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filosofiainmov

Il contributo di Nancy Fraser al dibattito su un nuovo socialismo democratico

Per un inquadramento critico

di Giorgio Fazio

Nancy Fraser: Cosa vuol dire socialismo nel XXI secolo, Castelvecchi. 2020

266 12Non sembra esserci tempo più propizio di quello che stiamo vivendo in questo passaggio storico eccezionale, per tornare a riflettere – con serietà, realismo e alla luce di prospettive teoriche e politiche rinnovate – sul tema che dà il titolo all’intervento di Nancy Fraser: che cosa può significare socialismo nel XXI secolo.

Più volte è stato osservato in questi ultimi mesi: come tutte le emergenze che interrompono bruscamente lo svolgimento delle nostre routine sociali, economiche e politiche, la pandemia da Covid-19, investendo inesorabilmente per ondate successive i quattro angoli del pianeta, ha avuto il potente effetto rivelatorio di riportare alla luce, senza più diaframmi, le soglie critiche su cui è sospesa la nostra contemporaneità globalizzata. Soglie critiche di varia natura – sanitaria, ecologica, economica, democratica, sociale, razziale, etc. – eppure tra loro strettamente intrecciate, poichè tutte in qualche modo riconducibili al modello di capitalismo finanziarizzato e deregolamentato che si è imposto su scala globale negli ultimi decenni. Crisi che, tuttavia, la normalità sospesa nei mesi di emergenza epidemica tendeva a rimuovere dal centro dell’agenda politica, mentre ora, dopo e dentro questa emergenza, si ha l’impressione che quel rimosso ripresenti il conto e non possa essere più facilmente relegato sullo sfondo.

L’approccio di Fraser alla questione del socialismo si presenta come una pista di riflessione particolarmente idonea ad aiutarci a leggere “contropelo” questo passaggio storico e ad offrirci strumenti di orientamento politico. E questo per due ragioni fondamentali.

La prima di queste ragioni è che la sua riflessione su una rinnovata idea di socialismo democratico ruota fin dall’inizio attorno al tema della crisi.

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psicoanalisiescienza

Lo scientismo come nuova religione

di Ilaria Bifarini

testatina psicoanalisi applicataCos’è la scienza?

La scienza non è democratica” è il nuovo mantra utilizzato come scudo per allontanare chiunque provi a manifestare un pensiero divergente da quello accreditato dalla vulgata dominante e per questo inconfutabile, non passibile a critiche di alcun tipo. Il monito è molto efficace, ed emana quell’autorevolezza che ci si aspetta dal rigore e dall’inaccessibilità della scienza, intesa come campo esclusivo di un élite di esperti, la cui competenza e preparazione implicano qualità tali da giustificare un certo distacco dal popolo, il demos appunto. Mai come in questo periodo di diffusione della paura collettiva legata al Covid-19 la scienza, o come meglio vedremo la sua degenerazione scientista, ha avocato a sé il ruolo di padre primigenio, che sorveglia i propri figli e impone loro la propria indiscussa autorità.

Ma cosa è la scienza?

Sciens, participio presente del verbo latino scire, sapere, essa comprende quel sistema di cognizioni acquisito con lo studio e la riflessione.

Ricostruire la genesi della scienza richiederebbe un trattato a sé, ed esula dall’obiettivo della nostra esposizione; peraltro esiste già una vasta e importante letteratura in merito da poter esaminare.

Già nella cultura classica i filosofi greci distinguevano due diverse forme di conoscenza, l’opinione (doxa), fondata sull’esperienza sensibile e perciò ingannevole e incerta, e la scienza (epistème), basata sulla ragione e dunque fonte di conoscenza sicura e incorruttibile.

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lanatra di vaucan

La storia della terza rivoluzione industriale*

5-La nuova povertà di massa

di Robert Kurz

Quinto capitolo della sezione VIII dello Schwarzbuch Kapitalismus (“Il libro nero del capitalismo”) di Robert Kurz

7 slums bidonvilles favelas 1024x538Nel frattempo nessuno dubita più del fatto (ormai incontestabile anche empiricamente) che le avanzate della crisi degli anni Ottanta e Novanta, associate agli effetti della ritirata dello Stato dalle sue responsabilità sociali e della crociata neoliberale, abbiano provocato la peggiore ondata di impoverimento di massa dalla prima fase del XIX secolo. Tutte le residue speranze, risalenti all’epoca fordista delle ex-regioni coloniali, in uno “sviluppo” autonomo nel quadro del mercato mondiale capitalistico si sono volatilizzate. La maggior parte del cosiddetto Terzo mondo è finita completamente in rovina, da ultimo perfino i pochi paesi del Sud-est asiatico, la cui industrializzazione di recupero sembrava avere avuto successo. In paesi come la Corea del Sud, la Thailandia, l’Indonesia o la Malaysia questa spaventosa disillusione, il brusco allontanamento dalla tavola imbandita del consumo da società pienamente industrializzata, poco dopo esservisi accomodati, si è lasciata alle spalle conseguenze traumatiche. Questa esperienza deve essere ancora più spaventosa negli Stati in via di disintegrazione della ex-URSS e in tutta l’Europa Orientale, dove era esistito per decenni un sistema industriale con tutti i crismi nelle forme del capitalismo di Stato, anche se con un livello di consumo inferiore rispetto all’Occidente. In questi paesi, nel giro di pochi anni, gli standard raggiunti in tutti i settori dell’esistenza sono stati completamente spazzati via. Adesso però anche in Occidente intere regioni e settori della popolazione sempre più ampi stanno sperimentando una discesa altrettanto traumatica nella povertà di massa, partendo per giunta da un livello di vita più elevato. Come molti neoliberali, Orio Giarini e Patrick Liedtke, gli autori del più recente rapporto del “Club di Roma”, riconoscono la crescente povertà di massa globale e la contraddittoria esistenza di una quantità immensa di risorse con parole asciutte:

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lafionda

Losurdo internazionalista

Un itinerario storiografico-filosofico. Parte II

di Davide Ragnolini

09pol02f11 kCXD 544x408Corriere TabletA due anni dalla scomparsa di Domenico Losurdo (1941-2018), col presente contributo si intende offrire una chiave di lettura inedita, almeno in certa misura, del suo intero itinerario storiografico-filosofico, incentrando quale specifica Kern della pluridecennale ricerca del filosofo italiano la sua riflessione internazionalistica.

La figura di Losurdo come ‘internazionalista’ non si riferisce qui – o almeno non soltanto – ad un significato in chiave normativa, cioè ad un orientamento determinato rispetto alla questione di universalismo e particolarismo; bensì, in chiave metodologica, e nel senso disciplinare del termine viene intesa secondo una complessiva sua rilettura di teorico delle Relazioni Internazionali (di cui è nota la sigla anglosassone: IR), attraverso un bilancio delle sue illuminanti incursioni nelle questioni internazionalistiche.

Alla tradizione delle Relazioni Internazionali, infatti, appartengono, latu sensu, tutti i pensatori che si sono cimentati nella riflessione sui rapporti morali, politici, giuridici inter-statali, anche laddove il loro contributo non appaia consapevolmente collocato all’interno della stessa disciplina politologica internazionalistica e ne risulti anzi estraneo al suo specifico gergo tecnico-disciplinare.

Ne emerge un pensatore che, nella sua straordinaria erudizione e padronanza della letteratura filosofica classica tedesca (in cui certamente è inclusa la tradizione marxista, o meglio dei marxismi), non ha mai cessato di pensare, con rigore filologico e filosofico al contempo, il problema della mediazione tra universale e particolare nella storia umana, quindi la sua concreta tensione non soltanto interna alla società (sul piano domestico), ma anche esterna (cioè sul piano internazionale).

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lafionda

Domenico Losurdo tra conflitto e relazione

Un itinerario storiografico-filosofico. Parte I

di Giulio Menegoni

71uCIZZ172L. AC UL320 SR210320 Il 28 giugno 2020 ricorreva il secondo anniversario della morte di Domenico Losurdo, insigne filosofo e storico italiano. Scrittore assai prolifico, la sua scomparsa ci ha lasciati privi di una voce severa, capace di giudicare con luminosa coscienza aspetti centrali della storia delle ideologie moderne, mettendo in luce gli aspetti di riscrittura della storia operati dal pensiero contemporaneo liberale e svelandone puntualmente gli imbrogli retorici e le contraddizioni (“Il revisionismo storico. Problemi e miti”,“Controstoria del liberalismo”).

Di questo pensiero Losurdo ha analizzato le tecniche propagandistiche palesando, con rigore, la resa storica, teorica e politica dei movimenti di pensiero deputati allo smascheramento e alla produzione di alternative storiche (“Il linguaggio dell’impero. Lessico dell’ideologia americana”; “La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra”).

Il centro speculativo dell’opera di Losurdo nondimeno si concentra nel superamento dell’idea liberale dell’avvenuta “fine della storia” (Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo), concentrando i suoi sforzi nel delineamento di una “teoria generale della lotta di classe” a partire dai testi engelomarxiani. Teoria, questa, a sua volta inscritta nella più ampia ricostruzione della distinzione tra marxismo occidentale e marxismo orientale – una distinzione che ingloba e supera il mero riferimento geografico e abbraccia aspetti teorici fondamentali (“La lotta di classe. Una storia politica e filosofica”; “Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere”). Questi ultimi due testi, nati dalla viva convinzione dell’autore che la lotta di classe sia la categoria principale che anima la vita pratica, ci spingono a domandarci: che forma assume oggi la lotta di classe? [[1]] E ancora: siamo davvero sicuri di sapere che cosa sia, in sé, la lotta di classe?

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badialetringali

Riflessioni su sinistra radicale e crisi di civiltà

Un secolo di estrema sinistra (lettere al futuro, 1)

di Marino Badiale

CiviltàI. Introduzione

L’organizzazione sociale capitalistica, che da decenni si è estesa all’intero pianeta, è ormai entrata in un fase di decadenza necrotica. Essa sta distruggendo, sempre più velocemente, i fondamenti stessi dell’esistenza di ogni società umana: il legame sociale fra gli individui e il legame metabolico fra natura ed umanità. Questa spirale autodissolutiva si tradurrà in un devastante crollo di civiltà, molto probabilmente entro la fine di questo secolo [1]. Sono del tutto convinto che non esista nel nostro mondo nessuna forza sociale capace di incidere su questa traiettoria mortifera, e quindi, in sostanza, che non ci sia niente da fare, se lo scopo che ci si propone è quello di prevenire il crollo della nostra civiltà. Ci si possono però porre altri obiettivi, rispetto ai quali in effetti c’è qualcosa da fare. Credo che uno scopo generale possa essere quello di salvare elementi di civiltà dal crollo futuro. Questo significa in primo luogo creare embrioni di comunità che possano attraversare i tempi bui che ci aspettano, comunità che siano informate dal tipo di valori, idee, riferimenti spirituali che pensiamo necessario provare a salvare. Naturalmente tali comunità dovranno per prima cosa sopravvivere, e non possiamo sapere cosa saranno in grado di trasmettere ai loro discendenti. La creazione di simili “comunità di sopravvivenza” è importante soprattutto per i giovani, che probabilmente vivranno buona parte della propria vita in una situazione di crisi sempre più grave, e per le persone dei ceti medi e bassi, che non avranno nessun’altra risorsa da utilizzare se non la solidarietà e l’aiuto reciproco.

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sinistra

Femminismo neoliberale

di Salvatore Bravo

0 12056Deumanizzare

Il post-modernismo con la fine della ragione oggettiva ha comportato anche il post-femminismo. Quest’ultimo è sostenuto in modo trasversale da uomini e donne, non è impossibile imbattersi in affermazioni di tal genere: “L’universo trabocca di inutilità e gli uomini rientreranno a buon titolo nella categoria del superfluo”, tale dichiarazione è nella premessa del libro di Telmo Pievani “Maschio inutile”. Testi di questo genere devono essere inseriti nel contesto neo-liberista che ha bisogno di sostenere la lotta tra femmine e maschi, mostrando quanto le femmine per natura siano migliori del maschio, si ipotizza “per cause evoluzionistiche il suo superamento”. La lotta socio-economica è trasferita nella natura, dalla quale si evince che la femmina vince. Essere umani e natura sono posti sulla stessa linea. Il nichilismo esemplifica e deconcettualizza, utilizza messaggi-slogan, nello stile del “marketing” per raggiungere chiunque: un messaggio semplice non esige mediazione del pensiero, per cui facilmente diviene “automatismo linguistico” a cui corrisponde la pratica di comportamenti rafforzati dal consenso mediatico. Bellum omnium contra omnes è la verità del capitale. La natura è speculare al genere umano, entrambi sono mossi dalla guerra, la quale è la verità degli animali non umani come degli esseri umani. Operazione ideologica in senso marxiano, il capitale assolda le scienze per confermare i principi su cui si fonda la visione neo-liberista. Le complicità del mondo accademico sono palesi, ma vengono taciute. Mondo accademico, media, economia e politica sono un unico asse, tra di essi vi è continuità ideologica, pertanto il risultato finale è la conferma ripetuta dell’ideologia neo-liberale.

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il rasoio di occam

Dalla produzione alla riproduzione e ritorno: il socialismo di Nancy Fraser e i suoi problemi

di Giorgio Cesarale

Nel dibattito contemporaneo sul socialismo, una posizione di particolare rilievo è quella di Nancy Fraser. Della sua proposta vanno tuttavia valutati sia i meriti sia i problemi

unnamed8955Il discorso di Nancy Fraser sul socialismo, esposto in Cosa vuol dire socialismo nel XXI secolo?, ha il merito di essere storicamente situato e teoricamente strutturato. Esso è storicamente situato, perché, fin dall'incipit, se ne dichiara l'appartenenza a un preciso contesto politico, quello determinato, dopo il great crash del 2007-2008, dall'impetuosa crescita del movimento socialista americano, non solo nella versione di Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez (l'ala sinistra del Partito Democratico), ma anche in quella dei Democratic Socialists of America (attualmente, la più grande organizzazione socialista indipendente negli USA). I giorni in cui scriviamo queste note vedono poi tutte le strade americane, di campagna e di città, al nord come al sud, a ovest come a est del Paese, percorse da uno straripante movimento sociale e politico, da una ribellione antirazzista che presenta tratti insurrezionali, alla quale si contrappone una reazione sorda, un gangsterismo clownesco, ma torvo, il quale si sveste dei suoi panni “neopopulisti”, per assumere quelli, tristemente più noti, dell'avventurismo fascista. Quest'ultimo sviluppo, tutto da seguire nei prossimi mesi perché foriero di ulteriori e imprevedibili sorprese, illumina, da un altro lato, l'importanza teorica del discorso di Fraser sul socialismo[1]. Esso, infatti, riposa sul ripensamento della “classica” separazione, soprattutto interna a un certo marxismo “ortodosso”, secondo- e terzo-internazionalistico, fra la sfera della produzione e quella della riproduzione, e cioè, più esattamente, fra l'ambito di ciò che Marx ha chiamato “processo di produzione immediato”[2] e le condizioni di riproduzione dei rapporti sociali che rendono possibile quest'ultimo.

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euronomade

Controcondotte moltitudinarie, ripoliticizzazione e tumulti

di Augusto Illuminati

augustoContropotere si dice in moti modi, pollakôs légetai. Di almeno uno di questi significati – una fase transitoria ma non istantanea in cui ci fronteggiano due poteri in conflitto e quasi in equilibrio, insomma un dualismo di potere – oggi non abbiamo traccia. All’interno di un esteso ciclo mondiale di lotte abbiamo piuttosto passaggi di contropotere locale, vigenza di controcondotte (per usare un termine più modesto) che si addensano in costellazioni di resistenza e pratiche alternative, prove di contro-egemonia. Possiamo inoltre chiamare controcondotte le forme di vita che si sganciano e fanno attrito rispetto ai modelli imposti dal mercato e dallo stato. Il contropotere si presenta oggi come un qualcosa di plurale, disseminato e virtuale, una potenza non compiutamente realizzata e forse destinata all’incompiutezza che è propria di ogni dúnamis nel passaggio all’atto.

Detto in termini machiavelliani: l’umore del popolo di non essere comandato né oppresso, che incessantemente lo contrappone ai potenti che vogliono comandarlo e opprimerlo, è umore di contropotere. Però, intendiamoci, il popolo o la moltitudine (quale che ne sia il contenuto) non è un soggetto come essenza unificata e unificante e “non è” (ovvero non si identifica) con quell’umore ribelle, ma “lo ha” come un oggetto esterno sia pure affine, se non altro per la posizione occupata dal popolo.

Se x è y, il predicato inerisce al soggetto e ne definisce almeno in parte l’essenza: il ghiaccio è freddo oppure solido. Se x ha y, se Carlo ha un corpo, l’oggetto non concorre a stabilire l’essenza del soggetto, che è più complesso e sussiste anche in caso di mutilazione. Fra i due termini c’è distacco, possibilità di uso o di non uso, e soprattutto di usi diversi. Avere la parola non è prendere la parola o dare la parola.

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filosofiainmov

Il difficile "socialismo" e le sue inaspettate ricomparse

di Mario Reale

Nancy Fraser: Cosa vuol dire socialismo nel XXI secolo, Castelvecchi, 2020

socialismo e comunismo og1) Lo squillante inizio del contributo di Nancy Fraser suona: «‘Socialism’ is back». L’affermazione, pur rivendicata con orgoglio, è subito sottoposta a una radicale e straniante domanda: che vuol dire esattamente oggi «socialismo»? Si può lottare per qualcosa il cui significato è ancora indefinito? Giusto partire da ciò che c’è (o sembra esserci), dopo decenni in cui sembrava impronunciabile persino la parola «capitalismo»; ma la realtà sembra sfuggirci di mano non appena ci poniamo questa domanda, quasi si trattasse di un fenomeno presente, e tuttavia acefalo, privo ancora di un volto sicuro. L’unico modo in cui si può sciogliere questa difficoltà, come per un verso fa la stessa Fraser, consiste nel riconoscere che i tradizionali contenuti assegnati alla parola – poniamo il controllo pubblico (o, persino, statuale) di tutti i mezzi di produzione, l’estinzione dello Stato, ecc. – sono ormai insufficienti e a volte improbabili, di fronte alle novità che il capitalismo nel frattempo ha saputo mettere in campo. Sovraccarichi di anni e un po’ ingenui o polverosi, essi infatti oscurano, anziché illuminare, l’azione pratica dei socialisti: rimane sempre una «mala contentezza» rispetto a qualcosa che potrebbe pur sempre rappresentare una tradizione da consegnare ormai ai secoli XIX e XX. Di qui il senso di avere a che fare con mete che, se pur oggi sembrano muoversi nella direzione giusta e ci fanno vincere, domani potrebbero segnare il terreno delle nostre sconfitte. Lo stesso caso del «socialismo» in Cina, un tema da esaminare con cura, comprova, mentre se ne distanzia, il nostro assunto.

 

2) Da dove si comincerà per determinare meglio una parola-concetto così sfuggente come quella di «socialismo»? La via maestra sembrerebbe quella di ripercorrerne i sensi filologico-storici, magari risalendo al Manifesto del partito comunista.

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il rasoio di occam

Guy Debord e l’eredità dello spettacolo

Da Marx a Lukács: plagiatore o teorico?

di Afshin Kaveh

guy debord 499È ormai innegabile quanto la lettura che si fa di Guy Debord, spesso, porti con sé il peso di una serie infinita di approssimazioni, vuoi per una certa attitudine alla distrazione di alcuni lettori (non sempre in buona fede) che non gli cedono il giusto posto tra le letture marxiste e vuoi perché, sia lo stesso personaggio che il proprio enunciato, risultano spesso criptici o, comunque, rivestono quell’alone misterioso di chi si è tenuto a debita distanza, non facendosi avvicinare se non da pochi e facendosi comprendere solo da chi lo leggeva cogliendo i suoi intenti «di nuocere alla società spettacolare»; a tal riguardo davvero «non ha mai detto nulla di eccessivo»[1] e, dal lato della barricata da cui poteva vantare di essersi posto, ha semplicemente detto ciò che andava detto, senza mezzi termini o sterili avvitamenti.

Sono del parere che le frasi più suggestive per meglio comprendere Debord, sia nella persona che nel pensiero, siano state pronunziate da chi lo conobbe personalmente. Mario Perniola lo ha definito in più occasioni «il pensatore più estremista della seconda metà del Novecento». Gianfranco Sanguinetti, a ben ragione, afferma che «senza la teoria dello spettacolo elaborata da Debord questo mondo rimarrebbe del tutto incomprensibile e incerto». Ma lungo una vita intera in cui le amicizie, seppur importanti, si sono sempre rapidamente succedute una dietro l’altra tra allontanamenti, spesso ingiustificati o proprio incomprensibili, dure critiche e tristi rotture, la più bella frase su Debord, a parer mio, è quella massima che scrisse a suo tempo Asger Jorn, l’unica amicizia che mantenne intensamente sino alla fine, senza mai separarsene o allontanarsene[2], in un sincero e continuo scambio di affetto e stima reciproca: «Guy Debord n’est pas mal connu; il est connu comme le mal»[3].

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badialetringali

La millenaria oppressione delle donne?

Elementi di una critica del femminismo

di Marino Badiale

prati3I. Introduzione

Questo scritto vuole essere l’inizio di un lavoro di discussione critica di alcuni punti della visione femminista del mondo e della storia. Credo sia giusto provare a fare questo lavoro perché il femminismo (e più in generale, il “politicamente corretto”) è ormai diventato uno dei pilastri ideologici delle moderne società occidentali, e mi sembra doveroso esaminare criticamente i fondamenti razionali di tale visione del mondo e indicarne le debolezze. È curioso il fatto che questo lavoro critico sembra negletto, almeno all’interno del mondo intellettuale “ufficiale” (in particolare nell’accademia). Esiste certamente una produzione intellettuale di critici del femminismo (che si esprime tramite libri e, soprattutto, sul web), ma si tratta di elaborazioni che restano marginali e minoritarie. Sembra cioè che, mentre nel mondo intellettuale occidentale si può essere individualisti o comunitaristi, keynesiani o antikeynesiani, pro-Stato oppure pro-mercato, marxisti o antimarxisti, non si possa essere antifemministi. Questo è di per sé un tema interessante di riflessione, ma non è il tema di questo scritto. Preciso solo che, per quanto mi riguarda, “antifemminismo” non significa contestazione della tesi dell’uguaglianza fra gli esseri umani e della sostanziale unità del genere umano. Non è questo che intendo parlando di “critica del femminismo”; intendo piuttosto la critica di una interpretazione del mondo e della storia. Intendo cioè dire che nel mondo intellettuale contemporaneo vi è una notevole produzione di tesi e affermazioni di tipo femminista che riguardano la realtà degli esseri umani, presenti e passati, e che mi sembra un lavoro necessario quello di prendere in esame alcune di queste affermazioni per saggiarne la solidità, e rifiutarle se appaiono infondate. È questo il compito che mi propongo, in questo intervento e in altri che seguiranno.

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cumpanis

La questione comunista

Per un dibattito sull’organizzazione di classe del proletariato

di Vittorio Gioiello

gioiello foto togliattiScopo di queste note è tornare a definire i termini di una rivoluzione democratica che riproponga obiettivi e strumenti di una lotta sociale e politica coerente con una strategia di attacco ad un capitalismo, che ripropone sempre e comunque una dittatura di classe, avvalendosi anche di più “moderne” manifestazioni del rapporto tra capitale finanziario e capitale industriale per proseguire il suo dominio sociale.

Vale la pena accompagnare l’indagine sui punti di forza essenziali e irrinunciabili, perché si possa parlare con un minimo di attendibilità di lotta ideale e politica, affinché il movimento democratico, come portatore dei valori della classe degli sfruttati ed alienati, possa attestarsi non già semplicisticamente e subalternamene nell’agone politico-istituzionale, ma, al contrario, proporsi come portatore di una interpretazione di esigenze storiche profonde di rivoluzione culturale e sociale, facendole valere come leva antagonistica non alle forze di “governo” della società capitalistica, ma all’insieme della struttura del capitalismo e dei suoi rapporti con le istituzioni.

Ciò comporta la ripresa di una discussione che, in modo non separato ma strettamente interdipendente, conduca l’analisi critica dell’attuale fase cosiddetta “postmoderna”, “postfordista” e “postindustriale” – con tutti i suoi specifici contenuti volti a demistificare la tesi secondo cui, a causa della rivoluzione tecnologica, il lavoro sarebbe ormai obsoleto; il capitale, in quanto transnazionale, sarebbe sempre più “astratto”, e, a sua volta, anche lo stato-nazione sarebbe assorbito in una sorta di empireo, che renderebbe inutile, perché priva di presupposti reali, la lotta sociale e politica sul territorio.

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sollevazione2

A che punto siamo della storia?

di Moreno Pasquinelli

APOCALYPSE NOWIl principale paradigma della visione dialettica si può racchiudere in questa massima: nulla è perenne se non il cambiamento. Non lo è, evidentemente, nemmeno il capitalismo. Sappiamo però che il capitalismo, rispetto alle formazioni sociali che lo hanno preceduto, si distingue per il suo innato dinamismo, per la sua intrinseca tendenza ad adattarsi alle diverse circostanze, per la sua capacità di superare in avanti anche le crisi più devastanti. Il capitalismo è infatti un organismo mutante, per sua natura condannato a incessante metamorfosi. Le crisi, tanto più se profonde, segnano sempre il passaggio da uno stadio ad un altro.

Il 2020 sarà ricordato come un anno spartiacque tra un periodo e un altro, come data storicamente periodizzante, come la linea che separa il vecchio dal nuovo.

Sappiamo cos’è il vecchio che ci lasciamo alle spalle: il lungo ciclo segnato dal combinato disposto di globalizzazione estrema, neoliberismo e iper-finanziarizzazione. Cosa sarà il nuovo, l’addiveniente, non è dato sapere con certezza. Con certezza sappiamo che la storia non soggiace a nessun principio teleologico per cui essa sarebbe organizzata e procederebbe in vista di un fine (sia esso socialismo o qualsiasi altra cosa si voglia intendere per fine); sia che tale principio dipenda da una volontà provvidenziale esterna alla storia, sia che esso sia concepito come immanente ad essa. Di contro alla concezione meccanicistica del rapporto causa effetto, oggi sappiamo che da una determinata causa possono risultare effetti diversi. Non si tratta solo di “probabilismo”, per cui dall’evento A non si può dedurre come assolutamente certo l’evento B.

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tempofertile

Alvaro Garcia Linera, “Democrazia, Stato, Rivoluzione

di Alessandro Visalli

51 RlkWaLMLLa casa editrice Meltemi, per la collana “Visioni eretiche”, ha pubblicato da poco il libro di Alvaro Garcia Linera “Democrazia, Stato, Rivoluzione” che raccoglie interventi del già vicepresidente della Bolivia di Morales editi o pronunciati tra il 2013 ed il 2016, che è l’anno di uscita del testo in edizione originaria.

Si tratta di un testo importante e complesso. Perfettamente espressivo delle difficoltà teoriche, di posizionamento politico coerente, e di innesto di tradizioni culturali diverse, che sono all’opera, spesso in modo tuttavia fecondo, nel contesto latinoamericano. L’autore ha un curriculum di indiscutibile fattura: nato nelle Ande, in una città di media grandezza, capoluogo di provincia e di dipartimento[1], a venti anni si trasferisce in Messico dove studia matematica e frequenta gli ambienti estremamente vivaci dei rifugiati di tutta l’America Latina alle prese con la controffensiva imperiale statunitense degli anni settanta (la famosa “Operazione Condor”[2]). Matura in questo contesto una visione del marxismo sensibile ai processi rivoluzionari autoctoni e al protagonismo indigeno, così importante nella sua terra dove la componente ‘europoide’ è ancora una minoranza piuttosto limitata. Dopo un tentativo a partire dal 1985 di mobilitazione india, fonda l’Ejericito guerrillero Tupac Katari (EGTK). Viene arrestato e detenuto per cinque anni. Dall’inizio degli anni duemila, fino al 2005, quando vince le elezioni, partecipa al Movimento per il Socialismo (MAS) il cui leader è l’indio Evo Morales, poi divenuto Presidente della Colombia.

In estrema sintesi il testo tenta di trovare un equilibrio difficile tra posizioni teoriche e tradizioni diverse nel confronto con la realtà sociale e l’urgenza dell’azione nel cosiddetto “ciclo bolivariano”[3].