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altraparola

Fantasmi mediatici e voyeurismo di guerra

di Alvise Marin

Ensor2Solo chi la vive sul proprio corpo e nella propria anima, può fare esperienza reale della guerra, ovvero può avere «esperienza diretta del Reale in quanto opposto alla realtà sociale quotidiana»[1]. Un’esperienza lesionante e desertificante, fatta di boati assordanti, dell’incendio e del crollo della propria casa, dell’odore e la vista del sangue di corpi feriti o ammazzati, della fame e della sete, di quel Reale traumatico che venendo prima di qualunque ragione può consegnarci a una follia senza ritorno, della sospensione delle abitudini di vita, della disintegrazione del paesaggio interno ed esterno e della costante sofferenza, legata a una condizione di inermità assoluta e d’incapacità di vedersi proiettati verso un qualsivoglia futuro, inchiodati come si è all’orrore del presente, nel quale spira incontrastato l’alito della morte. Chi invece la osserva al riparo di uno schermo televisivo o di un computer, come noi, ne può fare tutt’alpiù un’esperienza mentale, emotiva, spettacolare ed estetica, avendo sempre ben presente che nessun proiettile potrà colpirci, che nessuna bomba potrà far saltare in aria la nostra casa, che la nostra vita non è in pericolo e che dunque non saremo mai coinvolti realmente in quegli eventi. Davanti ad uno schermo non possiamo fare alcuna esperienza reale di quanto vediamo, perché quest’ultima è possibile sempre e solo a partire dal preciso punto (punctum) nello spazio e nel tempo, in cui si colloca il nostro corpo, e non attraverso una visione ubiquitaria e un tempo reversibile, come quello proprio dei media.

L’esperienza della guerra coinvolge corpi e menti nell’hic et nunc nel quale si svolge, laddove invece il mezzo televisivo, fin dalla sua comparsa e oggi, a fortiori, i nuovi media, abolendo quei limiti a cui è vincolato il corpo umano, trasportano lo spettatore in luoghi lontani nel tempo e nello spazio, facendolo anche assistere ad eventi invisibili a occhio nudo.

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blackblog

I demoni si risvegliano

di Robert Kurz

Il testo che segue - "I demoni si risvegliano" ["Die Dämonen erwachen"] - è una traduzione dell'ultimo capitolo del libro Schwarzbuch Kapitalismus: Ein Abgesang auf die Marktwirtschaft (“Il libro nero del capitalismo: un canto del cigno per l'economia di mercato”). Come indicato dal sottotitolo, il libro è una storia critica del capitalismo proprio nel momento in cui il sistema sta affrontando il suo collasso storico]

libroneroIl capitalismo è arrivato alla fine del suo volo cieco attraverso la storia; ora può solo distruggersi. Ma quanto più appare innegabile che l'umanità non può continuare a riprodursi secondo le modalità della "bella macchina" e di quel suo unico movimento tautologico fine a sé stesso, tanto più si indurisce quella che è la forma della coscienza capitalista. La crisi mondiale della Terza rivoluzione industriale, ormai non riesce più a trovare alcun progetto emancipatorio da mobilitare come alternativa sociale. In genere, la critica radicale del capitalismo viene considerata come se fosse solo uno strano anacronismo, e ciò perché nella coscienza sociale - sia dell'«uomo della strada» che nella letteratura delle scienze sociali – essa viene identificata solo con il paradigma museale, irrimediabilmente obsoleto, del movimento operaio, il quale in realtà è sempre rimasto immanente al sistema. In tal modo, la riflessione teorica scompare completamente dalla sfera pubblica capitalista, sostituita in maniera superficiale da una cultura fatta di interessi mediatici autoreferenziali, che si preoccupa solo di attrarre l'attenzione: la "teoria" si presenta così come un'impresa commerciale come tutte le altre. Ma il ludico culturalismo postmoderno, che continua a ridefinire la povertà quasi come un travestimento, e l'umiliazione sociale come un gioco, è solo un evento superficiale sotto il quale si agita già qualcosa di molto diverso.

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tempofertile

Vincenzo Costa, “Elite e populismo. La democrazia nel mondo della vita”

di Alessandro Visalli

competenzahhuIl libro di Vincenzo Costa[1] è stato scritto immediatamente a ridosso del ciclo di successi elettorali ‘populisti’ del 2016-18 e si pone il problema di fornire gli strumenti intellettuali per giudicare quel che accade in quel torno di anni che seguono la crisi del 2008 (la quale in Europa manifesta i suoi effetti maggiori solo dopo la crisi greca e quindi dal 2010), con gli effetti economici e sociali dell’austerità, la critica dell’Unione Europea e dell’Euro, il distacco delle classi medie dal consenso verso quelle che saranno qui chiamate “le élites”. Pur nella sua agilità, un testo di circa centocinquanta pagine, il libro individua un percorso teorico semplice e chiaro: la democrazia è un progetto sempre a venire, una ‘riserva attiva del possibile’, ma viene ridefinita dalla cultura liberale alla quale le sinistre si sono arrese come dispositivo istituzionale e legale che resta indifferente alle vite concrete e punta piuttosto a governarle attraverso le élite. Nel ‘divenire inutile della sinistra’ l’opposizione che si manifesta a questo progetto di disattivazione e gerarchizzazione è quella tra élites e ‘moltitudini’. In questa opposizione si apre un bivio: o la risposta ai meccanismi sociali e discorsivi che costituiscono le élite ed escludono avviene in modo reattivo, egemonizzata dai ‘senza-potere’ e dalle classi medie déclassé[2], e si ha il ‘populismo’. Oppure intorno ad un progetto che articola le premesse antepredicative dei “mondi vitali” allargati, e non solo relativi alle ‘classi medie’, si determina la costruzione di “popolo” che muove dall’esigenza di giustizia e ottiene la riconnessione delle élite con questi; e allora si ha ‘democrazia popolare’.

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machina

Lottando per diventare come Dio

Note sulla teologia politica a partire dal pensiero di Thomas Müntzer

di Gabriele Fadini

0e99dc 249e535636bc44a6b4a30febc6225483mv2Thomas Müntzer è una figura straordinariamente affascinante ed evocativa, spesso condensata in quell’affermazione «omnia sunt communia» che è stata importante nell’immaginario dei movimenti contemporanei. In questo articolo Gabriele Fadini propone l’ipotesi che l’attualità del pensiero e della vicenda di Müntzer consista nel contributo che tale pensiero può portare alla questione della teologia politica. È una «trascendenza senza trascendenza», che per Müntzer non ha come modello né il pensiero immanente che in essa vedrebbe Engels né una semplice filosofia della storia, ma a tutti gli effetti una «teologia della rivoluzione». Attraverso questo percorso di lettura, l’autore sostiene che la teologia politica, per come si sviluppa nel pensiero di Müntzer, non è solo una branchia della teologia ma il riflesso di ogni evento storico poiché in grado di coglierne il dato universale e quello particolare, il singolo e il molteplice, l’eternità e la temporalità.

* * * *

Ogni qual volta ci si occupa di autori o correnti di pensiero molto indietro nel tempo è quasi un dovere porsi la domanda se ciò che si sta studiando possa essere considerato ancora attuale e, se sì, di che tipo di attualità si tratti.

In La politica al tramonto, Mario Tronti inscrive Thomas Müntzer nella faccia nascosta, minoritaria, marginale ed eretica della politica moderna e in quella tradizione che legge il messianismo non in termini extramondani, ma in termini politici aventi un rapporto diretto con l’esegesi rivoluzionaria, con l’escatologia terrena di un al di là mondano. Un messianismo politico, dunque, che è racconto non della fine del mondo ma della mano sovversiva di Dio sulla e nella storia per ribaltarne il corso e in cui finalmente il braccio potente del Magnificat veramente innalza gli umili e abbassa i potenti [1].

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marxismoggi

Capitale e natura. Dai “sapiens” al critico dominio del dollaro

di Carla Filosa

rapporto ambienteUnità di natura e modo di produzione storico

Un nuovo libro intitolato “Noi siamo natura” di Gianfranco Bologna, Edizioni Ambiente, sembra proporre un’ottica di cultura al servizio dell’azione a difesa dell’ambiente, senza avere più molto tempo per attardarsi. Ciò premesso, come possibile indicazione di riferimento di recentissima stesura, per affrontare il problema climatico che oggi mostra aspetti disastrosi già parzialmente visibili, si propone di considerare i cambiamenti climatici naturali separatamente da quelli determinati dalle attività umane. Questo per concentrarsi sui mutamenti, non da un punto di vista tecnico da demandare agli esperti del settore, ma da un punto di vista sia proprio della natura sia sociale e storico.

È bene rammentare che sul riscaldamento climatico (Global Warming), e non solo, si fa qui riferimento alle analisi effettuate sin dagli anni ’50 dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), quale massimo consesso mondiale di esperti sul clima. Al contrario, non si intende prendere nemmeno in considerazione le tesi relative all’“allarmismo climatico”, volte a minimizzare le rilevazioni scientifiche che potrebbero compromettere la regolare continuità delle incidenze umane. Queste sono infatti considerate altamente probabili – la cui possibilità è data al 95-100% - su un riscaldamento dell’atmosfera terrestre e degli oceani, che comporterebbe disastri quali scioglimento di nevi e ghiacci con conseguente innalzamento dei mari, pericolo per gli insediamenti umani sulle coste delle terre emerse, concentrazione di gas serra tra cui soprattutto CO2, ecc.

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Neoliberismo e anarcocapitalismo

di Antonio Minaldi

Il valore e i prezzi, una disputa tra classici e neo classici. Dall'homo oeconomicus all'homo naturalis. Le aporie del sistema e le soluzioni immaginate (ed immaginarie)

murale napoli 1 355x480Il tema della libertà è l’orgoglio e la croce dell’Occidente. Ideale motore propulsivo di rivoluzioni e grandi conquiste popolari lungo una storia ormai ultrasecolare, ma anche madre di tutti gli inganni imperiali e imperialisti del capitalismo ultraliberista che in nome suo, e di sua sorella la democrazia, non si fa problema di portare rapina, guerra e distruzione in giro per il mondo. Questo ingannevole e improprio sposalizio tra libertà e capitalismo trova oggi una sua, poco nota ma fortemente significativa manifestazione nelle ideologie libertarian statunitensi e specificatamente nell’anarco capitalismo. Un movimento composito e complesso, che al di là di differenze e diatribe interne, si costituisce, nella generalità delle sue manifestazioni, intorno alla centralità che assume, per i suoi teorici, l’idea della assoluta libertà che gli individui godono (o dovrebbero godere) nel mercato, e che, come sappiamo, viene presupposta come portatrice di benessere e progresso, grazie alle capacità auto regolative dello stesso mercato, secondo la famosa ipotesi della “mano invisibile” di Smith.

Ebbene secondo libertariani e anarco capitalisti, questo miracoloso percorso capace di produrre il bene comune partendo dall’individualismo egoistico, non deve essere relegato al solo scambio mercantile, ma deve essere posto alla base di qualunque tipo di relazione umana e sociale. La conseguenza sarà l’estinguersi dello Stato e di qualunque forma di potere pubblico, in una società che si autoregola attraverso la proprietà privata di ogni tipo di bene immaginabile, e dunque sul libero gioco competitivo di cittadini portatori di interessi proprietari, personali e particolari.

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blackblog

«Grigio è l'albero della vita, verde è la teoria»

di Sandrine Aumercier 

alberoIl testo di Robert Kurz che recava questo titolo, apparve su Exit! nel 2007. In esso Kurz si prefigge di smontare tutte le «teorie dell'azione» che a partire dagli anni Sessanta si sono via via succedute, e delle quali è stato un contemporaneo, e persino un militante. Per mettere le cose in prospettiva: Kurz è stato un militante attivo nel movimento studentesco del 1968, dapprima all'interno dell'SDS (Sozialistischer Deutscher Studentenbund) e poi sotto le bandiere dell'opposizione extraparlamentare (APO, in contrasto sia con l'SPD, il Partito Socialdemocratico della Germania Ovest, sia rispetto all'URSS). Dopo la disgregazione dell'SDS, si venne a formare una costellazione di K-Gruppen; piccoli gruppi, per lo più maoisti, che formarono la Nuova Sinistra. Kurz vi ebbe parte attiva, scrivendo articoli e opuscoli insieme ad altri. Espulso dal suo gruppo nel 1976, insieme ad altri partecipò poi alla creazione di una «nuova corrente» marxista-leninista, che si rivelò essere un altro fallimento. Mentre molti altri ex partecipanti alle K-Gruppen si convertirono via via ai Verdi tedeschi e ai movimenti antimperialisti, nel 1984 Kurz lanciava, insieme ad altri, l'Iniziativa Marxistische Kritik, una struttura che avrebbe dovuto costituite le premesse per uno studio delle basi teoriche della militanza di sinistra [*1]. Nel 1984 pubblica un pamphlet dal titolo «Epitaffio per il nuovo piagnisteo», seguito nello stesso anno da «Crepe e provocazioni. Un regolamento di conti con la sinistra e la scena alternativa». Gli autori (tra cui Kurz) attribuiscono alla loro «critica radicale... della coscienza della scena oppositiva in questo paese», tutte le veementi reazioni. La critica era quindi già specificamente rivolta alla «coscienza di sinistra», e l'obiettivo di questo regolamento di conti era, in maniera particolare, la fantasmagoria di una «scena» alternativa, a partire dalla quale si sarebbe potuto rovesciare il sistema capitalistico.

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sinistra

‘Spazio-tempo' e potere alla luce della teoria dell'egemonia

di Fabio Frosini

Da L. BASSO , S. BRACALETTI , M. FARNESI CAMELLONE , F. FROSINI , A. ILLUMINATI , N. MARCUCCI , V. MORFINO, L. PINZOLO , P.D. THOMAS , M. TOMBA: Tempora multa. Il governo del tempo, Mimesis, 2013

24 luglio p1. Temporalità plurale e/o contingenza?

Esiste nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci1 una teoria delle temporalità plurali? La risposta è all’apparenza semplicissima: alla luce della nozione di egemonia, ogni identità è il prodotto di un’unificazione politica di elementi eterogenei. Pertanto, se per ‘tempo’ s’intende il ritmo unitario di un’esperienza storica, l’unitarietà di tale ritmo è l’esito contingente di una serie di pratiche egemoniche, e non ha altra esistenza, che quella conferitale dall’intreccio di tali pratiche. L’unità sorge sullo sfondo della pluralità senza annullarla mai del tutto, l’universalità è condizionata dalla parzialità.

Questa tesi, sostenuta con intelligenza da Ernesto Laclau2, finisce per fare dell’egemonia un equivalente dell’esercizio del potere e un sinonimo di ‘oggettività’. La ‘verità’, che all’oggettività dei significati istituiti dal potere sfugge come un suo scarto ineliminabile (secondo una modalità di tipo post-strutturalistico), si dà ai margini del funzionamento ‘a regime’ dell’egemonia. Per pensare il nesso di co-implicazione e, al contempo, di mutua esclusione di oggettività e verità, di egemonia e politica, Laclau fa appello alla dicotomia spazio/tempo, laddove il tempo va pensato non nella forma spazializzata della diacronia, ma come «l’esatto opposto dello spazio»3, e pertanto, se lo spazio è struttura, organizzazione chiusa di significati, il tempo sarà necessariamente una «dislocazione della struttura», cioè un suo «malfunzionamento irrappresentabile in termini spaziali», in una parola: un «evento»4. In questo modo, la pluralità dei tempi può essere ritrovata solo dal lato delle diacronie spazializzate nei vari discorsi (o racconti, o miti5) dell’ordine; mentre l’innovazione, lo scarto, la politica come accadere della verità, in quanto estranea allo spazio, è irrappresentabile e dileguante, del tutto vuota, puntuale e sempre identica: in una parola, la temporalità non è pluralizzabile perché indeterminabile; o si dà, o non si dà, senza altre possibilità.

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materialismostorico

Democrazia sotto assedio

Recensione di Monica Quirico

Emiliano Brancaccio, Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico. 50 brevi lezioni, Piemme, Milano, 2022, pp. 287, Isbn 978-88-566-8378-3

CatturaOltre a insegnare Politica economica presso l’Università degli studi del Sannio (Benevento), Emiliano Brancaccio svolge un’intensa attività di divulgatore e opinionista. Viene spesso presentato come un economista eretico, al quale tuttavia i colleghi mainstream prestano ascolto, dandogli talvolta perfino ragione. Nel suo ultimo libro, l’autore parte dalle ricerche empiriche condotte da lui e da altri studiosi per offrire anche a un pubblico non specialistico una chiave interpretativa del rapporto tra capitalismo e democrazia. L’alternarsi di pagine più per addetti ai lavori (come quelle sulla “Modern Monetary Theory”), riferimenti all’attualità politica e proposte di un’alternativa per il medio-lungo termine suscita a tratti un’impressione di scarsa omogeneità, anche se il filo conduttore è chiaramente individuabile: la riscoperta del Marx “scientifico”.

Nell’Introduzione, Brancaccio sfida la narrazione trionfalistica degli ordinamenti democratici occidentali. Innanzitutto, essi hanno smesso di perseguire una qualche forma di redistribuzione della ricchezza, favorendo anzi l’aumento delle diseguaglianze con ripetuti attacchi ai diritti del lavoro; una situazione che spinge moltə ad allontanarsi dalla politica. In secondo luogo, le democrazie capitaliste non garantiscono più neanche la tutela dei principi liberali; emblematica in tal senso è la normalizzazione della metafora bellica (e ora, potremmo aggiungere, della guerra nella sua drammatica concretezza, purché al di fuori dei confini occidentali). Nell’indagare i processi sottostanti a tale involuzione, Brancaccio, rifiutando teoremi complottisti, guarda, richiamandosi alla tesi althusseriana della storia come processo senza soggetto, alle marxiane “leggi di movimento” del capitalismo.

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ilrovescio

Nelle braccia del Leviatano

Note contro lo Stato

di Un amico di Winston Smith

Dalla rivista anarchica “i giorni e le notti”, numero 14, luglio 2022

leviathanLa “volontà di potenza” è stata finora uno dei motori più forti nello sviluppo delle forme della società umana. L’idea che tutti gli eventi politici e sociali siano soltanto il risultato di determinate condizioni economiche non resiste ad un’attenta considerazione. Rudolf Rocker

[Il Capitale di Marx è] l’unico grande testo di demonologia che l’età borghese ha prodotto. Roberto Calasso

Mi rifiuto di accettare il declino del nostro ordine mondiale. John McCain (noto “falco” neocon statunitense, alla conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2017)

 

Contro l’eterno presente

Se c’è una questione che la dichiarata pandemia ha rimesso all’ordine del giorno, questa è senz’altro la questione dello Stato. Non potrebbe essere diversamente. Dopo anni in cui, da destra a manca, si è vaneggiato sul suo decadimento o addirittura della sua progressiva scomparsa, lo Stato si è infatti ripresentato nella sua interezza. Se nessuno, di fronte alla sua pretesa di interferire e regolare, autorizzare o negare anche i comportamenti più minuti, ha potuto ignorare il suo carattere sfacciatamente poliziesco (con tanto di tremori e timori di rinascita dello Stato etico che, da sinistra a destra, hanno assalito anche gli statalisti più convinti), stavolta lo Stato non ha fatto sentire la sua mancanza neppure dal lato economico, tra interventi straordinari di riconversione produttiva (come per le fabbriche messe da un giorno all’altro a produrre mascherine) e santificazione del «debito buono», funzionale prima all’affrontamento della Grande Emergenza e poi a una «ripartenza dell’economia» ancora tutta da vedere. Se ai piani alti della società il ritorno dello Stato è stato salutato in pompa magna (con un investimento propagandistico che dovrebbe già bastare a intendere le reali intenzioni della classe dominante), ai piani bassi non ha fatto che dare la stura alle ipotesi più strampalate, soprattutto per quanto riguarda le diverse aree militanti che si richiamano, con varietà di accenti, al pensiero marxista.

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resistenzealnanomondo

Il Metaverso come il migliore dei mondi possibili

di Costantino Ragusa

metaverso 2Là fuori le Big Tech stanno correndo, anzi, al momento ancora la dentro nel chiuso dei loro laboratori, ma non ancora per molto. Si apprestano a fornire soluzioni, ma soprattutto prospettive al dopo emergenza sanitaria. Non tanto come la fine di una fase e la creazione di un’altra, piuttosto è la continuazione della precedente: proprio la dichiarata emergenza sanitaria rinominata pandemia ha permesso quell’accelerazione che sta permettendo inediti tempi e velocità, ma soprattutto possibilità uniche nella possibilità di trasformare il mondo.

I lunghi mesi di chiusure con i vari confinamenti che si sono susseguiti nel tempo sono stati un ottimo campo sperimentale per capire come ideare una completa immersione nel mondo digitale, per capire quali resistenze vi sarebbero state e dove sarebbe subentrata l’abitudine e, soprattutto, negli ambienti di lavoro per comprendere gli effetti del nuovo addestramento che si andava applicando.

Il proseguo dello stato di emergenza dato dalla guerra con il suo continuo rischio atomico paventato continuamente aggiunge nuove paure e inquietudini, aumenta il malessere e la confusione, abitua a costruire e indirizzare odio e rancore dietro indicazione. Come già vi era abitudine a odiare i non inoculati o chi semplicemente metteva dubbi sulla narrazione ufficiale legata alla dichiarata pandemia. Ma, nel mentre, vi è distrazione tra i più e i tecnocrati spingono veloci per nuovi processi digitali, progettano e organizzano il mondo che abbiamo intorno, senza risparmiarsi nessuna possibilità e sfera di intervento, che sia lo spazio o il nostro genoma.

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contropiano2

La Russia è un paese imperialista?

di Leonardo Bargigli (Università di Firenze)

Introduzione

russia imperialista nonL’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa ha innescato una forte controversia tra partiti comunisti. Il partito comunista greco (KKE) ha accusato il partito comunista della Federazione Russa (PCFR) di avere posizioni filo-imperialiste a causa del sostegno dato all’invasione.

L’accusa del KKE riflette l’opinione, accolta da una parte della sinistra occidentale, che individua nella Russia una potenza imperialista contrapposta all’Occidente. In particolare, alcuni interpretano il conflitto in Ucraina alla luce di un nuovo tipo di scontro inter-imperialista, quello tra debitori e creditori. Secondo questa interpretazione, l’Occidente sarebbe costretto sulla difensiva dalla crescente forza economica della Russia e della Cina, che hanno costituito un nuovo, aggressivo, polo imperialista.

Per argomentare la propria accusa, il KKE si è appoggiato sulla tesi leniniana secondo cui “la rapina imperialista è sempre l’unico contenuto e motivo reale della guerra”. Il PCFR ha ribattuto sottolineando che esistono diversi tipi di guerre e che, nel passo menzionato, Lenin si riferiva specificatamente alla Prima Guerra Mondiale.

Secondo il PCFR, accanto alle guerre imperialiste, l’esperienza storica del Novecento ha evidenziato l’importanza delle guerre di liberazione nazionale e delle guerre contro il fascismo. Spesso queste diverse guerre si sono così strettamente intrecciate da essere combattute, sugli stessi campi di battaglia, per motivazioni contradditorie1. Per questo, ogni guerra ha un carattere specifico e complesso, che deve essere individuato sulla base dei fatti.

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blackblog

Noi siamo tutto. La miseria del (post-)operaismo

di Robert Kurz 

marxisti«Il fatto che io sia paranoico, non vuol dire che io non sia perseguitato.» ( Woody Allen )

La svolta del marxismo occidentale verso la teoria dell'azione - una svolta che nella prassi ideologica postmoderna rimane separata dalla teoria di Marx in generale - invece di continuare a svilupparsi, lascia uno scheletro nell'armadio, vale a dire, la critica dell'economia politica: la critica che affronta le complicate "legalità" della macchina sociale capitalista sulla base della costituzione feticista, l'analisi continuata del processo capitalista "trasformatore della società", nella sua unità di oggettivazione e trattamento (soggettivo) della contraddizione, tra cui le ideologie assassine. La soluzione apparente di questa problematica non liquidata, ha prodotto la corrente forse più importante della nuova sinistra, sorta in Italia, parallelamente al marxismo strutturalista di conio althusseriano e all'atomizzazione foucaltiana della critica: il cosiddetto operaismo. Il punto di partenza fu la situazione specifica della giovane popolazione proveniente dal Mezzogiorno, che affollava le industrie fordiste del nord dell'Italia negli anni '60 e non aveva ancora interiorizzato la disciplina di fabbrica del "lavoro astratto". Mentre i regimi della "modernizzazione ritardata" del capitalismo di Stato, nella periferia del mercato mondiale, avevano imposto la frusta dell'azione disciplinatrice, fatta in nome dell'ideologia di legittimazione "marxista"; in Italia, a partire da una situazione simile, si sviluppa una determinata "militanza operaia" contro il regime produttivo fordista occidentale; una resistenza legittima, nella prospettiva adottata, ma immediatamente anche una forma specifica del trattamento limitato della contraddizione, la quale, nella sua immediatezza, poté diventare un campo di riferimento teorico per gli intellettuali di sinistra.

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Robert Kurz, il Capitale Mondo e la Cina

di Giuliana Commisso e Giordano Sivini

Ricevo da Giordano Sivini, che ringrazio, un interessantissimo articolo sulla Cina odierna, in cui - a partire da "Il capitale mondo" di Robert Kurz, e dal libro sulla Cina dello stesso Sivini ("La costituzione materiale della Cina") - viene svolta un'ampia riflessione sulla "modernizzazione ritardataria" e sulle possibilità di crisi e di sviluppo che interessano alcuni di questi paesi orientali. Il preambolo all'articolo, chiarisce l'intento per cui, come sempre, è finalizzato a una miglior comprensione della realtà che, a partire dalle categorie marxiane e dall'analisi di Kurz, ci possa permettere di muoverci meglio in quella che è la crisi finale sistemica del capitale nella sua totalità

SiviniLa pubblicazione in italiano di "Il capitale mondo" (Meltemi 2022) induce a riflettere sulle ragioni teoriche che avevano spinto Kurz nel 2005 a dare una interpretazione liquidatoria della Cina e delle sue prospettive di crescita. «La Cina - aveva scritto - è l’esempio più eclatante di come la periferia del mercato mondiale sia vincolata al capitalismo transnazionale di crisi generato dalla terza rivoluzione industriale e dal collasso, a esso legato, di tutti i progetti di sviluppo basati sullo Stato nazionale o sull’economia nazionale. In tutti i casi abbiamo a che fare con zone insulari più o meno vaste, in cui lo stock di capitale delle imprese transnazionali ha creato una peculiare struttura rizomatica all’interno di un territorio che ha totalmente perso ogni capacità autonoma di riproduzione capitalistica» (p. 219).

Al tempo della pubblicazione di Das Weltkapital (2005) la storia già consentiva di cogliere le specificità della Repubblica Popolare Cinese e le sue potenzialità di crescita rispetto agli altri paesi che avevano cercato di affrancarsi dall’imperialismo. Questo è documentato in "La costituzione materiale della Cina" (Giordano Sivini, Asterios, 2022). Per tentare di capire il diverso assunto di Kurz, è opportuno ripercorrere per sommi capi le tappe teoriche e storiche della sua esposizione, distinguendo, pur nella loro connessione, tra capitali individuali, capitale complessivo, contesti in cui essi operano - dalle economie nazionali a quella globale - e Stati come entità ad essi funzionali, per concludere con il capitale fittizio. Il capitalismo "con caratteristiche cinesi" andrà riletto con riferimento a questo quadro teorico.

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malanova

Lavoro, reddito, consumo

di La redazione di Malanova

MALANOVA KRITIK 232Il lavoro, nella sua essenza di processo trasformativo, non è una prerogativa dell’essere umano; macchine e animali possono svolgere molte mansioni, ma soprattutto le macchine le quali, in ragione dell’avanzamento tecnologico, tendono a sostituire il lavoro umano. Quindi il lavoro in sé, come fonte di profitto per chi lo utilizza, organizzandolo in un processo razionale, potrebbe fare a meno dell’essere umano se si potesse affidare ogni mansione ad un sistema meccanizzato o elettronico. Per quanto fantascientifico possa apparire, è quello che si sta realizzando, seppur in alcune aree economiche circoscritte dell’Occidente, ma questo non è un problema nuovo che attanaglia la contemporaneità, esso fu ipotizzato già nel momento stesso in cui si ravvisavano le prime innovazioni tecnologiche nel campo industriale. Ricardo, già nel 1817 nei “Principi di economia politica e dell’imposta” difatti scriveva: l’opinione della classe lavoratrice secondo la quale l’impiego delle macchine è spesso dannoso ai propri interessi non si basa sul pregiudizio e sull’errore, ma è conforme ai corretti principi dell’economia politica. Ciò che Ricardo non immaginava era che l’evoluzione dei mezzi di trasporto e di comunicazione, avrebbero diviso il mondo sostanzialmente in aree di due categorie, da un lato le aree a capitalismo avanzato che implementando lo sviluppo tecnologico richiedono meno forza lavoro, e le aree con un capitalismo in via di definizione, che attraggono quote crescenti di produzione dai paesi avanzati grazie al vantaggio competitivo costituito in primis il costo del lavoro, in secondo luogo da norme assai lasche o inesistenti circa salute, sicurezza e ambiente.