piattaforma politico-sociale composta da organizzazioni politiche, sindacali e singoli militanti, che ha come obiettivo fondante la rottura di Unione Europea, l’uscita dall’Eurozona e dalla NATO. Con questo documento si vuole presentare ad organizzazioni di altri paesi il progetto strategico della costituzione di un’unione di paesi alternativa a quelle esistenti, fondata su principi radicalmente diversi e che comprenda le due sponde del Mediterraneo
Unione Europea. Una gabbia da rompere necessariamente
Riteniamo necessario mettere in campo una alternativa all’Unione Europea in quanto blocco imperialista in costruzione e strumento di cui la borghesia europea si sta dotando per competere contro gli altri blocchi nell’arena globale.
Il ruolo dell’Unione Europea è quello definito dall’ortodossia ordoliberale. Non è nata come luogo dei popoli o per assicurargli una maggiore democrazia.
La struttura che possiamo definire come gabbia europea, è fondata sui trattati che ne rappresentano l’architrave e l’essenza stessa, a partire da quelli di Roma del ’57, passando per Maastricht e Lisbona, fino ad arrivare al famigerato “Fiscal Compact”.
I trattati sono una struttura che ha prodotto un sistema di governo post-democratico negli stati membri con il relativo svuotamento della sovranità democratica e popolare, la distruzione dello stato sociale, la privatizzazione dei servizi pubblici, la precarizzazione e flessibilizzazione del lavoro, distruggendo da un lato quel diritto al lavoro che crea una “vita degna per sé e per la propria famiglia” e dall’altro scaricando sulle fasce popolari i costi di una crisi sistemica, attraverso sia l’abbassamento delle condizioni di vita che l’aumento del lavoro non pagato. Una situazione che ha visto i paesi PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) particolarmente penalizzati.
I paesi PIGS sono stati massacrati attraverso la logica del credito-debito che rafforza la sudditanza dei paesi periferici nei confronti dei paesi del centro. La vicenda greca in tal senso è paradigmatica.
Allo stesso tempo la struttura della UE permette ai suoi paesi, congiuntamente ma anche separatamente, di portare avanti le proprie politiche neo-coloniali nei confronti dei paesi dall’altra sponda del mediterraneo.
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Il popolo curdo: un continuo saltare dalla padella alla brace
di Michele Castaldo
Ci sono strani “misteri” nella storia dei popoli. Uno di questi, dopo quello palestinese, è certamente quello del popolo curdo. Una popolazione di circa 50 milioni distribuiti in 4 stati: Turchia, Iran, Iraq e Siria. Un popolo che rincorre la creazione di un proprio Stato, a lungo promesso dalle potenze occidentali dalla fine della prima guerra mondiale, e che a tutt’oggi ne è ancora privo. Quali le cause passate e innanzitutto quelle di questi anni?
Verrebbe da dire: maledetta l’invenzione del motore a scoppio e con esso del petrolio che sta nel sottosuolo del Medio Oriente; perché è in questo rapporto che si nascondono tutte le tragedie di decine di milioni di persone che vivono su quel vasto territorio. Perché il popolo del Kurdistan, oltre ai palestinesi, rappresenta l’anello debole dell’area, l’anello sul quale si sono accanite le mire rapinatrici degli occidentali, per un verso, e le fameliche borghesie dei paesi concorrenti dell’area che hanno puntato a subordinare i curdi negando loro non solo la costituzione di uno proprio, per l’altro verso.
La storia antica e moderna di questo popolo è un susseguirsi di guerre e di conquiste. Per comodità espositiva va segnata la data del 1920 come svolta dell’epoca moderna e della formazione degli stati nazionali, quando in occasione del Trattato di Sèvres, firmato tra le potenze alleate della grande guerra e l’Impero ottomano, ai curdi venne promessa la concessione di uno stato autonomo. Ma si trattava di una promessa da marinai, perché Regno Unito, Francia e Usa non mantennero la promessa e diedero il via libera alla creazione di altri Stati nella zona. Da quel momento la Turchia – dove viveva circa il 50% dei curdi - incominciò una dura repressione nei confronti dei curdi proprio per evitare che si costituissero in Stato autonomo.
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Note a margine del dibattito tra Blanchard e Brancaccio
Con lo sguardo rivolto al contesto italiano
di Roberto Torrini*
Crisi e rivoluzioni della teoria e della politica economica: un simposio
Abstract: Vengono analizzati gli elementi di contatto e di distinzione tra i punti di vista di Blanchard e Brancaccio, cercando di trarre considerazioni più generali sulle differenze tra approcci mainstream e alcuni approcci eterodossi. Si sostiene che negli approcci mainstream viene mantenuta una distinzione concettuale tra domanda e offerta in cui, con maggior nettezza rispetto agli approcci eterodossi, si individuano problemi economici che non possono essere affrontati con la gestione della domanda aggregata, anche qualora se ne ritenga utile o necessaria una gestione attiva. Condividendo questo approccio, si discute brevemente della situazione economica italiana, in cui le debolezze di offerta di lungo periodo si intrecciano con i problemi di domanda, e in cui il livello del debito pone seri vincoli alla possibilità di far ricorso alla spesa per sostenere la domanda interna. Si sottolinea infine l’utilità del dibattito accademico, anche tra scuole di pensiero diverse, che si è aperto dopo la crisi.
* * * *
La crisi finanziaria del 2008-2009 è stata un evento drammatico, con ripercussioni profonde e dolorose per milioni di persone, nonostante alcuni insegnamenti tratti dalla crisi del 1929 abbiano permesso di evitare il peggio in gran parte delle economie avanzate coinvolte. In Europa la crisi ha avuto sviluppi del tutto peculiari con il divampare della crisi dei debiti sovrani, che ha messo in luce l’inadeguatezza dei suoi assetti istituzionali, soprattutto per quanto riguarda il funzionamento dell’unione monetaria. La risposta lenta dell’Unione Europea, segnata dalla contrapposizione degli interessi nazionali di breve periodo, ha prolungato ed esacerbato gli effetti della crisi finanziaria, soprattutto per le economie più deboli, incrinando le relazioni tra paesi e popoli europei.
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Sad by design. Il nichilismo digitale e il lato oscuro delle piattaforme
di Marco Dotti intervista Geert Lovink
Distrazioni, meme culture, fake news, narcisismo e violenza. La “cultura della rete” sembra aver imboccato una strada senza uscita. E se prima di sognare alternative o altri mondi possibili provassimo a capire il qui e ora in cui ci troviamo? Se ci armassimo di un’analisi lucida, prima che di giudizio?
La cultura di internet mostra chiari segni di crisi. Come ha scritto Julia Kristeva, «non c’è nulla di più triste di un dio morto». Il senso di novità è svanito e ha lasciato il vuoto dietro e davanti a sé. A differenza della nostalgia degli anni Novanta, spiega Geert Lovink, teorico dei media e della rete, fondatore dell’Institute of Network Cultures, «qui gli anni felici della gioventù non ci sono mai stati: siamo passati direttamente dall’infanzia al matrimonio, con tutte le limitazioni che ciò comporta». Chi ha più il coraggio di parlare di “nuovi” media? Quest’espressione, un tempo tanto promettente, ormai viene usata solo da qualche ingenuo neofita». Eppure c’è ancora tutto da capire.
Geert Lovink parte proprio da questo nodo irrisolto nel suo ultimo libro, Nichilismo digitale (Egea, 2019), per rilanciare la sfida di nuove alternative. Lo abbiamo incontrato.
* * * *
Il titolo inglese del suo ultimo libro è Sad by design e ci rimanda a una dimensione “ingegneristica” della tristezza.
Non vendo tristezza. Se sei felice, tanto meglio. Come sapete, i telefoni sono una parte intima della nostra vita. Ci accompagnano 24 ore su 24, 7 giorni su 7. L’uso a lungo termine dei social media, specialmente da parte dei “nativi digitali” che si identificano con la tecnologia, richiede un investimento emotivo che può essere estenuante. Diventa difficile, se non impossibile, dimenticare il telefono.
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Sanità, la privatizzazione strisciante
di Carmine Tomeo
Far decadere le strutture pubbliche è un modo per lasciare alle spietate logiche del mercato il diritto alla salute. E non è detto che la riforma del ticket proposta dal governo rappresenti un'inversione di tendenza
L’uomo più ricco del mondo, Jeff Bezos, ha deciso di tagliare l’assicurazione sanitaria a 1900 dipendenti di una controllata da Amazon, la Whole Foods. Quei lavoratori dovranno rinunciare alle cure in caso di necessità in un paese, come gli Stati uniti, dove anche una semplice visita medica può costare diverse centinaia di dollari. Pensate un po’ lo stato d’animo di quelle persone, alle quali viene imposta una pesantissima limitazione al diritto alla salute da parte di una società che fa capo ad un uomo che in un’ora (in un’ora!) guadagna grosso modo l’equivalente di due mesi di salario di tutti quei dipendenti messi insieme. Farebbe rabbia già questo dato da solo.
Intanto, già da quasi un anno Amazon, insieme a Berkshire Hathaway di Warren Buffet e alla banca d’affari JP Morgan, è protagonista di un’operazione per entrare nel business delle coperture sanitarie e proporsi come concorrente nel mercato della salute Usa. Considerate che da soli i tre colossi del business contano più di un milione di dipendenti. Una platea già enorme a cui proporre prestazioni e servizi sanitari. Un’operazione che nasce – dicono – dall’apprensione per i costi della sanità statunitense.
Considerazione che suona immediatamente ipocrita, anche se ammantata di una veste di utilità sociale, come se i colossi americani, con una mano sul cuore (sic!), avessero deciso di dare il loro contributo al benessere dei cittadini, dando vita a una società indipendente che avrà la missione dichiarata di ridurre gli oneri assistenziali a carico dei dipendenti e migliorare i servizi. Ovviamente, anche per dare una veste umanitaria all’operazione, la società che i colossi Usa stanno creando sarà una no-profit. Ma è proprio il sistema privatistico statunitense a produrre contemporaneamente una spesa sanitaria statale tra le più alte al mondo e un’aspettativa di vita così bassa da piazzare il modello sanitario statunitense tra quelli peggiori al mondo.
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Legge di bilancio povera e inefficace
di Enrico Grazzini
“Mancano i soldi” come dice il Governo? Falso! I soldi sono solo bit
La manovra del governo Conte 2 – al di là delle buone intenzioni di Roberto Gualtieri, il ministro europeista dell'economia – non è credibile, è povera e illusoria, e soprattutto non è espansiva: l'economia italiana non crescerà. La retorica governativa punta a parole sull'espansione dell'economia, sugli investimenti sostenibili, sul calo delle tasse e sulla riduzione del costo del lavoro: ma è destino che sindacati e Confindustria protesteranno per le mancate promesse di un piano programmatico fondato su aspettative iper-ottimistiche, insufficiente e fragile, che non può alimentare l'economia reale.
Il problema è che il debito pubblico è elevato e il “conto del Papeete” è salato: mancano le risorse monetarie – si giustifica il governo – per finanziare tutti gli investimenti pubblici realmente necessari per lanciare il New Deal verde annunciato dal premier Giuseppe Conte. L'importante – dice ancora il governo Conte 2 – è avere bloccato la Flat Tax proposta dal leader della Lega Matteo Salvini, e lo scontro con l'Unione Europea e con i mercati. Invece questo non basta. Il popolo italiano è logorato da anni di stagnazione, di austerità e di crisi e non può accontentarsi del “meno peggio”. Se il nuovo governo non riuscirà a colpire il bersaglio della crescita e dell'occupazione, la destra estrema di Salvini e soci potrà vincere facilmente le prossime elezioni.
È l'economia, stupido!!! Per questi motivi il governo Conte dovrebbe lanciare progetti non convenzionali ma più efficaci per svoltare effettivamente, e non solo retoricamente. Il governo potrebbe e dovrebbe creare legittimamente nuove risorse monetarie per finanziare lo sviluppo verde, pur rispettando le regole di Maastricht.
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Paradossi delle politiche d’identità
di Silvia Guerini
“La politica dell’identità non è liberatoria, ma riformista. Non è altro che un terreno fertile per aspiranti politici dell’identità borghese. La loro visione a lungo termine è la piena integrazione dei gruppi tradizionalmente oppressi nel sistema sociale gerarchico e competitivo che è il capitalismo, piuttosto che la distruzione di quel sistema. Il risultato finale è Rainbow Capitalism – una forma più efficiente e sofisticata di controllo sociale in cui ognuno ha la possibilità di recitare una parte!” [1]
Le categorie di razza, genere, nazionalità, sessualità sono servite come giustificazioni per schiavizzare, reprimere, escludere, normalizzare, psichiatrizzare, incarcerare ed è comprensibile che coloro che hanno subito tali discriminazioni e violenze si siano uniti con il desiderio di sradicarle. Ma su cosa si fonda questa unità? Non sulla volontà di combattere il sistema, ma sull’identità categoriale che è servita a giustificare queste discriminazioni. Si sceglie di unirsi non come nemici di un sistema che si vorrebbe distruggere, ma come vittime di un sistema al quale si chiede riconoscimento e diritti andando a omologarsi ai suoi stessi valori.
“Il personale è politico” originariamente indicava la necessità di politicizzare la sfera della vita privata, con il passare del tempo e la fine di una diffusa politica militante, questo approccio si è incancrenito. L’individuo si è chiuso in sè stesso e ha soffocato il proprio agire in una dimensione personale credendo che il cambiamento sociale si possa raggiungere attraverso un cambiamento individuale. Di fatto è più facile avere uno sguardo che si chiude all’interno identificando il problema in sè stesse/i, invece che allargarlo al di fuori e identificando il problema nel sistema, con una conseguente azione verso l’esterno e contro di esso.
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Preghiere esaudite
Saviano e l'abdicazione della letteratura
di Walter Siti
[Questo saggio di Walter Siti è tratto dal quinto numero di «L’età del ferro» (Castelvecchi Editore), uscito lunedì passato]
1.
Difendere la letteratura non è meno importante che difendere i migranti. Mi sono domandato più volte se fosse il caso, oggi come oggi, di discutere pubblicamente il lavoro letterario di Roberto Saviano, ho anche interpellato amici comuni; il timore era che, criticandone alcuni aspetti, potessi oggettivamente dare una mano a chi lo odia e non perde occasione per screditarlo politicamente – insomma se queste mie opinioni potessero (come si diceva quand’ero giovane) essere strumentalizzate dalla destra. Dico subito, anche se non basterà, che stimo e ammiro il coraggio civile di Roberto, la sua dignità nel vivere sotto scorta, e che ritengo assurdi (oltre che moralmente sgradevoli) gli attacchi di chi lo accusa di essere un furbastro che si è arricchito denigrando la propria terra, un para-guru che spara sentenze buoniste dal suo attico di Manhattan[1], un plagiario, o velatamente minaccia di togliergli la protezione dello Stato. Ciò nonostante, è proprio per l’autorevolezza che Saviano si è conquistato col proprio coraggio che mi decido a intervenire: perché da tempo, con le sue dichiarazioni, Saviano ha preso le distanze da quella che lui considera la “pura letteratura” e dai letterati che si accontentano di “fare un buon libro, costruire una storia, limare le parole sino a ottenere uno stile bello e riconoscibile” – già in La bellezza e l’inferno dichiarava “preferirei non scrivere né assomigliare a queste persone” e nell’articolo sulla Politkovskaja si spingeva fino a un “non mi interessa la letteratura come vizio”; recentemente, di fronte all’emergenza dei migranti che rischiano di morire nel Mediterraneo, la sua insofferenza nei confronti dei ‘puri letterati’ si è fatta più acuta, fino a espliciti rimproveri di “codardia”.
Prendo sul serio la strigliata: personalmente mi ritengo piuttosto codardo, sono (quasi) sempre pronto al compromesso, preferisco l’eccepire al combattere – e poi sì, perdo molto tempo a “limare le parole”.
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Le cronache del nostro scontento
2016: Miseria e suicidio (politico) di un Matteo
di Giorgio Gattei
(Scrivo questo resoconto dopo l’estate del 2019, quando anche un altro Matteo si è politicamente suicidato. Evidentemente il nome non porta bene)
1. In quella specie di rapporto di “fine mandato governativo” che è Avanti! Perché l’Italia non si ferma (Feltrinelli, Milano, 2017) Matteo Renzi ha così sbrigativamente vantato il successo della sua “riforma” del mercato del lavoro: «basta una norma di semplificazione, il Jobs Act, per ottenere 800.000 posti di lavoro in più… Basta poco. Basta dare fiducia. Basta scommettere insieme alle imprese e non contro. Questo aiuta davvero i lavoratori. Perché a creare i posti di lavoro non sono i convegni: sono le imprese». E chi lo può negare? Ma la qualità dei posti di lavoro non conta?
Il Jobs Act (d’ora in poi chiamato “Giobatta”, come dalla Cronaca precedente) è stata la riforma “che più strutturale non si può”, sollecitata dalle istituzioni economiche internazionali ed europee, che aveva di mira non soltanto l’introduzione di più flessibilità nelle assunzioni (perseguita fin dai tempi del governo Prodi ed ormai acquisita: cfr. G. Casadio, Da Prodi a Renzi: ecco come stanno veramente le cose su lavoro e flessibilità, “Il diario del lavoro”, 5.11. 2014), ma pure una equivalente flessibilità in uscita, ossia sui licenziamenti, superando l’ostacolo di quell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che imponeva il reintegro al posto di lavoro del dipendente licenziato “senza giusta causa”. E siccome quell’obbligo valeva soltanto per le aziende con più di 15 dipendenti, ad esso s’imputava la bassa dimensione delle imprese nazionali le quali, per sottrarsene, si mantenevano al di sotto di quella dimensione di manodopera.
Ora doveva spettare proprio al premier Renzi, che era anche segretario di quel Partito Democratico nato dalla confluenza politica dei fu-comunisti con gli ex-cattolici di sinistra, cancellare quell’articolo con il Giobatta votato dalle Camere sul finire del 2014 e poi reso operativo con i decreti legislativi approvati nel 2015.
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Roma-Napoli: tra stelle e bandiere cadute
12 ottobre: liberiamo l'Italia
di Fulvio Grimaldi
Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! (Dante Alighieri)
Il 12 ottobre a Roma manifestazione nazionale per la liberazione dell’Italia dalla colonizzazione UE, Nato e Usa. Manifestazione che io vorrei definire, con consapevole soddisfazione e alla faccia dei vendipatria, sovranista e populista, due aggettivi qualificativi la cui radice sta in sovranità e popolo, concetti-principi fondanti della libertà e autodeterminazione di individui, comunità e popoli. E necessariamente detestati dall’establishment globalista perché percepiti, a ragione, agli antipodi del suo progetto di livellamento oligarchico mondiale. La manifestazione è la prima del suo genere e arriva tardi, se pensiamo alle spaventose manomissioni e devastazioni operate sul nostro territorio, sulla nostra storia, sulla nostra identità e, dunque sul futuro dei nostri figli (come su quelli dei popoli sradicati e poi schiavizzati dove conviene al capitale) dal progetto antinazionale, antidemocratico, antiumano, della globalizzazione capitalista travestita da progressismo. Ma, per fortuna, la mobilitazione arriva e io le auguro ogni successo e ne sono partecipe per l’auspicio e la determinazione che esprime nella sua parola d’ordine “Liberiamo l’Italia”: riaffermare sovranità popolare e nazionale, indipendenza, autodeterminazione, uguaglianza e socialismo.
Non sarò presente perché non mi trovo in sintonia con quella parte dell’organizzazione che ho conosciuto a Roma e nel Lazio e che ritengo spuria, indistinta, con presenze che non corrispondono ai criteri per me essenziali nella lotta per gli obiettivi sopra elencati. Per semplificare: mi sta bene la nazione sovrana, ma non coloro che si fermano lì senza condizionarla a una precisa organizzazione della società in termini di rivoluzione sociale.
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Alcuni aspetti trascurati dello sviluppo economico cinese
di Vincenzo Comito
Lo strabiliante sviluppo della Cina contemporanea viene comunemente fatto risalire alle riforme di Deng Tsiao Ping nel 1979 ma a ben vedere senza i programmi sociali precedenti questo sviluppo non avrebbe attecchito
La Cina ha da poco festeggiato il 70 ° anniversario della nascita della repubblica popolare.In questi settanta anni abbiamo assistito ad uno degli eventi più importanti della storia contemporanea. Il Paese più popoloso del mondo, che si trovava in una situazione di grande povertà e arretratezza economica, tecnologica, sociale, è arrivato alla prima posizione in classifica nel settore industriale, poi in quello commerciale ed infine in quello del Pil (calcolando almeno questo indicatore con il criterio della parità dei poteri di acquisto), mentre ora esso sta cercando di raggiungere anche la posizione di comandonelle tecnologie. E sembrano esserci molte probabilità che ci arrivi abbastanza presto.
Con queste note vogliamo sottolinearealcuni aspetti di tale crescita che sono messi quasi sempre poco in rilievo nei numerosi commenti che possiamo leggere e ascoltare in queste settimane di commemorazione dell’anniversario, ma che, nondimeno, ci appaiono molto importanti per capire meglio il processo di sviluppo del Paese.
Prima del 1979
Tutti fanno riferimento al grande salto in avanti compiuto dall’economia cinese a partire dal 1979, sotto l’impulso in particolare delle nuove politiche avviate in quell’anno da Deng Tsiao Ping; in effetti, a tale data la Cina era ancora uno degli Stati più demuniti del mondo, con il 60% circa della popolazione che viveva sotto la soglia della povertà, mentre ancora i tre quarti degli abitanti erano concentrati in campagna.
Ma pochi si soffermano sul fatto che fondamentali premesse allo sviluppo successivoerano state poste nei decenni precedenti al 1979 attraverso i programmi sociali del nuovo governo rivoluzionario.
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Requiem per il Plusvalore
di Leo Essen
Secondo la legge del valore-lavoro, il valore delle merci si fonda sul lavoro speso nella loro produzione. Le merci devono essere scambiate in proporzione al lavoro in esse incorporato.
Se l’operaio fannullone della fabbrica A produce un frigorifero in 12 ore, mentre l’operaio diligente della fabbrica B produce lo stesso modello di frigorifero in 6 ore, il frigorifero A avrà un valore di 12 unità, mentre il frigorifero B avrà un valore di 6 unità. Se la legge del valore incorporato regolasse sul mercato lo scambio dei beni in modo necessario e universale, il lavoratore fannullone (oppure il capitalista al suo posto) incasserebbe il doppio del lavoratore diligente. Ma ciò contrasta con ogni fatto empiricamente osservabile. Le scelte individuali dei consumatori – le loro motivazioni psicologiche, ridotte al mero calcolo di convenienza – indirizzerebbero le domande verso l’offerta della fabbrica B, costringendo la Fabbrica A a chiudere e a licenziare il fannullone e a spostare i capitali verso la fabbrica B.
Il prodotto quotidiano di un ingegnere meccanico non ha un valore uguale, ma di gran lunga superiore a quello di un semplice operaio industriale, quantunque in entrambi sia incorporato lo stesso tempo di lavoro. Come equiparare i due lavori?
Il lavoro definisce la quantità pura nella quale si esprimono i valori di grandezza. La quantità pura misurata da una bilancia è la pesantezza, mentre i chilogrammi esprimono la grandezza (il Quanto) della pesantezza di un oggetto determinato. Allo stesso modo, il lavoro esprime la quantità pura del valore, mentre i minuti e le ore ne esprimono la grandezza. Pertanto, per commisurare il lavoro dell'ingegnere a quello dell’operaio occorre trovare la quantità pura per esprimere la grandezza nella quale il primo lavoro sta in rapporto al secondo.
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Scuola e cittadinanza sotto i colpi di autonomia e mercato
di Rossella Latempa e Giuseppe De Nicolao
Non c’è bisogno di citare Calamandrei per ricordare che cittadini non consapevoli si trasformano facilmente in sudditi. […] L’abdicazione dello Stato dal compito dell’istruzione tramite la sua trasformazione in servizio-merce, offerto sempre più tramite forme privatistiche, da parte di soggetti in competizione tra loro, in concorrenza per risorse sempre più scarse, si disvela allora nella sua essenza: un’incredibile miopia, un gesto autolesionistico di un padre che, avendo affamato i suoi figli viene da questi ucciso, uno scenario da Inferno dantesco cui non vorremmo certo dover assistere.
R. Calvano, “Scuola e Costituzione, tra autonomie e mercato”
“Scuola e Costituzione, tra autonomie e mercato” (Ediesse, 2019) è un prezioso libro di Roberta Calvano, costituzionalista presso l’Università Unitelma Sapienza, che affronta con la prosa rigorosa del diritto e lo sguardo attento al mondo della scuola, il nesso istruzione – costituzione – cittadinanza, alla luce delle vicende politiche degli ultimi decenni.
Lo spirito del libro è chiaro fin dal titolo: descrivere cosa ne è della scuola italiana e quale sembra essere il suo destino, tra i continui smottamenti di un riformismo permanente, dall’autonomia scolastica di Berlinguer alle recenti spinte del regionalismo differenziato, tutt’ora in corso[1].
Lungo i diversi capitoli, protagonista è il diritto all’istruzione, presupposto di quell’uguaglianza sostanziale che rende effettiva la dimensione politica e rappresentativa di una democrazia. A partire dal quadro costituzionale, il diritto all’istruzione è scandagliato nell’evolvere dei dispositivi legislativi nazionali e sotto le pressioni di politiche sovranazionali sempre più pervasive; infine, messo “allo specchio”, in chiusura del libro, con il suo profilo apparentemente antinomico di dovere all’istruzione, previsto dalla stessa Costituzione.
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Lezioni venezuelane
di Militant
«Vi abbiamo messo in guardia contro la retorica umanitaria degli stati capitalisti che si dichiarano pronti a venire in soccorso della Russia sovietica affamata». Così si avviava il primo numero della “Correspondance Internationale” nel lontano 1921, quando gli immediati tentativi messi in atto dalle potenze mondiali, fino a poco prima impegnate in una lotta per l’annientamento reciproco, si concentravano per sopprimere sul nascere il più grandioso tentativo rivoluzionario che la storia abbia conosciuto. Il Venezuela non è di certo la nascente Unione Sovietica – sebbene sia una delle poche esperienze rivoluzionarie che abbia tenuto alta la bandiera della sinistra di classe riuscendo a dare ancora un senso a questo lèmma – ma la fase imperialista, mutatis mutandis, è sempre la stessa.
E le ingerenze delle potenze imperialiste in paesi in cui sorge un’alternativa anticapitalista, contrabbandate a mezzo stampa per interventi umanitari (proprio come quelle a cui abbiamo assistito nel caso venezuelano, con estremi quali i tentativi di sfondamento da parte di convogli provenienti dal confine colombiano) (leggi), sono uno strumento vecchio e stravecchio, come testimonia in modo chiaro il titolo dei rivoluzionari del ’17. Una storia di lungo corso quella di questo genere di interventi “umanitari”, che se venisse ripercorsa mettendola nero su bianco, ci si potrebbe per assurdo riempire le pagine di questo blog. Ovviamente non è questo l’esercizio che a noi interessa sebbene anche la mera cronaca, talvolta, sembri esercitare effetti miracolosi sulla generale assenza di memoria storica che caratterizza il nostro secolo. Quello che ci preme ricordare adesso, invece, sono alcune delle ragioni che hanno precipitato una delle più originali esperienze del socialismo moderno in una fase di stallo e di crisi, di cui fanno parte anche, ma non solo, gli appetiti imperialistici.
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La riemersione della crisi del capitale e l'attualità del socialismo
di Domenico Moro
La crisi, iniziata con lo scoppio della bolla dei mutui subprime nel 2007 negli Usa e proseguita in Europa come crisi dei debiti sovrani, non è mai finita. Semplicemente, specie dopo il 2009, l’anno di recessione mondiale, è stata tenuta sotto controllo: il malato, cioè il sistema di produzione capitalistico, è stato sostenuto con mezzi artificiali sia in Europa sia negli Usa. Ma il problema di base, la sovraccumulazione di capitale, continua a essere presente. In sostanza, è stato accumulato troppo capitale sotto forma di mezzi di produzione affinché l’investimento possa risultare sufficientemente profittevole. Da questo tutta una serie di misure per sostenere le imprese e i profitti.
Sia negli Usa sia in Europa negli ultimi anni le banche centrali hanno sostenuto il sistema economico pompandovi miliari di dollari e di euro. Recentemente in una intervista al Sole24ore Massimo Rostagno, direttore generale della politica monetaria della Bce, ha riconosciuto che “senza le misure di liquidità della Bce l’eurozona sarebbe già in recessione”. Rostagno aggiunge che “i tassi Bce rimarranno ai livelli attuali o anche più bassi dei livelli attuali, finché l’inflazione prevista non raggiunga livelli sufficientemente vicini anche se inferiori al 2%” e riconosce che il calo dello spread italiano negli ultimi tre mesi di 110 punti base dipende “in parte dalla politica monetaria più espansiva” praticata dalla Bce. Infatti, a settembre la Bce ha ripreso a iniettare denaro nel sistema economico (Quantitative easing) e ha tagliato i tassi d’interesse al livello record di -0,5%, malgrado il voto contrario di sette membri su 25 del board della banca.
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Capitali europei, la festa Usa è finita
di Claudio Conti
Con un articolo in calce di Guido Salerno Aletta
Qualche giorno fa “i falchi” del sistema finanziario europeo – Jens Weidmann, presidente di BundesBank; Oliver Bate, ceo di Allianz; Francois Villeroy de Galhau, governatore di Banque de France; Klaas Knot, pari grado di quella olandese – hanno attaccato pubblicamente Mario Draghi, presidente uscente della Bce, per la sua politica di tassi “eccessivamente accomodanti” e il recente rilancio del quantitative easing (acquisto di titoli di stato sul mercato, per 20 miliardi al mese).
Un fatto inconsueto, che rivela un “malessere” di lunga durata, esploso solo ora che “l’italiano” se ne va e sta per subentrare Chistine Lagarde, notoriamente molto più “sensibile” ai richiami di alcuni di questi poteri.
Più o meno negli stessi giorni, Donald Trump tuonava contro il suo governatore della banca centrale – Jerome Powell, alla testa della Federal Reserve – per aver seguito negli ultimi anni una politica monetaria diversa, se non opposta, rialzando per qualche tempo i tassi di interesse.
Siccome a questi livelli del potere non si discute della migliore teoria economica, ma di vantaggi, sarà meglio dare un’occhiata ai dati sui movimenti di capitali speculativi (quelli alla ricerca dei migliori rendimenti).
La consueta impietosa analisi di Guido Salerno Aletta su Milano Finanza chiarisce efficacemente cos’è accaduto nell’ultimo decennio post-crisi del 2007-2008.
E ci spiega che i capitali europei si sono riversati in quantità crescente verso il mercato Usa proprio perché garantiva tassi di interesse superiori a quelli europei, da tempo fermi a zero.
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Il Green New Deal e l’ecologismo di Stato
La trappola della sostenibilità
di Costantino Ragusa*
Negli ultimi anni abbiamo visto un cambiamento e una trasformazione radicale all’interno dei sistemi economici più avanzati, non solo al Nord, ma anche in tanti paesi del “Sud del mondo”. Questo cambiamento non è stato solo nel loro modo di procedere ma piuttosto in un continuo livellamento e aggiustamento della loro propaganda per giustificare lo sfruttamento e la depredazione continua del pianeta.
Da una parte l’industria, anche quella tra le più inquinanti al mondo, si è rifatta un’immagine sostenibile con politiche verdi. Un esempio tra i più significativi è stato il proporre di contrastare il cambiamento climatico con lo scambio e la compravendita di emissioni di CO2. Dall’altra parte proliferano nuovi ambientalismi impegnati a cogestire con i poteri dello stato il mantenimento degli stessi livelli di sfruttamento della natura: siano questi di natura chimica, genetica o altro.
Più recentemente si sta diffondendo un ambientalismo internazionale, come quello ispirato alla giovane svedese Greta Thunberg con il nome di Friday for Future accolto e cullato favorevolmente in ogni dove: dalle piazze al Vaticano, per arrivare fino a Davos. Un ambientalismo senza contenuto e soprattutto senza più nessuna conflittualità, senza una controparte con delle responsabilità precise: soltanto la denuncia di gravi problemi ambientali che si trasformano in emozioni collettive, come se bastasse prendere coscienza di un qualcosa per far sì che questo cambi.
Se fino a qualche anno fa la propaganda in difesa della natura portata avanti dal sistema industriale era quasi solo una retorica traballante, in tempi recenti siamo di fronte alla nascita di una vera e propria impresa: tutte le industrie, soprattutto quelle più inquinanti e nocive, hanno al proprio interno dipartimenti specifici su tematiche ambientali.
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Il governo Conte-bis è da combattere da subito, senza sconti
Il cuneo rosso - Gcr (Gruppo comunista rivoluzionario)
Pagine marxiste
Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Pubblichiamo di seguito una presa di posizione sul nuovo governo PD-5 stelle, che prende le mosse dalla crisi del precedente governo Lega-5 stelle e si concentra in particolare sui temi della fiscalita’ e del salario. Il testo e’ stato distribuito all’assemblea indetta dal Si-Cobas a Napoli lo scorso 29 settembre. Scopo dell’assemblea era organizzare lo sciopero del sindacalismo di base il prossimo 25 ottobre e la manifestazione contro l’attuale governo a Roma il giorno successivo. A questo link un resoconto dell’assemblea
La fine del governo Lega-Cinquestelle e la sua sostituzione con il Conte-bis Pd-Cinquestelle danno la misura di quanto è complicato per i capitalisti italiani trovare una sintesi dei propri interessi, e rappresentanti politici adeguati a tutelarli. Nonostante ciò, abbiamo di fronte un nuovo governo dei padroni intenzionato a servire con la massima cura il sistema delle grandi imprese e a consolidare il carattere sempre più autoritario della Terza Repubblica. Un governo fragile ma insidioso, da combattere subito, senza sconti. La momentanea estromissione della Lega di Salvini non deve ingannare. Invece, in quel po’ di movimento che è stato in campo contro il precedente governo, c’è più di un’esitazione ad agire. Tra i lavoratori c’è molta confusione, e forse anche qualche attesa. Per chi come noi punta tutto sulla ripresa dell’azione autonoma della classe lavoratrice e sullo sviluppo dei movimenti sociali in senso anti-capitalista e internazionalista, il quadro si è di certo complicato. Tuttavia le contraddizioni di fondo sono lì, pronte ad esplodere, senza preavviso. Se si ha chiaro dove siamo e dove stiamo andando, spazi e temi d’intervento non mancano.
Proviamo a vederlo, rispondendo a tre questioni:
- perché è caduto il governo Lega-Cinquestelle?
- che tipo di governo è il Conte-2?
- che fare in questo nuovo contesto politico?
Perché è caduto il governo Lega-Cinquestelle?
Se dicessimo: è caduto per le proteste di piazza, ci lusingheremmo. Certo, le proteste di piazza non sono mancate, da Ventimiglia a Roma-27 ottobre (manifestazione del SI Cobas contro il decreto sicurezza), dalle lotte No Tav alla calda Verona di Non-una-di-meno. Ne siamo stati parte, e le rivendichiamo in pieno.
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Oltre il "breveperiodismo", promuovere innovazioni attraverso l'intervento pubblico
Marco Palazzotto intervista Guglielmo Forges Davanzati
Guglielmo Forges Davanzati (Napoli, 1967) è professore associato di Economia Politica presso l’Università del Salento, e titolare degli insegnamenti di Macroeconomia e di Economia del Lavoro presso la medesima sede. Si occupa di teorie postkeynesiane della distribuzione del reddito, della crisi italiana e dei divari regionali, di Storia delle teorie economiche. Fra le sue più recenti pubblicazioni si segnalano le monografie Ethical codes and income distribution: A study of John Bates Clark and Thorstein Veblen (London: Routledge, 2006) e Credito, produzione, occupazione: Marx e l’istituzionalismo (Roma: Carocci, 2011).
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Non possiamo evitare di parlare della situazione italiana e in particolare del governo appena nato. Anche Liberi e Uguali è entrato nell’esecutivo. Da più parti si plaude a questa nuova formazione (ad esempio i tre grandi sindacati confederali). Tale ottimismo è basato sull’ipotesi che ci sarà maggiore attenzione alle politiche sociali. Sicuramente c’è una diversità tra il precedente Conte e l’attuale. Ma le premesse non sembrano indicare una significativa svolta. Lei cosa ne pensa?
Dal mio punto di vista, la svolta c’è stata, è stata di una rapidità inattesa e, nelle condizioni politiche date, da salutare positivamente. L’essersi liberati dalla Lega al Governo non è cosa di poco conto. Anche alcune premesse fanno ben sperare: penso innanzitutto alla messa in discussione del progetto di autonomia differenziata e anche al superamento della flat tax. E penso a ciò che ha in programma il nuovo Governo per il Mezzogiorno: mi riferisco, in particolare, al piano per il Sud recentemente annunciato, con incrementi di investimenti pubblici, del tutto in linea con le raccomandazioni contenute negli ultimi rapporti SVIMEZ.
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Crisi economica, scontro geopolitico, populismo e classe
di Citystrike
La crisi economica assume le caratteristiche di una crisi finanziaria perenne. Ma non comincia 10 anni fa. Le sue cause dipendono dalle contraddizioni a livello globale emerse già negli anni '70
L’ultimo libro di Raffaele Sciortino, “I dieci anni che sconvolsero il mondo”, Asterios Editore, 2019, è uno di quei testi importanti che meritano, oltre che una lettura attenta, una analisi approfondita utile a mettere a fuoco un groviglio di questioni, di per sé non risolte e ancora in grado di rideterminare il nostro presente e il nostro futuro immediato. Seguiamo allora per punti il ragionamento dell’autore.
Natura della crisi
E’ opinione abbastanza comune, per lo meno agli analisti marxisti, che la crisi economica globale non cominci nel 2008 con lo scoppio della bolla finanziaria e il fallimento di Lehman Brothers, ma risalga, almeno per le sue cause profonde, agli anni ‘70(1). Questo dato non è così scontato, per lo meno se facciamo riferimento alle analisi del mainstream politico che affollano i giornali. Certamente, nel 2008 succede qualcosa che ha ricadute immediate sugli scenari economici dapprima negli USA per poi allargarsi all’Europa e al resto del continente, ma le condizioni per cui si arriva al crack vanno ulteriormente indagate. Si badi che non si tratta di un mero vezzo teorico: la chiarezza, in questo caso, serve per inquadrare il cuore del problema e per non trasformare una crisi sistemica in una questione contingente legata a falle nei controlli finanziari, all’avidità di pochi speculatori o agli effetti della deregolazione dovuta ad un allentamento dei controlli e al venir meno della separazione tra il mondo del credito bancario tradizionale e la finanza(2).
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La finanziaria incolore di un governo incolore
di Andrea Fumagalli
Note sul Def 2019 provando a dire “qualcosa di sinistra”
Il 30 settembre scorso il governo giallo-rosa Conte 2 ha presentato la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanzia 2020 (NaDef). Dopo mesi di dibattiti, di illazioni e di disinformazioni, abbiamo ora alcuni elementi di analisi, anche se ancora molto incompleti e generici.
La nuova compagine di governo non intende mettere in discussione la necessità di mantenere un certo rigore nei conti pubblici, in linea con i mandati europei, nonostante l’invito di Mattarella a rimodulare in senso più espansivo i parametri di stabilità. L’accoglimento più che positivo del nuovo governo da parte dell’oligarchia finanziaria e della tecnocrazia europea lo conferma. Spread in ribasso e borse in discesa nel periodo della sua formazione evidenziano questa nuova stagione, che, in realtà, tanto nuova non è. Occorre infatti ricordare che il governo precedente di matrice salviniana si pose in attrito con “i diktat europei” solo a parole.
Il faticoso parto della legge di stabilità dello scorso anno non ha portato alcuna inversione di rotta nelle politiche di austerity. L’innalzamento del rapporto deficit/Pil dall’1,7% (promesso da Renzi) al 2% è costato l’inasprimento della clausola di salvaguardia per evitare l’automatico aumento dell’Iva, che è quasi raddoppiata sino a 23,1 miliardi. A ciò si è poi aggiunta la manovrina di aggiustamento pre-estiva per evitare la procedura di infrazione di circa 5 miliardi di euro. Altro che cambio di rotta! Siamo nei fatti sulla stessa lunghezza d’onda dei governi precedenti Monti-Letta-Renzi-Gentiloni.
La stesura della nuova legge di stabilità parte quindi con una spada di Damocle di notevoli proporzioni, non ineludibile.
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La Dialettica della natura di Engels
Tra metodo e sistema, filosofia e scienza
di Eros Barone
Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato.
Friedrich Engels, Dialettica della natura.
1. Significato e costruzione di una “dialettica della natura”
Per valutare il significato storico e teorico del modo in cui Engels ha esteso la dialettica dal campo delle scienze storico-sociali a quello delle scienze fisico-naturali occorre considerare nel suo significato complessivo la elaborazione teorica da lui sviluppata, che comprende la scienza, la dialettica e il materialismo, e individuare nel contempo lo sfondo storico-culturale di tale elaborazione. Né si può prescindere, per un verso, dai limiti storici inerenti allo stadio di sviluppo delle scienze che offrono ad Engels la base di appoggio per la sua costruzione di una “dialettica della natura” e, per un altro verso, dal fine che egli in generale attribuisce a tale dialettica, quindi alla funzione che essa svolge nella prospettiva del comunismo. Questo duplice aspetto è stato al centro dell’attenzione critica e della ricerca teoretica che, nell’àmbito del marxismo italiano, hanno contraddistinto i contributi forniti da Ludovico Geymonat e dalla sua scuola.
La feconda vitalità del pensiero di Geymonat nasce da una riflessione originale sul materialismo dialettico. Tale concezione, oltre ad occupare un posto centrale e prioritario nelle indagini svolte dal pensatore torinese sulla storia del pensiero filosofico e scientifico, chiarisce anche in quale senso si muova la stessa battaglia culturale condotta da Geymonat per affermare il valore conoscitivo della scienza e contrastare le molteplici forme di irrazionalismo e di “reazione romantica contro la scienza”.
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Dazi, guerra tra le monete, competizione globale
Lo stallo degli imperialismi
di Rete Dei Comunisti
C’è uno stallo tra gli imperialismi a fronte della guerra sui dazi, le monete e la competizione globale? Per sabato 26 ottobre, la Rete dei Comunisti organizza a Roma un forum di analisi e confronto su questa che appare la caratteristica inquietante dell’attuale fase storica. Il titolo del Forum indica una valutazione che merita di essere discussa: lo stallo degli imperialismi, appunto. Qui di seguito pubblichiamo il documento della Rete dei Comunisti di presentazione e convocazione del Forum del 26 ottobre
La presidenza Trump, nei suoi comportamenti apparentemente irrazionali, sta facendo emergere quale sia la reale condizione non solo dei diversi imperialismi ma, a nostro vedere, il limite dello stesso Modo di Produzione Capitalistico in questo frangente storico.
L’improvviso riemergere dei dazi, che ricorda gli scenari precedenti alla seconda guerra mondiale, la fine della centralità del dollaro e la competizione tra le monete, l’accentuazione mondiale delle diseguaglianze sociali e la dimensione globale di una recessione oggi ammessa da tutti, stanno evidenziando, senza ombra di dubbio, i limiti attuali alla crescita capitalistica dovuti alle difficoltà sempre maggiori di valorizzare la grande massa di capitale finanziario che oggi è in circolazione per il mondo.
La sconfitta dell’URSS e del campo socialista alla fine del secolo scorso, ha fatto ritenere che la storia fosse finita e che l’unico orizzonte non poteva che essere il capitalismo come compimento ultimo dei destini dell’umanità. La fine della Storia è stata, e in parte rimane, la rappresentazione ideologica egemone che intendeva chiudere con il comunismo ma soprattutto con la lotta di classe che ha percorso l’800 ed il ‘900.
Le tendenze che ora si stanno manifestando, in verità da oltre un decennio, ci dicono che le contraddizioni insite nel MPC non vengono superate, anzi si aggravano e si amplificano in modo direttamente proporzionale alla pervasività dell’economia capitalista.
Nell’ultimo trentennio, l’occidente capitalista a guida USA, ha ritenuto di avere ormai l’intero mondo a disposizione e si è lanciato nella corsa ai profitti investendo nelle aree non ancora subordinate all’economia di mercato, in modi diversi Cina, India, Russia e paesi dell’Europa dell’est, amplificando e velocizzando così il ciclo economico del capitale.
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