La grave crisi dei governi bolivariani
di Silvano Ceccoli
Questo ampio articolo di Silvano Ceccoli focalizza la situazione politica dell'America Latina, rivolgendo una speciale attenzione a due paesi, l'Ecuador e il Perù, e analizzando in particolare le cause della crisi del movimento bolivariano. L'autore ha fondato una ventina di anni fa il Circolo Culturale Proletario di Genova, del quale Eros Barone è l'attuale presidente. Egli è stato più volte nei paesi di cui tratta in questo articolo, come dimostrano le fonti giornalistiche citate nel corpo dell'articolo; è inoltre autore di un libro su "Sendero Luminoso" e conosce molto bene il Perù e l'Ecuador. Ci è parso che le informazioni e le valutazioni che caratterizzano l'elaborato, angolate secondo un preciso punto di vista marxista e comunista, siano di un certo interesse per l'inquadramento della situazione politica che si è venuta a determinare nell'area presa in considerazione dall'autore
Ecuador, il tradimento di Lenin Moreno
In Ecuador, ormai, è assodato il voltafaccia del partito di governo Alianza Pais e del Presidente Lenin Moreno. Giovedì 23 Agosto scorso, il Primo Ministro ecuadoriano José Valencia annuncia la decisione presa dal Presidente Lenin Moreno, di uscire dall’Alba1 (=Associazione Bolivariana per l’America Latina), l’Alleanza voluta da Chavez, che riunisce tutti i paesi latinoamericani guidati da partiti affini, che aderiscono al movimento bolivariano, sorto in Venezuela. Questa grave decisione del governo ecuadoriano, guidato da Lenin Moreno, è stata presa in concomitanza con l’altra altrettanto grave decisione di far partecipare truppe della marina militare ecuadoriana alle esercitazioni militari navali organizzate dagli USA, che si tengono dal 31 Agosto al l’11 Settembre 2018, al largo di Cartagena, in Colombia. Oltre all’Ecuador, partecipano all’esercitazione militare navale, denominata LIX Esercitazione Multinazionale di Manovre Militari Unitarie, altri 11 stati: Argentina, Brasile, Canada, Colombia, Costa Rica, Honduras, Gran Bretagna, Messico, Panamá, Perú e Repubblica Dominicana, tutti sotto la guida degli USA.
La partecipazione dell’Ecuador a questo tipo di esercitazioni militari, ostentate dagli imperialisti USA, era stata ritirata dal governo di Rafael Correa nel 2007 e da allora, per 11 anni, i militari ecuadoriani non avevano più preso parte a questo tipo di esercitazioni, dirette dagli USA. L’Ecuador, come ha illustrato alla stampa ecuadoriana, il Comandante Genarale d’Armata Renán Ruiz, in presenza del Ministro della Difesa Oswaldo Jarrín, partecipa alle esercitazioni con la corvetta Los Ríos e 112 militari (fanti della marina, guardie costiere e marinai), con un elicottero, oltre all’aereo AN 204 2 .
Il governo di Lenin Moreno, con la giustificazione di ripulire il ceto politico dominante dalla corruzione, ha impostato una campagna mediatica contro l’ex Presidente Rafael Correa e i membri del suo passato governo. La campagna mediatica dell’attuale governo contro i governi dell’ex Presidente Rafael Correa non è dissimile da quella che sino ad oggi è stata portata avanti dalle opposizioni, da quando, con un forte consenso popolare, si è imposto al paese la personalità dell’economista Rafael Correa, che ha indirizzato il paese ad una radicale modernizzazione e a tutta una serie di riforme economiche, sociali e strutturali che hanno regolarizzato il dilagante lavoro nero esistente (specie nel settore agricolo, in particolare nella produzione bananiera, di cui l’Ecuador è uno dei maggiori esportatori), oltre a creare maggiore occupazione nel paese e uno sviluppo economico che l’Ecuador da decenni non aveva conosciuto. La gestione di Correa ha avuto come risultato una forte diminuzione della povertà e un contenimento sostanziale della criminalità che imperversava nei centri metropolitani. Certo, Rafael Correa non è immune da errori, anzi, secondo il nostro punto di vista politico, ne ha commesso molti. Tra le sue mancanze non è da meno il suo piglio autoritario, poco incline al dialogo con le parti più costruttive dell’opposizione, che gli hanno alienato le simpatie di molti, non solo dei suoi più accaniti oppositori politici della destra storica ecuadoriana. Non solo, ma la sua legislazione sul lavoro, non ha eliminato la precarietà tra le giovani generazioni, ma ciò si notava poco in un paese con piena occupazione, dove i grandi trust, sotto i suoi governi, hanno realizzato profitti come mai era successo in Ecuador. Correa poi ha avuto l’ardire di autorizzare lo sfruttamento petrolifero del Parco naturale del Yasunì, uno dei parchi naturali con più diversità biologiche di tutto il continente sudamericano, per realizzare maggiori entrate allo stato ecuadoriano, dato che l’abbassarsi del prezzo del petrolio aveva determinato la ricerca di maggiori fondi per sostenere uno stato sociale più allargato: ciò gli ha alienato le simpatie degli ecologisti e ha sollevato molte proteste nel paese. Ma l’attuale attacco alla persona di Correa fa da corollario a Moreno e ai suoi collaboratori di governo, non solo per distruggere l’immagine politica e personale di Correa, considerato come l’unico antagonista di questo governo, che potrebbe ipoteticamente, col suo eventuale ritorno in politica, scalzare elettoralmente gli attuali governanti dell’Ecuador, dato il pur sempre alto seguito di cui gode tra le masse nel paese, ma la campagna mediatica contro Rafael Correa, serve, anche e soprattutto, per giustificare il lento e inesorabile smantellamento di tutto ciò che in 10 anni i governi di Correa hanno realizzato. Non a caso la democratizzazione delle fasce più povere del paese, portata avanti dalla cosiddetta “Rivoluzione Cittadina”, è stata uno dei primi obiettivi colpiti dai provvedimenti distruttivi del governo di Lenin Moreno. Attaccare Correa utilizzando le stesse accuse e modalità mediatiche usate ampiamente e in maniera indiscriminata dalle destre, come se si continuasse a essere in piena campagna elettorale, serve all’attuale governo di Moreno, per giustificare lo smantellamento di tutto ciò che ha costruito dieci anni di correismo. Dopo aver abolito il Ministero del Buon Vivere, che dava sostegno alle fasce più povere, nell’ambito sanitario ed educativo in particolare, si è passati allo stravolgimento di molte strutture statali o parastatali, create dai governi di Correa. Dopo di ciò, si è affossato ogni possibilità di Correa di ricandidarsi al seggio presidenziale promuovendo e manipolando, anche in maniera scorretta, un referendum, in cui si decretava l’impossibilità all’ex Presidente di ricandidarsi alla Presidenza. Il referendum, pur vinto dal governo Moreno, dimostrava che un buon 34% dell’elettorato ecuadoriano era contrario a questo provvedimento e mostrava simpatia per l’ex Presidente, nonostante che non sia stato possibile ai sostenitori di Correa di svolgere, tra l’opinione pubblica ecuadoriana, una corretta ed equanime propaganda, come invece avrebbe garantito la costituzione e nonostante che tutti i partiti politici esistenti nel paese (dai raggruppamenti di destra come i Socialcristiani o il forte partito Creo dell’ex banchiere Lasso, all’estrema sinistra dell’MPD e agli indigeni del Pachakutik e ai vari raggruppamenti di centro e centro sinistra), compreso Alianza Pais, si siano schierati contro Correa Non contento dell’esito referendario, che ha mostrato come ancora Correa goda di una forte popolarità, specie tra le classi medie e basse, il governo di Moreno ha creato ad arte una montatura giuridica per poterlo incriminare e cercare, con la persuasione, di togliergli quel forte consenso di cui ancora gode nel paese. Correa è stato incriminato per aver ordinato ad agenti dei servizi segreti ecuadoriani la cattura in maniera non procedurale, in terra straniera, di un oppositore politico fuggitivo, che si era sottratto alla giustizia, accusato con prove inderogabili di malversazione e corruzione. Si è costruito un caso per intimare a Correa di presentarsi ogni mese in Ecuador, per restare a disposizione della magistratura. Di tanti incresciosi fatti di corruzione avvenuti, in Ecuador, anche durante la gestione Correa, sinora non è mai emerso il coinvolgimento diretto dell’ex Presidente Correa e si è cercato un pretesto, esile dal punto di vista giuridico, per poterlo incastrare giuridicamente e metterlo fuori combattimento dal contesto politico e, con la persuasione, diminuire la fiducia che ancora gode tra l’opinione pubblica interna e internazionale.
In questa vignetta, diffusa sui social dai simpatizzanti di Rafael Correa, vediamo il Presidente Lenin Moreno con un sacco di soldi, che si presume rubati al popolo, che distrae l’opinione pubblica dicendo: “Guardate là, sta scappando Correa, ha rubato al popolo, ha ucciso e sequestrato, e adesso vive nella sua reggia in Belgio!”. Sintomatico della recrudescenza violenta della propaganda politica vigente oggi in Ecuador è che lo stesso Presidente Moreno è raffigurato in piedi e non sulla carrozzina da invalido, come invece è nella realtà.
La stessa posizione neutrale, se non addirittura ostile nei confronti del Venezuela di Maduro, assunta dal governo di Lenin Moreno, sulla grave situazione venutasi a creare in Venezuela, conferma il voltafaccia del governo di Lenin Moreno nei confronti del Movimento Bolivariano. Con Lenin Moreno siamo di fronte ad una sorte di Golpe Bianco, attuato contro lo stesso elettorato del Partito di Moreno (Alianza Pais), tradizionalmente progressista e di sinistra, Il ritorno dei militari ecuadoriani alle esercitazioni militari sotto comando USA, che sancisce di fatto a tutti gli effetti il ritorno dell’Ecuador sotto la protezione USA, si è accompagnato con il provvedimento di chiusura di alcune significative ambasciate ecuadoriane in paesi non proprio allineati colla politica imperialista USA: è il caso dell’ambasciata ecuadoriana in Bielorussia. Anche questo atto politico è un’altra chiara testimonianza che l’Ecuador del Presidente Lenin Moreno sta gradualmente tornando a collocarsi tra i servi dell’imperialismo USA, che, nel subcontinente latinoamericano, sta riacquistando egemonia. Come si può vedere, il governo di Lenin Moreno sta trascinando lentamente, a piccoli passi, le lancette dell’Ecuador indietro di 11 anni, mettendo di nuovo in mano il proprio paese a quei gruppi della borghesia finanziaria e parassitaria, alleata naturale dell’imperialismo Usa, la stessa borghesia che nel 2000 avevano trascinato l’Ecuador alla bancarotta totale. Tutto ciò spiega anche, in parte, l’alleanza che Lenin Moreno ha stretto con il gruppo politico guidato dal clan di Abdalá Jaime Bucaram Ortiz, detto “El Loco” (=il Matto), per la sua maniera istrionica di condurre i suoi comizi, fatti di balli e show canori, ex Presidente dell’Ecuador dal 10 agosto 1996 al 6 febbraio 1997, cacciato a furor di popolo e destituito dal Congresso Nazionale con l’accusa di “incapacità mentale a governare”. A questo gruppo politico Lenin Moreno ha concesso il controllo della diffusione dell’energia elettrica, un punto strategico di non poco conto in un paese come l’Ecuador. Con Lenin Moreno siamo quindi di fronte ad una controrivoluzione in pieno stile. Ci manca solo che Julian Paul Assange, che dal Giugno del 2012 si è rifugiato nell’Ambasciata Ecuadoriana di Londra3 e che l’11 Gennaio 2018 ha ricevuto la cittadinanza ecuadoriana, a cui recentemente è stato fortemente limitato l’accesso ad internet da parte del governo di Lenin Moreno, venga consegnato alle autorità britanniche per essere spedito negli USA, dove rischia di essere condannato alla pena capitale, per aver reso pubblici documenti riservati, secretati e coperti dal segreto di stato, creando un forte imbarazzo alle cancellerie di mezzo mondo. E mentre nel Palazzo di Carondelet4 assistiamo ad una strisciante restaurazione reazionaria, l’arrivo in Ecuador di decine di migliaia di venezuelani che fuggono dal Venezuela, sconvolto da una sorta di guerra sociale interna, fa registrare il sorgere di sentimenti xenofobi tra gli ecuadoriani, in un paese in cui questo fenomeno è sempre stato minoritario e marginale. Il gioco di Lenin Moreno risulta sostenuto da tutta la stampa nazionale di qualsia tendenza politica, che fa la gara a chi la spara più grossa contro Rafael Correa e i suoi collaboratori. Complice di questo pesante campagna ideologica contro Correa è quindi tutta la stampa ecuadoriana, sia quella delle opposizioni di centro e di destra (la stragrande maggioranza), sia quella dello stesso partito di governo, Alianza Pais, fondato da Correa, in primis il quotidiano El Telegrafo, quotidianamente attacca Rafael Correa e tutta la sua linea politica con cui ha governato l’Ecuador per 10 anni. Di fronte a questa enorme campagna mediatica, i sostenitori di Correa hanno risposto con una massiva manifestazione a Quito, a cui hanno preso parte circa 100.000 persone, Giovedì 5 Luglio 2018, con bandiere rosse degli alleati socialisti e comunisti e le bandiere di Alianza Pais, e migliaia di ritratti dell’ex Presidente Correa, dimostrando di quanta popolarità ancora goda nel paese l’ex Presidente. Nel paese sta montando il revanscismo correista, forte nel denunciare le controriforme dell’attuale governo di Lenin Moreno, che ha licenziato molti sostenitori dell’ex Presidente dal pubblico impiego, e che ha aumentato il prezzo della benzina, rincarando di fatto molti prodotti alimentari di prima necessità e colpendo il potere d’acquisto delle classi più basse. Non contento di ciò e forte dell’alta partecipazione popolare alle marce indette dai suoi sostenitori, il 3 Settembre 2018, Rafael Correa convoca tramite i social, per Giovedì 13 Settembre 2018, una marcia, da tenersi a Quito, contro l’attuale governo di Lenin Moreno. Marcia che si è programmato dovrà dirigersi, dopo aver attraversato le principali vie della capitale, al Penitenziario 4, dove l’ex Vicepresidente Jorge Glass dal 2 ottobre 2017 sconta una condanna di 6 anni di carcere per il delitto di associazione illecita nel caso Odebrecht. Gli organizzatori della manifestazione, che si presume oceanica, hanno intenzione di far terminare il corteo sotto la cella dove è detenuto Jorge Glass, per portarle i saluti da fuori e inviarle gli auguri, dato che la data della convocazione della marcia, corrisponde al su 49° compleanno. Come afferma lo stesso Correa, in un messaggio su Twitter, “gli obiettivi della manifestazione sono la risposta totalmente negativa del popolo ecuadoriano al mandato dell’attuale Presidente Lenin Moreno con i suoi provvedimenti economici e il ricatto della persecuzione politica nei confronti di tutti i membri della dirigenza dei governi passatì”. Sulle reti sociali le opinioni sono molto contrastanti, ma emerge una vasta platea favorevole a Rafael Correa. Gran parte dei dirigenti e dei sostenitori della Rivoluzione Cittadina hanno espresso in twitter la loro vicinanza a Glass e a Correa. Tra coloro che guidano le proteste dei correisti vi è Sofia Espin Reyes. Il governo di Lenin Moreno, di fronte alla recrudescenza della situazione politica e col timore che la situazione gli sfugga di mano, Giovedì 6 settembre 2018, rincara la dose contro Correa e lo mette sul banco degli accusati per aver intrapreso la campagna internazionale conto la Chevron-Texaco che aveva inquinato gravemente la Amazzonia ecuadoriana.5 Il governo di Lenin Moreno accusa pretestuosamente l’ex Presidente Correa di aver portato avanti una causa contro le imprese petrolifere statunitensi, causa che è stata persa, e, di conseguenza, di aver danneggiato economicamente lo stato dell’Ecuador, senza aver tenuto nel dovuto conto il fatto che un possibile verdetto contrario all’Ecuador, lo avrebbe compromesso economicamente in maniera grave. E questa accusa è emessa in base all’articolo 233 della Costituzione ecuadoriana che stabilisce che nessun servitore pubblico deve essere esentato dalle responsabilità per le azioni compiute nell’esercizio delle sue funzioni, o per sue eventuali omissioni, e è responsabile da un punto di vista amministrativo, civile e penale per la gestione e l’amministrazione dei fondi, dei beni e delle risorse naturali del paese. Come si vede il braccio di ferro tra l’attuale governo in carica e Rafael Correa è tutt’ora in corso e coinvolge tutta la società ecuadoriana che negli ultimi anni ha subito un forte arretramento in termini di qualità della vita.
Venezuela, Brasile, Argentina e Nicaragua, quando l’imperialismo si intromette in casa altrui
In questi ultimi due anni gli USA hanno intensificato una offensiva in grande stile per riprendere il controllo di questa parte del continente, che da sempre considerano il loro cortile di casa, e che, col sopraggiungere sulla scena politica del Movimento Bolivariano fondato da Chavez, avevano visto arretrare pericolosamente. Con la defenestrazione del governo progressista di Dilma Vana Rousseff Linhares, avvenuta con una sorta di golpe parlamentare, che ha portato i conservatori filo statunitensi al potere e la successiva incriminazione ed eliminazione del carismatico Lula, grazie ad una magistratura fortemente dipendente dal potere politico, il Brasile è passato sotto l’egemonia USA. Con la vittoria elettorale di Macrí in Argentina che ha riportato il potere in mano a quelle forze della borghesia imperialista che hanno sostenuto in passato le feroci dittature fasciste dei militari, sempre alleati degli Usa e con Colombia e Perù che non hanno mai smesso di essere allineati con gli USA, l’imperialismo statunitense sta rialzando la testa in Latinoamerica. Ma agli USA fa gola soprattutto riprendere il controllo delle risorse petrolifere del Venezuela ed è per questo che stanno approfittando della grave crisi sociale e economica, che colpisce il Venezuela, per finanziare frange armate fasciste e oltranziste per portare la guerra civile in Venezuela, con l’intento di rovesciare il governo bolivariano di Maduro e instaurare un regime amico. Le forti tensioni politiche interne in Venezuela, che hanno dato vita a forti scontri di classe nelle piazze, sono la causa del fenomeno della fuga di migliaia di cittadini, per la maggioranza appartenenti alle classi medie e medio-alte, che scappano in paesi limitrofi, creando non pochi problemi di sicurezza in questi paesi. La situazione in Venezuela sembra aggravarsi ogni giorno di più, registrando forti atti di violenza, creati ad arte dalle destre fasciste venezuelane, sostenute apertamente dagli imperialisti USA e dai loro lacchè regionali, in primis la Colombia, che sta provocando il governo venezuelano, creando disordini di frontiera. In secondo piano anche Perù e Argentina stanno svolgendo un ruolo favorevole agli USA e ostile al Venezuela. A fianco del Venezuela del Presidente Maduro, in questo delicato momento, si sono schierati Bolivia, Cuba e Nicaragua. Un discorso a parte merita quest’ultimo paese che da tre mesi è sconvolto da gravi atti di violenza contro il Presidente Sandinista Ortega. Bande armate sostenute dalle gerarchie ecclesiastiche e dagli USA, che mai hanno sopportato la sconfitta del loro pupillo, il dittatore fascista Somoza, da parte della rivoluzione armata sandinista e che non aspettano altro di vedere in difficoltà Ortega per eliminarlo e vendicarsi di lui, oltre che a riportare il Nicaragua sotto la propria tutela. Gli USA desiderano far fare a Ortega la stessa fine di Gheddafi e hanno appoggiato e sostenuto con fondi e armi fazioni estreme, che avevano anche giuste rivendicazioni sociali, per cercare di creare una situazione di conflitto armato interno per colpire ed eventualmente occupare il Nicaragua. La stessa cosa, come abbiamo visto, gli USA lo stanno facendo in Venezuela, sfruttando altresì enormi e palesi errori di gestione economica commessi dal governo del Presidente Maduro, in modo da creare il casus belli per intervenire o far intervenire i propri lacchè colombiani che ultimamente hanno alzato il tiro provocando incidenti di frontiera con il Venezuela, incuranti di danneggiare tutti quei profughi venezuelani che diventano due volte vittime inconsapevoli di una strategia imperialista, la cui regia è a Washington.
Cuba resterà socialista?
Un discorso a parte merita Cuba Socialista che sta vivendo un delicato momento politico. Con l’uscita dei Castro e l’arrivo al potere di Miguel Díaz-Canel nell’aprile scorso, registriamo un grave fatto: l’abbandono del richiamo costituzionale agli ideali del marxismo-leninismo, nella nuova costituzione cubana. Per noi ciò rappresenta un grave errore politico, che non fa presagire niente di buono per il futuro socialista dell’isola. In Cuba una parte della dirigenza del Partito Comunista Cubano al potere, arricchitasi con il turismo, sembra aver perso lo spirito combattivo e ideologico necessario ad un paese politicamente isolato e quotidianamente attaccato dall’imperialismo USA. Anche se Cuba resta una società ad orientamento socialista, unica tra tutti i paesi latinoamericani e anche se è ancora troppo presto per dare un giudizio complessivo sulla nuova dirigenza cubana, i presupposti non ci sembrano ideologicamente adeguati e ci fanno presagire probabili involuzioni, pericolose per la salvaguardia delle conquiste socialiste dell’isola, che hanno garantito sanità, istruzione e cultura a livelli decisamente alti nel contesto latinoamericano, comparabili a quelli di un paese europeo. Unica nota di speranza è che esiste a Cuba, soprattutto nel Partito Comunista Cubano, una alta coscienza di classe e forze comuniste sincere che, forti dell’eredità politica lasciata dai Castro, potrebbero mettere in campo tutte le risorse ideologiche necessarie per ostacolare eventuali pericolose involuzioni.
Solo la Bolivia sembrerebbe resistere bene
In Bolivia il carisma del Presidente Evo Morales è senz’altro sceso e non pochi tentativi sono stati fatti per creargli situazioni di tensioni sociali, non dissimili da quelle venutesi a creare in Venezuela, ma la situazione appare nel complesso decisamente migliore di quella degli altri paesi dove governano forze politiche di ispirazione chavista.
La vera causa della debolezza del Movimento Bolivariano
Come si può osservare la situazione politica nei paesi latinoamericani, dove governano partiti nati su ispirazione ideologica del Movimento Bolivariano, fondato da Hugo Chavez in Venezuela, è molto critica. Secondo noi questo sta succedendo, perché, come abbiamo spesso ripetuto in tempi non sospetti, molto prima che si verificasse questo arretramento a cui assistiamo in questi ultimi mesi, il Chavismo, sebbene sia sorto come movimento politico decisamente progressista, che proponeva un continente latinoamericano indipendente dall’egemonia dell’imperialismo USA, in realtà non è mai stato un movimento politico veramente rivoluzionario che ponesse in discussione la proprietà dei mezzi di produzione, ma si illudeva, sulla scia delle socialdemocrazie di poter gestire società capitaliste, favorendo le classi subalterne con politiche riformiste. Noi pensiamo, come abbiamo più volte ribadito, che non si può gestire il capitalismo e se si vuole realmente creare una nuova società migliore, occorre distruggere i rapporti di produzione capitalistici, cioè distruggere il capitalismo. Ciò significa essenzialmente che la classe operaia, alleata con le altre classi lavoratrici, debba prendere possesso dei mezzi di produzione, statalizzarli e gestire direttamente il nuovo stato operaio, seguendo e applicando, pur nelle diverse complessità sociali peculiari allo sviluppo storico di ogni paese, gli insegnamenti di Marx e attuati da Lenin, Stalin, Mao e Fidel Castro. Il Movimento Bolivariano non è stato al potere neanche un quarto del tempo di quello che è stato al potere il Movimento Comunista nei paesi dell’Est Europeo. Il movimento Bolivariano che pensava con autoreferenzialità di essere migliore del Movimento Comunista del secolo appena trascorso e che ha sempre fortemente criticato le realtà socialiste dell’Est Europeo che, ai loro occhi, non sarebbero state capaci di gestire al meglio i loro paesi e per questo motivo sarebbero crollate e implose sotto i colpi del neoliberismo, si è rivelato molto più debole e, a discapito del progetto di liberazione delle masse povere latinoamericane, sembra svanire in appena neanche 20 anni dalla sua nascita. Il Movimento Bolivariano è caduto in crisi assai presto, perché non ha saputo completare la rivoluzione sociale che si è proposto di fare sin dal suo nascere, ma è caduto nella trappola dell’elettoralismo piccolo borghese e della spartizione del potere con forze e ceti borghesi che, alla prima occasione, gli hanno voltato le spalle (sta succedendo in Ecuador e anche se in una prospettiva più radicale, sino alle conseguenze di una guerra cruenta civile, è quello che sta accadendo oggi in Nicaragua e in Venezuela). Tutto ciò crediamo fortemente sta avvenendo, perché forze politiche come Alianza Pais in Ecuador e altri partiti confratelli, che hanno gestito le rivoluzioni bolivariane nei propri paesi di appartenenza, non sono mai stati partiti leninisti, non si sono mai posti esplicitamente l’obiettivo del possesso dei mezzi di produzione in mano alla classe lavoratrice, né hanno mai parlato esplicitamente di lotta di classe, ma si sono limitati e accontentati di riforme, anche se radicali, ma pur sempre dentro ad un sistema di produzione e di rapporti di tipo liberale e borghese, dentro ad un sistema parlamentare borghese, cioè non si sono posti come obiettivo principale l’abolizione del capitalismo e dei sui rapporti produttivi. Ciò ha generato il sorgere di interessi capitalistici anche all’interno delle fila dei dirigenti rivoluzionari. Quando un movimento rivoluzionario, che vuole cambiare la società in maniera radicale, rimanda alle calende greche la rivoluzione, ma ritiene di poter gestire le vecchie società capitaliste, nel momento in cui si incammina a trasformare queste società, lo scontro violento tra classi diviene inevitabile, e quello che si è voluto evitare all’inizio del processo di trasformazione, si dovrà affrontare in seguito, e a volte in situazioni peggiori di quelle di partenza: è quello che sta accadendo ora in Venezuela, dove gli scontri di piazza stanno raggiungendo il limite, oltre il quale vi è solo la guerra civile. Il Movimento Bolivariano, creatura politica ideata come fosse un vestito da indossare sulla persona del suo fondatore Hugo Chavez, con la dipartita di questi non è stato possibile trovare un adeguato erede e il Presidente Venezuelano Maduro non ha né il carisma, né lo smalto, né le doti necessarie ad un degno successore di un gigante della politica, come in effetti è stato Hugo Chavez. Se a tutto ciò aggiungiamo che anche negli altri paesi, gestiti da partiti bolivariani, assistiamo ad un regredire delle posizioni più radicali e progressiste del movimento e un ritorno a politiche neoliberiste, capiamo benissimo la gravità della situazione latinoamericana, dove l’imperialismo USA sta tentando di riinserirsi nel gioco politico, cercando di recuperare il terreno perduto, a discapito di altre forze imperialiste come Russia e Cina. Ritornando all’Ecuador, è palese che lo stesso Rafael Correa, che, se seguiamo i media ecuadoriani, è diventato il capo espiatorio di tutto ciò che non va bene nella società ecuadoriana, deve ricercare le cause di quello che sta accadendo, non tanto nel voltafaccia del Presidente Lenin Moreno, ma nella sua stessa incapacità di condurre, quando il momento è stato più favorevole, la sua rivoluzione a compiere azioni politiche più radicali e profonde, non limitarsi come invece a fatto, ad una politica di basso profilo, che ha colpito solo alla superficie e non in profondità, come la situazione richiedeva. Inoltre, a Correa e collaboratori è mancato il tempo necessario per preparare un ceto politico affidabile e legato alle nuove idee rivoluzionarie bolivariane, che fosse in grado di portare avanti il processo rivoluzionario e prendesse in mano il testimone. Queste manchevolezze però sono una costante di tutti i partiti bolivariani e sono spiegabili e conseguenza di quello che si è detto: la mancanza di una vera politica rivoluzionaria di tipo leninista, che mettesse al centro del proprio agire politico l’appropriazione dei mezzi di produzione da parte delle classi lavoratrici, non limitandosi alle nazionalizzazioni di alcuni punti strategici della produzione nazionale.
Da quanto detto sinora è palese che la situazione politica del continente latinoamericano non è delle migliori e la delusione tra le fila di chi aveva sperato nelle nascenti aggregazioni politiche bolivariane per un mondo migliore è grande, di fronte ad una ripresa delle forze neoliberiste e al ritorno dell’egemonia dell’imperialismo USA nella regione.
Il Perù e la sua difficile situazione interna
Tra quanto esposto sinora, un discorso a parte merita il Perù, dove la lotta dei compagni del Partito Comunista del Perù, meglio noto come Sendero Luminoso, ha occupato le prime pagine della pubblicistica borghese nei primi 8 mesi del 2018. Nonostante la forte repressione a cui sono sottoposte le varie lotte rivendicative che attraversano il Perù, dalle fabbriche occupate per evitare serrate indiscriminate, alle proteste delle masse contadine contro lo sfruttamento minerario che inquina e produce morte e abbandono nelle zone limitrofe alle miniere, alle lotte studentesche per una scuola pubblica e gratuita per tutti, alle varie lotte per salari dignitosi, portate avanti da vari settori del mondo del lavoro e nonostante la quotidiana campagna denigratoria dei mass-media contro il Partito Comunista del Perù e i suoi dirigenti in carcere, il sostegno popolare a favore della campagna per la liberazione di Abimael Guzman e compagni prigionieri non manca. Da Febbraio ad Agosto del 2018 si sono moltiplicate le manifestazioni e i presidi nelle piazze del Perù6 , dirette dal Movadef (Movimento per l’Amnistia e i Diritti Fondamentali), per richiedere la liberazione dei prigionieri politici, in primis quella di Abimael Guzman Reynoso, meglio noto con il nome di lotta di Presidente Gonzalo. Il Movadef è un organismo politico che era riuscito nel 2011 a prendere circa un milione di firme per iscriversi come partito politico, ma la sua richiesta fu negata.
Il Movadef è una organizzazione politica peruviana fondata il 20 Novembre del 2009 da 15 membri e diretta dall’avvocato di Abimael Guzmán, Alfredo Crespo7 e dall’ex-avvocato di Abimael Guzmán Manuel Fajardo, deceduto recentemente8 . Secondo lo stato peruviano il Movadef è un’organizzazione che fa apologia di terrorismo. Nel 2015 sorse il Fudepp, Fronte di Unità di Difesa del Popolo Peruviano, che è associato al Movadef.
Il Fudepp ha costituito 73 comitati provinciali ed è riuscito a raccogliere oltre 500.000 firme per partecipare alle elezioni generali del Giugno 2016, che sancirono la vittoria alla presidenza del Perù di Pedro Pablo Kuczynski (2016-2018), costretto alle dimissioni il 23 Marzo 2018, con l’accusa di essere stato coinvolto in atti di corruzione. La partecipazione alle elezioni del 2016 fu impedita dalle autorità elettorali del Perù, che accusarono il Fudepp di terrorismo e di apologia di reato. Il Fudepp espressò il suo dissenso rifacendosi all’articolo n.4 della Costituzione Politica del Perù che afferma il “Diritto alla libertà di coscienza e di religione in forma individuale o associata. Non ci deve essere persecuzione per motivi ideologici o di fede. Non esiste il delitto di opinione”.
Il Movadef sin dalla sua fondazione chiede espressamente la liberazione di Abimael Guzmán e di tutti i prigionieri politici e l’indulto per tutti, sia per ex guerriglieri senderisti, che per militari e membri delle forze dell’ordine dello stato peruviano, condannati per violenze commesse durante il conflitto interno. Secondo la stampa peruviana tutto starebbe ad indicare che Sendero Luminoso, di cui il Movadef sarebbe una sua emanazione, sta portando avanti, senza tregua, una intensa attività di proselitismo sia a Lima che in varie regioni del paese, soprattutto tra gli operai, tra i giovani studenti liceali e universitari e tra le masse rurali che combattono le indiscriminate estrazioni minerarie, portate avanti da multinazionali imperialiste, autorizzate da un governo servile e compiacente.
Secondo i rapporti emessi dalla polizia politica e riportati dai mass media peruviani, i simpatizzanti dell’ideologia senderista avrebbero dato vita ad organizzazioni come il Movadef, il Fudepp e il Sute-Conare (una sorta di sindacato unitario nell’ambito educativo, con una forte partecipazione di comunità indigene), per potersi infiltrare nelle Università, nei collettivi di base dei quartieri popolari delle principali città, in movimenti femministi, sindacati e nel movimento popolare che ha messo in discussione il modello di sviluppo, accusando gli scempi ambientali creati da miniere a cielo aperto e che ha dato vita a tutta una serie di lotte e manifestazioni, che hanno sconvolto negli ultimi anni il Perù. Le organizzazioni come il Movadef, il Fudepp e il Sute-Conare hanno preso parte a marce e scioperi indetti da sindacati e organizzazioni di sinistra, dando vita anche a momenti di scontro con le forze antisommossa della polizia di stato.
Giovedì 8 Marzo 2018, Festa della Donna, il Movadef fa un presidio presso il Mercato Centrale di Carapongo, in Chosica, a Lima. I comizi sono tenuti da donne. Evidenti sono le foto giganti di Abimael Guzmán e di Elena Iparraguirre, dei quali viene richiesta la scarcerazione.
Mercoledì 21 Marzo 2018 a Puno9 compaiono murali giganti che inneggiano al maoismo, a Guzmán e alla Guerra Popolare portata avanti dal Partito Comunista del Perù, meglio noto dalla pubblicistica borghese come Sendero Luminoso.
Venerdì 23 Marzo 2018, per le strade della città di Arequipa10 , compaiono decine e decine di striscioni del Movadef, in cui si chiede la liberazione dei prigionieri politici.
Giovedì 5 Aprile 2018, il Fudepp dà vita, in vari centri del Perù, a cortei e comizi per ricordare l’anniversario dell’autogolpe attuato da Fujimori e a sostegno dello sciopero generale dei docenti, indetto dal sindacato di base Sutep. Nel corteo del Sutep, a Lima, si è visto sfilare Nora Alva, Segretaria Generale del Fudepp, che portava una grossa bandiera rossa. Ma la presenza più consistente di attivisti e simpatizzanti del Fudepp si è vista, nello stesso giorno, alla marcia che si è tenuta nella città di Puno11
Mercoledì 11 Aprile 2018, nei quartieri popolari di Villa El Salvador e di Villa Maria del Trionfo della capitale Lima, vengono posti in bella evidenza grossi cartelloni inneggianti la Guerra Popolare e contro l’imperialismo USA, in concomitanza con la visita in Perù, in quei giorni, del Vice-Presidente statunitense Mike Pence.
Giovedì 12 Aprile 2018, in concomitanza con la riunione dei capi di stato latinoamericani a Lima, i militanti di Sendero Luminoso hanno cosparso l’arteria principale, che esce dall’Aeroporto Internazionale Jorge Chavez di Lima in direzione del centro città, di centinaia di bandiere rosse con falce e martello.
Secondo il parere di molti politologhi peruviani, la scarcerazione di Morote e di Liendo, due importanti dirigenti, fondatori di Sendero Luminoso, risulterebbe il trionfo della strategia legale e processuale dei senderisti, che così facendo, con un forte proselitismo in tutto il paese va ricostituendo il suo apparato clandestino. Questa operazione ha la facciata legale in organizzazioni politiche come il Movadef e Fedepp. Lo stato peruviano spaventato dall’enorme proselitismo che queste organizzazioni stanno facendo, aumentando le loro fila di giovani studenti e operai, crescendo ogni giorno di più, sta imbastendo tutta una montatura contro l’avvocato di Guzmán, Alfredo Crespo, e il Movadef, di cui è a capo,, con la complicità di una magistratura fortemente dipendente dal potere politico e da un mondo dell’informazione che risulta controllato totalmente dal potere centrale. L’intento dello stato peruviano è quello di eliminare politicamente il Movadef e la sua guida Alfredo Crespo. Per fare ciò la teoria di partenza è che Alfredo Crespo, d’accordo con Guzmán e la Iparraguirre, voglia trasformare il Movadef in un partito politico a tutti gli effetti. In tal modo l’ideologia senderista si camufferebbe in partito politico legalizzato per portare avanti in Perù la sua strategia insorgente e svilupparsi e radicarsi in tutto il paese. Questa tesi delle forze repressive peruviane è emersa nel corso del mese d’Agosto del 2018. Alfredo Crespo è stato messo sotto accusa dai giudici anti terrorismo, non solo di coordinarsi con Guzmán e la Iparraguirre per iscrivere e legalizzare di fatto il partito pro-senderista nel gioco politico nazionale, ma soprattutto di utilizzare gli enormi proventi del narcotraffico come fondi per la nascita del nuovo soggetto politico pro-senderista. Fondi accumulati dal comandante Florindo Eleuterio Flores Hala, conosciuto col nome di Artemio 12 , colui che per molti anni è stato il capo responsabile delle bande armate senderiste operanti nella regione denominata Vraem o anche semplicemente Vrae, (che si estende dalla Valle dei fiumi Apurimac, Ene e Mantaro sino alla Valle del Rio Tambo13 ) e che il 9 Febbraio 2012 è stato catturato dall’esercito peruviano e dallo stesso Crespo difeso14 .
La connessione guerriglia senderista e narcotraffico è un argomento costantemente utilizzato dallo stato peruviano, per criminalizzare la guerriglia senderista e giustificare così le accuse di terrorismo. In realtà, sino ad oggi, non ci sono mai state prove concrete che le bande armate senderiste abbiano mai fatto commercio di droga per finanziare le proprie attività sovversive. Mentre invece esistono prove documentate, processi e condanne contro gerarchie militari e interi reparti dell’esercito peruviano, che si sono arricchiti alleandosi con il narcotraffico locale, trasportando con aerei dell’esercito peruviano grosse partite di droga verso paesi terzi, con la complicità di ufficiali e soldati corrotti15 . È il caso del Tenente dell’Esercito Peruviano Walter Eduardo Delgado Ruiz che il 30 Aprile 2018 è stato riconosciuto colpevole dal Potere Giudiziario di cospirazione per il traffico illecito di droga, utilizzando piste di atterraggio dell’esercito per il traffico illecito di sostanze stupefacenti proprio nella zona del Vraem ed è stato condannato a 8 anni di galera. La Pubblico Magistero ha dimostrato che, tra il 2014 e il 2015, il Tenente si servì delle basi antiterroriste di Alto Comaina e di Paquichari, nella provincia della città di Satipo per voli di aerei pieni di droga e che collaborò come informatore dei narcotrafficanti, per permettere il transito in scali dell’Esercito Peruviano di aerei boliviani, che esportavano droga dal Perù. Il Tenente faceva parte di una organizzazione malavitosa, ostile ai senderisti, coi quali si contendevano con violenza il controllo della zona, che controllava le piste militari di Puerto Ene, Cerro Verde e Nuevo Libertad. Grazie al controllo del suo conto corrente è stato possibile accertare che il Tenente riceveva dai narcotrafficanti 50.000 Nuovi Soles per ogni volo clandestino16 . Mentre gli ufficiali che operano in zone senderiste sono spesso coinvolti col narcotraffico, naturale alleato contro i senderisti, da parte sua, la guerriglia senderista percepisce una sorta di tassa ai contadini che coltivano coca e la vendono ai trafficanti, ma questo succede un po’ in tutte le attività economiche, che i guerriglieri aiutano a svilupparsi, per rendere i contadini autosufficienti e per amministrare la giustizia locale in regioni dove lo stato peruviano è pressoché assente. Succede spesso che singoli individui o intere comunità si rivolgano ai guerriglieri per avere giustizia di ruberie e furti e i presidi della guerriglia svolgono la ordinaria amministrazione locale della giustizia, ottenendo dalle popolazioni locali quel riconoscimento politico necessario per sopravvivere e controllare così vaste zone dell’interno del paese.
Ricordiamo che l’area cosiddetta del Vraem è tutt’ora luogo di scontri tra l’Esercito Peruviano e le bande della guerriglia senderista, che controllano ancora una buona parte del territorio non urbano.
Giovedì 7 Giugno 2018 4 agenti della polizia peruviana del Commissariato di Anco, nella provincia di Huancavelica, sono uccisi in uno scontro a fuoco con una colonna di guerriglieri senderisti dell’Esercito della Guerra Popolare (Egp)
Lunedì 11 Giugno 2018 la base militare anti-insorgente a Mazángaro, in provincia di Satipo (dipartimento di Junín) è attaccata da una colonna senderista, nello scontro muore un soldato.
Domenica 24 Giugno 2018 una pattuglia dell’Esercito Peruviano viene massacrata da un agguato tesogli da una colonna senderista nel centro di Satipo17 .
Negli stessi giorni della prima decade di Agosto 2018, mentre Alfredo Crespo è accusato di terrorismo dalla Procura Antiterrorismo di Lima, la Commissione Giudicante del Tribunale di Lima si vede costretta a sospendere, a data da definire, il processo contro la dirigenza del Movadef, di cui molti suoi membri erano stati arrestati nel 2014, durante l’operazione antiterrorismo denominata in codice “Perseo”18 , che si avrebbe dovuto tenere nella base navale del Callao, alle ore 10.00 del mattino del 7 Agosto 2018, perché due giudici della commissione non si sono presentati all’udienza. Il Pubblico Ministero aveva chiesto che i membri componenti il Comitato Esecutivo del Movadef fossero condannati a 25 anni di prigione19 . Nonostante le molte denunce e la martellante opera denigratoria nei confronti del Movadef e del Fedepp, queste organizzazioni dimostrano una vitalità e una diffusione territoriale e un’adesione, soprattutto di giovani, che fa preoccupare seriamente le autorità peruviane. Per il Movadef, Abimael Guzmán non è un terrorista, come lo considerano le autorità peruviane, ma un leader guerrigliero e Sendero Luminoso un movimento di liberazione armato e l’ideologia maoista è la base per una rivoluzione necessaria in un Perù con masse indigenti e fasce sempre più povere. Per tutti questi motivi il Movadef è osteggiato dai mezzi di informazione, al servizio del potere, e dalle forze dell’ordine. Ma il fatto che, per reprimere preventivamente questo movimento, sia necessario una martellante campagna denigratoria dei mass media peruviani e una serie di teoremi giudiziari, promossi da una magistratura succube del potere politico, è indice di quanto questo movimento abbia consensi nella società peruviana e goda di sostegni non da poco. La campagna costante del Movadef per la liberazione di Abimael Guzmán e della sua compagna Elena Iparraguirre hanno fatto breccia anche in quell’area della sinistra parlamentare, cosa impensabile sino a solo qualche anno fa. Un parlamentare dell’organizzazione politica di sinistra Fronte Ampio, Rogelio Tucto, nel Dicembre 2017, chiese ufficialmente l’amnistia per Abimael Guzmán. Ciò sollevò un vespaio enorme. Dentro al suo partito ci fu chi voleva espellerlo, mentre tra i suoi avversari politici ci fu addirittura chi voleva cacciarlo dal Parlamento. Questo gesto coraggioso di questo parlamentare generò una discussione a non finire dentro la sua organizzazione politica che si risolse con un richiamo formale da parte della direzione. Ma il fatto che questo gesto abbia generato, settimane dopo la richiesta ufficiale effettuata da Tucto, un forte dibattito interno alla stessa organizzazione Fronte Ampio, è la dimostrazione come il senderismo stia attecchendo anche in quelle fasce della società che sino ad oggi erano proibitive per un movimento come quello fondato da Guzmán. Il lavoro capillare, costante del Movadef e del Fudepp sembra dare i suoi frutti, nonostante la forte repressione a cui sono sottoposti. Non solo. ma uno sceneggiato mostrato sulla rete televisiva internazionale Netflix, il 15 Giugno 2018, dal titolo “L’ora fatale”, che parla della cattura di Abimael Guzmán, fu molto criticato dai media peruviani, perché qualifica Abimael Guzmán come un leader rivoluzionario e non come terrorista, contraddicendo la definizione con cui le autorità peruviane hanno sempre considerato il leder di Sendero Luminoso. Lo sceneggiato, che ha come principali attori protagonisti Pietro Sibille e Nidia Bermejo, racconta, attraverso le testimonianze degli agenti “Zambrano” e “Coronado”, la storia del Gruppo Speciale di Intelligenza del Perù (Gein), che catturò il capo di Sendero Luminoso e, sebbene l’intenzione fosse quella di esaltare le doti di questi poliziotti peruviani, ha finito con il far risaltare il ruolo rivoluzionario di Guzmán, ottenendo effetti totalmente all’opposto di quelli che voleva ottenere20 .
Mentre in Perù Movadef e Fedepp stanno portando avanti, nelle piazze del Perù, la loro campagna di sensibilizzazione per la liberazione di Guzmán e dei prigionieri politici, la casta borghese al potere si dimostra ogni giorno sempre più corrotta, con un Presidente costretto a dimettersi per il caso Odebrecht, e complice con la passata dittatura con l’indulto concesso all’ex dittatore Alberto Fujimori. Lentamente nel paese riaffiora il sostegno alle tematiche di classe del senderismo di una fetta della popolazione.
Ancora una volta sentiamo il dovere di dire che, in Perù, la pericolosa partita, che si è giocata tra lo stato borghese parassitario peruviano e il movimento politico senderista, non sembra ancora definitivamente conclusa, come ci ha sempre voluto far credere da decenni una stampa servile e succube del potere costituito.