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lafionda

Flat tax: rubare ai poveri per ingrassare i ricchi

di Aristoteles

cc82115ab56c82abdaf7389be895c03b XLVorremmo sottoporre ai lettori alcune riflessioni a partire da un piccolo “caso di studio”: il tema elettorale della Flat Tax. Ma il nucleo vero del nostro ragionamento è più ampio – dare qualche spunto su come affrontare questo ed altri temi da sinistra. Per inciso: non iniziamo a discutere se esistono ancora destra e sinistra prima di aver finito l’articolo, per favore.

A metà articolo troverete una cesura, che separa radicalmente due prospettive: laddove infatti la disamina dettagliata di una politica è un momento necessario per capire se rigettarla, non è detto che questo approccio analitico sia poi il modo migliore di contrastarla. In questa seconda sezione faremo pertanto qualche riflessione su come combattere politiche ingiuste ed indigeste.

Sia chiaro: non vogliamo dire la parola definitiva sulla Flat tax; men che meno risolvere i (tanti) problemi della sinistra in questo banale articoletto. Non abbiamo le “istruzioni per l’uso”, sebbene questa sia la forma che provocatoriamente abbiamo adottato. Non vogliamo insegnare niente a nessuno. Vorremmo discutere – assieme – qualche spunto, eclettico, di riflessione.

 

Atto primo

Come affrontare un tema, dal punto di vista analitico, passo dopo passo.

1. Definire concettualmente l’oggetto

Cosa vuol dire Flat Tax, nelle sue accezioni? Essenzialmente, per Forza Italia e Lega, un’aliquota unica per tutti coloro che sono soggetti a imposizione fiscale (cittadini e imprese), che stanno al di sopra di una “no tax area”. Ad esempio, si può decidere che sopra gli 8 o i 12mila euro di reddito annuo, si applichi una aliquota fissa del 23% su quanto supera questa soglia (proposta di Forza Italia).

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infoaut2

Il ritorno di Paul Volcker

di Paul Mattick, Jr

54ce30c08b7f02fbc827207dc393b6bf XLAbbiamo tradotto questo interessante articolo di Paul Mattick da Brooklyn Rail che ha il pregio di chiarire la direzione verso cui sta correndo la politica economica americana ed occidentale in generale (gli echi nel nostro paese sono chiari nelle dichiarazioni del Governatore della Banca d'Italia Visco sulla necessità di "evitare la spirale prezzi-salari" presa pari pari dal presidente della FED Powell). La sostanza è che sebbene la dinamica inflazionistica sia in gran parte differente da quella degli anni '70, la ricetta che sta venendo progressivamente imposta è la stessa, quella del famigerato Paul Volcker del cosiddetto "Volcker Shock". Lo scopo, senza girarci troppo intorno, è quello di un'ulteriore appropriazione delle ricchezze dall'alto attraverso l'abbassamento dei salari, il fallimento delle aziende medio-piccole e una ancora maggiore concentrazione dei capitali in poche mani. Di nuovo, l'innesco della recessione alle porte, non sta solo negli esiti della pandemia e delle guerra in Ucraina, ma nella forte tensione speculativa del capitalismo occidentale. La guerra semmai ne è in parte una conseguenza nello scacchiere geopolitico. Tra grandi concentrazioni di capitale, aumento della speculazione sui mercati, investimenti nell'industria militare e tendenze protezionistiche lo scenario somiglia insopportabilmente a quello anteriore alla Prima Guerra Mondiale, sebbene con le dovute differenze e ciò dovrebbe interrogarci seriamente, ma questa è un'altra questione, intanto buona lettura!

* * * *

Cardi B, astuta nell'interpretare la società, ha capito bene: "Quando tutti voi pensate che annunceranno che entreremo in recessione?" ha twittato il 5 giugno. Nove giorni dopo, il New York Times si è portato al passo, strombazzando in un titolo di testa a pagina 1 della sezione Business, "UN BRIVIDO CORRE ATTRAVERSO WALL STREET".

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sbilanciamoci

Che cosa preannuncia la ripresa dell’inflazione?

di Claudio Gnesutta

Da dove viene il ritorno dell’inflazione e che politiche sono possibili? Un confronto con gli anni Ottanta, sui prezzi delle materie prime, instabilità internazionale, conflitti, ristrutturazione produttiva. E sull’antica questione del contenimento dei salari

ClipboardDa un po’ di tempo serpeggia sulla stampa quotidiana, non solo su quella economica, l’apprensione per la crescita dei prezzi, dell’inflazione. La possibilità che la pressione inflattiva possa acuirsi e, radicandosi in una spirale prezzi-salari, passare «da un regime di bassa inflazione a un regime di alta inflazione» è esplicitamente considerato nel recente Rapporto annuale della Banca dei Regolamenti internazionali (BIS, No Respite, Annual Economic Report, June 2022, https://www.bis.org/about/areport/areport2022.pdf). Sono considerazioni stimolate dallo shock subito dal prezzo del gas e da quello del grano in seguito alla guerra in Ucraina. 

La tendenza all’aumento dei prezzi delle materie prime, soprattutto di quelle legate all’energia, non sembra però dipendere da motivi contingenti; essa è latente nel sistema globale da diversi anni e, oltre a interessare le granaglie (frumento, riso, soia ecc.) come ricordano le ricorrenti crisi alimentari dei paesi più poveri, riguardano molte materie prime (oltre a quelle energetiche, il rame, litio, cobalto, nickel…) la cui domanda, crescente con la crescita della produzione mondiale (e per le necessità della transizione energetica), tende a eccedere un’offerta insufficiente per i colli di bottiglia nella catena globale dell’approvvigionamento, per le sanzioni e correlate restrizioni, per l’accumulo di scorte strategiche da parte dei paesi manifatturieri. L’impatto di un costante aumento di tali prezzi sul costo dei manufatti, assieme al perdurare di una situazione di incertezza produttiva (a causa del Covid e della guerra in Ucraina), sembra consolidare una prospettiva – come ricorda il citato Rapporto – del formarsi di una situazione in cui la stagnazione produttiva convive con un’inflazione monetaria richiama alla mente quella sperimentata a livello globale negli anni Ottanta.

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economiaepolitica

La tempesta perfetta

di Salvio Lanza, Rosario Patalano

tempesta1. Introduzione

La guerra in Ucraina ha posto drammaticamente il problema della nostra indipendenza energetica che, per un paese dotato di insufficienti fonti proprie, non significa immediata autarchia, ma intelligente diversificazione dei canali di approvvigionamento (vedi tabella 1 su tassi di dipendenza nell’Unione Europea, come percentuale delle importazioni nette di prodotti energetici sul consumo interno lordo, con l’Italia che si colloca all’ottanta per cento, vedi tabella 2, per la percentuale di produzione nazionale e le tabelle 3,4 e 5 per le quote di importazioni EU di carbone, petrolio e gas, per paesi fornitori)[1]. Ovviamente questa diversificazione richiederà tempi lunghi e una decisa azione diplomatica verso i paesi in grado di fornire risorse energetiche. Nel lungo periodo, tuttavia, la piena indipendenza energetica, potrà essere affrontata solo con l’implementazione di centrali nucleari (costose e con problemi irrisolti di sicurezza) o con imponenti investimenti in energie rinnovabili[2]. Entrambe le scelte mobiliteranno ingenti risorse per la realizzazione e soprattutto richiederanno una chiara scelta del modello di sviluppo e di governance da seguire. Inoltre, e non è un problema secondario, il tema energetico si interseca inevitabilmente con quello del futuro ruolo dell’Unione.

Tab. 1. Tassi di dipendenza energetica EU 27 (% importazioni nette sul consumo interno lordo) 2020

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sbilanciamoci

Italia, la lunga crescita è finita?

di Mauro Gallegati, Pier Giorgio Ardeni

Centocinquant’anni di economia italiana riesaminati con nuovi dati e con uno sguardo che non si ferma al PIL, esplorando la complessità dello sviluppo, dei divari, degli squilibri e dell’attuale stagnazione del paese. Un’anticipazione dal libro di Ardeni e Gallegati ‘Alla ricerca dello sviluppo’

money 549161 960 720L’Italia – come recita il felice titolo di un saggio di Vera Zamagni – nei centocinquant’anni tra il 1861 e il 2011 è passata «dalla periferia al centro». Il Paese è cresciuto: si è arricchito, istruito, ha visto un generale e vistoso miglioramento del tenore di vita della sua popolazione, la quale è aumentata per raggiungere un «plateau», dato l’aumento dell’invecchiamento e la diminuzione della natalità. Questo sviluppo, tuttavia, è avvenuto per fasi e negli ultimi decenni è sostanzialmente rallentato: poiché nulla è per sempre, esso può ancora tornare indietro, e questo libro investiga perché. Oggi il Paese sembra fermo, la sua economia non cresce, le sue prospettive paiono incerte, l’orizzonte vago: è questa la «fine» di una parabola, oppure è già iniziata una nuova fase? Eppure, dall’Unità d’Italia ad oggi, molta strada è stata percorsa, in termini di ricchezza prodotta, di qualità e tenore di vita, di benessere.

Reddito e ricchezza, com’è ovvio, influiscono profondamente sul tenore di vita, sui consumi e, quindi, sul benessere. Questo, tuttavia, non dipende solo dal reddito ed è il risultato di un insieme di fattori in cui istruzione, salute e condizioni di vita giocano un ruolo fondamentale, così come le infrastrutture – le scuole, gli ospedali, le strade, le reti idriche, elettriche e telefoniche, gli esercizi commerciali, insomma il «contesto» socio-economico – e le istituzioni, lo Stato e le politiche pubblici, nonché il capitale sociale e culturale. Come questi siano cambiati nel corso dell’ultimo secolo e mezzo e come abbiano influenzato l’evolversi dell’economia e della popolazione è l’oggetto di questo libro.

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moneta e credito

Le debolezze del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

di Guglielmo Forges Davanzati*

Abstract:
Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) costituisce il programma di politica economica italiano nell’ambito di quello europeo denominato Next Generation EU (NGEU) ed è strutturato nella forma di investimenti finalizzati a raggiungere gli obiettivi di crescita e di resilienza. Il PNRR italiano è quello maggiormente finanziato fra quelli degli altri paesi europei. In questo articolo se ne mettono in evidenza due debolezze: segnatamente la sua provvisorietà rispetto al ripristino del Fiscal Compact e la sua inadeguatezza, sotto il profilo quantitativo. Si evidenzia inoltre come il PNRR si basi sulla convinzione che nel breve periodo l’aumento del PIL derivante da una politica fiscale espansiva sia tale da generare una crescita duratura e tale da mantenere sostenibile l’aumento del debito in rapporto al PIL. Si considera preferibile, in alternativa, un intervento strutturale e non condizionato a riforme di segno liberista. In più, si evidenziano alcune criticità nel modello di previsione, accentuate dalle incognite politiche che pesano sulla revisione del Patto di Stabilità e Crescita e dalla guerra in Ucraina.

iStock 492069754 440x281Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza) costituisce il programma di politica economica italiano nell’ambito di quello europeo denominato Next Generation EU (NGEU) ed è strutturato nella forma di investimenti finalizzati a raggiungere gli obiettivi di crescita e di resilienza. Il PNRR italiano è quello maggiormente finanziato fra quelli degli altri paesi europei.1

Questo saggio si propone di dar conto di due ordini di critiche mosse al Piano, ovvero la sua condizionalità rispetto alle politiche di austerità (quantomeno nella interpretazione di quella parte della Commissione Europea che fa riferimento ai c.d. ‘paesi frugali’) e la sua insufficienza sotto il profilo quantitativo. Non si entrerà nel merito delle singole riforme, ma si valuterà l’impatto complessivo che il combinato di politiche fiscali espansive e riforme stesse può avere sull’economia italiana post-COVID.

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machina

Il keynesismo militare nel ciclo economico-politico

di Gianmarco Oro

0e99dc a48a83c4be1a445085ea75063eacce0amv2Nelle sue pubblicazioni transuenze ha dedicato, e continuerà a farlo, molto spazio alle elaborazioni sulle trasformazioni dell'economia «post-covid». Il contributo di oggi di Gianmarco Oro, dottorando di ricerca in economia politica presso l'Università degli Studi di Macerata, introduce un tema che rischia di diventare quantomeno attuale: la crescita degli investimenti nell'industria di guerra come modalità di fuoriuscita dalla crisi. Nel prossimo futuro proveremo a dedicare un certo spazio al tema. L'articolo di oggi è molto utile perché aiuta a contestualizzare storicamente il keynesismo militare nel ciclo economico-politico e perché fornisce delle chiavi di lettura molto interessanti per decodificare alcuni aspetti strutturali delle politiche economiche del dopoguerra.

* * * *

I paesi occidentali si trovano oggi nella fase di restaurazione capitalistica dei rapporti sociali ed internazionali nel post pandemia. Contestualmente, i governi europei sono allineati e concordi sul fatto che questa restaurazione, ovvero l’uscita dalla crisi economica, debba avvenire a mezzo di spesa pubblica fatta in disavanzo e finanziata con nuova moneta (via istituto di emissione o via banche commerciali). Sembrerebbe dunque la fine delle austerità e delle restrizioni monetarie usate come mezzo di disciplina per i governi, se non fosse che l’indirizzo prioritario di spesa pubblica sia diventato (complice la destabilizzazione dell’area est-europea con l’invasione russa dell’Ucraina) l’aumento della spesa in armamenti (con obiettivo al 2% del Pil entro il 2024 nel bilancio dei paesi Nato). Questa scelta ha suscitato una varietà di opinioni a favore o contro. Qui vogliamo lasciare che altre penne si prodighino a dare sostanza geopolitica, sociale e morale a queste decisioni, per fornire esclusivamente un’analisi critica dei fatti di politica economica per come si manifestano nell’attuale congiuntura storica.

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la citta futura

Le ripercussioni economiche della guerra

di Ascanio Bernardeschi

L'Europa sarà la vittima sacrificale di questa guerra per procura fra Stati Uniti e Russia-Cina. Lo sarà in particolare il mondo del lavoro. Per questo urge costruire un fronte che vi si opponga

04fef5af31c15024de4432c83a3b6b74 XLBuona parte delle forze di sinistra, anche anticapitaliste, non scorge la centralità dell'imperialismo per leggere le vicende quotidiane e le cause di guerre, colonialismo, povertà, razzismo, distruzione dell'ambiente, pandemie ecc. In tal modo può capitare che queste forze siano portate a sostenere guerre che, motivate con principi etici di per sé condivisibili, hanno in realtà le loro radici più profonde nell'imperialismo. Così facendo si autocondannano all'irrilevanza o, peggio, si fanno involontariamente strumento dell'imperialismo.

Se la sua configurazione classica, descritta nei primi decenni del secolo scorso da Lenin – e cioè la presenza con un ruolo decisivo dei grandi monopoli e il loro intreccio con il potere politico, l'intreccio strettissimo fra capitale finanziario e industriale e la grande rilevanza dell'esportazione di capitali alla ricerca di maggiori opportunità di profitto –, è ancora di grande attualità – forse ora più di allora – esiste oggi almeno un elemento importante di novità: non prevalgono più i blocchi imperialistici nazionali, almeno per quanto riguarda gli Stati di dimensioni non paragonabili a quelle continentali, ma grandi blocchi transnazionali che rispecchiano il carattere transnazionale delle grandi imprese monopolistiche.

È per questo motivo che la nostra lotta antimperialista deve essere in primo luogo lotta contro il polo imperialista europeo edificato non per il “sogno” di una pace in Europa, come vuole la retorica europeista, ma fin dalle origini progettato in chiave chiaramente antisovietica.

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lafionda

Federico Caffè sulla controffensiva neoliberista degli anni Settanta

di Thomas Fazi

Estratto dal libro di prossima uscita “Una civiltà possibile. La lezione dimenticata di Federico Caffè” di Thomas Fazi (Meltemi, 2022)

Caffe Federico 305x205Alla metà degli anni Settanta, si sviluppò in Italia un fervente dibattito su quelli che nel discorso pubblico erano presentati come i due “mali” del paese: l’inflazione e gli squilibri con l’estero. Per ironia della sorte, la discussione vide confrontarsi da un lato il relatore della tesi di dottorato di Mario Draghi, Franco Modigliani, e dall’altro il relatore della sua tesi di laurea, Federico Caffè.

La tesi di Modigliani, a grandi linee, era la seguente: esiste un unico livello del reddito (in termini macroeconomici) compatibile con la stabilità dei prezzi, dato il livello dei salari reali. Ciò implica che ogni sforzo per accrescere l’occupazione sopra quel tasso determinerà inflazione, anche se non si raggiunge un reddito coerente con il pieno impiego delle risorse. Per questo motivo, l’Italia si trovava attanagliata in una sorta di ciclo infernale inflazione-svalutazione-disoccupazione, di cui il principale responsabile, per Modigliani, era la scala mobile (cioè il meccanismo di indicizzazione dei salari all’inflazione).

Era quindi nell’interesse dei lavoratori stessi, e compito dei sindacati, cancellare la scala mobile, rivedere lo statuto dei lavoratori (che creava “assenteismo”) e accettare un livello salariale più basso, compatibile con la piena occupazione e con l’equilibro dei conti con l’estero. Questo, ammetteva Modigliani, «richiede qualche sacrificio ai lavoratori», ma in cambio la classe operaia avrebbe ottenuto la difesa dell’occupazione, il riassorbimento della disoccupazione e la fine dell’inflazione.

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comedonchisciotte.org

“La Russia torna al Gold standard”. Lo stupefacente abbaglio della contro-contro informazione

di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

Mentre in Europa si rischia seriamente il razionamento energetico ed alimentare, i blog "mal-informanti", alla sola vista dell'oro, non perdono tempo a prospettare il ritorno al "gold standard". Ovvero la follia dei cambi fissi sulla quale è stato costruito il sistema-euro

rsz acquisisci schermata web 30 3 2022 232623 wwwbingcomOggi proverò a fare chiarezza su alcuni temi, che in questi giorni vengono trattati in modo confusionale e falso; talvolta da chi li affronta in modo approssimativo e privo dei concetti scientifici di base; spesso da chi, invece, si schiera nel nutrito team della contro-contro informazione.

Si, cari Amici, siamo passati dall’informazione indipendente o contro-informazione (ovvero NOI, come ComeDonChishiotte ed altri), che per ovviare all’informazione a senso unico di regime, ci siamo presi sulle spalle l’onere di ricercare di raccontare i fatti e la realtà per ciò che è, ad esempi concreti e sempre più frequenti di contro-contro informazione.

Oggi, che Putin sta facendo vedere al mondo con i fatti, le falsità su cui è stato costruito il mondo globale, caratterizzato del “Dio mercato” sopra tutto e tutti (Stati democratici compresi); la contro-contro informazione ha iniziato il suo numero da circo del salto triplo, con l’intento di riportare il cittadino comune (che, proprio adesso inizia a comprendere), di nuovo in stato confusionale.

Tenere i popoli, il più possibile, lontani dalla verità è sempre stato il “must” per eccellenza, usato dall’élite, per mantenere saldamente nelle loro mani il bastone del comando. Come del resto, da quando il mondo è mondo, la lotta di classe ne è eternamente il suo “leitmotiv”.

Ma veniamo ai fatti. In riferimento alle dichiarazioni di Putin e le conseguenti azioni del Cremlino e della Banca Centrale di Russia, susseguitesi alle sanzioni inflitte dal mondo occidentale – nel mainstream ed in certi blog, si stanno mischiando una serie di concetti e previsioni che non trovano corrispondenza – nè con le parole, nè con i fatti oggetto delle azioni del presidente russo e tantomeno con le verità che la scienza economica ci insegna.

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machina

Il Mezzogiorno del PNRR

di Stefano Lucarelli

Il testo offre spunti per riflettere sul Pnrr per il Mezzogiorno. Riprende dalla letteratura grigia i discorsi e le «mentalità» di analisti e pianificatori e mostra, oltre «Ripresa» e «Resilienza», le nuove logiche di dipendenza fra i territori «centrali» e i territori «periferici», ovvero la solita e nota «logica dello sviluppo capitalistico»

0e99dc b07671971b374cee8169dc542709295dmv2Gloria del disteso mezzogiorno quand'ombra non rendono gli alberi, e più e più si mostrano d'attorno per troppa luce, le parvenze, falbe.

il sole, in alto, - e un secco greto.

1. I versi di Eugenio Montale, tratti dall’opera Ossi di Seppia, descrivono il tempo del mezzogiorno: ci potremmo trovare ovunque ma troveremmo in alto il sole e intorno un «secco greto», e ancora e soprattutto «parvenze falbe» a causa della troppa luce. Quell’aggettivo, «falbo», indica il giallo scuro e si è soliti riferirlo al manto degli animali, dei cavalli in particolare.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per il Mezzogiorno può in effetti apparire come un sole, ma potrebbe proprio essere il sole accecante del poeta, una luce che si risolve in parvenze, in arsura.

E cominciamo allora dalle parvenze, che sembrerebbero al centro dell’immaginario del PNRR che si ramifica nelle mente di alcuni analisti. Facciamo un esercizio utile a mostrare qual è lo stato d’animo – la mentalità comune emergente – che sembra prevalere a riguardo: digitiamo in uno dei motori di ricerca più utilizzati sul web le parole «PNRR», «Mezzogiorno», «Sud». Nello scorrere i risultati della ricerca, anche limitandosi ai titoli dei documenti, c’è una significativa ricorrenza delle parole «occasione», «opportunità», «svolta», in una convivenza fra il timore della inadeguatezza e l’eccitazione per l’ammontare delle risorse che giungeranno.

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economiaepolitica

Cancellare il debito: il tempo è adesso

di Luigi Pandolfi

debito 600x300Con la pandemia è tornata l’inflazione. E con essa il dibattito sugli strumenti da adottare per tenerla a bada. Sarà inflazione transitoria o strutturale? Su un punto tutti, economisti e governi, sembrano concordare: la tendenza rialzista dei prezzi è figlia della ripresa (squilibrio tra domanda e offerta dei materiali di base della produzione). Poi, da ultimi, ma non meno importanti, si sono aggiunte le tensioni geopolitiche che vedono protagonista la Russia e la speculazione finanziaria sui beni energetici e sulle “quote” di CO2[1]. Un’inflazione da costi. Ma se stanno così le cose, che ruolo possono giocare le banche centrali e nello specifico la Bce? Al netto di alcuni significativi cambiamenti che si sono registrati nella policy di Francoforte a partire dal luglio scorso, sull’Eurosistema rimane forte l’impronta del monetarismo. Per questo, l’ala più conservatrice del suo vertice istituzionale ha già iniziato a chiedere una revisione dell’attuale politica monetaria. Alzare i tassi e chiudere il rubinetto dei programmi di acquisto di titoli sul mercato secondario[2].

La tesi è nota: nel lungo periodo l’aumento della base monetaria produce solo una variazione dei prezzi senza effetti rilevanti sull’economia reale. Ne consegue che una riduzione della stessa è la strada maestra per raffreddare l’inflazione. Tesi non certo suffragata dall’evidenza degli ultimi anni, quando, a fronte di un’inondazione di liquidità che ha interessato il sistema, tutta l’eurozona ha dovuto fare i conti con un prolungato alternarsi di deflazione e stagnazione. E adesso? Come può adesso la politica monetaria risolvere i problemi lasciati in eredità dai lockdown e quelli derivanti dalle strozzature nelle catene globali di approvvigionamento di materie prime? Una risposta a questa domanda l’ha data proprio la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde: “La politica monetaria non può riempire i gasdotti, velocizzare le file dei container nei porti o formare nuovi autisti per guidare gli autotreni”[3].

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coniarerivolta

Salari e prezzi: come difenderci dal carovita?

di coniarerivolta

tuttoaumentaQualche giorno fa, sulle pagine della rubrica economica del Corriere della Sera, è apparso un articolo di Dario Di Vico che ci è utile per comprendere a quale tipo di retorica – e dunque di lotta politica – stanno andando incontro i lavoratori e le lavoratrici italiani. L’argomento, al centro del dibattito di questi giorni, è la vampata di inflazione, di cui abbiamo discusso in un recente contributo. Se si considera l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività, quel parametro di riferimento del governo per la realizzazione delle politiche economiche, l’indice dei prezzi ha fatto registrare a gennaio 2022 una variazione tendenziale del +4,8% rispetto al gennaio 2021, un dato che non si vedeva da anni.

Come abbiamo ricordato più volte, l’inflazione può rappresentare una brutta bestia per i salariati, dal momento che una crescita sostenuta dei prezzi può erodere il potere d’acquisto – i salari reali – dei lavoratori, qualora non sia accompagnata da una crescita almeno altrettanto sostenuta dei salari. Lo sarà certamente se le armi che essi hanno per difendersi sono spuntate e se, come ha sempre fatto, la voce del padrone si arma per imbrigliarle. A questo proposito, riteniamo possa essere opportuno fare dei chiarimenti su cosa sia l’inflazione, cosa rappresenti e di chi è nemica. Lo spunto ci viene proprio dall’articolo che abbiamo citato.

L’inflazione è certamente un problema, ci dice Di Vico, ma lo sarà ancora di più qualora partisse un’offensiva sindacale interessata se non ad accrescere, quanto meno a tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori. Sia mai che i sindacati tutelino i salari reali dei lavoratori, madama la marchesa! Se così fosse, il paese andrebbe incontro ad una vecchia, famigerata, conoscenza: la spirale prezzi-salari.

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transform

Reddito di autodeterminazione: dubbi di una femminista eretica

di Giovanna Vertova

nato 15Ormai da decenni, più o meno dal pieno sviluppo del neoliberismo, è iniziata una riflessione, sia a destra che a sinistra, sull’idea che il welfare che si è venuto a creare nel secondo dopo guerra non sia, oggi, più sostenibile (destra) o non sia più in grado di creare un’adeguata rete di protezione sociale per le classi meno abbienti (sinistra). La posizione di sinistra è, inoltre, articolata su un’analisi della attuale fase capitalistica alquanto fantasiosa. L’ipotesi di base è che, da molti anni, sia in corso un declino della soggettività “lavorista”, in quanto il neoliberismo sarebbe incapace di garantire la piena occupazione, tipica del periodo storico precedente, spesso denominato fordista-keynesiano. Di conseguenza il welfare di matrice “fordista” sarebbe inadeguato a garantire le protezioni necessarie per costruire una risposta alla crescente insicurezza sociale della classe lavoratrice, in quanto concepito per una società “lavorista” e di “piena occupazione”. L’automazione dei processi di produzione (ove possibile), la rivoluzione tecnologica digitale, ultimamente il sistema Industria 4.0 concorrono a sostituire lavoratori in carne ed ossa con macchine, creando o aumentando la disoccupazione tecnologica. Per questo motivo i sostenitori di questa visione ritengono che il welfare non possa più essere legato alla condizione lavorativa1, ma andrebbe riformato per rispondere alle nuove insicurezze sociali figlie del neoliberismo. Un trasferimento monetario statale, sganciato dalla prestazione lavorativa sembra, quindi, essere la soluzione giusta per tutelare la classe lavoratrice.

Nonostante le basi teoriche della proposta, qui solo brevemente richiamate, potrebbero essere ampiamente smentite, non è questo l’obiettivo del presente lavoro.

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sbilanciamoci

Debito-Pil, il nodo irrisolto

di Roberto Artoni

Il peggiorare del rapporto tra debito pubblico e Pil dipende più dalla bassa crescita che dai saldi di spesa. Serve un quadro europeo per la gestione del debito che eviti attacchi speculativi e lasci spazio a politiche espansive

grattacielo.1020x680Sembra esistere un grande consenso sulla necessità di procedere ad una profonda revisione delle regole europee di bilancio, ancora in vigore anche se temporaneamente sospese. Richiamando i termini essenziali, le regole europee prevedono che l’obiettivo di un rapporto fra debito pubblico e prodotto interno, posto al 60%, debba e possa essere raggiunto limitando l’indebitamento annuale al 3%, perseguendo il pareggio del bilancio strutturale (stimato sulla base del prodotto potenziale al netto del ciclo di ogni paese) e vincolando la crescita della spesa pubblica, opportunamente definita, alla crescita del prodotto potenziale.

La pandemia ha reso inapplicabili, al di là di quanto già non lo fossero, queste regole: nel 2020, due anni fa, 10 paesi registravano disavanzi superiori al 3% e 14 superavano la soglia canonica del rapporto debito prodotto. In questo quadro, anche per effetto di una forte caduta dei livelli di attività in tutti i paesi, è stata attivata la clausola generale di salvaguardia, che ha consentito la sospensione dei vincoli di bilancio pubblico nel 2021. La sospensione è stata prorogata per il 2022, anche se sono rimaste in vigore le procedure per la valutazione dei disavanzi successivi. Il problema dell’adozione di nuove regole o del ripristino di quelle vecchie si pone dunque per il 2023.

Il sistema di regole vigenti è giudicato eccessivamente complesso, per il progressivo accumularsi di norme e di eccezioni, e poco trasparente, per il ricorso a stime di grandezze non osservabili e difficilmente quantificabili come il prodotto potenziale. Ne derivano, come da tempo sottolineato, elementi di arbitrarietà nei processi decisionali dell’Unione.