Turn up the… History. Riorientare il desiderio e l’azione
di Silvano Poli
G. W. F. Hegel affermava che la lettura del giornale è la pregheria dell’uomo moderno. Inevitabile come il segno della croce per ogni buon cristiano, molti di noi l’altro ieri hanno aperto gli occhi e scrollato le notizie sul loro calamitico smartphone. A colonizzare il “feed” (quella che una volta era la home) c’era la vittoria di R. Mamdani a nuovo sindaco della Grande Mela. L’entusiasmo, o l’astio sono palpabili, gli appellativi arcinoti e ripetuti fino allo sfinimento: Mamdani è di colore, musulmano e pure socialista.
Il trionfo newyorkese è solo la ciliegina sulla torta di una serata che per i Dem è puro ossigeno. Nella stessa notte, infatti, il partito blu si è portato a casa i Governatori di New Jersey e di Virginia, affiancando anche la maggioranza nel Parlamento federato dello stato “Madre dei Presidenti”. Decisivi sono state anche la vittoria della “Proposition 50” per la ridefinizione dei collegi dei rappresentanti alla Camera – classica storia di Gerrymandering e opposizione al Texas rosso – fortemente voluta dal partito Dem Nazionale e osteggiata ferocemente da Trump; così come la riconferma di tre giudici nella corte federale della Pennsylvania. In breve, dopo mesi di stato comatoso, questo è forse il primo colpo di reni da parte di un partito che sembrava aver assorbito tutta l’inettitudine di Biden e l’ignavia di Harris – che con Mamdani è riuscita a non prendere ancora una volta una posizione strategicamente intelligente. È, di certo, una vittoria degli outsider, di quelle frange ostracizzate dal partito principale: dimostrazione di come il core del partito sia ancora dominato da un’avversione antipopolare che non ha nulla da invidiare ai neocons, ai tecno oligarchi e ai Trump Boyz. E, tuttavia, è indubbio che dopo mesi, se non anni di notizie pessime, una buona notizia non possa non avere l’effetto di galvanizzare l’ambiente e tutti i movimenti.
È certo che Mamdani rappresenti uno dei migliori risultati auspicabili negli USA e che l’egemonia del gigante d’oltreoceano ci porti a fare nostre le sue vicissitudini, a renderci tristi per le sconfitte dei (presunti) “compagni” a stelle e strisce ed entusiasti per le loro vittorie.
Lo stesso feed che riporta la notizia si popola in pochissimo tempo di post da parte di webzine e content creator di ogni tipo. Tra umorismo e cinismo la lezione è sempre lo stesso: si vuole urlare dell’importanza di sapere prendere esempio. Il messaggio che deve arrivare è che fare qualcosa è possibile e che, con messaggi chiari e quasi socialisti, non è nemmeno così difficile. “Guarda sinistra italiana, se proponi qualcosa di concreto per i lavoratori e per i ceti popolari, se torni ai cari vecchi diritti sociali e alle questioni materiali vincere è possibile” è il riassunto di tutti i post che vi è capitato di vedere: non vergognatevi di dirvi Socialista. È certo che queste sono delle verità banali ma essenziali da abbracciare, un monito da ripetere in coro. Tuttavia, proprio come il core Dem USA, anche il core Dem italiano è irrimediabilmente marcio e non sarà una rondine a fare primavera. Andando davvero più a fondo, bisogna domandarsi se è davvero l’isomorfismo leaderistico la soluzione per i problemi dell’Italia, oppure se la struttura e le condizioni impongono maggiore realismo. Allo stesso tempo è utile chiedersi se la piattaforma programmatica sia davvero così prêt-à-porter non soltanto in termini di contenuti (scontato), ma anche per il potenziale di creare una catena di equivalenza nelle classi popolari.
Quanto al primo punto, spenti i bollenti spiriti dell’entusiasmo, una riflessione lucida sembra remare contro ogni possibilità di un Mamdani italiano. Negli ultimi 25 anni gli apparati partitici di USA e Italia hanno intrapreso percorsi convergenti: a fronte di una lenta deterritorializzazione dei partiti italiani, quelli USA – storicamente delle macchine leggere mobilitate per le elezioni – hanno tentato di ancorarsi di più. Questo processo è diventato evidente a partire dalla prima campagna Obama, quando la campaign organization “Obama for America” viene riconvertita in “Organizing for America” (OFA), divenendo il braccio destro del Democratic National Committee. Questo processo è oggi molto evidente nella strutturazione dei diversi movimenti MAGA diffusi in molti stati e ormai capaci di controllare le nomine degli apparati federati. Sebbene in modi a noi non sempre comprensibili, la politica partitica negli USA è molto più prossemica ai cittadini di quanto si creda. Al contrario, anche senza casi eclatanti, la distanza tra cittadini e partiti nel contesto italiano è ormai siderale. Tuttavia, l’abbandono delle sedi territoriali non è legato a una perdita di potere effettivo, anzi. La politologia nostrana ha speso non poco del suo tempo e delle sue risorse per dimostrare come i partiti (perlomeno quelli grandi) abbiano perso seguito ma abbiano sempre lo stesso, se non maggiore, potere (da spartire per di più con sempre meno membri). Il retaggio della politica di massa e dei suoi attori è materiale difficile da smaltire: vale per i risultati e le conquiste, ma anche per le scorie e le problematiche. Per la sua vittoria, Mamdani ha certamente potuto contare sulla sua giovane età e sulla sua “verginità politica” rispetto al molestatore seriale Cuomo e al giuridicamente graziato, ma corrotto, Adams. Questo è stato possibile anche grazie alla struttura rinnovabile e mobile dei partiti statunitensi. Non è solo il movimento Woke che anima le avanguardie artistico culturali del Village a rendere culturalmente possibile la fioritura dei Mamdani, ma è, soprattutto, una questione di finestre di opportunità: una finestra che il nostro sistema non sembra concedere.
Il secondo punto è, tuttavia, quello che più interessa molti cittadini. La piattaforma programmatica del neosindaco ha ruotato intorno (o ha voluto enfatizzare) pochi fondamentali punti, tutti sociali: nuove tasse per i miliardari, imposte sui patrimoni per finanziare una città più sociale e attenta a fermare il caro degli affitti, a garantire mezzi pubblici gratuiti e servizi diffusi. Oggi questo viene chiamato socialismo, ma si tratta dei puntelli di una sana socialdemocrazia restia a non farsi spolpare da una ristretta oligarchia che vide del nostro sangue, a livello economico, e della nostra linfa vitale, a livello libidico, per il proprio godimento sadico. Tuttavia, quasi mezzo secolo di realismo capitalista neoliberale è riuscito a trasformare l’ovvio in un miraggio, la dignità in privilegio. Appare quindi ovvio che supportare queste posizioni è il livello minimo. Ciò che, purtroppo, frustra le speranze di una “proliferazione dei Mamdani” – ancor più della struttura partitica discussa sopra – è l’idea stessa dell’esportazione. Mentre molti compagni sono intenti a festeggiare, speranzosi di non ricadere nel circolo vizioso tipico dell’eroe della sinistra – il modello “speranza; entusiasmo; delusione; riflusso” – nessuno di loro sembra interessarsi alle condizioni concrete del terreno culturale di questi successi. La lezione di tutti quei post è un pacifico “se ce l’ha fatta lui, se ha funzionato per loro, funzionerà per noi”. Bisogna essere brutalmente onesti su questo punto: replicare quella campagna, quei temi (perlomeno trattati nello stesso modo) non è fattibile, non porterà a nulla (se non a maggiore frustrazione).
Una lezione utile ci viene dalla dottrina del terreno di Von Hayek. Alla fine degli anni ’40, il teorico austro-statunitense era sempre intento a organizzare il suo pensiero per opporsi alla dominante impostazione keynesiana dell’economia e del ruolo dello Stato. Nella sua riproposizione della “vecchia dottrina Whig”, Hayek dedicò alcune riflessioni al concetto di “terreno culturale”, qualcosa a cui il sociologo olandese Van Dijk ha rivolto molti dei suoi sforzi tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. Per Hayek il liberalismo americano non doveva combattere il presente con l’innovazione: piuttosto, doveva conquistare lo status di sublime oggetto perduto, caricarsi simbolicamente di nostalgia. Il punto fondamentale, per Von Hayek come per Van Dijk, è che nei momenti di difficoltà le idee che plasmano il futuro non sono semplicemente quelle che si impongono perché maggioranza o supportate dal potere. A vincere sono invece le idee “disponibili per terra”, che i gruppi di potere recuperano dal passato e rendono potenti attraverso la ri-articolazione. Per molti autori come Benjamin, e, in parte anche Gramsci, questo è sempre stato evidente. Come ha spiegato il filosofo sloveno S. Zizek, una rivoluzione si compie solo quando il processo di riscrittura del sociale non si limita al presente, ma investe anche il passato. Proprio come nel caso dell’amore, l’evento significante deve agire retroattivamente; l’incontro con la persona amata deve non solo dare senso al presente e al futuro insieme a lei, ma anche al passato con altre: tutte le relazioni precedenti, i fallimenti, le delusioni, devono essere ripensate, concettualizzate e abbracciate come momenti positivi e necessari ad arrivare qui.
Per l’italia questa è indubbiamente la sfida più importante e complicata. In un paese con un’età media che si avvicina pericolosamente ai 50 anni, pensare di “cavalcare la tigre” con il furore del giovane trentenne multiculturale che ha girato al mondo grazie a genitori che lavorano nello show business e nell’accademia è certamente una bella storia Netflix… ma non ha il minimo potenziale politico. Utilizzare la stessa retorica sulla necessità di tassare le rendite (assolutamente necessario) in un paese come l’Italia è semplicemente autolesionista. In questo momento, la maggioranza anagrafica ed etnica del paese considera questa espressione come il grimaldello per scalfire la piccola proprietà personale. Proprietà adoperata come rendita (quasi sempre ereditata) contro l’erosione del tenore di vita della classe medio e medio bassa, giustamente considerata un paracadute indispensabile e che non deve essere scalfito. Infine, se la necessità di migliori servizi e salari maggiori è certamente avvertita da molti, quasi mai questo stato di cose viene collegata ad un problema che ha che fare con la classe imprenditoriale. Per gli italiani, l’aridità del gettito fiscale è sempre colpa di politici spendaccioni che dissipano risorse in lauti vitalizi (certamente vero, ma quantomeno riduttivo). Così come la contrazione salariale non ha mai a che vedere con l’avidità e l’esplosione dei profitti dei padroni (come dimostrano i dati), ma, di nuovo, con un legislatore avido che tempesta di tasse i poveri mal capitati; poco importa che le multinazionali abbiano la tendenza a trattenersi l’Iva e a pagare il 2/3% di tasse sul fatturato a fronte dell’oltre 30% del dipendente medio. La colpa è sempre delle tasse in quanto tali, non della loro distribuzione iniqua.
Per tutti questi motivi, la quasi citazione che ci contraddistingue mi sembra essere “sventurata la terra che ha bisogno di Mamdani”. Eppure, accanto alle parole del drammaturgo tedesco, me ne sovviene lentamente anche un’altra, che già grazie alla sua provenienza può dare speranza, giacché permette di uscire dall’avvento di un Messia che non verrà e che, come ho cercato di spiegare, se anche venisse non avrebbe successo. Oltre 150 anni fa, nella piena disillusione di un’epopea tradita come il Risorgimento, G. Verdi scrisse all’amico F. Florimo una frase iconica: “tornate al passato e sarà un progresso”. Mentre elenco le caratteristiche dell’Italia, e le storture degli italiani, che rendono inutile l’attesa del modello “sindaco newyorkese”, compredno che bisogna sforzarsi di pensare se è davvero possibile tornare al passato. Per sostenere la nostra riarticolazione è necessario capire se si può mettere a fuoco quella piattaforma così ammirata in questo momento in qualcosa di diverso, di nostro: non della democrazia liberale europea, ma delle esperienze italiana.
Nel 1953 lo storico marxista E. Ragionieri pubblicò un saggio dal titolo “Storia di un comune socialista. Sesto Fiorentino”. Al posto di inseguire un’ombra incorporea figlia della fascinazione social, ritengo che quel volume dovrebbe oggi essere adoperato come bibbia per “la via italiana a… Mamdani”. In quelle pagine Ragionieri mostra come un piccolo comune e la sua giunta socialista riuscirono in progetti molto più radicali di quelli oggi sbandierati, ma in un modo molto più felpato, per certi versi italico. In quel libro vi è la toccante storia degli accordi porta a porta con i fornai per calmierare i prezzi durante la carestia dei primi del ‘900, allo scopo di evitare tanto la speculazione dei privati quanto il loro linciaggio da parte della folla. Vi è il racconto dettagliato della nascita delle municipalizzate dei trasporti, delle cooperative di produzione e consumo alimentare, dei piani edilizi per i lavoratori e della diffusione dell’acqua pubblica. Ma, soprattutto, vi è la spiegazione della cultura necessaria a questi risultati. Una cultura socialista autonoma che si è preoccupata di non spaventare i piccoli artigiani e i mezzadri, ma anzi di avvicinarli attraverso il riconoscimento del valore del lavoro e della piccola proprietà privata. Una cultura socialista che ha saputo fare propri i messaggi della corrente reggiana di Prampolini e, dunque, anche della narrazione del cosiddetto “Gesù socialista” per avvicinare i contadini; che ha saputo insegnare e insistere sull’educazione volontaria e la disciplina, sulla forza dell’esempio morale dei suoi iscritti, sempre impeccabili, ligi, refrattari ai vizi. Vi è la storia di una stampa che ha saputo impossessarsi e riarticolare la tradizione vernacolare, mantenendone la forma popolana, ma trasformandone i messaggi: una strategia senza ‘altro più lungimirante che sbraitare sui social o dare dell’analfabete funzionale a tutti.
La storia riportata da Ragionieri è istruttiva perché racconta un successo costruito in opposizione alla tradizione della SPD tedesca: una formazione che ai tempi esercitava una capacità di attrazione e guida molto simile a quella che oggi esercitano le correnti della sinistra statunitense sui movimenti del Vecchio Continente. Con un orgoglio, una saggezza e una dignità che non ci vengono quasi mai riconosciuti (in primis da noi stessi), i socialisti italiani del primo ‘900 hanno saputo mettere a punto metodi efficaci per ottenere grandi risultati. Lo hanno fatto senza inseguire, senza farsi trascina dal modello che stava avendo successo nel paese egemone, consapevoli che solo loro conoscevano la situazione di casa loro; istruiti dalla realtà e non dal miraggio, consci che internazionalismo vuol dire armonia delle differenze, non copia-incollare quello che fa il primo della classe, lamentandosi se poi le cose vanno male. Si è trattato di un lavoro silenzioso e disseminato di compromesso di successo, un effetto di quella voce dell’intelletto che Freud ci ha spiegato essere silenziosa. Insomma, una storia di straordinario valore, ma che non può essere adoperata, non può servire a nessuna reinscrizione, perché sostanzialmente sconosciuta anche ai pochi che oggi hanno voglia di impegnarsi.
Come detto sopra, proprio come nel caso dell’innamoramento, per cambiare una società è sempre necessario riuscire riarticolare e reinscrivere la storia passato per dare sostegno a quella futura. E allora, forse, il nostro principale problema oggi non è urlare a una indeterminata “sinistra” di imparare come si fa. Piuttosto, potrebbe essere che, troppo distratti dal flusso del “feed” (quella che una volta era la home), ci siamo persi per strada il nostro passato, che troppo affascinati dalla storia altrui abbiamo rinunciato a cercare il sostegno necessario alla riarticolazione della nostra storia. Il prezzo di questo errore lo scontiamo da ormai quasi mezzo secolo: l’esultanza per il successo della sinistra … degli altri. Per questi motivi, la nostra soluzione deve essere pragmatica, impegnativa e persino poco entusiasmante. Per questi motivi, potrebbe essere quella di smettere di condividere dai nostri schermi slogan altrui su volumi da alzare e iniziare a recuperare la storia (anche e soprattutto) dei nostri successi. Se non altro perché, a differenza degli slogan degli altri, è l’unica che può permetterci di costruire un mondo migliore.







































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