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lafionda

Non è così che dalla pandemia si esce a sinistra

di Pier Giorgio Ardeni

pandemia 162746Negli ultimi tempi, diverse esternazioni dei dirigenti Pd hanno ribadito un concetto, secondo cui «dalla pandemia si esce da sinistra». Peccato che pare essere più una boutade che un’agenda, dacché nella realtà non sta accadendo nulla che va in quella direzione. Perché «uscire da sinistra» dovrebbe voler dire lasciarsi la pandemia alle spalle migliorando la condizione di chi sta peggio e qui non sembra che ciò stia accadendo.

Da quando i contagi hanno ripreso a crescere, a fine ottobre, per poi raggiungere numeri record, il governo non ha fatto nulla per contenerli, se non continuando ad insistere sulle vaccinazioni, per arrivare addirittura all’obbligo vaccinale per gli «over 50», pur sapendo che non è il vaccino a contenere il contagio ma lasciando credere, con grande risonanza sui media, che questo avrebbe finalmente messo un freno alla pandemia. E, però, se l’Italia è l’ottavo Paese al mondo per decessi da Covid-19 – abbiamo superato i 150.000, ma i giornali non raccontano più le storie dietro a quei numeri, se non sono di irriducibili «no vax» – e tra i primi venti nel numero di morti relativo (peggio di noi, nella UE, i Paesi dell’Est, più poveri), è perché la gestione della pandemia è stata affidata a una medicina territoriale lasciata a se stessa e agli effetti della sindemia – la sinergia di più pandemie.

La «quarta ondata» del contagio ha messo in luce i molti punti deboli del sistema. Migliaia di cittadini in attesa di un contatto – non diciamo di una visita – con il medico curante, di una terapia che non fosse l’inutile «vigile attesa» per farsi poi ricoverare con il virus deflagrato, senza poter accedere né ai monoclonali, alle cure precoci o ad altre terapie (persino Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, è divenuto un solitario «oppositore», enfatizzando l’importanza dei medicinali anti-infiammatori, contro l’approccio delle circolari ministeriali).

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lordinenuovo

Il caso Alitalia-Ita: il nuovo modello di trasporto aereo pubblico nell'epoca delle low cost e delle liberalizzazioni

di Domenico Cortese

Aereo di Alitalia in volo 1 660x4002xIl passaggio Alitalia-Ita è sicuramente una delle decisioni politiche che più rappresentano il corso del 2021. Una risoluzione di una crisi annosa scaricata sulle spalle di lavoratori e consumatori, degli accordi con le istituzioni europee e con i sindacati concertativi che rispondono solo alle “leggi del mercato”, una esplicita rinuncia a comprendere e affrontare le cause profonde e i responsabili della crisi stessa. Tutti elementi che richiamano in modo più o meno evidente lo scenario politico-economico italiano nella sua generalità, con un esecutivo concentrato a minimizzare le perdite delle aziende scaricandole sulla qualità della vita dei dipendenti, senza affrontare le ragioni strutturali del cedimento del sistema di fronte alla sua causa scatenante. Ma la crisi definitiva di Alitalia, oltre a condividere con il Paese intero la pandemia come miccia della sua deflagrazione, è materialmente parte integrante di quel percorso di arretramento rispetto all’idea di programmazione industriale e tutela del personale che, sulla spinta delle lotte operaie e popolari del secondo Novecento e delle necessità oggettive della fase di allora del capitalismo, caratterizzata dall’esigenza di rinnovamento infrastrutturale e accumulazione di capitale a livello nazionale, contraddistingueva uno Stato borghese costretto a fare concessioni parziali alle istanze della collettività e dei lavoratori. Istanze che oggi può invece permettersi di trascurare completamente, in nome di una molteplicità di fattori che vanno da un differente contesto internazionale all’attuale debolezza del movimento operaio, dalla ricerca della competitività nel breve periodo alla retorica dell’efficienza del modello privatistico che caratterizza l’Italia come membro convinto del mercato unico europeo.

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crs

Tra pulsioni presidenzialiste e voglia di proporzionale

di Alfonso Gianni

mattarella giuramento 2022 1Le votazioni per l’elezione del Presidente della Repubblica hanno lasciato persone e cose al loro posto. Tutto si è giocato attorno alla coppia Mattarella-Draghi e alla fine l’uno resta Presidente della Repubblica – si suppone per l’intero settennato – l’altro Presidente del Consiglio, probabilmente fino alla normale fine della legislatura. Ma sotto questo immobilismo nei ruoli apicali delle istituzioni, si verificano sommovimenti notevoli, quasi tellurici. Le coalizioni sono scombussolate; il ruolo dei partiti è apparso inesistente; mentre al loro interno si profilano lotte accanite, i loro leader sembrano come storditi in alcuni casi o palesano un’evidente incapacità in altri (e sono tutti puniti negli inevitabili sondaggi). Il Movimento 5 stelle viene addirittura decapitato e il suo Statuto cancellato da un tribunale civile, quello di Napoli – ed è la prima volta che si registra un intervento così pesante della Magistratura nella vita dei partiti –, accentuando le lotte interne che potrebbero prefigurare una scissione. Il Parlamento, per la seconda volta consecutiva nella storia della Repubblica, ha mostrato la sua incapacità di scegliere una nuova figura da far salire al Colle, disattendendo il monito che Giorgio Napolitano espresse nel discorso del suo reinsediamento nell’aprile del 2013, per cui “la non rielezione, al termine del settennato, è l’alternativa che meglio si conforma al nostro modello costituzionale di Presidente della Repubblica”.

Il tema della non rielezione era già stato autorevolmente affrontato da Carlo Azeglio Ciampi, quando, il 3 maggio del 2006, rese pubblica una nota con la quale respingeva le proposte che erano emerse per un suo secondo mandato, facendo riferimento non solo a ragioni di carattere soggettivo – “l’età avanzata” – ma anche, se non soprattutto, a motivi di carattere oggettivo, riassumibili nella frase finale della sua dichiarazione: “il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato”.

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marx xxi

Note sulla vicenda del Quirinale e sull’Italia che verrà

Intervento di Fausto Sorini

Senato politicafemminileVale la pena ritornare sulla vicenda del Quirinale, a cui Marx21.it ha dedicato il suo editoriale del 30 gennaio (1). Essa si sta rivelando assai disvelatrice di tendenze e contraddizioni di fondo della società italiana, di processi e progetti politici differenziati che la attraversano e spaccano coalizioni e partiti anche al loro interno. E allungano lo sguardo sul futuro politico del Paese, dato che l’attuale configurazione del quadro politico italiano appare tutt’altro che stabilizzata.

L’Italia è un Paese rilevante nell’equilibrio geo-politico euro-atlantico (imperniato su Stati Uniti, Ue e Nato) ed euro-mediterraneo (Israele, Medioriente, Nord Africa); tanto più in un contesto di nuova guerra fredda, in alcune aree già calda. Anche sul piano della stabilità economica, scioccata dalla pandemia, l’Italia è paese tutt’altro che secondario negli equilibri e nella tenuta dell’euro e dell’Unione europa.

Che cosa vogliono quindi i “poteri forti”, italiani ed esteri, dall’Italia?

-Rigidà fedeltà euro-atlantica nello scontro globale con Russia e Cina (altro che Via della Seta e cooperazione pacifica euro-asiatica o euro-mediterranea);

-che il Paese non crolli economicamente e riduca il debito pubblico, senza sostanziali redistribuzioni della ricchezza nazionale a danno dei gruppi dominanti e dei ceti sociali medio-alti;

-che riduca e contenga la spesa sociale (pensioni, scuola e sanità pubblica);

-che resti fedele ai parametri liberisti della Ue, sia in fase di austerità che in fase di politica più espansiva. E quindi NO ad un ruolo preminente del pubblico nella vita economica, piena libertà d’azione al capitale finanziario e alle banche, nessuna nazionalizzazione o primato del pubblico in tale settore;

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cumpanis

Les jeux sont faits

Habemus presidentem!

di Alessandro Testa

IMMAGINE PRIMO EDITORIALE Articolo di TestaI giochi sono fatti: il parlamento in seduta comune, rimpolpato dai “grandi elettori” espressi dalle regioni d’Italia, dopo mille schermaglie, moine, finte e controfinte, ha finalmente – seppur con estrema fatica – partorito il topolino del reincarico a Sergio Mattarella. Magno gaudio, tripudio universale per la scampata crisi, per la riconferma di una personalità di “alto profilo”, di un galantuomo “super partes”, a questa carica così importante per la tenuta delle istituzioni. Ma sarà proprio così?

Noi, dobbiamo dirlo con grande sincerità, non lo crediamo. Crediamo invece che queste elezioni abbiano spietatamente riconfermato alcuni elementi chiave di un trend politico ormai in atto da parecchio tempo, un trend politico che sempre più marca la perdita di sovranità della nazione italiana e del suo popolo, un trend politico che si presta a svariate e interessanti considerazioni.

Quali sono dunque le considerazioni che si possono cogliere osservando in filigrana questa convulsa settimana di votazioni e il suo sicuramente non inaspettato risultato finale?

Non certo, permetteteci di sottolinearlo, la facile e ridanciana “critica di costume” su cui molti media mainstream si sono buttati con voluttà: i tradimenti e le ripicche – quasi si trattasse di una telenovela di serie B e non di uno snodo istituzionale importantissimo per gli assetti presenti e futuri della repubblica – e ovviamente le trite ed ormai stantie polemiche sulla presunta “misoginia” della classe politica italiana che non pare in grado di eleggere una donna a posizioni di una qualche responsabilità – come se elevare al soglio quirinalizio una donna espressione del più bieco e sordido affarismo liberista fosse chissà quale conquista di civiltà e progresso sociale.

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kriticaeconomica

Politica, miti e realtà delle privatizzazioni in Italia

di Matteo Di Lauro

Ciampi Amato 1200 1024x538Il milieu ideologico delle privatizzazioni

Dagli anni ‘90 il clima culturale si è fatto ostile alle ideologie politiche e alle posizioni di parte. La democrazia non andrebbe più intesa come scontro tra ideali diversi, ma si ridurrebbe a un presunto “governo dei migliori”, dove le uniche qualità che contano sono la competenza e l’onestà.

Inutile dire che una persona può essere competente ed onesta, fermo restando il carattere politico delle sue idee. Dietro una scelta squisitamente tecnica si nasconde comunque una visione del mondo, degli obiettivi di lungo periodo e una qualche gestione di parte del conflitto distributivo.

Come sappiamo, in economia politica non esistono scelte squisitamente tecniche, ma sempre delle policy a favore o a sfavore di una certa classe sociale. In politica non esistono scelte neutre: è per questo che il tentativo, sia mediatico sia accademico, di ricondurre qualsiasi presa di posizione politica ad un presunto criterio tecnico scientifico ha fatto degenerare profondamente il dibattito pubblico in questo paese.

Ne è un esempio la riforma dell’IRPEF di Draghi, che, per quanto vanti un carattere tecnico scientifico, nasconde dietro di sé intenti chiaramente politici: una politica di classe.

Per questo, applicare un criterio puramente tecnico all’analisi delle riforme ha poco senso, senza prima aver esplicitato la propria posizione circa i possibili conflitti distributivi che scaturiscono dalla riforme stesse. Da qui, l’impossibilità di avere un esito win-win: qualcuno ci perde sempre.

Inoltre, si constata in modo del tutto singolare che, da quando la politica ha iniziato ad essere pervasa dal mito dell’onestà e della competenza, chi ha perso di più sono state le classi subalterne. Strano. Non sarà mai che gli onesti e competenti alla Draghi siano classe dominante e seguano una propria agenda politica a difesa dei propri interessi?

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micromega

Presidenza della Repubblica: verso una democrazia postmoderna

di Stefano G. Azzarà

Il percorso verso il superamento della Costituzione repubblicana è segnato e si intravvedono già i contorni della Repubblica presidenziale. Accuratamente nascosto sotto l’altezzoso sorriso Ancien Régime di Mario Draghi o magari sotto quello più rassicurante di qualche democristiano, c'è l'approdo a una democrazia postmoderna che si instradi sui binari di una forma flessibile di bonapartismo plebiscitario mediatico

Schermata del 2022 01 26 12 19 30Dopo l’inevitabile sceneggiata con la quale in questi giorni, a partire da Silvio Berlusconi, tutti gli attori sul palcoscenico hanno cercato di alzare il proprio prezzo e riacquisire una centralità politica spendibile nel prossimo futuro, è probabile che questa settimana Mario Draghi venga eletto presidente della Repubblica, poco conta se alla prima o dopo la quarta votazione. Del resto, questa non sarebbe affatto una sorpresa: nonostante la suspense o la fumisteria creata più o meno ad arte dalle ambizioni personali di qualcuno, arrivato fuori tempo massimo, questo esito sarebbe esattamente quanto era risaputo sin dall’inizio, ovvero da quando l’ex presidente della Banca d’Italia e poi della BCE è stato nominato premier da una vasta coalizione di unità nazionale, dopo che Renzi aveva staccato la spina al governo PD-M5S. E, si può dire, sarebbe esattamente ciò per cui quella nomina era a suo tempo avvenuta e quanto il sistema industriale dei media – impegnatissimo h.24 a fare il tifo per lui e a spianargli la strada delegittimando ogni alternativa – ha sempre dato per scontato.

Non si tratta di una scelta irrilevante e da valutare nichilisticamente con senso di sufficienza, sia chiaro. I gruppi economici dominanti sono alle prese con il serissimo problema di una crisi organica della loro egemonia, che è logora e fa acqua da tutte le parti. E se vogliono recuperare quei pezzi di ceti medi e classi subalterne che si sono sottratti al loro controllo ideologico diretto durante la lunga fase della crisi economica e dell’impauperimento generalizzato, devono a ogni costo ricostruire almeno parzialmente il blocco sociale messo in discussione dalla rivolta populista (abilmente cavalcata dai settori outsider interni al medesimo mondo industrial-finanziario) e dargli un barlume di plausibilità e coesione.

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giap3

Il Passante «green». Una civica e coraggiosa colata d’asfalto

di Wu Ming

 

Schermata 2022 01 14 alle 18.48.36Cinque anni fa, insieme a Wolf Bukowski, abbiamo condotto un’inchiesta in sette puntate sul «Passante di Bologna», ovvero l’allargamento a 16/18 corsie del nastro autostradale che attraversa la periferia del capoluogo emiliano, a poco più di tre chilometri dalle Due Torri.

I primi tre articoli vennero pubblicati sul sito di Internazionale, con le foto di Michele Lapini, nel dicembre 2016. Gli altri quattro qui su Giap, tra gennaio e marzo 2017.

Non si trattò di un lavoro fatto solo sulle carte: assistemmo agli incontri del farlocchissimo «percorso partecipativo», ci intrufolammo alle cerimonie di presentazione del progetto, incontrammo le persone che abitano a ridosso dell’opera, organizzammo iniziative e camminate a tema.

 

Una sera di gennaio

L’11 gennaio 2017 illustrammo la prima parte della nostra ricerca al centro sociale Làbas, nell’ex-caserma Masini, tra le altre cose un luogo di memoria, dove furono rinchiusi e torturati diversi partigiani.

Non eravamo habitués di quello spazio e per la prima volta contribuivamo a riempirlo, per dare un segnale in un momento critico. Fioccavano le minacce di sgombero, di svendita dell’immobile da parte della proprietà – Cassa Depositi e Prestiti – e di speculazione edilizia in tandem con l’amministrazione. Non passava giorno senza che sulla stampa si leggesse di future, mirabili «riqualificazioni». L’allora sindaco Merola parlava di un albergo di lusso e di nuovi parcheggi. Fermare quei progetti e fermare il Passante per noi erano la stessa lotta, contro il partito dell’asfalto e del cemento-e-tondino.

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lafionda

Il nuovo ruolo del Presidente della Repubblica, da garante della Costituzione a garante dei trattati europei

di Paolo Cornetti e Thomas Fazi

SavonaMattaCome è ormai risaputo, il 24 gennaio terminerà il mandato settennale di Sergio Mattarella e il Parlamento italiano e i rappresentanti regionali saranno chiamati allo scrutinio segreto per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Malgrado questo evento non abbia ottenuto grandi attenzioni al di fuori del nostro paese, la scelta che ne conseguirà sarà determinante per tutto il continente europeo.

Generalmente, si ritiene che il presidente abbia un ruolo puramente cerimoniale e simbolico, e in effetti per la maggior parte della vita repubblicana è stato effettivamente così. D’altronde dovremmo essere una democrazia parlamentare, con il governo che si regge sulla fiducia delle Camere elette dal popolo.

Eppure, nella sua veste ufficiale di “garante” o “guardiano” della Costituzione, il presidente della Repubblica detiene un potere notevole. I governi, infatti, devono ottenere la sua “approvazione”, in quanto egli nomina (o “approva”) il Presidente del Consiglio e gli altri ministri. Inoltre, tutte le leggi approvate dal Parlamento devono essere firmate dal Presidente della Repubblica, il quale ha anche il potere di sciogliere le Camere, per esempio a seguito di una crisi di governo. Ciò significa che il Colle detiene a tutti gli effetti la capacità di decidere se indire nuove elezioni o meno.

Ma i poteri presidenziali non finiscono qua, dal momento che la carica più alta dello Stato ha la facoltà di ratificare i trattati internazionali, è comandante in capo delle Forze Armate e Presidente del Consiglio superiore della magistratura. Infine, non molti ne sono a conoscenza, ma il Presidente della Repubblica può esercitare la sua influenza anche attraverso le strutture tecnocratiche del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in particolare l’onnipotente Ragioneria Generale dello Stato e la Banca d’Italia.

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lavoroesalute

La Costituzione, un faro al lumicino

Alba Vastano intervista il professor Paolo Maddalena*

Intervista al professor Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale. “I danni che Draghi sta apportando all’economia italiana sono incalcolabili. Si pensi che egli non si preoccupa dei licenziamenti che stanno avvenendo in massa e, come già detto, ha addirittura ritenuta legittima l’ infausta e incostituzionale “delocalizzazione di impresa”. In proposito ricordo che l’art. 41 della Costituzione sancisce che “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla libertà , alla sicurezza, alla dignità umana” (Paolo Maddalena)

L3DIviQ9Immensa confusione e sconcerto dilaga nel mondo, specie in quest’ultimo (auspicabile) e un po’ disperato colpo di coda della pandemia che imperversa ormai da un biennio, limitando di fatto la normalità della vita di tutti i popoli. In Italia, di ora in ora, riceviamo, tramite i monitor sempre connessi, le ultime news che ci informano di nuove direttive governative a tutela della salute pubblica. Direttive che, solo l’attimo seguente, vengono smentite o aggiornate. Si percepisce chiaramente che la bussola che dovrebbe indicare l’iter maggiormente utile per limitare i danni, derivanti dal diffondersi del virus, è stata smarrita e noi, marinai senza capitani affidabili, presi da smarrimento per la perdita del pensiero critico, siamo costretti a fidarci di chi ha fallito o ad adottare il faidate. In realtà la bussola c’è, ma chi dovrebbe farne il primo strumento di orientamento nella rotta da seguire, non trova o non vuole trovare il Nord. E ha fatto impazzire l’ago. Sta ancora a noi, riprendendoci la facoltà del pensiero autonomo e critico, riportare l’ago della bussola sul Nord. Là dove è posizionato da ben 76 anni il faro che illumina il nostro cammino: La Costituzione. Un faro ridotto al lumicino, per incapacità dei governanti che si sono succeduti, di applicarne correttamente le leggi.

Ne parliamo con un grande giurista e costituzionalista, il professor Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale, autore del saggio “La Rivoluzione costituzionale”, sua ultima opera ( http://www.blog-lavoroesalute.org/la-rivoluzione-costituzionale/).

* * * *

Alba Vastano: Professore, siamo ormai a ridosso delle elezioni del Presidente della Repubblica. Con lei, illustre Costituzionalista, prima di parlare degli aspetti politici che circondano questo avvenimento importante, parliamo di Costituzione.

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sfero

Cosa possiamo fare?

di Andrea Zhok

article landing 9f1376c4 2c3e 4b24 8a6a 83577b1a7f3bGli ultimi mesi hanno visto un’accelerazione dei processi di dissoluzione dei paradigmi democratici e dei diritti costituzionali inedita nella storia della Repubblica. Che di questa situazione una parte ampia della popolazione italiana non abbia alcuna contezza va registrato con rammarico, ma non può essere un motivo per rimanere alla finestra.

 

A) Qual è la situazione in cui ci troviamo?

Riassumiamo quanto accaduto negli ultimi mesi sotto il profilo democratico.

• Con la Certificazione Verde si è istituito di fatto un trattamento sanitario obbligatorio sotto mentite spoglie, in violazione dell’articolo 32 della Costituzione.

• Le massive proteste di piazza che si sono succedute per mesi in decine di città italiane sono state ignorate dall’esecutivo e rimosse dalla vista e dal giudizio dai media, salvo nelle occasioni in cui era possibile stigmatizzarne qualche eccesso. L’unica risposta alla protesta di milioni di persone è stata ad un certo punto l’imposizione di un divieto di manifestare, in violazione sostanziale dell’articolo 17 della Costituzione.

• Intanto su molti manifestanti, identificati nel corso di eventi pacifici, senza che gli venisse ascritto alcun reato, hanno iniziato a piovere provvedimenti di DASPO urbani, annuali o triennali.

• Per rendere facile l’operatività dei controlli e l’implementazione del sistema certificativo da inizio ottobre è stata modificata la normativa sulla Privacy, scavalcando il Garante e legittimando di default il trattamento dei dati personali da parte dell’amministrazione pubblica, ogni qualvolta venga dichiarato che tale trattamento avviene per ragioni di pubblico interesse.

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sulatesta

Il caso italiano

Editoriale di Paolo Ferrero

sgatti GKN 1024x768 1024x585Con questo numero di “Su la testa” cerchiamo di dare un contributo alla comprensione della realtà del nostro Paese, con particolare attenzione alla condizione “materiale e spirituale” del popolo italiano.

Non vi troverete quindi i pensieri delle élite – che occupano la totalità dello spazio pubblico e colonizzano il senso comune – ma alcuni spunti per capire meglio la situazione in cui viviamo, nei suoi aspetti problematici e nelle sue potenzialità.

Così, accanto all’analisi degli elementi strutturali del Paese troverete anche riflessioni su immaginari, aspettative e comportamenti degli strati popolari.

Riteniamo infatti, che per comprendere il contesto in cui facciamo politica, non sia sufficiente guardare ai dati economici e produttivi, ma sia necessario cogliere i protagonisti nella loro complessità.

In primo luogo, perché i rapporti sociali di produzione vanno ben al di là del puro dato economico e riguardano l’esercizio del potere, il senso comune, la cultura, le identificazioni, le narrazioni egemoniche.

In secondo luogo perché la classe degli sfruttati non può essere desunta semplicemente dall’osservazione del capitale: come ci ha ricordato Raniero Panzieri, la classe ha una sua dinamica soggettiva che va compresa attraverso l’inchiesta. In altre parole il materialismo che Marx ci ha insegnato non ha nulla a che vedere con l’economicismo o con il determinismo: è un metodo dialettico e scientifico di analisi della società nella sua totalità, finalizzato alla comprensione del reale, delle effettive dinamiche sociali.

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effimera

Prove di dispotismo italiano

La farsa della riforma fiscale e l’inflazioni da profitti

di Andrea Fumagalli

Luigi XIV stile Re Sole VelvetMAGIl dispotismo politico-economico

Il primo paradosso, di natura economico-politica, è che il dispotismo politico, oggi rappresentato dal governo Draghi, non è più semplicemente una conseguenza del dispotismo economico ma ne è regia. Se ai tempi di Renzi l’approvazione del Jobs Act rientrava nella logica di accondiscendenza della politica ai poteri forti economici, oggi assistiamo, paradossalmente, a un ritorno della “politica” ma intesa, sia chiaro, come dirigismo e accentramento del potere, indipendente da altre componenti, in teoria fondamentali, della società cosiddetta “democratica”. Ciò avviene in contemporanea (e grazie) al completo svilimento delle prerogative parlamentari come organi legislativi e deliberativi. Dopo trent’anni, arriva così a compimento un processo che rende reale l’esistenza di un autoritarismo elitario, che vede nei “governi tecnici” il perfetto strumento di attuazione del dispotismo; nel decreto legge la sua pratica legislativa; nella figura del premier l’incarnazione (quasi mistica) della governance politico-economica. Il parlamento, ridotto di numero per volere degli italiani e già da anni semplice organo di ratifica, perde così anche i suoi ultimi ruoli formali.

Tale transizione ha avuto il suo battesimo nella presentazione del PNRR nello scorso luglio. Reso noto tre giorni prima della scadenza per l’invio a Bruxelles, Camera e Senato lo approvano senza la men che minima discussione. Ma non basta. La versione finale e ufficiale inviata in Europa incorpora delle modifiche rispetto al testo presentato al parlamento. E non si tratta solo di modifiche formali, dal momento che in quest’ultima versione scompare ogni riferimento, precedentemente presente (seppur in modo vago), alla necessità di introdurre un salario minimo orario in Italia, sul modello tedesco. Il parlamento non ha dunque neanche ratificato il testo finale, in un silenzio quasi totale.

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effimera

San Giorgio e il Draghi (Addavenì San Giorgio)

di Gianni Giovannelli

San Giorgio e il drago Raffaello Sanzio analisi WashingtonEcco la fiera con la coda aguzza
Che passa i monti, e rompe i muri e l’armi:
Ecco colei che tutto il mondo appuzza!
Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;
E accennolle che venisse a proda,
Vicino al fin dei passeggiati marmi.
E quella sozza immagine di froda
Sen venne, e arrivò la testa e il busto;
Ma in su la riva non trasse la coda.
La faccia sua era d’uomo,
Tanto benigna avea di fuor la pelle;
E d’un serpente tutto l’altro fusto.
(Dante, Inferno, canto XVII)

Prologo

Nel 1969, un po’ a sorpresa, la chiesa cattolica decise di declassare San Giorgio; ora, nella liturgia, la memoria a lui dedicata è solo facoltativa, non più obbligatoria. La ragione del provvedimento trova la sua radice nell’assenza di fonti storiche certe che lo riguardino e possano essere di supporto al culto dei fedeli. Esiste infatti unicamente una Passio Sancti Georgii che riporta dati biografici e descrive episodi significativi della sua vita; ma già nel 496 il Decretum Gelasianum aveva bollato l’opera come apocrifa. Per quanto ne sappiamo nacque in Cappadocia e morì giovane, nel 303, in Anatolia; oggi sarebbe un suddito del perfido Erdogan, tiranno poco incline a trattar bene tipi come lui. Ma anche sotto Diocleziano non gli andò meglio, e ci rimise la testa. Nonostante la degradazione pontificia, il culto di San Giorgio gode ancora di ottima salute presso tutte le chiese cristiane, d’oriente e d’occidente; l’indipendentismo popolare catalano, durante le proteste, invoca a gran voce Jordi chiedendo la sua protezione contro la monarchia spagnola. In Inghilterra e in Portogallo, a Genova Ferrara e Reggio Calabria, in centinaia di località dei cinque continenti, il 23 aprile si festeggia questo battagliero tropeoforo (il vittorioso), patrono di chi si batte contro i soprusi.

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carmilla

La notte della Repubblica

di Giovanni Iozzoli

notte 889955A che punto della notte siamo? Nell’oscurità più nera e fredda, che precede l’alba livida? O solo nel mezzo di un buio fitto, denso, che pare eterno: il buio come nuovo presente, nuova forma delle cose.

Sono quasi due anni che questo paese vive dentro uno stato d’emergenza formalmente dichiarato e le forze di governo stanno dibattendo sull’eventualità di una ulteriore proroga – dibattito che si intreccia con quello sulla elezione del nuovo presidente della repubblica. Lo stato d’emergenza è il liquido amniotico dentro cui qualsiasi governo ama sguazzare; in quella beatifica condizione il consenso parlamentare si addensa compatto intorno agli esecutivi; si possono finalmente bypassare leggi, procedure e persino principi costituzionali, mediante semplici strumenti amministrativi. Tutto può essere deciso, tutto può essere ratificato senza lungaggini, seccature e inutili finzioni di dibattito. Chi aveva mai sentito parlare dei DPCM, prima di Conte? Eppure mediante questo tipo di atti si sono proclamati mesi di coprifuoco, come in tempo di guerra. Per non parlare di appalti e affidamenti di servizi – che in epoca di PNRR rappresentano l’unica e ultima ragion d’essere degli ectoplasmi affaristici che i tg ancora definiscono “partiti”. Lo stato d’emergenza poi – ça va sans dire – è l’ideale modello di gestione di ogni conflitto sociale o opposizione reale: manganelli mediatici e manganelli reali diventano dispositivi legittimi, coerenti e funzionali, contro cui pochissimi osano protestare.

Sabato 11 dicembre – alla vigilia dell’anniversario di piazza Fontana – Milano ha celebrato il suo primo week end senza manifestazioni in centro; bottegai e cultori accaniti dello shopping, il giorno dopo hanno esultato a mezzo stampa: per 20 settimane di fila avevano dovuto subire l’invasione di torme indocili, spesso giovanili e periferiche, poco coordinate ma creative e parecchio tenaci.