Print Friendly, PDF & Email

tempofertile

Eros Barone, circa "Fisica e metafisica": internazionalismo, sinistra e immigrazione

di Alessandro Visalli

automatDevo ringraziare lo sforzo di Eros Barone e di Mario Galati che si sono divisi il lavoro nel rispondere con grande attenzione e qualità argomentativa al mio testo su Macerata (qui nel mio blog e qui in Sinistrainrete). Nella risposta di Eros Barone “Fisica e metafisica dei fatti di Macerata”, a sua espressa indicazione, vengono trattati i temi: della mia accusa, a suo dire, di schematismo e tradizionalismo nei suoi confronti, avanzata nella mia replica (che quindi rovescia); della dinamica di emigrazioni ed immigrazioni; della proposta di politica economica alternativa e dell’interpretazione dell’ultimo Marx. Mentre nella risposta di Mario Galati “Ancora su ‘letture del dramma di Macerata’”, che leggeremo dopo, sarebbero trattati gli altri temi che i due individuano nel mio testo, ovvero: la violenza e le sue cause e quindi la questione dello “scontro delle secolarizzazioni”; l’interpretazione concettuale dei processi di astrazione del lavoro e della mobilità interregionale; la riaffermazione dell’importanza dell’irrazionale dei riti e del simbolico, con il riferimento alla ‘religione del capitalismo’ e la ‘questione della tecnica’. Si tratta di una sequenza di post che su Sinistrainrete partiva dalla pubblicazione di “Sui fatti di Macerata”, un dialogo con Roberto Buffagni, e che nelle sue articolazioni ha avuto più o meno 3.000 letture.

I due amici si sforzano nelle loro repliche di correggere i miei molti errori in termini di ortodossia marxista, e di questo li posso solo ringraziare.

In particolare, Eros mi accusa di essere ‘borghese’ (diciamo come i padri fondatori) e mi pare di poterlo concedere, anche se di minore rango. Nella mia risposta a caldo, infatti, ho scritto:

Ringrazio, in tutta sincerità Eros Barone per il grande impegno con il quale cerca di correggere i miei molti errori. Ovviamente confermo di buon grado la sua ortodossia e confesso, il capo cosparso di cenere, la mia cultura borghese. Ciò detto, amico mio e compagno (scusa), credo anche io che il socialismo sia la soluzione. E che altre strade non esistano. Credo anche che alcune sottovalutazioni ed alcuni atteggiamenti lo allontanino, ed altri possano essere utili. Mi spiace di non avere le tue certezze sulla scienza, la direzione, i gusti gastronomici (beccato! ho letto i francofortesi, e non beccato! Huntington non proprio il mio amico, casomai il termine lo uso al modo di Charles Taylor). Riguardo alla causa della emigrazione non è solo la guerra, ma questo lo sai e passiamo... Sulla tua interpretazione di crisi economica di sovrapproduzione di capitale negli anni settanta si potrebbe ragionare (la sovrapproduzione di capitale non è un effetto, anziché causa, della sovrapproduzione produttiva determinata dalla competizione, ovvero dalla perdita di centralità USA? Il meccanismo che indichi non mi è chiarissimo, quale è la fonte di questa interpretazione? Poi però passi alle parole d'ordine, le condivido tutte, nessuna esclusa. Ovviamente per poterle attuare, o avvicinarsi, bisogna recuperare capacità di determinazione politica, ovvero fare i conti con la mobilità dei capitali e con quella delle merci (free trade). Come ci arriviamo? Certo, se dobbiamo partire dalla tua notevolissima frase: ‘se nel cuore del modo di produzione capitalistico non vi fosse una contraddizione in grado di farlo saltare, tutti i nostri sforzi in questo senso sarebbero semplicemente donchisciotteschi’, dovrei capire che la domanda non ha senso. Ci si arriva direttamente, per forza, da solo. Vedo bene la fonte, ma anche la struttura, se non vi fosse... noi non serviremmo. Se non c'è semplicemente il mondo è aperto, non è determinato. Cosa c'è di orrendo, qual senso di perita di orientamento, di limiti e centro (come disse Keplero) ti fa retrocedere in questo modo davanti alla possibilità che liberare Marx dal determinismo implichi ‘l'indeterminismo’? Saltando oltre, mi sarò spiegato male su vera Zasulic, del resto sono testi brevi, ma capisco bene che quello è l'argomento di Marx, è il grado di sviluppo delle forze produttive che rende immaginabile (non necessariamente possibile) evolvere verso il socialismo senza passare per lo strazio della proletarizzazione. Non penso a salti senza vincoli, e non so cosa significhi ‘via di sviluppo strettamente localista e nazionale’, mai una nazione è strettamente sola. E mi spiace per la tua proiezione (scrivo di getto e quindi salto qui e lì) ma non idealizzo affatto il passato, tanto meno precapitalista. Io sono figlio di un metalmeccanico (ancorché quadro e poi dirigente), e nipote di artigiano industriale, per risalire ad un contadino devo andare al 1800. Poi, va beh, se tutto si riduce a revisionismo-ortodossia, confesso tranquillamente di non essere mai stato ortodosso di nulla. Scusa.

Stabilito dunque che io sono eterodosso (ma non revisionista), temo di doverti confermare, caro Eros, che pur dispiaciuto non credo che nel ‘cuore’ del ‘modo di produzione’ capitalistico c’è (nel senso dell’essere) una contraddizione in grado di farlo necessariamente ‘saltare’, pur sapendo che era l’ìdea sulla quale il vecchio Marx (ma partendo dal giovane) aveva costruito la sua proposta politica. Sottolineo “politica” perché questa è la parte non scientifica della sua teoria, a mio parere. La scienza non esprime mai formule finali, affermazioni sull’essere. Anzi, da Newton in poi essa si forma proprio a partire da questa partizione, la particolare e contraddittoria metafisica della scienza (quando diventa scientismo ed ideologia) è tutta in questa pretesa, di poter dire senza affermare la Verità. Di dire attraverso il mezzo del ‘metodo’, ovvero attraverso numero e classificazione.

Quando Marx compie questa affermazione (via via con maggiore circospezione) in lui, politico, filosofo e scienziato, sono i primi due termini a prevalere.

Stiamo tuttavia, mi pare, facendo una sorta di gioco: quello di rinfacciarci vicendevolmente l’accusa di irrazionalismo, anche se appare soprattutto da una parte, è per me irrazionale il culto del progresso (ed è, appunto, cultuale) ed è per voi irrazionale ogni richiamo che sospenda il riferimento al vero del discorso scientifico (con diverse accentuazioni), ed in particolare di quello cristallizzato nella tradizione marxista. Ma nel fare questo gioco, io credo, proiettiamo vicendevolmente i nostri fantasmi.

Nel rispondervi, dunque, cercherò di sospendere il gioco (magari non ci riesco).

Il programma di lavoro condiviso dei due compagni che mi replicano è piuttosto interessante: Galati si troverà a dire in sostanza che l’ipotesi interpretativa della violenza scatenata (una semplice congettura) è plausibile, ma attaccherà con vigore una metafisica che vi intravede circa la ‘natura umana’, opponendovi l’ipotesi che l’uomo, al di là di quel che la scienza riesce a inquadrare come biologia, biochimica, fisiologia e neurologia (per fare esempi), sia determinato dai rapporti sociali di produzione e riproduzione; schematismo e tradizionalismo saranno rovesciati da Barone, che accusa ogni posizione non conforme al discorso scientifico cristallizzato in Marx di essere reazionario e quindi ‘tradizionalista’; attacca, come del resto Galati, la mia ipotesi (che, però, non è ripresa dal neo-zapatista Marcos, ma molto più dal marxista Amin, di cui ho fatto lettura sistematica di quasi tutti i libri) sulla ‘disconnessione’ difensiva dalla macchina valorizzante del capitalismo mondializzato e rallentamento/deviazione della trasformazione in corso; Galati glossa la mia interpretazione ‘concettuale’ (per lo più derivata dalla scuola ‘Crisis’) dei processi di astrazione del lavoro, ma mi pare lo faccia poco; quindi attacca con grande vigore, e notevole proiezione, la “riaffermazione dell’importanza del carattere irrazionale dei riti e del simbolico” (che ho sottolineato nel documento facendo uso di uno dei più razionalisti filosofi occidentali, che probabilmente non ha letto, come Habermas nei suoi ultimi scritti) e quindi la ripresa del discorso sulla Obscina come reazionario e populista; da ultimo Barone si riserva di discutere la proposta finale e la chiusa sulla lettera a Vera Zasulic.

Una replica che aggira in sostanza tutti i punti fattuali e le proposte interpretative dei meccanismi concreti economico-sociali (ovvero quelli che si chiamano “modi di produzione”) per concentrarsi, evidentemente perché giudicati prioritari, sulla supposta interpretazione culturalista-reazionaria del mio dire.

Intanto partiamo da Barone, come ho detto mi spiace ma non mi riferisco affatto a Samuel Huntington quando uso il termine ‘secolarizzazione’, ed il contesto di critica della razionalità avrebbe dovuto renderlo chiaro. Mentre il politologo americano usa il termine nel quadro della geopolitica e molto chiaramente in una chiave di affermazione dell’imperialismo anglosassone (in perfetta continuità storica con il colonialismo), il dialogo originale dovrebbe rendere ovvio che qui si tratta di una critica inserita nel contesto verticale storico (e non orizzontale geografico). La secolarizzazione è incorporata nella intera struttura dei rapporti sociali, produttivi e nelle tecniche che ne sono coproduttori, non in supposte e isolate “identità culturali e religiose” che vivano nel vuoto. Questo attacco di Eros è propriamente una proiezione, nessuno usa una categoria, tanto più che ha diverso significato, “in senso esplicativo o addirittura in senso antropopaico, predittivo”. Possiamo benissimo usare il termine familiare di “conflittualità imperialistica”, ma in questo secondo decennio del terzo millennio avremmo l’onere di spiegarlo a chi non ha letto cinquanta libri di Marx, o di Lenin.

Dopo di che, voler richiamare ai fattori economici, di cui in effetti mi sembra di dare più estesa spiegazione nel mio pezzo che nella replica di Eros, mi pare giusto. Ma nessuno, e tanto meno io che avrò scritto cinquecento post di argomento economico, pensa che si possa ragionare del culturale come ‘sfera autonoma’. Anzi, io penso che non si possa ragionare di nulla sull’uomo come ‘sfera autonoma’.

La proiezione, dopo l’equivoco sulle fonti, arriva a dire semplicemente che la mia impostazione sarebbe “culturalistica e orientata ad una populistica nostalgia per il mondo precapitalistico” (che, come è ovvio, non ho mai conosciuto, io, abitante sempre in città oltre il milione di abitanti), e quindi nel replicare alla sua osservazione, in “Lo scontro delle secolarizzazioni”, passerei con non pochi “sussulti regressivi” dalla metafisica alla fisica.

Ora, ‘metafisica’ è termine piuttosto facilmente rovesciabile su ogni affermazione di Verità (di cui è letteralmente intessuto il testo di Eros), e quindi corriamo avanti, ed anche l’accusa di gastronomia, a fronte dell’ortodossia a pasto unico del nostro. Ma il passo citato, fa riferimento ad un meccanismo concreto (l’influenza del microcredito nell’espellere persone da economie demonetizzate), non certo ad un filosofema, o ad una posizione teorica. Insomma, qui non sto sul registro filosofico, né su quello politico, ma più su quello ‘scientifico’.

Scrivevo: “…le persone che sono ‘aspirate’ in occidente dalla domanda di lavoro debole alimentano anche il trasferimento di poveri surplus monetari che insieme alla trasformazione dei pochi settori produttivi in industria da esportazione estranea al tessuto locale e dipendente dai capitali esteri, attraggono e corrompono, disgregandole, aree ancora relativamente esterne al circuito della valorizzazione, contribuendo a 'monetizzarle', ovvero a ricondurle entro il circuito astratto e impersonale del capitale e della sua logica”;

L’obiezione di Barone, imperniata in una famosissima lettera di Marx, non è chiara; è ovvio, e lo ho scritto molte volte (ad esempio qui, in cui citavo la medesima lettera), che la lotta di classe ha anche a che fare con la lotta tra i poveri, in quanto questa è un’arma nelle mani del capitale. Ma una parte della cultura comunista ne conclude che se è un’arma del capitale allora è falsa: la politica qui prevale sulla scienza. In altre parole, se forze di destra e populiste la usano allora bisogna negare che il fenomeno (che Marx descrive) esista. Che, se qualcuno tenta di far concentrare l’attenzione sugli immediati concorrenti, anziché sulle cause strutturali, allora solo l’interruzione dell’imperialismo, il ritiro di tutte le forze armate di occupazione (pudicamente chiamate in altro modo), si deve attuare. E allora altre strade non esistono, rispetto alla piena e universale affermazione del socialismo. Più precisamente:

“…la soluzione di questo problema esiste: ritirare tutti i reparti militari presenti in tutti i paesi, smascherare le operazioni di “peacekeeping”, fermare le guerre, le occupazioni militari ed ogni ingerenza in quei paesi. In poche parole: uscire dalla NATO. Insieme con l’interruzione delle azioni militari, occorre poi sopprimere il rapporto di dominio economico con quei paesi e, di conseguenza, smettere di sottrarre ad essi risorse e materie prime, sfruttando in modo disumano la loro manodopera, come è prassi comune di tutte le imprese multinazionali. Solo ripristinando con quelle nazioni rapporti di cooperazione e non di rapina, si può regolamentare in modo risolutivo il fenomeno dell’immigrazione. Se questa politica fosse applicata nell’arco di un ventennio, il numero degli immigrati comincerebbe a diminuire fino a livelli normali. Ma ovviamente nessuna politica di questo genere può essere applicata in un sistema che è fondato sul potere dei grandi monopoli, in un sistema che vede gli Stati interamente asserviti ai loro interessi. Il socialismo è l’unica soluzione giusta e razionale di questo problema, poiché, come sarà dimostrato in un prossimo paragrafo, permette di realizzare con i paesi del Terzo Mondo una politica di cooperazione, non di rapina. Altre strade non esistono”. (Eros Barone)

Bene, qui la ‘sinistra’ buonista, cosmopolita e filo-imperialista finisce, nella pratica e soprattutto nella percezione di chi non è avvezzo a così sottili distinzioni, ad andare curiosamente a braccetto con la ‘vera sinistra’ socialista e comunista, internazionalista e anti-imperialista: i fratelli immigrati devono essere accolti.

Certo, magari nella ‘vera sinistra’ questa posizione è intrecciata con un riverbero, un’eco o un fantasma, del teorema marxiano (formatosi precocemente già nella sua polemica con List del 1845, aveva ventisette anni, e in favore della teoria cosmopolita di Adam Smith) secondo il quale, nelle condizioni di sviluppo della tecnica della metà dell’ottocento, lo sviluppo capitalista preparava la sua distruzione in quanto sottraendo agli uomini le proprie basi di esistenza e concentrandoli nelle grandi fabbriche urbane in condizioni di crescente pauperizzazione, coltivava le condizioni della rivolta della ‘grande maggioranza’. I semi della dissoluzione nascono da questo ‘mettere con le spalle al muro’ la grande maggioranza e sradicarla (sottraendola al controllo delle ideologie, del prete come delle clientele agrarie). In questo, ben chiaro e ben comprensibile (anche geniale nel suo tempo) teorema poggia la logica politica dell’applicazione filosofica dell’hegelismo che Marx oppone efficacemente ai concorrenti ideologici del suo tempo (che sono Mazzini, Proudhon, Blanc, Bakunin).

Scriverà Marx nella sua critica a List:

“The nationality of the worker is neither French, nor English, nor German, it is labour, free slavery, self-huckstering. His government is neither French, nor English, nor German, it is capital. His native air is neither French, nor German, nor English, it is factory air”

“La nazionalità del lavoratore non è né francese, né inglese, né tedesco, essa è lavoro, schiavitù libera, auto-sbandamento. Il suo governo non è né francese, né inglese, né tedesco, è il capitale. La sua aria nativa non è né francese, né tedesca, né inglese, è l’aria della fabbrica”.

E’ in questo senso, nel 1845, che l’idea di nazione, difesa dall’economista tedesco in vista di uno sviluppo autocentrato e corrispondente alla propria identità (una idea con riverberi romantici, ma non antidemocratica), è aberrazione e falsa coscienza. La difesa della propria nazione dalla forza aggressiva del capitalismo internazionale, anche quando nasconde l’imperialismo, rallenta lo sviluppo delle forze della rivoluzione che crescono necessariamente e dialetticamente in seno a questa.

Il problema è quindi per Barone, “uno di quei nodi inestricabili del sistema borghese che possono essere sciolti solo con il totale ribaltamento di prospettiva realizzato dalla società socialista”, oppure si potrebbe scrivere diversamente: “il problema dell’immigrazione nei paesi occidentali è un nodo che può essere sciolto solo con il totale ribaltamento di prospettiva realizzato dalla società mondiale universale democratizzata” (questo lo direbbe un ‘buonista’, o un redivivo Adam Smith). Nella spiegazione macroeconomica, piuttosto abbozzata, che segue Eros Barone fa ampio uso infatti di termini come “irrisolvibile”, “mutamenti di carattere epocale”, “non possono non”, e di un modello ‘idraulico’ di travaso dei capitali (come fossero cose) che meriterebbe maggiore riflessione e maggiori letture economiche, probabilmente. Certo, alcune di queste sono non marxiste…

Di seguito comunque si riprende l’argomento di Boeri (senza avvedersi della sua struttura neoclassica e del carattere statico dell’analisi) secondo il quale sarebbe la carenza di italiani a determinare la presenza degli stranieri, che porterebbero più ricchezza. Ma poi si ammette, al converso, che la loro presenza riduce la forza negoziale dei lavoratori italiani (i quali, direi, per questo decrescono). E si conclude che “tra Scilla e Cariddi” resta solo di uscire dal capitalismo. Boeri è in questo più coerente: questo è il migliore dei mondi possibili e nessuno sfrutta nessuno.

Insomma, anche se da posizioni opposte, se “uscire dal capitalismo” o promuovere la “società democratica mondiale”, alla fine la soluzione è solo accelerare e correre avanti. Ciò anche se oggi la piattaforma tecnologica del capitalismo sparpaglia invece di concentrare, divide e controlla, invece di uniformare (ma qui dovrei rimandare a troppi post).

Magari ora sto proiettando io, e dunque me ne scuso, ma non vedo molta coerenza con le parole d’ordine che seguono, per la “fase di transizione”:

“…nella fase intermedia occorre individuare le giuste rivendicazioni della lotta popolare, che saranno tali solo se soddisferanno tre fondamentali requisiti: aumentare il benessere dei lavoratori, modificare a favore del proletariato i rapporti di forza tra questo e la borghesia, elevare la coscienza di classe del proletariato svelando a tutto il popolo l’insanabile contraddizione tra il sistema capitalistico e gli interessi materiali e morali dei lavoratori. Queste sono dunque le giuste parole d’ordine: no alla ‘guerra tra i poveri’; non sono i proletari immigrati a rubare il lavoro ai proletari autoctoni, ma è il capitalista che lo ruba quando delocalizza la produzione: nazionalizzare le aziende che delocalizzano la produzione; non sono i proletari immigrati a fare concorrenza a quelli autoctoni e ad abbassare il loro salario, ma è il capitalista che scatena la concorrenza per abbassare i salari: salario minimo per tutti fissato per legge; non sono i proletari immigrati a fare la guerra, ma sono i capitalisti imperialisti che portano la guerra e la distruzione ai popoli del resto del mondo: fuori l’Italia dalla NATO e fine della partecipazione dell’Italia a tutte le guerre imperialiste; non sono i proletari immigrati a restringere le possibilità di sostegno al lavoro e ai servizi pubblici, ma i trattati europei che strangolano i popoli d’Europa: fuori l’Italia dall’Unione Europea e dall’euro”.

Accettiamo anche queste parole d’ordine, ma nella transizione della transizione? Lasciamo entrare tutti indifferentemente e poi fidiamo nel salario minimo e nella struttura repressiva necessaria per farlo applicare universalmente la loro espulsione dal mondo del lavoro? Perché, spero che il filosofo Barone se ne renda conto, in una economia capitalista competitiva a parità di salario si sceglie il più produttivo, e non può essere un immigrato da poco tempo e ancora poco integrato. E quindi che facciamo? Lo integriamo con risorse pubbliche estendendo a loro il “lavoro di ultima istanza” che sarebbe una soluzione più idonea sotto diversi profili? Nell’ambito di quali rapporti di forza?

È del tutto vero che “non sono i proletari immigrati a fare concorrenza a quelli autoctoni e ad abbassare il loro salario, ma è il capitalista che scatena la concorrenza per abbassare i salari”, ma questo è il meccanismo di base della valorizzazione capitalista e della stessa esistenza del lavoro astratto perché riducibile a metrica comune (Lohoff, che è marxista). Dunque è vero, ma dirlo non serve a nulla fino a che non si interrompe del tutto (del tutto) la logica del valore.

Di seguito Barone riprende ancora argomenti “borghesi”, come la rilevanza del flusso economico di ritorno nel favorire lo sviluppo dei paesi del terzo mondo. Confesso un particolare: nei miei post attacco questo argomento (anche se in parte è corretto) proprio perché alcuni amici del PD, anche noti e ben informati, in chat si rifugiano sempre in esso quando sono alle corde. E’, insomma, il tema-rifugio della società mondiale ‘piatta’ che è espressamente richiamato dagli economisti liberisti (es, Thomas Friedman, o Spence): l’emigrazione come Re Mida.

E la soluzione quale è? Un “immigrazione bilaterale, concordata e programmata [immagino dagli Stati], di masse, meno imponenti di capitale umano qualificato dai paesi avanzati verso i paesi poveri, e parallelamente di investimenti nei sistemi di ‘welfare’ locali”. Insomma, è proprio il mondo piatto e uniforme sognato dai liberali: Marx alla fine si ritrova proprio con Adam Smith.

I sogni dei liberali e dei comunisti si assomigliano, direi (con la differenza che quelli dei secondi sono più ‘statalisti’).

Da ultimo la questione Vera Zasulic-Marx.

Barone legge la cosa come “liberare Marx dalla camicia di forza del determinismo e di dare spazio all’indeterminismo”, quando si tratta, casomai, di leggere Marx come quello che voleva essere: un osservatore del mondo sistematico e di impostazione scientifica (ma non scientista) politicamente orientato. Uno che quando osservava un fatto nuovo non lo piegava ad una spiegazione apriori, ma ne ricercava il senso. Marx, insomma, cambiava idea.

Non era, né poteva essere, un nietzschiano (anche perché era morto), ma non per questo era sempre uguale al se stesso alle prese con i moti del 1848.

Questa trasformazione di un uomo in una sorta di oracolo e semi-dio mi ha sempre colpito di una parte dell’esegesi. Anche io sono affezionato al Moro, ma non lo leggo con lo spirito con il quale alcuni leggono la Bibbia, e spero che il buon Eros non lo faccia. Dunque ai miei orecchi alcuni argomenti sollevati non sono conclusivi.

La cosiddetta “unità oggettiva del mercato capitalistico mondiale”, nella quale si fondono le acque opposte, mi pare che sia invece una potente proiezione sul pensiero di un uomo che ha inteso sempre confrontarsi con il proprio tempo (nel quale gli Stati realmente esistenti avevano un certo e ben chiaro carattere) e che era molto sensibile alle fratture, alle crisi, alle lotte che questo “mercato mondiale” manifestava. È “oggettiva”, questa “unità”, solo dall’alto (o dal basso) di una potente astrazione, che capisco ed alla quale a volte faccio riferimento, ma che va compresa come tale.

Viceversa le vie sono sempre anche presenti in essere, qui ed ora. Non “localistiche” o “strettamente nazionali” (non so bene che cosa significhi), ma neppure astrattamente universaliste e piattamente mondialiste.

Infine l’ultimo punto di Eros Barone, il massimo grado di proiezione su di me:

Da quel che si è finora argomentato si deduce che Visalli appartiene per sensibilità, formazione e orientamento, ad una corrente ideologica che ha dietro di sé un grande passato e senza dubbio anche un certo presente e un certo avvenire. In questo passato ‘radicale’ si colloca il populismo russo e la sua tendenza a idealizzare i rapporti di produzione precapitalistici, dimenticando che si tratta anche di rapporti di sfruttamento. Nello stesso ‘presente’, ma in un senso per nulla radicale, si trova il revisionismo moderno che parimenti crede (anche se non l’ammette) nell’‘imborghesimento’ del proletariato. Questo ‘imborghesimento’, che corrisponde a una tendenza ideologica, vale a dire a un effetto del predominio dell’ideologia borghese, risulta d’altra parte rafforzato proprio dal revisionismo moderno. Orbene, la caratteristica fondamentale di questa corrente ideologica consiste nell’ignorare esplicitamente o implicitamente il fatto che nei paesi capitalistici avanzati il proletariato è in modo sempre più determinante il principale produttore di ricchezze. Ancora più in generale, risultano in tal modo ‘ignorate’, da una parte, la contraddizione fondamentale del livello della lotta di classe e, dall’altra, la contraddizione fondamentale delle formazioni sociali, la contraddizione tra le forze produttive e i rapporti di produzione. Di qui deriva l’incapacità, per coloro che appartengono a questa corrente ideologica, di comprendere gli effetti materiali e sociali dell’accumulazione del capitale e, in particolare, il rapporto tra lo sviluppo della forza produttiva del lavoro e l’aumento del plusvalore relativo. 

Non so di chi parla, ma non mi ci riconosco. Contestare i rapporti sociali e il modo di produzione, inclusa la forma di razionalità parziale e violenta che lo connota, occidentale, rintracciandone la radice più in profondità del capitalismo sette-ottocentesco, non implica affatto (se non in un pensiero schematico che non mi appartiene) dover concludere che il mondo premoderno sia ideale. Che il mondo schiavista, o quello servile, con l’immane sofferenza e violenza, la sistematica rapina e l’opprimente potere che lo contraddistingueva, sia il buono. Non implica dimenticare nulla.

Non so, del resto, in che accezione Barone usa il termine assai impreciso di “ricchezza”, e quindi in che senso oggi, non nel 1870, il proletariato sia “in modo sempre più determinante il principale produttore di ricchezze”, quando se si parla di valore astratto (ovvero di capitale e valore nominale) è evidente il contrario. Dato che si tratta di proiezione non ha bisogno di fare lo sforzo di confrontarsi con i testi, e quindi lo risparmio, ma protesto solo che ho fatto negli anni qualche sforzo per non fare questo errore. Almeno questo.

Certo, la soluzione che alla fine emerge sia in Barone, sia in Galati, è semplice: andare avanti e industrializzarsi. Superare il capitalismo facendo sì che tutto lo diventi, e che il socialismo renda il mondo uniforme e pacifico (tutti allo stesso livello di sviluppo delle forze produttive, quindi di potenza, e tutti dediti allo sviluppo umano).

Naturalmente in coda al suo testo c’è uno scritto di Marx che rende inutile tutto il dibattito del secolo successivo sulla tecnica.

Ma magari su questo torniamo con l’aiuto di Galati.

Comments

Search Reset
0
alessandro
Saturday, 17 March 2018 16:32
maledette virgolette basse, riscrivo. In sintesi, caro Mario, mi sembra che si possa riassumere: 'chi non è d'accordo con una o più affermazioni essenziali di un uomo morto nel 1883 non può definirsi suo seguace nel 2018'. Come vuoi, non sono marxista in questa accezione. Del resto non mi pare che la questione di che cosa uno sia rivesta grande rilevanza.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
alessandro
Saturday, 17 March 2018 16:31
In sintesi, caro Mario, mi sembra che si possa riassumere: . Come vuoi, non sono marxista in questa accezione. Del resto non mi pare che la questione di che cosa uno sia rivesta grande rilevanza.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Mario Galati
Saturday, 17 March 2018 13:54
-Constato che Visalli talvolta si fa sopraffare dalla logica quantitativa, misurabile, a detrimento della logica qualitativa.
“Amin, di cui ho fatto lettura sistematica di quasi tutti i libri…”; “Facendo uso di uno dei più razionalisti filosofi occidentali, che probabilmente (Galati) non ha letto, come Habermas…”; e via di questo passo, anche in altri suoi scritti.
Mentre sugli scritti marxiani e leniniani, sul loro numero e ponderosità, Visalli non sembra riporre la medesima fiducia argomentativa: “…in questo secondo decennio del terzo millennio avremmo l’onere di spiegarlo a chi non ha letto cinquanta libri di Marx, o di Lenin”.
Forse l’onere di spiegare ciò che si legge, rielaborandolo, non di acconciarsi a mo’ di cassa di risonanza ridondante, è in capo a tutti; sia che si tratti di bulimici lettori di tutto, o di sola letteratura marxista, che negli altri casi.
Il dibattito del secolo successivo agli scritti di Marx sulla tecnica non è detto che sia approdato a risultati più giusti e corretti. Direi il contrario, pensando, per esempio, ad Heidegger ed ai suoi incantati seguaci.
Il criterio di giudizio rimane quello della qualità, non della quantità o del tempo misurabile (per cui la posteriorità della riflessione e il suo accumulo divengono automaticamente giudizio di pregio qualitativo).
-Separare il Marx politico dal Marx scienziato è già revisionismo e disgregazione del pensiero di Marx.
-Se non c’è contraddizione (oggettiva) in grado di far saltare (non in modo automatico, naturalmente) il sistema capitalistico, allora il suo superamento è un fatto puramente volontaristico. Non ci troviamo più in una reinterpretazione di Marx, o in un suo superamento, ma in netta contrapposizione col suo pensiero.
Perché continuare a dirsi marxisti, seppure eterodossi, quando non si conserva il nucleo fondamentale del teorico di riferimento?
La sincerità, innanzitutto con se stessi, sarebbe apprezzabile.
-Il proletariato non sarebbe più il principale produttore di valore astratto. Dunque, al netto della discussione sulle nuove forme del lavoro sfruttato, tutto Marx non è più attuale. Lo si dica apertamente.
L’unico legame con Marx non può essere l’apertura e la disponibilità a cambiare idea sulla base dell’analisi concreta della realtà in sviluppo. E’ un po’ labile come legame, e potrebbe essere un legame altrettanto valido con numerosi altri pensatori. O Marx è ancora attuale o non ha senso continuare a dichiararsi marxisti, in ogni sua accezione.
Di recente ho dato un’occhiata (per il momento) ad un articolo sulla concezione della scienza in Marx; vi si sostiene che la concezione marxiana è inattuale. Posizione pienamente legittima e, ipotizziamo, fondata (non si tratta del giudizio sul merito). Ma tutto ciò viene pubblicato su una rivista che si chiama “Actuel Marx”. Un vero ossimoro. Si può spacciare per attualizzazione del pensiero marxiano la sua confutazione? Non mi pare onesto e legittimo. E’ falsificante.
Ma questo è uno degli aspetti del revisionismo: la pretesa di rimanere nella sfera marxista mentre se ne è già usciti. Gramsci aveva intuito bene questa caratteristica subdola, e perciò più pericolosa, del revisionismo, riferendola a Benedetto Croce. Non si tratta, in questo caso, di rivedere la teoria ma di combatterla.
Lasciando da parte ogni giudizio di merito sulle differenti posizioni, mi sembra che tutti i critici, eterodossi, aperti, ecc., non considerano minimamente che ogni eterodossia è semplicemente altra ortodossia.
Ma la posa di persona aperta, ragionevole, non dogmatica, critica, a fronte degli ottusi dogmatici ortodossi, è esteticamente più bella.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Ernesto Rossi
Friday, 16 March 2018 23:41
Ci si dimentica che l'Unione Europea, con molto ritardo ha permesso la libera circolazione dei propri cittadini, ovvero in sincronia con l'arrivo degli extracomunitaria. Mi fa sempre specie come certi intellettuali di Destra o Sinistra, parlino di numeri e mai di persone; da cui il computer chiude il mestiere di segretaria e ne apre tanti altri come programmatori... Senza badare che le segretarie si son buttate dalla finestra e i programmatori, popolani anch'essi gli hanno dato una spinta, magari con la egoica scusante del giovane che uccide il vecchio. Allo stesso modo, se arrivano gli stranieri è perchè qualcuno li invita a venire, anzi è certo che chi è già venuto, propaganda agli altri che il lavoro c'è e che quindi si facciano pure avanti. Gli intellettuali non notano mai, possibile? Che questo fatto da la possibilità alla borghesia? Di scegliere dunque chi salvare e chi lasciar perire, se dal dopoguerra la raccomandazione ha permesso la scriminatura tra lecchini e ribelli, oggi la vilontà in atto è l'esclusione dei terroni, ai quali è precluso persino di emigrare nell'ambito proprio nazionale, sostituendoli così con gli stranieri, che a loro volta rappresentano una scriminatura del tipo precedente, appena descritto, quelli che si rifanno alla cultura borghese e quelli che devono altrimenti perire, che restano dove si trovano. Inoltre come sottolineato in principio, per via di queste logiche, non è possibile un'amalgamazione, per quanto tardiva, dei popoli europei, in modo che viene così impedita ogni possibilità di azione sulle Istituzioni dell'Unione. Queste tutte prese ad impedire il lavoro dei cittadini e questi impediti nell'esercizio stesso della cittadinanza. Tutti ignorano, compreso Visalli che la questione, non è più di competizione tra Capitalisti e lavoratori, che mai lo è stato, piuttosto è una diade dal gusto sensuale che piace ai marxisti, ma è chiaro già dall'epoca che avrebbero potuto avere interesse al Socialismo anche tanti altri, che così...
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Ernesto Rossi
Friday, 16 March 2018 23:37
... si ebbe tutti contro. Purtroppo gli adoratori dell'oracolo erano soli degli opportunisti e i loro discendenti certo non possono ammetterlo, pur ritrovandosi oggi, tutti contro piucchè mai... Dicevamo la questione è dunque ecologica, che rende superfluo il superamento di questi aspetti, anche perchè nessuno è più lavoratore e men che meno proletario, magari! Se nessuno lavora non ha neanche i figli e se si permette glieli tolgono per darli a validi omosessuali, capaci sul piano economico, è la fine dell'uomo guerriero. Tutti scientemente selezionati tra i vigliacchi, ora il potere sceglie per i più infami... Vigliacchi e infami, sostituiscono le antiche categorie, perchè necessita uccidere ormai ogni barlume di libertà, di civiltà, che vede l'Uomo impegnato a distinguersi dalla Legge di Natura che prevede la competizione, come sistema di vita. Una Natura non solo ostile ma anche esausta, per cui per ristabilire l'equilibrio, devono essere estromessi miliardi di persone. Operazione possibile diversamente solo a chi agisce con una mentalità da uomo libero, concetto mai compreso a Sinistra, proprio perchè questa fosse esclusiva intellettuale, mentre i lavoratori, venivano intesi come una base di sostenitori, del privilegio dei nuovi aristocratici della mente, ma ancora pezzenti nel cuore.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit