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blackblog

Il tabù dell'astrazione e la sinistra: il contributo della teoria della dissociazione del valore

di Perro

Con questo testo - che costituisce la trascrizione dell'intervento tenuto a Parigi il 12-14 2023 maggio nell'ambito del convegno Crise & Critique - si cerca qui di presentare la teoria della dissociazione del valore, così come è stata proposta dalla teorica tedesca Roswitha Scholz

Scholz«Inoltre, in questo momento sto anche studiando Comte, visto che gli inglesi e i francesi stanno facendo un gran parlare di quest'uomo. Ciò che li attrae è il suo lato enciclopedico, la sua sintesi. Ma è patetico rispetto a Hegel [...]. E questa robaccia positivista è stata pubblicata nel 1832!»
(Karl Marx, lettera a Friedrich Engels del 7 luglio 1866).

Osservazioni introduttive

A seguito della visita a Parigi di Roswitha Scholz - la principale teorica tedesca della teoria della dissociazione-valore – avvenuta nel fine settimana del 12-14 maggio 2023 [*1], ci proponiamo di dare un resoconto sintetico del suo pensiero, trascrivendolo in maniera succinta, e collocandolo nel panorama intellettuale-militante francese e, più in generale, in quello dell'Europa francofona. Questo approccio inedito, ci sembra particolarmente fertile per quel che riguarda sia la teoria che la pratica della totalità concreta. Superando le aporie, Roswitha Scholz e la corrente di teoria della dissociazione del valore - che lei rappresenta - riporta sulla Terra le "teorie" in voga, relegandole, nel migliore dei casi, a quello che è il loro stadio pietosamente analitico, e per nulla filosofico, di "sociologismi"; e, nel peggiore, denunciandole assolutamente, segnalandone pertanto la loro immediata pericolosità. L'obiettivo di questo breve testo è aprire dei varchi nella doxa teorica - così come essa viene definita o inconsapevolmente messa in pratica - che finisce sempre solo per raschiare la ruggine, senza mai arrivare a indicare quali siano le catene da tagliare; oppure limitandosi a fare risplendere le fondamenta, senza però mai vederle. Saremmo quindi grati ai lettori di questo testo se volessero prendere in considerazione la misura completa della proposta, e non indignarsi e/o invocare pietà per la teoria.

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conflitti e strategie 2

Guerra e scienza politica

di G. P.

43f08805db943b3147e9589c26d29ea5 860x280L’informazione pubblica sulla guerra continua a essere ridicola, in Italia più che altrove. Lo schema antinomico, teso a polarizzare estremisticamente le posizioni, eliminando qualsiasi gradazione intermedia, non è politico ma teologico. Il guaio è che sono i sedicenti esperti e professori ad avvallare questa deriva religiosa. Se prima c’era un aggredito e un aggressore, ora ci sono solo i buoni contro i cattivi, i santi contro i diavoli, la lotta del bene contro il male. In questa battaglia della stupidità la scienza politica va a farsi fottere eppure il suo sguardo non umorale è l’unico a consentirci una minima comprensione dei fenomeni. Dobbiamo tornare alla semplificazione degli argomenti che non è la banalizzazione di cui è infarcito il dibattito dicotomico mediatico ed editoriale.

Se restiamo ai duri fatti sappiamo che gli Ucraini, sostenuti dagli occidentali, stavano per invadere il Donbass ormai indipendente dal 2014. Non ci importa in questo caso di sapere altro, anche rispetto al conflitto che va avanti da dieci anni. I russi dovevano scegliere tra farsi aggredire o prevenire l’invasione. Hanno fatto quello che dovevano perché è sempre meglio anticipare le mosse dell’avversario, in politica come in guerra.

Scrive Botero che:

“Nobilissimo modo di tener l’inimico lontano da casa nostra e di assicurarci dagli assalti suoi si è il prevenirlo, portandogli la guerra in casa, perché chi vede in pericolo le cose sue, lascia facilmente quiete l’altrui. E questo modo tennero i Romani in tutte le loro imprese d’importanza, eccetto che nella guerra contra i Galli e nella seconda guerra punica, le quali però non poterono mai finire, sino a tanto che non trasportarono l’armi oltre il mare et oltre le Alpi. Et Annibale, consigliando Antioco circa il maneggio della guerra contra Romani, disse sempre, che non si farebbe cosa che stesse bene, se non s’assaltavano i Romani in Italia.

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sollevazione2

Costanzo Preve: a dieci anni dalla scomparsa

di Federico Roberti*

Costanzo PreveChi nega la natura umana, e lo fa da “sinistra” convinto che si tratti di un concetto conservatore e reazionario (confondendo così l’uso ideologico del concetto, con la sua pertinenza filosofica e ontologica), non capisce purtroppo che proprio il carattere generico della natura umana stessa è il principale fattore di impedimento alla stabilizzazione di una dittatura manipolatrice, non importa se ispirata al materialismo dialettico di Stalin o al fondamentalismo sionista-protestante di Bush. Se l’uomo non fosse un ente naturale generico, in cui la creatività e la reazione all’oppressione sono elementi non solo storici ma radicati nella più intima struttura antropologica, non scommetterei neppure dieci euro sulle possibilità dei movimenti di resistenza.

Costanzo Preve [1]

In Italia la classe dirigente è sottomessa ai poteri forti. E prospera servendoli, fingendo di governare e amministrare la cosa pubblica autonomamente. Forte del fatto che il popolo non ha neppure il coraggio di ammettere chi è che comanda davvero. Va vista come una nobiltà, che è fedele al re, eseguendone gli ordini; è solo divisa in due fazioni che si scontrano per la supremazia a corte:“destra” e “sinistra”, questa includendo anche buona parte della magistratura.

Si scontrano due concezioni dell’essere subalterni e venduti a danno dei cittadini. I “baroni”, la destra, vogliono fare i feudatari, in modo che come vassalli possano avere una certa autonomia sui loro feudi, e taglieggiare il popolo anche per loro vantaggio, oltre che per conto del re. I “mandarini”, la sinistra e i magistrati, vogliono eseguire i voleri predatori dei poteri forti come “saggi” funzionari e ottenere con questo di campare riveriti e forti, senza sporcarsi troppo le mani con ruberie personali.

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maelstrom

L’ideologia nelle bolle

Giulio Pignatti intervista Damiano Palano

BubblesCosa ne è delle ideologie all’epoca del populismo, della disintermediazione e del dissolvimento dei partiti di massa? Un recente convegno, Cosa resta dell’ideologia? Concetti, teorie, metodi di ricerca, organizzato dagli Standing group “Teoria Politica” e “Politica e Storia” della Società Italiana di Scienza Politica e tenutosi alla sede di Brescia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore il 4 e 5 maggio 2023, ha discusso, tramite l’apporto di metodi e discipline differenti, la permanenza e l’evoluzione delle ideologie politiche nei contesti contemporanei. Dopo l’intervista a Manuel Anselmi dedicata alle ideologie politiche e al loro rapporto col populismo, qui di seguito l’intervista a Damiano Palano, co-organizzatore del convegno, professore ordinario di Filosofia politica e direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Le sue linee di ricerca più recenti vertono sulle trasformazioni delle democrazie contemporanee e sull’ascesa dei populismi. Tra le ultime pubblicazioni: Animale politico. Introduzione allo studio dei fenomeni politici (Scholé 2023), Democracy and disintermediation. A dangerous relationship (EduCatt 2022, curato con Antonio Campati), Bubble Democracy. La fine del pubblico e la nuova polarizzazione (Scholé 2020) e La democrazia senza partiti (Vita e Pensiero 2015).

* * * *

Il contesto politico in cui si muovono le nostre società occidentali è quello che, in un fortunato libro del 2020, lei ha definito “bubble democracy”. Che cosa si intende con questa categoria?

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paginauno

ChatGPT e model collapse. AI che si addestrano su dati generati da AI

di Redazione

Modelli AI che si addestrano su dati raccolti in rete generati da precedenti modelli AI: uno studio mostra come il conseguente ‘collasso del modello’ porterà a distorsioni della realtà

micah williams d4s3uw ajsa unsplash“Fino a oggi, la maggior parte del testo online è stato scritto da esseri umani. Ma questo testo è stato usato per addestrare GPT-3 e GPT-4, che sono apparsi come assistenti di scrittura nei nostri strumenti di editing. Quindi sempre più testo sarà scritto da grandi modelli linguistici (LLM). Dove porta tutto questo? Cosa succederà a GPT-{n} quando gli LLM contribuiranno alla maggior parte del linguaggio trovato online?” Se lo domanda Ross Anderson, professore di security engineering all’Università di Cambridge e all’Università di Edimburgo, sul suo blog (1), e continua: “E non si tratta solo di testo. Se si addestra un modello musicale su Mozart, ci si può aspettare un risultato che assomiglia un po’ a Mozart ma senza la sua brillantezza – chiamiamolo ‘Salieri’. E se Salieri addestra la generazione successiva, e così via, come suonerà la quinta o la sesta generazione?”

Anderson è uno degli autori del paper The Curse of Recursion: Training on Generated Data Makes Models Forget pubblicato il 27 maggio scorso nell’archivio open access ArXiv (2). E sottolinea nel suo blog: “Nel nostro ultimo lavoro, dimostriamo che l’utilizzo nell’addestramento di contenuti generati da un modello precedente provoca difetti irreversibili. Le code della distribuzione originale dei contenuti scompaiono. Nel giro di poche generazioni, il testo diventa spazzatura, poiché le distribuzioni gaussiane convergono e possono persino diventare funzioni delta. Chiamiamo questo effetto model collapse (collasso del modello). Così come abbiamo disseminato gli oceani di rifiuti di plastica e riempito l’atmosfera di anidride carbonica, stiamo per riempire Internet di blah. […] Dopo aver pubblicato questo articolo, abbiamo notato che Ted Chiang aveva già commentato l’effetto a febbraio, osservando che ChatGPT è come una jpeg sfocata di tutto il testo presente su Internet, e che le copie delle copie peggiorano. Nel nostro articolo analizziamo la matematica, spieghiamo l’effetto in dettaglio e dimostriamo che è universale”.

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machina

Ritorno al futuro (anteriore)

di Vincenzo Di Mino

In questo contributo Vincenzo Di Mino discute due libri: Finalmente è giovedì! 8 ragioni per scegliere la settimana corta di Pedro Gomes (Laterza, 2022) e Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita di Francesca Coin (Einaudi, 2023)

0e99dc ebdb232782c14cadaabe9b31a8beef09mv2Lo spirito del tempo, spesso e volentieri, si cristallizza negli elementi della cultura pop. Negli ultimi mesi i canali mediatici sono stati affollati di contenuti da parte di un «creator» che, presentando in maniera cinica e sarcastica le quotidiane disavventure sul posto di lavoro, ha rimesso sul piatto un tema di stretta attualità. Attraverso la comicità, infatti, queste immagini descrivono le attuali condizioni della forza-lavoro e della prestazione lavorativa e propongono come alternativa la fuga dal lavoro. E, nella società globale dello spettacolo continuo, egli è riuscito a veicolare un messaggio tanto sconvolgente (per l’opinione pubblica) quanto semplice: rifiutare il lavoro, inteso come vera e propria «schiavitù». Prima di essere un messaggio politico, questi sketch invitano a riprendersi la vita, a uscire fuori dalla routine e dallo stress delle tempistiche intensive e continuative del lavoro. Cum grano salis si può dire che essi sono il manifesto di una generazione che, lontana dalle ideologie e ancora più lontana da un sentire politico, vuole rimettere al centro del discorso i propri bisogni e non le esigenze della società. Può diventare dunque utile, interessante e necessario riportare questo tipo di discorsi entro il perimetro della critica politica, e rapportarla alle dimensioni materiali della composizione di classe. Da venti e passa anni, infatti, il piagnisteo delle corifee di sinistra sulla precarietà, sulle fughe di cervelli e sullo smantellamento del welfare state hanno completamente perso di vista il terreno soggettivo della composizione, omettendo sia la loro partecipazione attiva- via governo o via opposizione- all’implementazione di questi processi legislativi, e neutralizzando le potenzialità del conflitto.

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gazzettafilosofica

L’ostinata ricerca. Ricardo e la misura invariabile del valore

di Riccardo Evangelista

La teoria del valore di David Ricardo, un vero rompicapo dell'economia politica di cui Marx saprà acutamente servirsi, ha posto le basi per definire la distribuzione dei redditi nel capitalismo come un processo conflittuale. Motivo per cui è oggi importante riscoprirne i fondamenti

1687594063Nella sua Storia dell’economia, piccolo capolavoro della divulgazione d’autore, John Kennet Galbraith introduce in questo modo l’economista David Ricardo: 

«È il personaggio più sconcertante e, sotto certi aspetti, il più controverso nella storia della sua disciplina; sconcertante perché la natura e la profondità della sua influenza sulla scienza economica sono tutt’altro che chiare; controverso perché agli occhi di molti tale influsso ha reso un servizio meraviglioso alle persone sbagliate: Marx e i marxisti. » (J. K. Galbraith, Storia dell’economia)

Un giudizio tutt’altro che esagerato: effettivamente siamo di fronte a un autore difficile, a tratti oscuro, con una prosa grigia e un metodo rigidamente deduttivo attraverso il quale, muovendo da una proposizione evidente (o presunta tale), arriva a conclusioni ritenute inevitabili. Nei suoi aspetti più originali e anche in forza di discordie interpretative ancora irrisolte, rappresenta probabilmente il caso scientifico più interessante del pensiero economico. 

David Ricardo nasce a Londra nel 1772 da una famiglia ebrea di antiche origini portoghesi e, dopo una lunga attività da agente di cambio che lo aveva reso benestante, nel 1815 pubblica l’opera in cui s’imbatte per la prima volta nel problema che lo tormenterà per tutta la vita da infaticabile studioso: l’origine e la misura del valore, nonché le leggi che determinano la distribuzione dei redditi nella società capitalistica. Il titolo didascalico, Saggio sull’influenza di un basso prezzo sul grano sui profitti del capitale, non deve trarre in inganno: pur facendo riferimento a una questione di politica economica del tempo (il dibattito del Parlamento inglese sulle Corn Laws, relativo all’opportunità di aprire all’importazione del grano straniero), lo scritto, per quanto breve, ha una portata che deborda largamente dagli argini contingenti. 

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quadernidaltritempi

Macchine del Tempo: la Cina e la Modernità

di Filippo Scafi

Il Grande Sogno della Repubblica Popolare Cinese offre non pochi motivi d’interesse da molteplici punti di vista

labirinti cina high tech 03Il 15 giugno 2023 Xi Jinping ha compiuto settant’anni; negli ultimi dieci ha ricoperto la carica di Presidente della grande macchina che è la Repubblica Popolare Cinese. Figlio di una delle figure più di spicco della rivoluzione del 1946-50, Xi Zhongxun, Jinping è parte del gruppo “Principi Rossi” – l’insieme di coloro in cui scorre il sangue dei rivoluzionari che hanno contribuito a costruire la Cina contemporanea e la sua via socialista. Ultimo in ordine cronologico dei segretari di Partito, Xi Jinping ha sviluppato e tentato di concretizzare sin dalla sua nomina un programma politico-filosofico in 14 punti: Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era (習近平新時代中國特色社會主義思想).

L’elaborazione dello xiismo non ha implicato strappi, rivendicazioni ideologiche, rimodellazioni del grande sogno. In continuità con l’idea di socialismo posta in essere da Deng Xiaoping, lo xiismo risponde, riconosce, propaga, riassesta, gestisce, ottimizza, smussa – prosegue, con estrema fiducia, un programma di apparente appropriazione del futuro. Nei “Principi Rossi”, che non detengono alcun privilegio politico particolare in funzione della loro appartenenza alla stirpe rivoluzionaria, non è contenuto il lume di una monarchia. Ogni individuo, anche colui che possiede più potere simbolico, è subordinato al grande progetto della Cina socialista. Cina moderna, eppure aliena.

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lacausadellecose

Gli individui e la storia

di Michele Castaldo

quadri su tela pittura concettuale di un uomo di profilo ascoltare musica con le cuffie e urlare

Dico in premessa che scrivo per chi è disposto a capire le leggi dinamiche del materialismo storico, e pazienza per chi volge le spalle alla rivoluzione in cammino.

In questi giorni sono tre i personaggi sotto i riflettori di cui si discute tanto e si interroga la palla di vetro sul futuro della guerra in Ucraina con riflessi su tutto il pianeta sia geografico che politico.

Qualche giorno prima della “rivolta” di Prigozhin “contro” Putin, giovedì 22 giugno 2023, compare sul Corriere della sera un articolo in prima pagina dal titolo poetico: L’omino in maglia militare, sul quale vale la pena appuntare l’inizio del nostro ragionamento, perché l’autore coglie un punto d’analisi teorico degno di nota, ovvero il rapporto tra chi evoca i fantasmi e il loro ruolo che sfugge di mano agli evocatori. L’autore parla di Zelensky e rivolgendosi agli addetti ai lavori sostiene una tesi nient’affatto peregrina: si, il personaggio avrà anche agito su stimolo delle alte sfere d’oltreatlantico (e dello Stato d’Israele, aggiungiamo noi) ma poi ha incominciato a giocare in proprio, ovvero a voler divenire l’eroe della guerra di liberazione contro la Russia e non è disposto perciò a giocare il ruolo dell’utile idiota trattato come un servo che serve finché serve per essere poi buttato nel cestino quando il suo ruolo è giunto a compimento. La conclusione di Buccini è da segnalare a quanti si affannano a leggere la storia non per le forze impersonali che la muovono, ma nel vedere sempre il complotto di super uomini, preferiamo perciò riferirlo con le parole di Buccini «Sempre e solo “influenze” in attrito sul planisfero. Sempre e solo entità imperiali in eterno dissidio tra loro come permalose divinità dell’Olimpo. Dimenticando i cittadini e il loro sogni, le loro voci, i loro voti.

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consecutiorerum

Alessandro Mazzone, per una teoria del conflitto

Recensione di Tommaso Redolfi Riva & Sebastiano Taccola

Alessandro Mazzone: Per una teoria del conflitto. Scritti 1999-2012, a cura di R. Fineschi, La città del sole, 2022

IMG 7576 scaledIl pensiero richiede i suoi tempi: solo la riflessione paziente, elaborata e critica può permettere di cogliere appieno l’articolazione profonda delle mediazioni che informano la realtà. È questa una delle lezioni di metodo (ma il metodo non è già di per sé strutturazione di un qualche contenuto?) lasciata da Alessandro Mazzone (1932-2012). Filosofo marxista formatosi sotto la guida di figure come Banfi, Geymonat e della Volpe, Mazzone ha insegnato per molti anni a Santiago de Cuba, Messina, Berlino e, soprat­tutto, Siena. E proprio a Siena, per iniziativa di un gruppo di ex-studenti, è recentemente nata l’associazione Laboratorio Critico, che, sotto la gui­da di Roberto Fineschi, si propone di ricordare e sviluppare l’importante contributo teorico di Mazzone. Il primo volume pubblicato da quest’as­sociazione (in collaborazione con la Rete dei Comunisti) è Per una teoria del conflitto, una raccolta di scritti risalenti all’ultimo decennio di vita di Mazzone.

Mazzone ha pubblicato relativamente poco, anzi pochissimo se faccia­mo un confronto con gli standard attuali della pubblicistica accademi­ca. Eppure, anche solo scorrendo la bibliografia dei suoi scritti raccolta in questo volume, ci troviamo di fronte a un intellettuale che ha analizzato autori e temi cruciali della modernità filosofica, o che ha tradotto ope­re assai importanti nel dibattito internazionale su questioni di economia, storia, filosofia (come, ad esempio, Problemi di storia del capitalismo di Maurice Dobb, Lezioni di sociologia di Adorno e Horkheimer, molti saggi di Lowith). In questo caso, dunque, la lentezza della scrittura è segno di grande modestia e onestà intellettuale, che trova il proprio precipitato pro­prio nella incredibile densità che caratterizza gli scritti di Mazzone, tutti definiti da un’architettonica puntuale e rigorosa

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lanatra di vaucan

La luce dell’Illuminismo

La simbolica della modernità e l’eliminazione della notte

di Robert Kurz

tramonto delloccidente 2048x1536Proponiamo qui un breve quanto intenso scritto di Robert Kurz, dal titolo La luce dell’illuminismo. Questo testo funge, per l’occasione, anche come sorta di “anticipazione” della prossima apparizione, per le edizioni Mimesis, del noto pamphlet Manifesto contro il lavoro del Gruppo Krisis, che viene ripubblicato a distanza di 20 anni dalla sua prima uscita in Italia. In questo libro, infatti, oltre al Manifesto vero e proprio, fanno da corollario altri testi, probabilmente altrettanto importanti, tra i quali La dittatura del tempo astratto, sempre di Robert Kurz, all’interno del quale si trova un capitoletto, anch’esso intitolato La luce dell’illuminismo, che riprende in modo sintetico proprio i temi di fondo presenti nell’articolo, più completo, che qui pubblichiamo.

Quest’ultimo risale al 2004 ed è inizialmente apparso sul numero 112 della rivista internazionale Archipel. È stato dapprima meritoriamente tradotto in italiano sul web, in modo forse un po’ sbrigativo e dalla versione francese, da qualcuno che non conosciamo ma che si firma con un simpatico nomignolo, Ario Libert. La versione che proponiamo adesso tiene conto di quella traduzione, ma rivista in base all’originale tedesco e si differenzia in più parti rispetto a quella (per esempio, Ario aveva lasciato il termine tedesco Aufklärung, come già nella traduzione francese, mentre noi, coerentemente con la tradizione delle traduzioni italiane dei testi kurziani, abbiamo deciso di riportarlo con un più netto “illuminismo”, così richiamando anche – come nelle intenzioni kurziane – un preciso momento storico, oltre che un determinato movimento di pensiero).

Questo breve testo può essere considerato come uno dei testi più “filosofici” di Robert Kurz, dove l’autore polemizza ancora una volta con il pensiero illuminista, in questo caso criticandone a fondo l’onnipervasiva metafisica della “luce”.

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consecutiorerum 

Contro l’idea di progresso

Raul Prebisch e la scuola dependentista latinoamericana

di Maria Turchetto*

2016031505352700ec53c4682d36f5c4359f4ae7bd7ba1Per due secoli buoni abbiamo pensato la temporalità e la storia attraverso l’idea di progresso. Forse siamo tuttora prigionieri di quest’idea, dura a mo­rire, diventata luogo comune e automatismo del pensare - anche perché è un’idea consolatoria. Ma mi piace datarla così, sull’arco di due secoli: par­tendo dalle prime formulazioni illuministe della metà del XVIII secolo per arrivare alle prime critiche profonde e sistematiche nell’ambito della teoria economica che si devono in gran parte alla scuola dependentista latinoame­ricana della metà del XX secolo. Certo, i precursori esistono sempre e farò in proposito qualche accenno.

 

  1. Le formulazioni illuministe

Quanto alle formulazioni illuministe, il pensiero corre subito a Condorcet e al suo Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain (1795), ma prima di lui l’idea è formulata già negli anni Cinquanta del secolo dagli économistes (la scuola di pensiero passata alla storia con il nome di “fisiocrazia), in particolare da Turgot. Per Turgot il progresso è la chiave di intelligibilità della storia:

I fenomeni della natura, assoggettati a leggi costanti, sono racchiusi in un cer­chio di rivoluzioni che sono sempre le stesse. Tutto rinasce, tutto perisce; e, in queste successive generazioni per cui i vegetali e gli animali si riproducono, il tempo non fa che rendere ad ogni istante l’immagine di ciò che ha fatto scomparire. Il succedersi degli uomini, al contrario, offre di secolo in secolo uno spettacolo mutevole. La ra­gione, le passioni, la libertà producono incessantemente nuovi eventi [...].

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Sistemi pensanti

di Pierluigi Fagan

351139557 214620344723476 343368159553849594 nCome testimonia la foto del settore cervello-mente (in senso letterale, psicologia o psicoanalisi o logica o altro attinente alle funzioni mentali stanno altrove) della mia biblioteca, sono anni che studio l’argomento. Pare ovvio che l’interesse per i prodotti della mente come, ad esempio, le immagini di mondo, chiami curiosità sugli organi che li producono. Vengo dalla lettura del saggio di uno tra i più noti neuroscienziati, S. Dehaene, francese, sulla coscienza [Coscienza e cervello, Cortina, 2014]. Il testo mi sollecita delle riflessioni.

Dovete sapere che sebbene tutte le cose importanti dell’essere propriamente umani provengano dal nostro cervello-mente, la scienza ha approcciato il tremendo argomento solo di molto recente. C’era un motivo tecnico ovvero che il cervello produce mente quando è vivo al pari del corpo di cui è parte. Ma un organo così complesso era impossibile da studiare in vivo, di solito la scienza biologica parte da dissezioni di cose morte. Solo negli ultimi decenni si sono prodotte tecnologie che riescono a farci sapere qualcosa del ciò che accade lì mentre funziona.

Ma c’era forse anche un motivo culturale aggiunto. Abbiamo prodotto talmente tanto pensato, a base di credenze di ogni tipo, tra cui alcune metafisiche rilevanti come la credenza dell’anima e della sua possibile eternità (l’eternità presuppone l’immaterialità, ovvio), che sembra noi si sia ritrosi ad andare a scoprire come funzionano le cose lì dove tutto questo origina.

Per dirne una, non c’è libro sul cervello-mente che non citi una o più volte Cartesio e la sua idea dualistica della cosa estesa (materia) e la cosa pensante (mente o anima), incluso il celebre “L’errore di Cartesio” influente best seller di A. Damasio.

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iltascabile

La metafora della diserzione

di Alessandro Lolli*

Una riflessione, a partire da Disertate di Franco “Bifo” Berardi, sulla tentazione di sottrarsi al dibattito pubblico

8 LOZAN32193 1Già nel 1978, Susan Sontag avvertiva dei rischi di usare la malattia come metafora. Concentrandosi sulle due malattie più metaforizzate dell’epoca, tubercolosi e cancro, Sontag spiegava che l’uso analogico di questi fenomeni non rendeva un buon servizio ai malati in carne e ossa e ci allontanava dalla comprensione dei fenomeni stessi. Ma non solo. A divenire meno comprensibili erano anche le situazioni che pretendevamo di descrivere per mezzo dell’analogia: il cancro metaforico si trasformava in un generico progressivo disfacimento del corpo sociale, perdendo molte delle sue caratteristiche specifiche.

Qualcosa del genere accade nell’ultimo libro di Franco “Bifo” Berardi sulla diserzione. Disertate, uscito nell’aprile del 2023 per i tipi di Time0, si apre con un imperativo alla seconda persona plurale che vorrei prendere sul serio, nonostante i numerosi inviti dell’autore a fare il contrario, a non starlo troppo a sentire perché non vuole convincere nessuno. Un po’ perché, se mi chiede di non ascoltarlo, come vuole il paradosso del mentitore scelgo di non ascoltarlo proprio mentre mi dice questa cosa, prendendo invece per buone le parti del suo discorso in cui esorta alla diserzione e la articola nell’arco di 260 pagine. Un po’ perché una coincidenza significativa mi ha spinto a considerare la diserzione un paradigma di lungo corso di una certa area politica, un paradigma magari sotterraneo ma in circolazione da almeno trent’anni e giunto forse a maturazione.

Insieme al nuovo saggio di Bifo, stavo leggendo un altro libro di recente uscita: Negli anni del nostro scontento, Diario della controrivoluzione, di Paolo Virno, pubblicato nel gennaio del 2022 da Deriveapprodi. Si tratta di una raccolta di articoli usciti su Il Manifesto tra il 1988 e il 1991, quando Virno era redattore della sezione cultura.

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resistenze1

John M. Keynes - una guida verso un vicolo cieco

di Tibor Zenker

Il 5 giugno 2023 ricorre il 140° compleanno dell'economista britannico John Maynard Keynes (1883-1946). La sua opera principale, "Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta" (1936) e il keynesianesimo da essa derivato hanno fortemente influenzato il capitalismo del XX secolo e l'antisocialismo nella politica economica - Riportiamo una riflessione di Tibor Zenker, leader del Partito del Lavoro dell'Austria (PdA), da lui scritta nel 2016 in occasione del 70° anniversario della morte di Keynes

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Nel quadro della macroeconomia borghese, l'opera di Keynes assume inizialmente una posizione di opposizione alle idee classiche e neoclassiche prevalenti nel primo quarto del XX secolo. Con esse, si attribuisce al "libero mercato" il merito di equilibrare domanda e offerta non solo nella produzione e nella vendita di beni, ma anche in termini di livello dei prezzi e soprattutto di disoccupazione. Si ipotizza quindi una tendenza alla piena occupazione. Keynes, invece, sosteneva l'idea di una tendenza all'equilibrio in presenza di sottoccupazione e attestava la teoria neoclassica come velleitaria e imprecisa quando affermava che "i postulati della teoria classica sono validi solo in un caso speciale, ma non in generale, perché la condizione che essa presuppone è solo un punto limite delle possibili situazioni di equilibrio "(1).

La disoccupazione involontaria, logicamente esclusa nel sistema neoclassico, è per Keynes il risultato di una mancanza di investimenti dovuta alle basse aspettative di profitto del capitale, per cui egli tiene conto anche di criteri decisionali soggettivi e psicologici oltre che oggettivi per quanto riguarda la disponibilità a investire. Keynes scrive: "Il rapporto tra il rendimento atteso di un bene capitale e il suo prezzo di fornitura o il suo costo di sostituzione, cioè il rapporto tra il rendimento atteso di un'ulteriore unità di quel tipo di capitale e i costi di produzione di quell'unità, ci fornisce l'efficienza marginale del capitale"(2).