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‘Historia magistra vitae…’
Alba Vastano intervista Angelo d’Orsi
Disintermediati dai social e condizionati dal tam-tam h.24 delle news televisive, viviamo in full immersion nell’informazione mainstream e i più, orfani della conoscenza storica e quindi delle dinamiche che hanno segnato i grandi mutamenti sociali, economici e politici, tendono a soffermarsi sui fatti attuali, quasi mai legati propriamente alle fonti storiche che ne accertino la veridicità. E per questo si fa un gran vociare e si dà credito ad affermazioni, spesso totalmente artefatte dal rumor sempre più confuso dei media, e a fittizie verità, scollegate dalla storia.
Così si costruiscono pensieri unici e omologati (che tanto fanno il gioco dei lorsignori del potere) e convinzioni errate che alterano la verità dei fatti. Si può, quindi, affermare che solo chi ha indagato profondamente sui grandi eventi storici che hanno modificato gli aspetti e gli assetti delle comunità (perché la conoscenza della storia è frutto dell’ indagine accurata degli eventi) può comprenderne gli sviluppi e le conseguenze. E allora converrebbe porsi degli interrogativi sui grandi fenomeni che dal passato s’intrecciano con il presente e determineranno il futuro dei popoli, in particolare delle generazioni a venire.
Pertanto è ‘cosa buona e giusta’, soprattutto utile per svelare e per conoscere la verità sostanziale dei fatti storici, porre le più scottanti questioni che agitano oggi la nostra esistenza a chi della conoscenza della storia ne fa ‘… vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis» (Cicerone, De Oratore, II, 9, 36).
Nell’intervista che segue, il professor Angelo d’Orsi, illustre storico, risponde agli interrogativi sui grandi eventi di oggi, legando gli eventi in corso alle dinamiche storiche del passato.
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Corte incostituzionale o incompetente?
di Davide Gionco
640 giorni prima di pronunciarsi
Lo scorso 1° dicembre 2022 la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito alla legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale e della sospensione dal lavoro e dallo stipendio per gli operatori sanitari inadempienti all’obbligo di vaccinazione contro il Covid-19. Responso: “Le scelte del legislatore sull’obbligo vaccinale del personale sanitario sono non irragionevoli, né sproporzionate”.
Non intendo entrare nel merito dell’imparzialità politica della Corte. I meccanismi di nomina dei membri sono noti e ciascuno è in grado di giudicare se le nomine vengano fatte per garantire i cittadini o altri interessi di parte del mondo della politica.
La Corte si è dovuta pronunciare a seguito del ricorso fatto da uno dei soggetti aventi diritto. Lo aveva fatto il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, in una ordinanza del 22.03.2022, contro il Decreto Legge 44/2021 del 01.03.2021, successivamente convertito in legge il 28.05.2021, dopo che già il Consiglio di Stato si era pronunciato favorevolmente al provvedimento con la sentenza n. 7045 del 20.10.2021.
Per chi non ne fosse al corrente, il D.L. 44/2021 prevedeva la sospensione dal lavoro e dallo stipendio degli operatori del settore sanitario (compresi gli amministrativi), i docenti ed il personale della scuola, i militari e le forze di polizia.
Ora non vogliamo entrare nel merito della correttezza formale della sentenza, in quanto il sottoscritto non ha le competenze.
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Regionalismo differenziato e UE
di Gerardo Lisco
Le riflessioni che seguono traggono spunto dalla presentazione del saggio del prof. Gian Paolo Manzella, consigliere SVIMEZ e già sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico con il Governo Conte 2, tenutasi a Potenza lo scorso 2 dicembre ed organizzata dal comitato “Comunità e sviluppo Basilicata” di concerto con la stessa SVIMEZ. Manzella è funzionario del Fondo Europeo per gli Investimenti, quindi, potremmo dire, “persona informata sui fatti”.
L’opera si presenta come un saggio di storia della politica regionalista a partire dagli albori della Comunità fino al Next Generation EU. Le differenze e le problematiche territoriali dell’Europa sono tali e tante che la questione regionale è stata centrale sin dall’inizio ed ha influito sugli sviluppi successivi che hanno portato all’attuale Unione Europea. La questione regionale è importante per una serie di questioni che non incidono solo sull’aspetto delle politiche economiche messe in campo dell’UE. Spesso si è fatto leva sulle regioni per ottenere il superamento dei singoli Stati nazionali e poter costruire quella “cosa” che oggi non è uno Stato ma solo un insieme di apparati burocratici e tecnici oltre che di istituzioni politiche, percepita come lontana da diversi milioni di cittadini europei, non solo italiani.
Da Maritain fino a De Benoit, pur se con sfumature più o meno marcate, in molti sono coloro che hanno teorizzato il superamento degli Stati nazionali in funzione della costruzione di quelli che per alcuni dovrebbero diventare gli “Stati Uniti d’Europa”. Il regionalismo che contraddistingue l’azione politica dei singoli Governi Europei, dal Trattato di Roma in poi, è motivato dalla necessità di superare i divari e le disuguaglianze tra le varie regioni europee al fine di costruire un sistema coeso capace, appunto, di superare le differenze tra i singoli Stati che progressivamente hanno aderito alla formazione di ciò che oggi è l’U.E.
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L’affare Soumahoro, determinismo e libero arbitrio
di Michele Castaldo
Dico in premessa: scrivo per chi è disposto a capire.
È costume comune nella società moderna occidentale apprezzare il corruttore e schifare il corrotto. L’affare Soumahoro di questi giorni mette a fuoco una questione sulla quale pochi sono disposti a ragionare, ovvero a cercare – spinozianamente – la causa delle cose e tutti, ma proprio tutti, si ergono a giudici contro il malcapitato nero che ha avuto il torto di farsi corrompere da un sistema corruttore.
Il giornale Il Riformista, di un arcinoto uomo un tempo di sinistra, approdato poi alla corte di sua maestà destra ex socialista, ai piedi del povero corruttore Berlusconi, a proposito di Soumahoro titola in prima pagina: « Perché tutti linciano Soumahoro? Perché è “negro”», si notino ovviamente le virgolette a indicare che non viene linciato in quanto nero, ma perché è negro per lo stato in cui è caduto, perché è un corrotto. Chi non condanna un corrotto? Tutti giudici di Corte d’Assise pronti a condannare il reo.
Il pulpito dal quale si erge a giudice è una delle tante voci del padrone, con uno stipendio di riguardo, al calduccio e in ottimo appartamento, la possibilità di fare vacanze e di viaggiare, di mandare all’università i figli e introdurli magari nella carriera. E dunque sia sempre lodato quello Stato che fa vivere il cotanto direttore profumatamente pagato.
Si vuole un altro esempio, sempre beninteso di un brillante giornalista, che viene intervistato dal Corriere della Sera e dichiara che quando gli fu proposto di dirigere il quotidiano Il giornale dal fratello di Berlusconi, tentennò, perché guadagnava un miliardo di vecchie lire all’anno al Corriere della sera.
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Quando il populismo è strumento di egemonia del potere dominante
di Enzo Pellegrin
In uno dei più conosciuti e bei frammenti de L'ideologia tedesca del 1846, Marx ed Engels sintetizzavano:
«Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio».
Fin qui tutto bene, ma l'aspetto più interessante non è quello che riguarda la sfera del cosiddetto "conformismo", ma quello delle reazioni dissenzienti, generate da quelle che altrettanto marxianamente si usa definire contraddizioni. Ad un altro marxista del ventesimo secolo, Ernesto Laclau, nelle sue riflessioni sul concetto di egemonia, populismo e strategia socialista, piaceva parlare di "domande insoddisfatte".
Possiamo sperimentalmente annotare come negli ultimi anni della politica italiana, le cosiddette contraddizioni o domande insoddisfatte siano state amministrate da quello che viene spesso definito con un intento spregiativo - impropriamente secondo Laclau - "populismo".
Le contraddizioni della crisi di consenso dei partiti tradizionali, dopo gli anni 80, sono state gestite con concetti populisti come "il cancro della corruzione", il "parassitismo corrotto del sud del Paese", concetti di volta in volta utilizzati da partiti come la Lega, ma, anche successivamente e proficuamente - almeno per il primo concetto - dal Movimento Cinque Stelle.
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Per non fare afflosciare il soufflé. Spunti per un nuovo soggetto della sinistra
di Alfonso Gianni
Non potendo certo competere con la conoscenze e le abilità culinarie di Andrea Amato – così bene illustrate nel suo articolo pubblicato in questo sito lo scorso 2 novembre – mi limito, probabilmente in modo più noioso per l’eventuale lettore, a soffermarmi sul senso dell’apologo del soufflè. Ovvero la necessità della costruzione nel nostro paese di un nuovo soggetto politico di sinistra. Non è, almeno per chi scrive, un argomento inconsueto. Se ne parla in diversi modi da circa vent’anni. In particolare da quando i grandi movimenti contro la globalizzazione hanno fatto il loro ingresso sulla scena della politica nazionale e mondiale. Lì si perse senza dubbio un’occasione che poteva essere quella di fare incontrare il movimento dei movimenti con un pensiero politico alternativo al quadro dominante e dare così l’avvio alla costruzione di una forza organizzata che avesse stretti ed interni legami con un largo movimento di massa antagonista. Più o meno così è accaduto in Spagna tra gli Indignatos e Podemos.
Ma non accadde in Italia, certamente per maggiore responsabilità dei gruppi dirigenti delle formazioni della sinistra d’alternativa che quella delle avanguardie di quel movimento che dette vita a manifestazioni memorabili, Genova in primis. Neppure il riferirsi al Partito della Sinistra Europea, cercando di promuoverne l’iscrizione individuale diretta – come si è tentato di fare quando Fausto Bertinotti aveva la presidenza di quel partito – ha avuto successo. L’idea era proprio quella di sfuggire alla frantumazione in tante piccole case delle forze della sinistra di alternativa, trovando una unità a un livello sovrannazionale. Il tentativo non ha funzionato anche perché l’attrattiva del Partito della Sinistra Europea è stata ed è molto bassa.
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Per farla breve, il Socialismo
di Lanfranco Binni
Della situazione politica italiana dopo le elezioni del 25 settembre è facile avere una visione distorta se si scambiano per dati reali i trionfi e i gemiti e i sussurri di un sistema politico che ne è uscito a pezzi. L’astensione al 40% ridimensiona e relativizza i dati elettorali: il nuovo governo della coalizione di destra è espressione di un quarto degli elettori ed è stato premiato unicamente dalle regole perverse del sistema elettorale; nella coalizione di destra, alla vigilia dell’incarico a FdI sono già all’opera le contraddizioni interne e gli interessi concorrenziali dei gruppi di potere; il governo è maggioritario nella scena parlamentare, ma minoritario nel paese: non ha vinto la destra, ha perso il cosiddetto centro-sinistra, politicamente inesistente e frantumato nelle sue componenti interne neoliberiste e pseudo-riformiste. Ma il dato principale è la crisi definitiva del sistema politico, di una sedicente “democrazia rappresentativa” che, morta la “sinistra” storica, non rappresenta più le classi popolari che l’aveva espressa. Il ricambio dei gruppi dirigenti sarebbe oggi affidato, sotto la garanzia del gesuita Rasputin della finanza e dell’atlantismo statunitense, alla destra neofascista erede del fascismo storico e delle pratiche stragiste dagli anni sessanta in poi, con tutte le sue articolazioni “patriottiche” e internazionali. Il tutto in presenza di una crisi internazionale del capitalismo occidentale che reagisce con i tradizionali strumenti della guerra in difesa di un mondo unipolare a guida statunitense reso insostenibile dal rafforzamento di una tendenza multipolare che unisce sempre più una parte maggioritaria del pianeta, e sullo sfondo il panico di una catastrofe climatica in atto a cui si pensa di reagire con la corsa alle materie prime come se fossero le ultime di cui impadronirsi, con la corsa alla guerra in tutte le sue forme anche come investimento produttivo. Ma il quadro è molto più complesso delle semplificatorie narrazioni della “propaganda fide” occidentale.
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Rigassificatore, a Piombino si gioca il futuro energetico dell’Italia
di Verdiana Siddi e Massimo Cascone
C’era una volta una terra baciata da tramonti struggenti e accarezzata dalla schiuma che diede luce alla dea Venere, e sette son le perle che dal suo collo andarono in dono al mare davanti a Piombino.
In cerca del brivido degli affari se ne andava in giro un certo Roberto Cingolani, da docente a direttore scientifico per importanti istituti, poi per grandi multinazionali, fino a diventare direttore non esecutivo nel consiglio di amministrazione della Ferrari, ma fu da ministro che egli si occupò di enormi rigassificatori di gas liquido statunitense, il più osceno di tutti lo volle in dono al mare davanti a Piombino.
***
Sono passati solo pochi mesi da quel fatidico 7 aprile, quando Mr. Draghi pronunciò in conferenza stampa l’altrettanto fatidica frase:
Ci chiediamo se il prezzo del gas possa essere scambiato con la pace. Di fronte a queste due cose, cosa preferiamo: la pace oppure star tranquilli con l’aria condizionata accesa tutta l’estate?
Da allora molte cose sono cambiate – per non dire peggiorate: la guerra non è stata affatto fermata dalle famose sanzioni che “avrebbero dovuto mettere in ginocchio l’economia russa” (semi-cit.), ma anzi continua a essere alimentata dall’invio di armi; l’inflazione, o meglio la speculazione, ha portato i costi delle materie prime alle stelle; i più recenti avvenimenti (1) hanno messo in serio pericolo la nostra fonte sicura di metano, quella russa, il cui impianto è ancora funzionante ma con un flusso drasticamente ridotto a causa delle sanzioni e, Austria a parte, adesso non si tratta più di accendere l’aria condizionata d’estate ma piuttosto di non morire di freddo d’inverno.
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Draghistan: dalla coscienza di classe al letargo della consapevolezza
di Luca Busca
Per avere un’informazione completa bisogna anche leggere e ascoltare i media mainstream. Per questa ragione mi sottopongo quotidianamente allo stillicidio di leggere Repubblica e altri improbabili quotidiani, oltre a un paio di settimanali. La sera poi mi tocca il supplizio alternato del TG1, con i suoi servizi melensi da libro Cuore, o del veleno inoculato dal Mamba Mentana sulla 7. Negli ultimi giorni, su tutti questi media, imperversa il pianto del coccodrillo piddino. Mi ha particolarmente colpito la relazione del segretario Letta che “non ha risparmiato dure critiche al partito e a se stesso”.
Secondo il “nipote di suo zio” l’errore più grave del PD è stato quello di sacrificarsi per il bene del paese assumendosi le responsabilità dei governi “tecnici” di larghe intese che ormai caratterizzano la politica italiana. Quindi il “chierichetto di De Mita” ha sentenziato, con il plauso di tutta la dirigenza del partito, che “mai più al governo senza aver vinto le elezioni” e “quando il prossimo governo cadrà, chiederemo di andare alle elezioni, basta governi di larghe intese ...”. In poche parole la strategia vincente adottata dalla Meloni. In sostanza, l’ennesimo segretario democristiano che il PD si è regalato, come programma politico propone di copiare il compito in classe dalla compagna di banco!
La pesante autocritica non fa parola degli errori commessi e delle responsabilità che il partito ha avuto e ha ancora nella disastrosa gestione della pandemia; nell’aver condotto il paese in una guerra insulsa che sta massacrando economicamente la popolazione italiana; nella soppressione del diritto al lavoro, per non parlare di quelli civili; nell’appropriazione indebita dei beni comuni; nel massacro della scuola e della sanità pubblica; nella altre varie ed eventuali.
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Fuga o protesta?
di Mauro Boarelli
Cosa dicono i numeri (e cosa non dicono)
La previsione si è avverata. Il partito (post)fascista è stato quello più votato alle ultime elezioni politiche. Per la prima volta nella storia del dopoguerra il governo sarà guidato da una personalità proveniente da una cultura politica antitetica a quella che ha dato origine all’Italia repubblicana, una cultura avversata nella lotta politica, nelle carceri e al confino, nella guerra partigiana da tutte le correnti di pensiero che hanno cooperato nella scrittura della Costituzione. Un mutamento di paradigma sintomo e causa al tempo stesso della lunga crisi del sistema politico e rappresentativo che giunge ora a un punto di svolta.
Certo, il dato elettorale va contestualizzato. L’affermazione della destra non è così netta come emerge dalla distribuzione dei seggi. La coalizione, infatti, ha ottenuto circa 150.000 voti in più rispetto alle elezioni precedenti, un incremento molto modesto. L’effetto valanga è dovuto unicamente a una legge elettorale che distribuisce un numero rilevante di seggi in modo del tutto abnorme rispetto al reale peso elettorale, una legge targata Pd e concepita da un ceto politico incapace e irresponsabile. La maggioranza parlamentare (e di conseguenza la composizione del governo) sarebbe stata diversa se gli strumenti della democrazia rappresentativa fossero stati usati tenendo fermi i principi costituzionali, ma in ogni caso l’espansione impressionante di Fratelli d’Italia (che aumenta del 410% i propri voti) è un segno inequivocabile del mutamento culturale in atto.
L’altro aspetto centrale del mutamento è l’astensionismo.
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Draghistan: “la libertà non è un spazio libero, la libertà è partecipazione”*
di Luca Busca
Analisi del voto
Il giorno dopo le elezioni ogni partito celebra la propria vittoria. Risulta, infatti, difficile trovare un dirigente di partito che riconosca la propria sconfitta, i propri errori e soprattutto che chieda scusa al popolo che ha tradito con le proprie azioni politiche. Se andiamo a guardare, però, i risultati effettivi ci si rende conto che la realtà è completamente diversa e, ad ogni tornata elettorale, diventa sempre più evidente. Qui sotto vengono riportati i dati numerici degli elettori dei singoli partiti con le percentuali calcolate sul totale degli aventi diritto invece che sui votanti.
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Il programma economico e sociale di Fratelli d’Italia
di Luca Michelini
Non esiste un’ampia letteratura scientifica sul partito di Fratelli d’Italia. Fino agli inciampi politici della Lega, del resto, FdI sembrava essere un partito privo di alcuna centralità politica. Il governo Draghi, riunendo tutti gli altri partiti (esclusa SI, certo, tuttavia marginale sul piano parlamentare e tradizionalmente succube del Pd), ha fatto il gioco di chi stava all’opposizione. Manca, soprattutto, un’indagine sistematica sulla cultura e sul profilo sociale della classe politica di questo partito. Mi concentro, dunque, solo su alcune fonti di informazione: anzitutto sul programma, che è pubblicato sul sito del partito.
La prima cosa che si può evidenziare è una certa continuità storica con una parte della tradizione della destra italiana, che affonda le proprie radici nel Ventennio. Con questo non voglio rispolverare la questione della natura ancora fascista del partito, accodandomi al coro di chi, in vista delle elezioni, sventola il pericolo nero dopo aver fatto di tutto, sul piano politico e sociale, per alimentarlo. Mi limito, invece, a constatare linee di continuità, segnalando anche quelle di discontinuità. Il mio intento non è polemico, ma analitico. In ogni caso, nel simbolo del partito ancora campeggia la fiamma tricolore, segno di una ricercata e ostentata continuità.
La destra fascista appare come il riferimento culturale e soprattutto programmatico del partito. Sì, perché il fascismo ha avuto una destra e una sinistra, che ha avuto un afflato sociale, come sappiamo. La destra fascista aveva come punto di riferimento una cultura economica saldamente ancorata alla tradizione liberale ed esaltava la cosiddetta libertà del lavoro. Negli anni venti questa libertà aveva un connotato esplicitamente e fondamentalmente antisocialista e antidemocratico, avversando qualsivoglia politica economica redistributiva.
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Draghistan: nessuno ha osato disturbare the sound of silence*
di Luca Busca
Che questa sarebbe stata una campagna elettorale anomala lo si era già capito quando, a luglio, Draghi e Mattarella di comune intesa realizzarono il golpe bianco indicendo elezioni a settembre. Normale, quindi, che tra un ombrellone e un trekking la campagna elettorale partisse al rallentatore, molto meno che lo rimanesse anche a settembre.
Il PDF (Partito Democratico Fascista) ha evitato in qualsiasi momento di esprimere contenuti politici puntando tutto sull’esigenza di fermare il fascismo insorgente con la vittoria della Meloni. Fascismo peraltro ampiamente confermato dal rifiuto opposto dalla Pausini alla richiesta di cantare Bella Ciao. La Meloni dal canto suo ha osservato un assoluto silenzio per evitare di passare da fascista, si è prostrata all’altare della Nato mantenendo un profilo basso. Solo due piccoli interventi, frutto dell’utilizzo di sostanze stupefacenti di pessima qualità, sul “diritto a non abortire” e sul lesbismo dilagante di Peppa Pig hanno mostrato la tempra di chi non molla. La Lega sottovoce ha ricordato che gli immigrati ci rubano il lavoro, la corrente elettrica e le barche a Lampedusa. Berlusconi ha solo ceduto i suoi pezzi migliori (Carfagna, Gelmini e Brunetta) al Grande Centro, per poter meglio “inciuciare” con l’Agenda Draghi al fine di continuare ad affossare l’Italia. Il M5S con toni sempre molto pacati ha ricordato al proprio elettorato tutte le stronzate fatte, negando le proprie posizioni in merito a pandemia e guerra. I “cocomeri” finita l’estate, come è normale che sia, sono scomparsi, contenti dell’elemosina di qualche seggio concessa dal PD.
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Il babau fascista e la (solita) tiritera antifascista
di Sandro Moiso
«Fin da molti anni addietro, noi affermammo senza esitazione che non si doveva ravvisare il nemico ed il pericolo numero uno nel fascismo o peggio ancora nell’uomo Mussolini, ma che il male più grave sarebbe stato rappresentato dall’antifascismo che il fascismo stesso, con le sue infamie e nefandezze, avrebbe provocato; antifascismo che avrebbe dato vita storica al velenoso mostro del grande blocco comprendente tutte le gradazioni dello sfruttamento capitalistico e dei suoi beneficiari, dai grandi plutocrati, giù giù fino alle schiere ridicole dei mezzi-borghesi, intellettuali e laici». (Amadeo Bordiga, intervista a cura di Edek Osser – estate 1970)
A pochi giorni di distanza dalla “fatidica” data del 25 settembre, è difficile dire quanti saranno gli elettori che si presenteranno, convinti e con la tessera elettorale in pugno, ai nastri di partenza dell’ennesima e gaglioffa tornata elettorale.
A giudicare dai risultati degli ultimi anni, pochi. Molto pochi. Considerato soprattutto il fatto che, nell’attuale competizione, a farla da padrone sono stati più i nomi e le poltrone “garantite” dei candidati che non i programmi. Ma se anche così non fosse, vale comunque la pena di sottolineare come l’uso dei termini “fascismo” e “antifascismo” abbia ancora una volta caratterizzato la propaganda di una sinistra sempre più esangue e asservita alle esigenze del capitale nazionale e internazionale.
L’attuale farsa elettorale, infatti, vede le sinistre, più o meno parlamentari di ogni grado e risma, ricorrere ancora una volta all’espediente narrativo, già troppe volte visto in scena sia sui palcoscenici istituzionali più importanti che nei teatrini politici più scadenti, secondo il quale l’elettore “di sinistra” dovrebbe accorrere alla chiamata alle armi per difendere nell’urna la “democrazia” e la costituzione dall’ennesimo e vile assalto “fascista”.
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Astensionismo, democrazia, mercato
di Il Pedante
Come si ripete ovunque, incombe sul prossimo appuntamento elettorale il convitato di pietra dell’astensionismo, il «partito» che negli ultimi tempi raccoglie la maggioranza – spesso anche assoluta – dei consensi. Molti temono l’astensionismo, altrettanti lo auspicano e lo raccomandano: spesso, e in entrambi in casi, per gli opposti motivi. Insomma la democrazia, stanca, delude e perde appeal, ma sarebbe sciocco addebitarne la responsabilità agli elettori, a chi cioè certifica una sofferenza e non a chi la infligge o la ignora.
Il presupposto minimo di una democrazia rappresentativa è che negli organi decisionali siano rappresentati più o meno proporzionalmente i bisogni e le idee di tutti i cittadini. Fallito il presupposto, fallisce il concetto. Ora, dal 2018 a oggi non si sono solo visti gli opposti partiti con i loro opposti programmi approvare le stesse leggi nelle stesse compagini governative, in barba alle collocazioni di chi li aveva eletti. Al di là dei colori, il principio di rappresentanza è stato tradito nei fatti che hanno inciso di più sulle esistenze dei cittadini. La ferita ancora aperta delle discriminazioni sanitarie ha messo in evidenza la marginalizzazione politica pressoché totale degli elettori avversi a queste misure, il cui numero, benché mai seriamente stimato, parte dal 15% di coloro che non hanno mai ricevuto le due dosi del ciclo vaccinale primario, si aggiunge al 17% di chi non ha fatto la terza dose e si estende ai tanti (altrettanti? di più?) che hanno subito la crociata farmaceutica controvoglia o almeno disapprovato i metodi con cui la si è imposta. Qualunque sia il risultato finale, si tratterebbe di percentuali sproporzionatamente alte rispetto al 12-13% dei parlamentari che hanno ad esempio votato contro l’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni, o bocciato l’estensione del «super green pass» nei luoghi di lavoro.
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Autori Vari: Sul compagno Stalin

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A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio

Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato

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Luca Busca: La scienza negata

Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung

Daniela Danna: Covidismo
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Davide Miccione: Quando abbiamo smesso di pensare

Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica

Qui una anteprima del libro
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica

Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto







































