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linterferenza

Sulla differenza fra eclettismo e dialettica

di Fabrizio Marchi

Ho letto questo lungo e interessante articolo di Eros Barone https://www.sinistrainrete.info/marxismo/13031-eros-barone-dialettica-o-eclettismo.html e, pur non condividendo in diversi punti la sua analisi, lo ringrazio comunque per la brillante distinzione che opera (che invece condivido) fra eclettismo (che spesso sfocia nell’opportunismo) e dialettica.

Naturalmente sarebbero necessarie ben più di poche righe per motivare sia i punti di dissenso che di assenso, però, volendo sintetizzare fino all’inverosimile (e necessariamente a banalizzare) e limitandomi ai primi, mi sento di pronunciare queste poche parole.

Il punto non è tanto il “Marx + Freud” o il “Marx più Nietzsche” o il “Marx + vattelapesca” che ci può anche stare e ci sta, nel senso che è del tutto normale che tanti pensatori abbiano partorito delle idee valide o abbiano interpretato correttamente determinati fenomeni o aspetti della realtà. Così come, a mio modestissimo parere, ci sta ad esempio il fatto che Marx (o Engels) non abbiano approfondito alcuni aspetti del reale e della conoscenza, anche perché non erano dei semidei ma “solo” dei grandi pensatori (scienziati ma anche filosofi, a mio parere, anche se questa mia affermazione provocherà la reazione piccata di Eros…) che hanno dato un contributo fondamentale alla possibilità della conoscenza e soprattutto della trasformazione del mondo.

Dal momento che abbiamo citato Freud, penso ad esempio alla sfera psicologica e psichica delle persone, che non è una realtà metafisica o iperuranica ma un fatto reale che appartiene alla realtà (e non può essere separata da quest’ultima), che né Marx né Engels indagarono. Questa mancata indagine che all’epoca in cui Marx ed Engels vivevano era del tutto giustificabile e comprensibile (quando si inchioda un essere umano per quattordici ore al giorno ad una catena di montaggio il problema del controllo della sua sfera psichica non si pone neanche perché tale controllo è già in essere…), oggi, sempre a mio modestissimo parere, non lo è più, perché la trasformazione della realtà (del lavoro, dell’organizzazione del lavoro, del tempo libero, delle classi sociali, dei rapporti e dei vincoli sociali e umani, della sessualità, del rapporto fra i sessi, della cultura e tante altre cose ancora…) e quindi del sistema e del dominio capitalistico è stata tale da imporre quell’indagine. Pensare di combattere efficacemente l’attuale dominio capitalistico senza indagare quell’ambito e quegli ambiti è come pensare di andare a vedere una partita di calcio osservando solo una metà del campo…

L’errore (sempre quando di errore si tratta e non di opportunismo…) è invece (ma questo Barone lo spiega efficacemente e su questo punto concordo con lui…) quello di confondere appunto la dialettica – che è in grado di interpretare e spiegare la complessità della realtà (che non è un’accozzaglia casuale di eventi altrettanto casuali ma appunto una relazione dialettica complessa a sua volta composta da una serie altrettanto complessa di relazioni dialettiche complesse che rimandano a loro volta ad altre relazioni) – con l’eclettismo, cioè il prendere di qua e di là più o meno a casaccio in base ai nostri desiderata o – nel caso degli opportunisti – a ciò che conviene, e a fare una sorta di minestrone (come lui stesso ha scritto “una somma aritmetica di verità parziali”) o di minestrina (nel caso ad esempio del cosiddetto “pensiero debole” attuale) che poi in ultima analisi finiscono sempre per portare acqua al relativismo assoluto e al nichilismo i quali, sempre in ultima analisi, servono a coprire e a giustificare ideologicamente il concetto in base alla quale il capitalismo non sarebbe una forma storica dell’agire umano ma una sorta di condizione ontologica, naturale, e quindi non trasformabile e non superabile alla quale ci si deve rassegnare.

Questo, a mio parere, l’errore di natura teoretica.

Alcune considerazioni su Preve, perché mi sembra che il giudizio che ne abbia tracciato Barone sia decisamente troppo duro e anche errato, addirittura comprendendolo fra quelle, cito testualmente “maschere carnevalesche, dotate, come tutte le maschere (e come tutti gli eclettici), di molteplici identità…”

Mi pare che Preve non abbia mai sostenuto che non esistano più le classi sociali o che non esistano più classi sociali dominanti e classi sociali dominate. Al contrario, Preve ha detto che queste classi sociali – dominanti e dominate – non possono più essere definite con i concetti “tradizionali” di borghesia e proletariato perchè queste ultime (prodotti della realtà, non certo dello spirito…) erano portatrici di una cultura, di una visione, di una ideologia e di un orizzonte alternativi e antagonisti del mondo e della realtà, mentre oggi quelle visioni, quelle culture e quegli orizzonti non esistono più. E non esistono più – aggiungo invece anche io sia pure più modestamente – perché la realtà è appunto cambiata, e quelle classi (con i loro portati “culturali”, valoriali” e ideologici), così come erano, non esistono più nelle forme che hanno assunto in quella determinata fase storica che – appunto – ha portato legittimamente a definirle con i termini di borghesia e proletariato. Il che non significa però che oggi non esistano classi sociali (capitaliste) dominanti e classi sociali subalterne e dominate (esistono eccome!!!), solo che per comprendere e analizzare al meglio la realtà è forse opportuno anche aggiornare il nostro linguaggio. Non per un vezzo intellettualistico ma perché ce lo richiede la realtà in costante mutamento. Del resto, anche prima della nascita del capitalismo esistevano classi sociali dominanti e classi sociali dominate ma non potevano essere definite, ovviamente, come borghesia e proletariato, perchè erano oggettivamente altro.

Ora, naturalmente, si dovrebbe aprire un dibattito enorme che riguarderebbe anche le complesse questioni relative alla semantica, al linguaggio (questione aperta dal nominalismo ben prima di Wittgenstein…) e alla loro relazione con la realtà (di cui fanno parte e da cui scaturiscono) ma ovviamente non lo apro anche perché non ne avrei le necessarie competenze.

Tuttavia, tornando con i piedi sulla terra, la questione esiste. Esempio concreto: è possibile definire come proletariato l’attuale massa popolare, ridotta ad un magma indistinto e omogeneizzato all’interno del quale si mescolano e si confondono vecchi strati sociali che una volta avremmo definito piccolo borghesi con settori operai che una volta avremmo legittimamente definito proletari?  Questa “massa popolare” del tutto priva di coscienza di classe se non purtroppo imbevuta di ideologia dominante, sradicata, omogeneizzata culturalmente e ideologicamente ma al contempo divisa e frammentata in mille rivoli, è definibile come “proletariato”?

Sul versante opposto, è possibile definire ancora con il termine “borghesia” una classe super capitalista transnazionale che ha di fatto dismesso i vecchi apparati valoriali-ideologici borghesi in ordine storico di apparizione (quello kantiano e poi anche e soprattutto quello hegeliano, comunque entrambi funzionali agli interessi della borghesia in determinate fasi storiche), che hanno culturalmente e ideologicamente caratterizzato il dominio borghese nelle diverse epoche, per adottare la nuova ideologia politicamente corretta post-moderna giudicata, non a torto, più funzionale a garantire l’attuale dominio capitalistico?

Fermo restando che anche e soprattutto l’attuale dominio capitalistico si fonda comunque sull’estrazione di plusvalore (che questa estrazione o espropriazione avvenga dal lavoro vivo o dal lavoro cosiddetto “morto”, non muta di una virgola la sostanza delle cose perché in ogni caso quel plusvalore non viene certo socialmente redistribuito…) e quindi sullo sfruttamento e sulla guerra imperialista (anche se ideologicamente giustificata in forme e modalità diverse rispetto a come era giustificata in altre epoche), penso che i processi di trasformazione avvenuti negli ultimi quarant’anni almeno, sia sotto il profilo sociale  che culturale/valoriale/ideologico/, necessitino di un adeguamento sia dal punto di vista dell’analisi che da quello semantico e linguistico.

Mi permetto di riproporre un paio di articoli (entrambi furono pubblicati su “Sinistra in Rete”) dove ho approfondito meglio i temi in oggetto:

http://www.linterferenza.info/editoriali/destra-e-sinistra/   e

http://www.linterferenza.info/attpol/la-nuova-falsa-coscienza-delloccidente-e-del-capitale/

Comments

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Eros Barone
Saturday, 08 September 2018 20:55
Ringrazio Fabrizio per l'attenzione, critica costruttiva e intelligente, che ha dedicato al mio articolo su "Dialettica o eclettismo?", così come ad altri miei contributi. Le questioni che egli pone e le osservazioni che svolge, ivi compresi gli articoli da lui scritti e qui richiamati, sono tutti importanti. Mi riprometto, non appena possibile (sono rientrato proprio oggi da una breve vacanza), di rispondere ad essi in forma non estemporanea.
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Mario Galati
Thursday, 06 September 2018 12:48
Gramsci riteneva la filosofia della prassi una concezione integrale ed autosufficiente del mondo. Marx, Hegel, Gramsci, erano pensatori "totalitari", Ogni sfera del reale e ogni aspetto della realtà è un elemento di un sistema complessivo totale in sè stesso coerente. Ogni particolare è parte dell'universale.
Ogni "scoperta" di una particolare disciplina può e deve essere tradotta (in Gramsci è fondamentale la traducibilità dei linguaggi) nel linguaggio del sistema totale, non può essere un elemento separato, aggiunto, giustapposto o parallelo.
Per es. Gramsci considerava la psicoanalisi una pratica finalizzata a lenire, ad attenuare, la sofferenza psichica ingenerata dall'"eccesso di conformismo" richiesto agli individui dalla complessità della società borghese e dalle prestazioni che richiede. Una scienza borghese, quindi. Le concezioni psicoanalitiche e psicologiste presuppongono una concezione essenzialista dell'uomo, come essere preformato. Il marxismo concepisce l'uomo come un complesso di relazioni sociali che si forma e sviluppa storicamente. Le due concezioni sono incompatibili. Lucien Sève ha scritto saggi interessanti su questi argomenti.
Quando Lenin scriveva del piccolo borghese, delle sue concezioni e del suo comportarsi (rivoluzionarista, riformista, conservatore, reazionario), mostrava un saggio magistrale di psicologia, non dell'individuo preformato che ripete archetipi eterni ed astratti, ma del complesso di relazioni sociali storicamente determinate collocate in un contesto di rapporti di produzione. E i rapporti di produzione e di riproduzione sociale sono l'ultima istanza della vita della società.
Ci sono, poi, i più complessi problemi del materialismo dialettico, sui quali sono pochissimo ferrato, ma da considerare.
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