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sinistra

Le contraddizioni di Marx

di Salvatore Bravo

Giovanni Gentile in La Filosofia di Marx coglie la complessità del filosofo al di là dei rigidi steccati ideologici. Le interpretazioni degli autori possono essere fonte di sicurezza, rassicurazione e di potere, ma perché ciò avvenga si erigono linee di confine. Essi sono consegnati, così, al clero dell’interpretazione, alla verità codificata da utilizzare nelle circostanze per le propagande delle piccoli lobby come dei grandi apparati. “La religione oppio dei popoli” affermava notoriamente Marx... Anche un sistema filosofico può fungere a tale scopo. “Le chiese” sono tante e purtroppo hanno in comune l’abitudine ideologica a sterilizzare la vita, a chiudere gli orizzonti, a sacrificare sull’altare dei superiori interessi la verità, a sclerotizzare l’essere come il sacro. L’autore intabarrato nell’interpretazione smette di parlarci, diviene liturgia ripetitiva per le guerre di cortile. Ogni vita è indefinibile, fugge da ogni classificazione, eccede il confine nel quale la si vuole relegare. Pertanto nessun filosofo, scrittore, poeta, essere umano può essere rigidamente classificato. Marx è stato spesso confinato dagli apparati di partito, dalla nomenclatura, ad una manciata di concetti in funzione della giustificazione del potere di pochi su molti.

Destino ingrato, il filosofo di Treviri che aveva nella lotta alla reificazione finalizzato la sua opera si è ritrovato in epoca sovietica ad essere sgabello di un sistema congelato in se stesso, mentre in occidente è stato usato variamente per l’accesso delle masse all’edonismo individualistico. Marx dunque oggetto di un riduzionismo dal quale solo oggi comincia a “liberarsi” ed a “ librare” il volo verso la profondità del suo pensiero autentico, malgrado la congiura del silenzio, malgrado la censura dell’oblio.

Già in G. Lukács in Il giovane Marx (1954), il filosofo appare nella sua linea evolutiva, nella complessità all’interno della quale vi sono faglie, ed ancor più, il filosofo è riletto contro ogni riduzionismo economicistico. Giovanni Gentile in un’opera del 1899 La filosofia di Marx, già rompe gli steccati ideologici, le false coscienze dalle facili interpretazioni per cogliere la genetica del pensiero nel suo farsi e contraddirsi. Ogni autore non è un sistema concluso, anzi fa della sua vita iscritta nella sua opera con atti e parole, un campo di ricerca a cui attingere. I filosofi trattati come sistemi senza soffio vitale sono utili alla vendita, al mercato, perché la complessità, si teme, allontana dall’acquisto, mentre la semplicità è un buon investimento editoriale. In tal modo si diseduca al pensiero divergente, come all’attenzione del dettaglio.

Gentile contro ogni assottigliamento dello spessore del filosofo di Treviri, ha mostrato, pur nella sua indubitabile adesione al fascismo, di aver pensato Marx nella sua realtà vitale, praticando la fusione degli orizzonti. In primis G. Gentile nella sua opera coglie in Marx il fondamento idealistico. La Filosofia della prassi è trasformazione sociale, momento vivo del pensare. Pensare è già prassi, se il pensiero consapevole si radica nella vita interiore per rigenerarla a nuova vita:

Carlo Marx, idealista nato, e che aveva avuto tanta famigliarità, nel periodo formativo della sua mente, con le filosofie di Fichte prima e poi di Hegel, non s’appresso’ al materialismo di Feuerbach dimenticando tutto ciò che aveva appreso, e che erasi connaturato al suo pensiero. Non seppe dimenticare che non v’ha oggetto, senza un soggetto che lo costruisca; né seppe dimenticare che tutto è in perfetto in fieri, tutto è storia1.”

L’Idealismo non era staro dimenticato, gli aveva insegnato che la realtà nel suo fondamento è relazione, contro ogni positivismo scientista adialettico ed atomistico. Solo nella relazione è possibile la libertà come la prassi. Quest’ultima non è un sogno lontano, è attività del pensiero che si nutre e si rinverdisce nella relazione. La scissione del soggetto dall’oggetto è il regno della morte, perché chiude il soggetto nella caverna. La prassi è comunicazione, riflessione, azione, perché tutto questo viva, la condizione imprescindibile è la relazione, senza di essa ogni evoluzione ed involuzione è impossibile e la storia si acquieta nella palude per intorbidirsi su se stessa.

Intanto Marx aveva una ragione per non isolare gli individui, astraendoli dalle relazioni loro. Questa ragione come abbiamo chiarito, era nel concetto della prassi. Prassi vuol dire relazione tra soggetto ed oggetto. Quindi né individuo-soggetto né individuo-oggetto, come tale sec et simpliciter; ma l’uno in necessaria relazione con l’altro, e viceversa.2

Dunque l’attività politica è relazione soggetto-oggetto. Se seguiamo le tracce di Marx attraverso Gentile, riusciamo a decodificare il presente: per rendere ipostasi la condizione sociale presente è necessario recidere la relazione. Ogni luogo ed istituzione comunitaria nella quale la prassi è l’elemento vitale formale e sostanziale è devitalizzato. In luogo della relazione si idolatra la competizione, la divisione, la gerarchizzazione economica come fondamento. Il risultato è la compresenza di un piano fenomenico caratterizzato dal cambiamento fine a se stesso, alla produzione, ma in realtà vi è un altro piano noumenico, la verità dietro il getto d’inchiostro della seppia capitale, ovvero le strutture interiori, cognitive ed istituzionali restano eguali, sono incardinate nella divisione atomistica, pertanto sono rese disabitate dalla relazione. E’ il regno dell’intelletto astratto:

”Ma, quando l’intelletto astratto piglia queste determinazioni o spinge la loro differenza fino a stabilire tra di esse una opposizione insormontabile, e a pretendere che in questo mondo reale sia necessario cancellare le idee del cervello, si deve respingere una tale dottrina nel modo più risoluto, in nome della scienza e della sana ragione3.”

Gentile condivide con Marx il giudizio esiziale sull’intelletto contrapposto alla ragione. Come aveva insegnato Hegel l’intelletto astrae e divide, mentre la ragione formula nessi, ricostruisce i legami dove la divisione faceva apparire la realtà costituita da enti a se stanti. La ragione è già prassi perché attività che ricostruisce ciò che appariva inesorabile nella sua fissità. La nostra è l’epoca dell’intelletto. Ineluttabile, il facile scientismo diseduca alla prassi per educare alla separazione. Nella frammentazione i perché non hanno risposta, sono giudicati come residui di un’inutile metafisica. Ma senza i perché l’essere umano è sempre meno umano e sempre più algoritmo.

Dunque per Gentile la prassi presente in Marx trova la sua genealogia in Hegel. Marx idealista al punto da condividere con Hegel lo stesso limite, mentre si afferma la prassi, la si nega parzialmente in quanto si stabiliscono leggi dello sviluppo della storia e si predetermina la prassi mediante l’Idea nel caso di Hegel, l’economia nel caso di Marx:

Materialismo storico ed hegelismo allo stesso modo, adunque, sorpassano in teoria il punto di vista pessimistico e l’ottimistico. Ciò che è dev’essere; la realtà è razionale. Ma intanto questa realtà, i questa storia, rappresenta il fatale cammino dello Spirito del mondo verso la libertà di tutti, in Hegel; o l’ascensione dell’uomo << dalla immediatezza del vivere (animale) alla libertà perfetta (che è il comunismo)>> in Marx. Nella storia c’è quindi una finalità; dacchè ogni passo è volto a una meta; e questa meta è essenzialmente ottima. E poiché la finalità è immanente nel processo storico fin dal suo primo principio, come l’intuizione hegeliana anche la marxista è in fatto ottimista, contemplando una storia che cammina verso un fine, che è il bene di tutti, il bene assoluto4.”

La Filosofia è relazione, si evolve con operazione di confronto e correzione, la dialettica è l’anima della Filosofia. Nel caso di Gentile appurato l’idealismo di Marx ed i suoi limiti, rende la prassi attività libera, spezzando la linea finalistica della storia, introducendo l’attualismo, l’atto come prassi di pensiero che vive la storia, per pensarla e rifondarla in modo libero. Antonio Labriola nei suoi Saggi utilizza la metafora della linea spezzata, da contrapporre alla linea retta del finalismo deterministico marxiano. Giovanni Gentile non ha pregiudizi ideologici, o quanto meno rispetto al mondo che verrà dopo di lui, è incomprensibile. Corregge la prassi marxiana imparata da Hegel con A. Labriola. Gentile condivide con Labriola il pensare come un incendio che crea ed autocrea:

“Il pensare dice Labriola, è uno sforzo continuo. La materia empirica deve offrire i mezzi e gli’incendi esterni ed obbiettivi al nostro pensiero; ma occorre poi la mentale costruzione, che dagli stati psichici elementari si solleva alla forma del concetto e del giudizio. Il pensiero stesso dunque è un lavoro5.”

L’autoctisi gentiliana ha dunque la sua genesi nello studio dell’idealismo, di Marx e di Labriola.

Gentile ci insegna con la sua opera che la pratica filosofica è processo di liberazione da limiti e confini posticci. Ogni pensiero diviene tale solo se supera l’ostacolo epistemologico del pregiudizio. In conclusione G. Gentile malgrado la vicinanza formativa agli autori citati prende le distanze da ogni fatalismo per riaffermare la prassi della libertà e delle libertà. La sinistra in crisi, trasgressiva sempre in funzione del capitale, potrebbe imparare dalla rilettura di Marx mediato da Gentile, se si libera dell’ostacolo epistemologico “consapevole” della sua adesione integrale al turbocapitalismo.


Note
1 G. Gentile, La filosofia di Marx, Sansoni, Firenze, 1955, pag. 164
2 Ibidem pag. 160
3 Ibidem pag. 129
4 Ibidem pag. 155
5 Ibidem pag. 126

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