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marxismoggi

Il piano integrato Colao-Bianchi e la riduzione della scuola a forza produttiva

di Elena Fabrizio

5ef5b89a2500002901c28c23L’enfasi che il dibattito sulla didattica a distanza ha suscitato a livello ministeriale e tra gli organi e gli enti, senza trascurare la longa manus degli altoparlanti mediatici, che da anni premono per una trasformazione della scuola in tassello della più ampia filiera produttiva, doveva suonare subito sospetta, non fosse altro perché palesemente orientata a spostare i problemi della formazione culturale degli studenti sul bisogno di colmare il ritardo e il gap di competenze digitali, intese come esclusivo elemento di giudizio della qualità della didattica scolastica.

Un’enfasi condita dal discorso emotivamente pregnante e propagandistico che fa delle diseguaglianze economiche e sociali, pervenute alla coscienza dei nostri governanti paradossalmente proprio nella fase dell’emergenza sanitaria nei soli termini del digital divide, l’espediente sul quale fare leva per «sfruttare la crisi» dirottando la scuola in maniera ancora più incisiva sul modello impresa e assumendola quale parte attiva della ripresa economica del paese. Nessun bilancio politico di vent’anni di autonomia scolastica e delle politiche antisociali delle quali essa è espressione, nessuna iniziativa per riparare all’emergenza culturale ed educativa che si vuole strumentalmente appiattire sul possesso delle competenze digitali lette nell’ottica esclusiva di un mercato del lavoro in cerca di manodopera salariata.

La duplice direzione amministrativa che il Governo vorrebbe imprimere all’istruzione, per assecondarla ai desiderata delle classi dominanti, emerge chiaramente dalla combinazione delle iniziative proposte dal Comitato di esperti in materia economica e sociale per il rilancio "Italia 2020-2022" e dal Comitato di esperti del Ministero dell’Istruzione, rispettivamente coordinati da Vittorio Colao e da Patrizio Bianchi.

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coniarerivolta

Il capitalismo alla rovescia di Pietro Ichino

di coniarerivolta

ichinocrRaramente la stampa quotidiana offre spunti di respiro così ampio da riuscire a rappresentare una visione complessiva del mondo in poche righe. L’intervista rilasciata da Pietro Ichino al quotidiano Libero pochi giorni fa ha questo grande merito. Tuttavia il vero e impareggiabile merito di Ichino in questa e in altre esternazioni è quello di fornire una versione pura e senza fronzoli dell’ideologia liberista, aiutando così il lettore a comprendere quale sia l’obiettivo ultimo di società immaginato dai protagonisti della lotta martellante condotta contro i lavoratori da parte di chi ne vuole l’eterno sfruttamento e da parte di chi, consapevolmente o meno, di questo eterno sfruttamento costruisce le impalcature, attraverso presunte giustificazioni teoriche.

L’intervista è un botta e risposta veloce su temi ampi, tutti incentrati sulla crisi economica attuale e sulle misure adottate dal Governo italiano per farvi fronte.

Al margine di aspetti di minore importanza, sono almeno cinque i temi economici cruciali affrontati da Ichino (e altrettante le relative soluzioni prospettate, che costituiscono l’armamentario classico del liberismo oltranzista): 1) la libertà di licenziamento vista come volano per l’occupazione; 2) la causa della disoccupazione rintracciata nella formazione inadeguata dei lavoratori; 3) la convinzione che lo Stato debba ritrarsi dall’economia e non sia capace di “fare l’imprenditore”; 4) l’idea che il sindacato debba integrarsi nell’impresa condividendone i destini; 5) Il mito del lavoro agile a distanza come elemento di trasformazione della natura dei rapporti di lavoro dipendenti. Per non citare altre postille qua e là gettate al vento nell’intervista senza nemmeno la fatica di un’argomentazione minima: inevitabilità di una nuova riforma pensionistica restrittiva; reddito di cittadinanza come disincentivo al lavoro; le tasse come nemico dell’economia; i pubblici dipendenti visti pregiudizialmente come scansafatiche.

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coniarerivolta

Piano Colao: Confindustria detta, i tecnici scrivono

di coniarerivolta

ritornotecniciAlla fine la montagna ha partorito un topolino: il “comitato di esperti in materia economica e sociale” presieduto da Vittorio Colao, già amministratore delegato di Vodafone, ha consegnato al governo il Piano di rilancio deputato a dettare la linea sull’uscita dalla crisi. Certo, le reazioni del mondo politico non sono state quelle attese. I partiti che compongono la maggioranza di Governo – con l’eccezione di Italia Viva – hanno reagito con freddezza al Piano Colao, il cui destino è a questo punto incerto. Sarà davvero la base di partenza su ci si articolerà il piano di ‘riforme’ da presentare all’Europa per avere accesso al già famoso Recovery fund (ora Next Generation EU)? Oppure finirà riposto e dimenticato in un cassetto?

La risposta è ancora incerta, ma non per questo è meno importante analizzarne il contenuto. D’altronde, l’entusiasmo scatenato in Salvini e nella Lega, fino alle bizzarre esternazioni della macchietta Bagnai (maestra, maestra, mi hanno copiato il piano!!!), fornisce un’utile indicazione di quanto le linee guida contenute nel Piano Colao siano in linea con i desiderata del padronato del nostro Paese. Proviamo, quindi, ad andare al di là del circo quotidiano offerto dalla politica nostrana, per analizzare l’impianto generale ed alcune delle misure cruciali contenute in questo catalogo degli orrori.

Si parte a bomba. La prima proposta (1.i) è lo scudo penale a favore delle imprese in caso di contagio Covid dei propri dipendenti: detta così sembrerebbe già sufficiente per chiudere tutto e dare fuoco al malloppo. Lo scudo esclude la responsabilità penale per quelle aziende che, nominalmente, rispettano e hanno rispettato le norme in materia di sicurezza, pattuite tra parti sociali.

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noirestiamo

Covid-19, l’opportunità per il progetto di classe dell’Università Italiana

I rapporti di forza non cambiano senza la lotta

di Noi Restiamo

MiurPubblichiamo questa analisi mentre ci prepariamo a scendere a Roma per la manifestazione nazionale del 10 giugno davanti al MIUR che abbiamo costruito insieme agli studenti medi dell’Opposizione Studentesca d’Alternativa e alle strutture sindacali delle educatrici delle funzioni locali, della scuola, dell’università e della ricerca della USB pubblico impiego. Una data che è il punto di arrivo di un percorso avviato in questi mesi di lockdown dalla campagna blocco affitto e utenze per giovani, studenti e precari e successivamente dai coordinamenti regionali per il diritto allo studio. Appuntamento che rappresenta una convergenza su una progettualità di lungo periodo di forze rappresentative di tutti i soggetti che compongono il mondo dell’istruzione, dell’alta formazione e della ricerca che lottano per un nuovo sistema formativo e di gestione della ricerca e dei saperi svincolati dalle esigenze del mercato e costruito a partire da una comprensione profonda della funzione di crescita generale e collettiva della società. Un punto di resistenza per un rilancio complessivo delle lotte nel mondo della formazione verso un autunno di lotta!

* * * *

In questo contributo analizziamo come la situazione emergenziale legata al diffondersi del Covid-19, virus con il quale probabilmente dovremo fare i conti ancora per diverso tempo, sia un’occasione per accelerare il processo di esclusione sociale e aziendalizzazione dell’istruzione universitaria.Un processo al quale dobbiamo saperci opporre fermamente.

Infatti, quando parliamo degli effetti che la crisi del Coronavirus avrà sull’Università e in generale sulle nostre vite dobbiamo tenere a mente le lapalissiane parole di Vittorio Colao, designato dal governo Conte per guidare la task force della cosiddetta “Fase 2” per la ricostruzione economica del Paese dopo la pandemia sanitaria. Ossia, «abbiamo l’opportunità di fare in ognuno di questi campi cose che avrebbero richiesto molto più tempo. Mai lasciarsi sfuggire una crisi»[1].

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conness precarie

In quale stato versa il padronato italiano?

Per una fenomenologia di Confindustria

di Lorenzo Delfino e Giacomo Salvarani

Fenomenologia di confindustriaDal negazionismo all’economia di guerra. La crisi

Il confindustriale è uomo pratico. Un secolo di addomesticamento nel capitalismo italiano ha reso mediocri le sue ambizioni. Decenni di gestione industriale l’hanno trasformato in un individuo refrattario a ogni avventura. Verrebbe perciò da sé credere che quest’abitudine a porsi solo problemi che può facilmente risolvere abbia portato il confindustriale a essere un capitalista discretamente realista. Non è così. Certo, il confindustriale per sua natura non può che detestare la fantasia, ma allo stesso tempo non si può nemmeno dire che apprezzi sempre la realtà!

A chi legge forse basteranno due istantanee del mese di marzo 2020 per suffragare questa nostra convinzione, restituendoci un perfetto spaccato della parabola schizofrenica che ha vissuto il povero confindustriale, che si è trovato prima a dover negare e poi pervertire la realtà. Il giorno 11, Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, dall’interno di una zona rossa del paese in cui si fa la fila anche per essere cremati, non esita a dichiarare: “Le fabbriche sono oggi il posto più sicuro”! È difficile per il confindustriale ammettere che qualcosa possa smuovere la sua realtà, che qualcosa possa sospendere i suoi profitti e la sua fetta di potere acquisito ormai tramandato per generazioni: questo lo manda su tutte le furie. Infatti, il confindustriale non si arrabbia solo per i soldi, a irritarlo davvero è l’idea che lo Stato possa dirgli cosa fare e che i suoi dipendenti poltriscano a casa, senza poterli licenziare. Non può proprio sopportarlo. Non può sopportarlo al punto che, dovendo fare i conti con la sua realtà, molti e molte dei suoi dipendenti non hanno poltrito mai, anzi. Nella lombarda Confindustriopolis, fiore all’occhiello della produzione nazionale, il 40% di operai e operaie non ha mai giovato del lockdown nazionale sulle poltrone di casa: il lavoro loro non si è mai interrotto.

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lafionda

Progresso, fede e censura nell’analisi politica della sinistra italiana

di Giulio Gisondi

immagine giornale 1 scaledDue tratti che caratterizzano l’analisi e la retorica dell’odierno militante di sinistra e del campo della sinistra italiana sono racchiusi in una forma di fede, spesso inconscia e profonda, nell’ideologia liberal-liberista di individuo, di società, di politica ed economia, accompagnata a una forma di censura di ogni critica che mini la struttura teorica e materiale di quel modello. Come se esistesse uno spazio di legittimità dell’analisi e del discorso politico, come se vi fosse un limite a ciò che può essere sottoposto a riflessione e discusso al suo interno.

 

1. Progresso

Ma di quale sinistra parliamo? Se ci riferissimo al solo posizionamento parlamentare, potremmo definire sinistra quello spazio politico compreso tra Liberi e Uguali nelle sue varie declinazioni, Articolo Uno, Sinistra Italiana e Possibile, e le diverse correnti del Partito Democratico. Né più né meno di quello che dal 1996, sotto diverse forme e con l’aggiunta di Rifondazione Comunista, ha composto la variegata coalizione dell’Ulivo, poi rinnovatasi nel 2005 con l’Unione. A queste, molte altre realtà si affiancano, tra partiti e associazioni extraparlamentari o della cosiddetta sinistra radicale. A questa definizione possiamo aggiungerne una seconda, che, nonostante le differenze di posizionamento, si esprime in una stessa distorta idea di progresso, marcatamente liberal-liberista. Una religione del progresso che riconosce una forma di modernità nel superamento e nello svuotamento della sovranità popolare e costituzionale, nel nomadismo obbligato e indotto degli individui e di interi popoli, in una libertà civile slegata da ogni aggancio ai diritti sociali. In altre parole, l’idea che il mondo globalizzato incarni una realtà in cui tutto va necessariamente meglio di ieri: «una certezza così profondamente radicata nell’inconscio dell’uomo di sinistra che», come ha osservato Jean-Claude Michéa, «costituisce una vera e propria forma a priori del suo modo di pensare e alla quale egli non potrà rinunciare senza rinunciare a sé stesso»[i].

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la citta futura

L’inadeguatezza al governo

di Alessandro Bartoloni

I decreti cura Italia, liquidità e rilancio sottomettono ancora di più il paese ai mercati finanziari e non garantiscono alcun cambio di rotta nella gestione delle aziende aiutate coi soldi pubblici

Conte Speranza Borrelli 1 1 900x600Dopo un mese di attesa, il 19 maggio, il governo ha pubblicato un decreto-legge ribattezzato “rilancio” che segue quello chiamato “cura Italia” varato il 17 marzo e quello ribattezzato “liquidità” dell’8 aprile. I primi due provvedimenti, in piena fase 1, servivano a garantire la sopravvivenza del paziente, quest’ultimo, invece, dovrebbe permettere al paziente di uscire dall’ospedale e tornare ad avere una vita normale.

Nel paziente Italia, però, convivono lavoratori e imprenditori, i cui interessi sono in contrapposizione. “Lo sviluppo del capitale è la condizione più favorevole per l'operaio; bisogna convenirne” dice Marx nel suo Discorso sul libero scambio. “Se il capitale rimane stazionario, l'industria non resterà soltanto stazionaria, ma decadrà e l'operaio ne sarà la prima vittima”. D’altronde, “quando il capitale aumenta, quando cioè si é in quello stato di cose che abbiamo detto il più propizio per l'operaio, quale sarà la costui sorte? Esso perirà ugualmente”.

Il modo in cui noi lavoratori moriremo, tuttavia, non è identico nei due casi, e per ricostruire una coscienza di massa relativa a questo inevitabile destino cui ci conduce il capitalismo, è utile verificare se ed in che misura le misure varate dal governo coi tre decreti aiutano o contrastano lo sviluppo delle forze produttive, base oggettiva necessaria all’affermarsi del modo di produzione socialista.

 

Decreto “cura Italia”

Come detto, la prima cosa che il governo ha dovuto fare è stato impedire al paziente di morire. E per farlo ha stanziato circa 25 miliardi di euro, la maggior parte dei quali sono finiti alle “braccia”, vale a dire i lavoratori, al fine di garantire quel sostentamento minimo senza il quale si sarebbe messa a rischio la pace sociale, cioè l’ordine costituito basato sul diritto alla proprietà privata dei mezzi di produzione, che rappresenta il bene più prezioso per i capitalisti e la cui conservazione vale una manciata di miliardi.

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coniarerivolta

Decreto Rilancio: tante tutele… per i profitti

di coniarerivolta

profNon è semplice giudicare il Decreto Rilancio, soprattutto a causa della natura eccezionale delle circostanze cui è chiamato a rispondere. Eppure, è assolutamente necessario cercare di sviluppare un’analisi autonoma di questa misura, che dice moltissimo sul futuro governo della crisi.

Partiamo dal principio. Il Decreto Rilancio comporta un indebitamento netto aggiuntivo rispetto al quadro preesistente che ammonta a 55 miliardi di euro. Le dimensioni del deficit aggiuntivo – un altro modo per definire l’indebitamento netto – risultano significative, soprattutto perché i 55 miliardi vanno a sommarsi ai 20 già previsti nel Decreto Cura Italia e, naturalmente, all’indebitamento netto programmatico, che era stato stimato nella Nota di Aggiornamento al DEF (NADEF) intorno ai 40 miliardi di euro per il 2020. Insomma, il disavanzo di bilancio complessivo per il 2020 è considerevole e stimato al 10,4% del PIL dai più recenti indicatori di finanza pubblica elaborati dal MEF, al netto di ipotetici nuovi interventi del Governo.

Depurando il disavanzo di bilancio dalla spesa per interessi (circa 60 miliardi, il 3,7% del PIL) – che sappiamo avere un effetto macroeconomico trascurabile – otteniamo un disavanzo primario pari al 6,8% del PIL. Siamo di fronte a uno stimolo fiscale netto di circa 110 miliardi di euro e, nonostante uno stimolo di tale portata non si verificasse da decenni, questo è ancora insufficiente vista l’enorme caduta della produzione, che l’Istat ha stimato al 29% nel mese di marzo.

C’è voluta una pandemia globale per costringere la classe dirigente di questo Paese a ricorrere a politiche fiscali espansive, possibili, peraltro, solo finché permane la ‘sospensione’ delle regole europee di Maastricht e del Fiscal Compact.

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nuovadirezione

Decreto Rilancio. Ecco le occasioni perse

di Nuova Direzione

decreto rilancio55 miliardi, dicono. Poco meno del cumulo del costo degli interessi sul debito pubblico e circa la somma che si spende ogni anno per l’istruzione. Questo è l’importo totale del Decreto con il quale il governo Conte intende tamponare la caduta a picco del sistema economico italiano. Stime di Bankitalia danno il Pil italiano, 1.750 miliardi, in caduta del 5% nel primo trimestre e previsioni ottimiste lo danno al -9% entro la fine dell’anno. Si perderebbe valore aggiunto per 150 miliardi, almeno. Dentro questo arretramento la parte maggiore la dovrebbe fare la produzione industriale, della quale potremmo perderne un quarto, e l’export. In misura minore caleranno i consumi delle famiglie e l’occupazione. La dinamica dei prezzi dovrebbe essere debole sui prodotti energetici ed il prezzo dei servizi, con riduzione del reddito dei relativi lavoratori, in particolare autonomi, ma vedere una certa inflazione dei prezzi alimentari, con danno per i ceti più deboli. 

In queste condizioni, come sta accadendo un poco in tutto l’occidente, la nostra società si sta violentemente divaricando su molteplici linee di frattura

In primo luogo, tra coloro che sono connessi con le catene del valore in qualche modo, sia pure a diverso livello di centralità e valore aggiunto, e coloro che ne vivono al margine, impiegati in una insalata di lavoretti, di occasioni, espedienti, variamente visibili e variamente sommersi. I primi, i visibili, sono circa 25 milioni, solo 4 impegnati in attività manifatturiere e gli altri nel vastissimo e complesso mondo dei ‘servizi’. Qui si va dai 6 milioni di persone del commercio, i 5 milioni della Pubblica Amministrazione i 2,5 dei servizi di intrattenimento e 3,2 di attività professionali. I secondi sono stimati in circa 4 milioni di persone. Poi abbiamo i disoccupati effettivi, che dovrebbero essere 6 milioni. 

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lantidiplomatico

L’Italia è sull'orlo del fallimento. La schiavitù non sia il nostro destino

di Alberto Bradanini*

Ultimo editoriale dell'Ambasciatore Bradanini: "Un altro mondo è sempre possibile. La sfera finanziaria risponda dunque a quella politica. I mercati siano governati dallo Stato e non viceversa."

bd6321411bff8b8ca83be4e49a4a38e1L’Italia è sull’orlo del fallimento. Nella giungla di quesiti che stringono d’assedio la mente del cittadino davanti al vuoto d’orizzonte dei dirigenti alla guida del Paese risulta centrale comprendere il rapporto tra sistema monetario e finanza sovranazionale, poiché dietro un’apparente neutralità tecnica si nasconde l’eterno bisogno patologico di dominio e colonizzazione. Di tale tecnicismo imposto fanno parte la narrativa ‘endogena del vincolo esterno’ (un incomprensibile ‘fuoco amico’ del nostro ceto dominante contro il lavoro e l’ingegno degli italiani), la leggenda di una maggiore efficienza della nostra economia all’interno dell’eurozona (contro l’evidenza dei dati su potere d’acquisto, lavoro stabile, investimenti pubblici e via dicendo rispetto ai tempi della gloriosa lira) e il mito di un’Unione Europa meglio attrezzata per costruire una società più libera e più giusta, mentre è limpido come il sole che essa è strumento di dominio delle élite finanziarie sovranazionaliste, il cui obiettivo è la distruzione della statualità nazionale, ultimo baluardo a difesa dei beni sociali e dei ceti più deboli.

La forma, affermava un grande scrittore del secolo scorso, è la sostanza visibile dell’esistenza. La differenza, ancora una volta, la fa la consapevolezza. Se non possiamo sfuggire alla sofferenza, vorremmo almeno guardarla negli occhi. Alle prese con una transizione politico-sociale che lascerà profonde cicatrici, la coscienza di ciò che scorre nelle vene profonde è il punto d’inizio della riscossa. Un aspetto preliminare/fondamentale è quello che il pensiero classico cinese chiama ‘rettificazione dei nomi’, un percorso di ragione emotiva (si perdoni l’ossimoro), affinché le parole usate corrispondano alla realtà descritta. Un’apparente banalità, che fornirebbe tuttavia un prezioso ausilio, nei limiti della sua praticabilità, per combattere le ingiustizie del mondo.

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mondocane

Mascherine: essere nessuno e odiarsi − Silvia Romano: mamma li turchi!I − Bonafede: Stato-mafia 2.0

di Fulvio Grimaldi

toto turchiDue eventi avevano promesso di interrompere l’uragano terroristico, intimidatorio, manipolatore, unanimistico, squadrista, a giornale e schermo nazionali uniti (al guinzaglio del New York Times, organo di Soros, Gates e del profeta Malachia) e di farci eremgere, almeno con il naso, dal pantano di spazzatura politica e morale in cui ci hanno affondato.

 

Sprovveduta, ma santa subito

Invece niente. I due eventi ci hanno ricacciato col naso, gli occhi e le orecchie sotto, nella melma della propaganda falsa, bugiarda e ipocrita. Una retorica sgocciolante di emozioni farlocche (esaltazioni), che Mario Appelius, la voce tonante di Mussolini (“Dio stramaledica gli inglesi!”), era al confronto un sommesso ora pro nobis di beghine nella cappella laterale. Un trionfo epocale del regime e, dunque, a loro avviso, della nazione tutta, la liberazione della povera Silvia Romano. Povera perché, con ogni evidenza, travolta dagli avvenimenti costruitile addosso. E giustamente soddisfatta per essere tornata a casa dopo 18 mesi. 18 mesi durante i quali aveva capito che la ragione di chi l’aveva spedita a far girotondi con bambini neri, non era altro che una miserabile operazione colonialista in linea con quelle che, da qualche secolo, i bianchi cristiani infliggono ai diversi per fregargli radici, identità, cultura, fede, e farli sentire beneficati da alieni di qualità superiore (che poi gli avrebbero fregato anche il resto). Per cui s’è fatta musulmana, cioè della religione dei cattivi, malmessi e inferiori. Brava.

Con raccapriccio rivedo l’accoglienza all’aeroporto, tutti addosso a Silvia intabarrata nella veste islamica somala, ad abbracciarsi e baciucchiarsi, alla faccia dei tecnoscienziati e del loro banditore.

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officinaprimomaggio

Emergenza Covid-19

Sara Zanisi intervista Vittorio Agnoletto

Banner CommissarioPubblichiamo l’intervista raccolta da Sara Zanisi a Vittorio Agnoletto, medico del lavoro, docente di “Globalizzazione e Politiche della Salute” presso l’Università degli studi di Milano, tra i fondatori della Lila Lega italiana per la lotta contro l’Aids. La conversazione è stata registrata in audio lo scorso 17 marzo a Milano attraverso una video call, perché erano già in vigore le restrizioni di movimento e incontro imposte dall’emergenza Covid-19. È su questo argomento che la redazione di Opm ha voluto ascoltare la testimonianza di un medico impegnato non solo sul fronte del contenimento dell’epidemia, ma anche su quello dell’informazione e della divulgazione scientifica: Vittorio Agnoletto infatti è stato da subito attivo sul piano della comunicazione alla cittadinanza, sia attraverso Radio Popolare – emittente milanese in cui dal 2015 conduce la trasmissione “37 e 2” sui temi dell’handicap e dell’invalidità civile –, sia attraverso il blog su Il Fatto Quotidiano, il blog personale e la pagina Facebook – da cui trasmette quotidianamente dal 18 marzo 2020 un video-aggiornamento quotidiano sul Coronavirus.[1]

* * * *

Zanisi: A noi interessa mettere a fuoco gli aspetti dal punto di vista del lavoro, oggi – com’è organizzato il lavoro e cosa resterà sul lavoro in futuro. La prima questione: cos’è successo quando l’emergenza Covid-19 è arrivata e come ha impattato sul modello regionale che abbiamo in Lombardia?

Agnoletto: Io proporrei come percorso di analizzare i problemi che si sono verificati di fronte alla vicenda Covid in Regione Lombardia e in Italia. Poi comincerei a vedere il perché, cosa è successo, dando qualche dato di riferimento legislativo a livello nazionale, per capire perché la situazione è andata così. Va bene questo taglio?

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lordinenuovo

Pensare la fase 2 delle lotte. Incostituzionalità e contraddizioni giuridiche delle norme anti-Covid

di Alessandro Mustillo

scioperi 1 maggio 660x4002xL’attività dell’Ordine Nuovo è iniziata nel pieno della pandemia, in un contesto di riduzione dell’attività politica tradizionale e in preparazione di una fase di lotte alle porte. Tra i compiti che ci siamo assegnati c’è quello di contribuire al dibattito fornendo materiali di analisi utili anche sotto un profilo tecnico (sia esso economico, storico, giuridico ecc…) che facciano avanzare parallelamente alla coscienza di classe, le capacità effettive di lotta dei lavoratori e delle organizzazioni di classe. Fornire dunque strumenti e contributi per delineare percorsi di lotta in una fase di grande arretratezza soggettiva e allo stesso tempo di necessaria riorganizzazione dei comunisti e di un fronte di classe.

Il compito di oggi è abbastanza ostico e risponde alle richieste di molti compagni. Abbiamo detto più volte che esiste un punto di incontro tra la responsabilità nell’evitare la diffusione del contagio e la crescita della curva della conflittualità sociale per il carattere di classe delle scelte governative sulla gestione della crisi. In questo contesto diviene fondamentale comprendere quali sono le “forzature” possibili al sistema di chiusura dell’attività politica e in particolare delle manifestazioni. La premessa necessaria quando dall’ambito politico si entra in quello giuridico è che per noi comunisti questi due elementi non comunicano: le categorie del primo non sono quelle del secondo, che non è elemento neutrale, ma espressione degli interessi della classe dominante. Quando si parla del conflitto di classe il diritto è prevalentemente strumento della repressione. Non bisogna quindi cedere all’idea di fare la lotta di classe con le norme, perché questo è semplicemente impossibile.

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lafionda

Economia e società allo stremo: cosa si potrebbe fare

di Alberto Bradanini

saracinesca abbassatajUn acuto economista del secolo scorso affermava che la sola cosa più instabile dell’economia sono gli economisti. Un’osservazione questa che potrebbe estendersi alla politica se non fosse smentita dalla granitica stabilità dei nostri esperti e decisori politici su temi economici, tutti seguaci della medesima ideologia e in preda alla confusione davanti al dovere di restituire lavoro e speranza a un popolo alla deriva.

Il clero dei media – insieme agli ambienti, diciamo così, scientifico/accademici – tendono su questi temi a rovesciare la metodologia su cui si fonda la scienza: prima viene deciso il risultato da raggiungere, poi la strada per arrivarci. Per quanto seducente possa essere questo metodo, sarebbe bene ogni tanto guardare ai risultati. Il sentiero finisce in un baratro, ma a pochi viene in mente di cambiar direzione.

Vediamo qual è oggi l’assetto sociologico della nostra società. Gli strati alti del sistema navigano tranquilli anche durante il cattivo tempo, basta aspettare in coperta che torni il sereno, scaldandosi lo stomaco con un buon vino. Appena sotto troviamo coloro che in cambio di carriere e prebende, più o meno lecite, si adoperano per sostenere la punta della piramide: hanno un lavoro stabile e protetto, guardano il mondo con ottimismo, non si lasciamo prendere dallo sconforto. Più in basso la maggioranza, precari, occupazioni di sopravvivenza, futuro famiglie e figli quanto mai incerti, una pensione da fame se mai arriverà, vite che non avremmo sognato.

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mondocane

Impadronirsi della Fase Tre - In galera! - Contributi a Cinque Stelle (non spente)

di Fulvio Grimaldi

medico pesteViviamo in un mondo in cui i medici distruggono la salute, i giuristi distruggono la giustizia, le università distruggono la conoscenza, i governi distruggono la libertà, la stampa distrugge l’informazione, la religione distrugge la morale e le nostre banche distruggono l’economia” (Chris Hedges, giornalista e scrittore statunitense, premio Pulitzer, professore a quattro delle maggiori università USA)

A convalida di quanto qui sopra epitomizzato da un illustre giornalista, poniamo una citazione, tanto celebre quanto artatamente fatta dimenticare, di un personaggio centrale nella strategia economica, sociale e biologica dell’UE. Una personalità francese di altissimo rango, ascoltata dai potenti, venerata dai media e che riassume in sé le categorie citate da Hedges. Jacques Attali è giurista amministrativo, eminenza grigia politica e capo di gabinetto di Mitterand, massimo consigliere economico dello stesso Mitterand e poi di Sarkozy e Macron, banchiere internazionale quale presidente della Banca Europea per lo Sviluppo e presidente della Commissione Attali incaricata di promuovere il neoliberismo finanzcapitalista in Europa e specialmente nei paesi ex-comunisti. Infine autonominato, ma riconosciuto, medico e biologo, come risulta dal programmino di sfoltimento dell’umanità riassunto in questa sua dichiarazione. Per pura coincidenza, appartiene alla stessa confessione di tutti i protagonisti della strategia del vaccino e della depopolazione mondiale:

Un programmino per lo sfoltimento

Quando si sorpassano i 60-65 anni, l’uomo vive più a lungo di quanto non produca e costa caro alla società. L’eutanasia sarà uno degli strumenti essenziali delle nostre società future. Macchine per sopprimere permetteranno di eliminare la vita allorché essa sarà troppo insopportabile, o economicamente troppo costosa” (Jacques Attali, “La médicine en accusation“, in AA.VV., L’avenir de la vie, Seghers, Paris 1981).