La Grecia ritorna all'inizio dell'ottocento: 13 ore di lavoro giornaliere
di Domenico Moro
Il 15 ottobre il parlamento greco ha approvato la legge, presentata dal governo di destra di Nea Dimokratia, che porta la durata dell’orario di lavoro a 13 ore giornaliere. Si tratta di un balzo all’indietro di due secoli. Infatti, durante la Rivoluzione industriale, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, la durata massima della giornata lavorativa era compresa tra le 13 e le 15 ore giornaliere.
Il movimento operaio, però, sin dall’inizio dette luogo a intense lotte, spesso sanguinose e coincidenti con sommovimenti rivoluzionari, che portarono alla progressiva riduzione della giornata lavorativa. Nel 1848 la rivoluzione in Francia portò l’orario di lavoro a 10 ore. Nel 1872 in Inghilterra la giornata lavorativa scese a 9 ore. Ma fu solo nel 1917 in Russia che, con la Rivoluzione d’ottobre, l’orario venne portato per la prima volta alle attuali 8 ore giornaliere. La riduzione della giornata di lavoro incontrò sempre forti resistenze da parte degli imprenditori, che paventavano il crollo dei profitti. In realtà, la riduzione dell’orario di lavoro, è sempre stata più che compensata dall’aumento della produttività, grazie alle continue innovazioni tecnologiche che hanno rivoluzionato le condizioni di lavoro.
A ogni modo, l’orario di lavoro in Grecia era già più lungo che negli altri paesi dell’area euro prima dell’approvazione della giornata delle 13 ore. Secondo l’International Labour Organization (ILO), nel 2024 l’orario di lavoro settimanale era di 39,8 ore in Grecia, a fronte delle 36,1 ore in Italia, delle 35,5 ore in Francia e delle 33,6 in Germania[i]. Bisogna aggiungere, poi, che la legge che porta le ore di lavoro a 13 prevede delle limitazioni: l’aumento è su base volontaria e per un massimo di 37 giorni all’anno. Inoltre, il lavoro extra sarà compensato con un aumento della retribuzione del 40%. Malgrado tali limitazioni, si tratta di un grave arretramento per i lavoratori greci e potenzialmente per tutti quelli europei, che porta all’inversione della tendenza storica alla riduzione dell’orario di lavoro.
Dunque, per quale ragione l’orario di lavoro è aumentato? Per rispondere dobbiamo rifarci al meccanismo attraverso il quale funziona il rapporto tra forza lavoro e capitale.
Il capitalismo si basa sull’accumulazione allargata, cioè l’aumento continuo del capitale investito, attraverso la realizzazione del massimo profitto. Il profitto è formato dal plusvalore, cioè dal valore in più prodotto dal lavoratore salariato. La giornata lavorativa, infatti, è divisa in due parti: il lavoro necessario, in cui il lavoratore lavora per un ammontare di ore equivalente ai beni che sono necessari per la sua riproduzione, e il pluslavoro, in cui lavora gratis per il datore di lavoro, producendo appunto il plusvalore.
Ora, ammettendo che il prezzo della forza lavoro, cioè il salario, corrisponda al lavoro necessario, esistono due modalità per aumentare il saggio di plusvalore e con esso il saggio di profitto. La prima è basata sull’estrazione del cosiddetto plusvalore assoluto, che consiste nell’aumento del plusvalore attraverso l’allungamento della giornata di lavoro[ii]. In questo modalità, il lavoro necessario rimane uguale, ma il pluslavoro aumenta. Quindi, il plusvalore aumenta perché aumentano le ore di lavoro.
Il secondo metodo, è basato sull’estrazione del cosiddetto plusvalore relativo, cioè sulla riduzione del tempo di lavoro necessario. Dal momento che il tempo di lavoro necessario corrisponde al tempo necessario alla produzione di quei beni che rientrano nella riproduzione del lavoratore (cibo, vestiario, abitazione, trasporto, ecc.), quando il tempo di lavoro necessario alla produzione di questi beni si riduce, si riduce anche lavoro necessario. In questa modalità, il pluslavoro aumenta perché viene diminuito il tempo di lavoro necessario. Quindi, il plusvalore aumenta perché aumenta la produttività del lavoro, grazie all’introduzione di macchine sempre più moderne e a una organizzazione del lavoro sempre più efficiente.
La storia dell’industria dal XVIII secolo a oggi, ci dice che il capitale ha estratto il plusvalore assoluto soprattutto alle sue origini, aumentando a dismisura l’orario di lavoro fino a 15 ore al giorno. Quando, però, l’industria capitalistica è maturata, il capitale si è basato soprattutto sulla estrazione di plusvalore relativo. Anzi, è stata proprio la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro ad accentuare la tendenza, già tipica del capitalismo, all’aumento della forza produttiva del lavoro umano, mediante l’innovazione tecnologico-scientifica.
Tutto questo discorso, però, presuppone una condizione e cioè che il salario coincida col tempo di lavoro necessario. Tale condizione nella realtà può, però, venire meno. Prima di proseguire, dobbiamo ritornare sul concetto di lavoro necessario cioè di valore della forza lavoro. Quest’ultimo, infatti, è determinato non soltanto dal tempo di lavoro necessario alla produzione dei beni necessari alla riproduzione del lavoratore, ma anche da condizioni “morali”, che per un dato paese e per un dato periodo storico sono determinate. Ad esempio, se è vero che l’automobile è diventata parte dei beni necessari da quando è stato possibile, grazie al fordismo, realizzarne modelli in un tempo di lavoro inferiore e quindi alla portata delle tasche del lavoratore medio, è altresì vero che l’automobile è da tempo considerata, nei paesi arrivati a un certo grado di sviluppo, un bene da cui non si può prescindere secondo lo standard vitale generalmente accettato per il lavoratore salariato.
Quindi, il valore della forza lavoro corrisponde a una quantità e qualità di beni storicamente e geograficamente determinata. Tuttavia, il capitale può ridurre il salario al di sotto del valore della forza lavoro ed è questo il terzo metodo per aumentare il plusvalore che dobbiamo tenere presente se vogliamo capire perché in Grecia è aumentato l’orario di lavoro. Infatti, se prendiamo in esame la retribuzione oraria media del lavoratore dipendente in Grecia, vediamo che questa è l’unica nella Ue a 27 a essere diminuita, in termini nominali, negli ultimi anni. In particolare, secondo Eurostat, l’istituto di statistica europeo, tra 2010 e 2022, è calata da 10,97 a 9,32 euro (-15%)[iii].
Cosa deduciamo dal ragionamento che abbiamo fatto e dai dati che abbiamo citato? Deduciamo che in Grecia l’aumento dell’orario di lavoro dipende direttamente dalla diminuzione del salario orario. Il lavoratore greco, infatti, se vuole mantenere inalterato il proprio tenore di vita (il valore della propria forza lavoro), è costretto a lavorare per un numero maggiore di ore. Questa condizione è confermata anche dal governo greco. La ministra del lavoro, Niki Kerameos, ha dichiarato: “Ci sono lavoratori che chiedono di lavorare più ore…Alcuni lavoratori si spostano tra un primo e un secondo datore di lavoro nella stessa giornata di lavoro.” Ancora più chiara al proposito è l’opposizione, attraverso le parole di Sokratis Famellos, presidente di Syriza: “La Grecia è un paese di impiegati poveri, che lavorano più della media europea ma sono pagati meno e non riescono ad arrivare a fine mese”.[iv] La legge delle 13 ore, quindi, non fa altro che sancire legalmente un allungamento della giornata lavorativa che nella pratica è già esistente, sia mediante il doppio lavoro, a cui molti lavoratori sono costretti dal basso salario, sia mediante il lavoro in nero per salari miseri e orari più lunghi del normale, che è diffuso nel settore turistico, in Grecia molto ampio.
Vale la pena, infine, definire due fattori che stanno alla base della riduzione del salario al di sotto del valore della forza lavoro. Il primo è rappresentato dalla caduta tendenziale del saggio di profitto. Infatti, la continua innovazione tecnologica, che, come abbiamo detto, è tipica del capitalismo, porta a ridurre la forza lavoro in rapporto ai mezzi di produzione impiegati. Dal momento che solo la forza lavoro produce plusvalore, ne risulta che avremo una diminuzione del plusvalore in rapporto al capitale totale e, quindi, dal momento che il saggio di profitto è il rapporto tra plusvalore e capitale totale, anche una diminuzione del saggio di profitto. Quando il capitale produce meno plusvalore che in precedenza, si dice che c’è una sovraccumulazione di capitale. La riduzione del salario al di sotto del valore della forza lavoro è, per l’appunto, uno dei metodi utilizzati dal capitale per contrastare la legge della caduta del saggio di profitto[v].
L’altro fattore risiede nell’appartenenza della Grecia all’unione economica e valutaria europea. La Grecia, tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, rischiò il default a causa dell’ampio debito pubblico, aggravato da un altrettanto grande debito commerciale con l’estero. Per salvarsi, accettò il piano di aiuti della troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale), che prevedeva un prestito di 300 miliardi di euro. In cambio del prestito, però, la troika impose alla Grecia un pacchetto di misure improntate a una forte austerity. Tra queste misure c’era anche la drastica riduzione dei salari per aumentare la competitività dell’export di beni greci. Furono congelati gli stipendi statali e furono tagliati i bonus, le tredicesime e le quattordicesime mentre il salario minimo mensile fu tagliato del 22%, passando da 750 a 586 euro, per i lavoratori al di sopra dei 25 anni mentre per quelli al di sotto fu tagliato del 32%.
In realtà, non è solo la Grecia a subire l’influenza di questi due fattori. La sovraccumulazione di capitale attanaglia tutta l’area euro, mentre l’austerity e la compressione dei salari si è registrata anche in altri paesi, sempre dell’area euro. Ad esempio, anche in Italia, il governo Monti (novembre 2011- aprile 2012), oltre a tagliare drasticamente la spesa pubblica, ridusse il costo del lavoro in modo da eliminare il debito commerciale, rendendo più competitive le esportazioni e frenando le importazioni. L’adesione a una valuta europea, che non è controllata dai singoli stati, e che, quindi, non può essere svalutata per rendere le esportazioni più a buon mercato, è una delle cause dei tagli non solo al Welfare ma anche al salario, sia di quello differito (le pensioni) sia di quello percepito direttamente in busta paga.
In conclusione, l’introduzione della giornata di 13 ore in Grecia, anche se è frutto della specifica situazione economica e lavorativa in quel paese, rappresenta un segnale negativo per tutti i lavoratori europei. La legge delle 13 ore, inoltre, è una legge assurda su una base razionale (sebbene sia razionale dal punto di vista del capitale). Infatti, le massicce dosi di automazione e di digitalizzazione introdotte negli ultimi anni nei processi lavorativi hanno aumentato la produttività, che verrà ulteriormente accentuata dall’introduzione dell’intelligenza artificiale. Tutto questo rende attuale l’esatto contrario della legge approvata dal parlamento greco, cioè la necessità di ridurre la durata della giornata lavorativa.







































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