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Notizie sull'operazione speciale condotta dall'esercito russo in Ucraina
In queste ore le abilità diplomatiche di Trump, che avevamo già visto durante il suo primo mandato sulla questione coreana, si sono nuovamente rivelate. Dopo aver messo assieme una coalizione di Stati arabi di peso per il Medio Oriente tra cui Qatar, Egitto e Turchia e aver portato al tavolo delle trattative Hamas e Israele sui 20 punti proposti è riuscito a ottenere la firma sulla prima fase di attuazione dell’accordo. La Pax Americana I principali punti riguardano lo scambio di prigionieri, il cessate il fuoco con il ritiro delle forze...
Esiste oggi un riconoscimento quasi unanime sul fatto che il dominio strategico – economico, finanziario, militare, culturale – del Nord Globale [1] stia per finire e che stia nascendo una nuova configurazione multipolare del sistema-mondo. Si tratta di uno scenario da incubo per l’imperialismo che su quel dominio aveva fondato la propria capacità di contrastare la tendenza storica al declino del saggio di profitto nei settori produttivi. In una prima fase la cosiddetta “globalizzazione” aveva permesso al Nord Globale di conservare alti...
Al di là dei contesti radicalmente diversi, si può riconoscere lo schema ricorrente, l’invarianza; che in questo caso è la cosiddetta “arte di governo”, ovvero l’eludere le proprie responsabilità tramite il vittimismo, la contrapposizione pseudo-ideologica e la gazzarra da talk-show. L’arte di governo è trasversale ai vari governi e ai differenti schieramenti politici, che convergono nella pratica di non precisare i confini tra lecito e illecito. La trasparenza della contestazione e della sanzione dell’eventuale illecito viene sostituita con...
Un movimento nato dal marketing politico Una riflessione sul voto delle regionali in Calabria non può prescindere da un’analisi del Movimento 5 Stelle. Il movimento fondato come una pura e semplice operazione di marketing dal duo Grillo-Casaleggio nasce da una costola di Italia dei Valori e, come ha spiegato Antonio Di Pietro in un’intervista rilasciata a l’Espresso, è destinato — salvo sterzate dell’ultimo momento — a fare la stessa fine. Il M5S, stando ai dati elettorali, si presenta come un movimento politico meridionale, il che non...
Smotrich avrebbe dichiarato: “Il diritto internazionale non si applica agli ebrei. Questa è la differenza tra il popolo eletto e gli altri”. Si tratta evidentemente di una dichiarazione suprematista, atteggiamento già di fatto praticato nello sterminio in atto, ma qui c’è un passo in più: rivendicare formalmente di essere al di sopra di una legge uguale per tutti significa rinnegare l’universalismo, ovvero il pari diritto di individui e popoli a un trattamento analogo di fronte a essa. Si rinnega in sostanza la civiltà del diritto, uno dei...
L’etichetta che invita a comprare è “Piano di pace”, la sostanza dentro all’involucro è “Piano di resa incondizionata”, il nocciolo della proposta è “Piano della disperazione”. Hamas e le altre componenti della Resistenza hanno ovviamente dato disponibilità al “Piano di Pace”. Non farlo avrebbe potuto far pensare che il loro è un cinico accanimento sulla guerra a spese dell’olocausto in atto del loro popolo. E’ palese, con Hamas, l’esistenza di una formazione bicefala, con una dirigenza, da anni a Doha, incline ad ascoltare con attenzione gli...
All’ottantesima Assemblea Generale dell’Onu, la rappresentante del Perù, Dina Bolouarte, ha concluso il suo intervento a microfoni spenti. Guasto tecnico o sordina intenzionale? Intanto, fuori dal Palazzo di Vetro, si facevano sentire i peruviani risiedenti a New York. Come molti concittadini immigrati in altri paesi, i peruviani che vivono negli Stati uniti non hanno perso occasione per protestare contro quella che considerano non la presidente, ma un’”usurpatrice”, che governa dal 7 dicembre del 2022, a seguito di un “golpe istituzionale”...
Un mio amico appartenente a quella che fu l’area cosiddetta “sovranista” mi ha chiesto quali sarebbero le ragioni, secondo il mio punto di vista, dell’ultimo flop elettorale di DSP (la formazione guidata da Marco Rizzo e Francesco Toscano), nel caso specifico nella regione Calabria dove ha ottenuto circa lo 0,9% (c’è anche da considerare che è la regione di Francesco Toscano dove infatti era candidato). Questa di seguito è stata la mia risposta che ho pensato di rendere pubblica. Qualche settimana fa ho ascoltato su Facebook un brevissimo...
Il significato del marxismo come analisi volta a comprendere la realtà e come spinta rivoluzionaria a trasformarla sta anche e specialmente nel rifiuto costante che Marx oppose a ogni prospettiva moralistica e sentimentale, proponendosi invece di pervenire a una comprensione quanto più oggettiva e fredda del divenire storico e dei conflitti tra le classi. Das Kapital rappresenta il vertice di questa intenzione che è stata ed è feconda non in quanto ‘scientifica’, aggettivo che ricorre spessissimo nei testi marxiani ma che ne mostra la...
Il prossimo 14 ottobre, a Udine, si giocherà la partita di calcio tra Italia e Israele valevole per le qualificazioni ai campionati mondiali del 2026. Incuranti degli appelli che si susseguono, ormai da mesi, per chiedere la sospensione di questo evento, FIGC, prefettura e governo ritengono che non ci sia nulla di male a ospitare la squadra che rappresenta un’entità coloniale che da decenni occupa il territorio palestinese illegalmente, costringendo i suoi abitanti a vivere sotto assedio, e che negli ultimi due anni ha accelerato e inasprito...
Il governo Meloni non regge le critiche, si sa. I suoi quasi-avversari liberal fanno notare che non dà interviste da una vita (quelle di Bruno Vespa non possono onestamente essere considerate tali…), che non risponde mai a nessuna domanda, che il suo stile comunicativo è praticamente autistico. Ma nella pratica di governo – nella concretezza delle decisioni, prima e più che nelle dichiarazioni – è solarmente evidente che sta velocemente passando dalla “tolleranza occhiuta” del dissenso alla repressione pura e semplice. Pensare di fermare così...
Il 4 ottobre è stata una giornata figlia di un lungo percorso, durato due anni, che ha visto nel suo corteo oceanico uno dei momenti di apice per un movimento che in questo autunno ha iniziato a dispiegare tutta la sua capacità di mobilitazione. Una settimana lunga e intensa, inedita, che ha portato milioni di persone in piazza in tutta Italia e che ha saputo esprimere numerosi momenti di conflitto. Questa settimana ha dimostrato plasticamente che la società italiana è schierata convintamente per la Palestina e contro le politiche...
Ai reazionari – dichiarati o camuffati – che in questi giorni fanno finta di chiedere “ma perché protestate per Gaza?” (sottinteso spesso urlato: “andate a lavorare!”) si può facilmente rispondere, e asfaltarli, mettendo in fila un po’ di notizie che in questi giorni di mobilitazione continua forse sono passate un po’ inosservate. Prima notizia. Nella vicinissima Grecia, che tanto ci somiglia da aver fatto coniare il detto “una faccia, una razza”, sono cominciati gli scioperi contro la nuova legge sul lavoro che il governo Mitsotakis sta...
La situazione internazionale, scrive la signora Alessandra Ghisleri su La Stampa del 7 ottobre «genera smarrimento, confusione e – forse più di tutto – paura», anche perché le persone sono costrette a «navigare un’informazione parziale, frenetica e spesso polarizzata». Vien da rispondere con la locuzione oraziana “de te fabula narratur”: è dei vostri giornali di regime che si parla, impegnati ad alimentare un clima di guerra, per preparare le coscienze ai “necessari” tagli a salari, pensioni, sanità e per convincere le masse che, come ha...
È in corso un processo di deindustrializzazione dell’Italia che rischia di divenire un Paese condannato al sottosviluppo. Ma la politica economica del governo non incontra alcuna opposizione da parte della sinistra. Strumentalizzando la protesta popolare, la CGIL di Landini vuole autoassolversi dalle sue responsabilità inerenti la devastazione dello stato sociale messa in atto dai governi (specie di sinistra), sin dal sorgere della seconda repubblica Se esaminiamo la politica economica del governo Meloni alla luce del processo di dismissione...
Questa mattina forse Giorgia Meloni si è svegliata pensando che il “weekend lungo” – come lo ha chiamato lei – dei solidali con la lotta dei palestinesi fosse finito. Invece, sono tante le scuole che in varie città d’Italia stanno venendo occupate da studentesse e studenti. I più giovani sanno bene che non bisogna distogliere l’attenzione dal genocidio in corso in Palestina, e non permetteranno che ciò accada. Gli studenti continuano a fare proprie le parole lanciate dai portuali di Genova del CALP e poi fatte proprie dall’intero paese...
Come osservava Georg Christoph Lichtenberg, o secondo la versione più nota attribuita ad Albert Einstein, "L'educazione è ciò che rimane dopo che si è dimenticato tutto ciò che si è imparato a scuola". Non si tratta quindi di accumulo mnemonico, ma di qualcosa di più profondo e strutturale. Io me la ricordo in un'altra versione, dai tempi del liceo: la cultura è quel che rimane dopo aver scordato. Erano tempi diversi in cui "analfabetismo funzionale", per esempio, era una locuzione inesistente. Mentre qualche volta veniva usato l'aggettivo...
Presi dall’enorme mobilitazione che ha interessato il paese in questi giorni in solidarietà con la lotta palestinese e in sostegno della rottura del blocco illegale di Gaza da parte della Global Sumud Flotilla, è passato momentaneamente sullo sfondo il dibattito sull’approvazione della prossima manovra finanziaria, che si avvicina inesorabilmente con la fine dell’anno. Giovedì, però, il Consiglio dei Ministri ha varato il Documento programmatico di finanza pubblica (o Dpfp), che ha sostituito la vecchia Nadef. La funzione è più o meno la...
Le decine di migliaia di vite umane sacrificate in Palestina non sono vite perdute. Spetta però a tutti noi il compito di dare a questo olocausto un significato durevole: valido quindi non solo per il presente ma anche per l’avvenire. È questa la responsabilità che ci impegna tutti d’ora in avanti, se non vogliamo limitarci alle comprensibili reazioni emotive di sdegno e riprovazione: se riversati solo nelle piazze, questi sentimenti corrono infatti il duplice rischio di essere utilizzati per fini di partito, o di svanire non appena...
Non abbiamo mai dubitato dell’imprevedibilità di Donald Trump, ma speravamo che, una volta in carica, si sarebbe mostrato meno aggressivo del predecessore e che non avrebbe scatenato guerre. Si trattava non di una certezza, ma di una scommessa – e salvo ulteriori colpi di scena possiamo serenamente ammettere di averla persa. A gennaio affermai, nel corso di una puntata de il Processo del giovedì, che nei riguardi della Russia il nuovo Presidente USA avrebbe potuto assumere tre atteggiamenti alternativi: seguire il modello Biden, cioè...
La questione palestinese può divenire la fiamma che risveglia le coscienze collettive occidentali? Questa è una domanda fondamentale da porsi in una fase storica in cui la politica occidentale sembra essersi confinata in un convergere di sentimentalismi. Come riportato infatti da Zygmunt Bauman: “Per l’individuo, lo spazio pubblico non è molto più che un maxischermo su cui le preoccupazioni private vengono proiettate e ingrandite senza per questo cessare di essere private o acquisire nuove qualità collettive; lo spazio pubblico è il luogo in...
Nell’agosto del 1971, Richard Nixon annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro. Ciò pose fine a un ciclo iniziato con gli accordi di Bretton Woods, che avevano concesso agli Stati Uniti – l’unica potenza industriale e finanziaria emersa dalla guerra con le proprie capacità intatte e in qualità di creditrice del resto del mondo – la possibilità di rendere la propria valuta la riserva di valore globale. Ma, anche con questo potere americano, fu necessario fare concessioni riguardo alla copertura aurea e, quindi, concentrare...
Non è chiaro se il piano di pace annunciato il 29 ottobre da Trump e Netanyahu (“Il più grande evento nella storia della civilizzazione”) sia oppure no un Truman Show, una realtà parallela e perversa allo stesso modo in cui fu parallela e perversa l’esultanza di Bush jr (“Mission accomplished!”) quando pretese di aver vinto in poco più d’un mese la guerra in Iraq e insediò a Bagdad il catastrofico protettorato Usa diretto da Lewis Bremer. Tra i tanti disastri accaduti dopo quella guerra – incoraggiata da Netanyahu – c’è l’assalto di Hamas del...
“Questo è un giorno molto importante, potenzialmente uno dei giorni più importanti nella storia della civiltà. Cose che vanno avanti da centinaia e migliaia dii anni, noi siamo molto, molto vicini a risolverle. Voglio ringraziare Bibi per essersi davvero impegnato e aver fatto un ottimo lavoro. Abbiamo lavorato bene insieme, come abbiamo fatto, entrambi, con molti altri paesi. Questo è l’unico modo per risolvere l’intera situazione. Accordo completo, tutto risolto. Si chiama pace in Medio Oriente.” Le stime degli esperti sull’ “ottimo lavoro”...
Il titolo è, in sé, allettante. Di tante questioni calviniane si è parlato in occasione del centenario della nascita, nel 2023: ma l’aspetto in senso stretto filosofico è rimasto in ombra. Tanto più che – con ogni evidenza – nel libro non si parla di filosofia in genere, ma di rapporti con il marxismo, con la filosofia marxista. E qui, davvero, la bibliografia è sfornitissima. Anche per una ragione ulteriore: oggi si tende a guardare con sospetto il Calvino che si avventura in certe sintesi politiche, come per esempio gli era accaduto in un...
Qualcosa si è rotto nel gran teatro della menzogna che per molti decenni ha coperto con crimini, ombre, giustificazioni e doppie morali il sistema politico occidentale. Per la prima volta in tempi recenti una causa - la Palestina - è deflagrata nell’immaginario collettivo globale e ha incrinato, per quanto in modo parziale e contraddittorio, l’egemonia degli organi di potere e di informazione. Questa rottura è reale e va riconosciuta: è un fatto. Ma riconoscerlo non significa attribuirgli un significato liberatorio né smettere di vederne...
«Il diritto internazionale è importante, ma fino a un certo punto» (Antonio Tajani, ministro degli esteri della Repubblica italiana, primo ottobre 2025). Qual è, questo «certo punto»? È un punto sulla carta geografica: quello in cui la Marina militare israeliana assalta le navi disarmate e civili della Global Sumud Flotilla, che portano aiuti a una popolazione sottoposta a genocidio e sterminata con l’arma della fame. È un punto: un punto delle acque internazionali in cui i banditi si fanno polizia, e tolgono beni e libertà a naviganti...
Il diritto internazionale è importante…ma fino a un certo punto. Finalmente il ministro degli Esteri Antonio Tajani lo ha detto fuori dai denti. Il diritto internazionale vale quando serve a invocare l’articolo 4 della NATO contro Mosca, se un drone russo invade lo spazio aereo della Polonia. Non vale più se le truppe speciali israeliane assaltano in acque internazionali una nave battente bandiera italiana o spagnola. La nostra territorialità può essere impunemente violata da Israele, senza scomodare l’ombrello atlantico. La sovranità può...
Da giorni, settimane, si succedono notizie di avvistamenti di droni in prossimità di aeroporti o basi militari del Nord Europa, con stop dei voli per alcune ore, indagini, ricerche. I casi ora sono numerosi, ma quasi tutti caratterizzati dal fatto che alla fine i droni non sono identificati, trovati o intercettati; non si sa o non si dice da dove arrivino e perché si trovino lì; non si sa se siano casi scollegati e fortuiti, o uniti da un piano; non c’è un’evidenza netta che si tratti in tutti i casi di droni. In pratica, ci sono i casi di...
Quello cha succedendo nell’emisfero del capitalismo ultraprivatista, guerrafondaio, fascistizzante, agli ordini di un buzzurro incolto e psicolabile e di suoi famuli europei a lui appesi in armi per sopravvivere, viene definito un miracolo. E lo sembra, sempre a chi fa professione di spiritualismo, meglio detto spiritismo, specialisti i bigotti. Ai laici non risulta che ci siano miracoli, ma solo eventi sorprendenti, non attesi, neppure immaginati. Lo sono spesso i colpi di testa della Storia. Come questo, che ha per simbolo la Flotilla per...
Come si spiega la strategia apparentemente “suicida” dell’Ucraina negli ultimi tre – o meglio undici – anni? La risposta più convincente è che, dal 2014, l’Ucraina non è stata principalmente impegnata in un progetto di costruzione nazionale, né ha agito in modo coerente nel proprio interesse nazionale. Ha piuttosto funzionato come un proxy delle potenze euro-atlantiche, che hanno strumentalizzato l’Ucraina come ariete contro la Russia. In questo processo, queste stesse potenze hanno contribuito a rafforzare e potenziare le forze...
La storia dei droni e jet di Putin sulla Polonia e sull’Estonia ha suscitato in molti una struggente nostalgia per i bei tempi di una volta, quando gli UFO venivano avvistati nei cieli e gli ufologi erano chiamati a illuminarci su cosa accadeva. La narrativa ufologica, pur ricca di aneddotica, alla fine però rimandava sempre al mistero, come i telefilm della serie “X Files” che, dopo tanto narrare, lasciavano quasi tutte le domande in sospeso. Di Putin invece, grazie ai nostri media, sappiamo tutto: i piani strategici, i desideri repressi, i...
È indispensabile analizzare l’ascesa di Trump e la sua elezione non solo come fattore interno agli Usa ma intrinseco alla nuova stagione capitalistica. In caso contrario ricondurremmo le decisioni Usa sui dazi, sulla Nato, sulle guerre, sulla finanza a scelte umorali del Presidente senza riferimento alcuno agli interessi materiali che determinano obiettivi economici, politici e geo strategici ben definiti. Secondo Maurizio Lazzarato “Trump politicizza ciò che il neoliberalismo aveva cercato di depoliticizzare: non è più l'«oggettività» del...
I media mainstream provano ossessivamente a far credere alla gente che la guerra in Palestina sia iniziata il 7 ottobre 2023. A questa panzana si contrappone un diffuso sentimento popolare che fa da argine alla disinformazione di Regime. Gli stessi media raccontano che la guerra in Ucraina sia iniziata il 24 febbraio 2022. A quest’altra panzana si contrappongono in molti meno. Tra i primissimi a seguire e a raccontare la guerra in Ucraina – che era scoppiata otto anni prima rispetto a quando se ne accorse l’informazione mainstream occidentale...
Appare evidente come il “piano Trump” sia arrivato anche a seguito del vertiginoso aumento della pressione internazionale e dell’isolamento di Israele dopo quasi due anni di aggressione ai palestinesi a Gaza che ormai molti configurano e denunciano come genocidio. L’isolamento di Israele, l’escalation delle proteste popolari anche in Europa e Stati Uniti e le conseguenze nella regione del bombardamento su Doha da parte israeliana, hanno costretto Trump a cercare una via d’uscita che in qualche modo salvaguardasse Israele e la sua alleanza con...
Il quesito che attraversa oggi il dibattito europeo richiama alla memoria un precedente storico ben noto. Nel 1939, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, l’opinione pubblica si domandava se valesse la pena “morire per Danzica”, ossia affrontare un conflitto mondiale per difendere l’indipendenza della Polonia. Oggi, a oltre tre anni dall’invasione russa, la stessa domanda si ripropone con un nuovo volto: vale la pena morire per Kiev? Il disimpegno americano e la responsabilità europea Le recenti dichiarazioni di Donald Trump, riportate...
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Noi non dimentichiamo nulla!
Venti anni fa le bombe Nato su Belgrado
di Sergio Cararo
La notte tra il 23 e il 24 marzo 1999, la NATO dette inizio ai bombardamenti aerei sulla Serbia. I raid continuarono per 78 giorni, fino al 10 giugno, infliggendo danni per miliardi di dollari, distruggendo le strutture industriali, i ponti sul Danubio, i servizi essenziali del paese e causando la morte di centinaia di civili. Sabato 6 aprile se ne discuterà in un convegno nazionale a Bologna e ci saranno dibattiti in diverse città nei prossimi giorni. Il motivo? Non essere complici dell’oblìo su quella guerra in Europa, voluta e attuata dalle potenze della Nato ed anche dall’Italia. Una guerra pretestuosa funzionale agli Usa e alla Ue per ridisegnare la mappa geopolitica non solo dei Balcani ma dei corridoi strategici che vanno da est a ovest, e viceversa.
In una pubblicazione di quelle settimane e cercando di chiarire la posta in gioco in quel conflitto, scrivevamo che: “I bombardamenti della NATO sulla Jugoslavia, sembrano essere un passaggio brutale della guerra tra Stati Uniti ed Europa per la spartizione dei mercati dell’Est. Da un lato l’aperto ostracismo degli USA contro la Serbia ha ottenuto anche il risultato di interdire i progetti europei, dall’altro l’asse anglo-americano dentro la NATO non fa mistero delle sue ambizioni al controllo strategico dei punti vitali della regione balcanica.
Gli USA hanno sabotato il progetto originario del Corridoio nr.10 ponendo il veto sull’attraversamento della Serbia. A tale scopo hanno pagato 100 milioni di dollari alla Romania per convincerla a far passare gli oleodotti più a nord (in Ungheria) invece che sul territorio jugoslavo da dove sarebbero arrivati a Zagabria, in Slovenia e poi in Germania.L’obiettivo è duplice : tagliare fuori la Jugoslavia dalle nuove rotte dell’economia e ostacolare qualasiasi interesse della Russia nei Balcani del Sud.
In secondo luogo, l’ENI aveva previsto una pipeline da Pitesti (Romania) alla raffineria di Pancevo (Jugoslavia) per la raffinazione del greggio per farlo poi arrivare con un oleodotto di 250 chilometri al terminale di Trieste.
"E' l'Europa che sta spingendo l'Italia ad accettare i soldi cinesi"
di Joseph Stiglitz
Parla all'Huffpost il premio Nobel: "Italexit? Se Roma esce è una tragedia per Ue, se resta è tragedia in Italia. Berlino si svegli". Con un'introduzione-commento di Giuseppe Masala
Stiglitz, il Bibitaro. Non ha sollevato alcun dibattito l'intervista rilasciata da Joseph Stiglitz all'edizione italiana dell'Huffington Post e concessa a Bruxelles a margine della presentazione del suo ultimo libro dal titolo emblematico: "'Rewriting the rules of the European Economy", riscrivere le regole dell'economia europea.
Due affermazioni in particolare avrebbero dovuto portare ad una qualche riflessione. Ecco la prima:<<Se l'Italia esce causa una tragedia in Europa, se rimane la causa in Italia>>. Ed ecco l'altra:<<L'euro funziona solo se i paesi che lo usano sono simili. Ma in Europa non è così, ci sono regimi fiscali che si fanno la concorrenza all'interno della stessa Ue, i paesi si sono allontanati invece che avvicinarsi ed è successo proprio per colpa delle regole dell'euro. Vanno cambiate>>.
Mi pare evidente che Stiglitz intenda dire che un'uscita dall'Italia dall'Euro comporti una catastrofe economica e finanziaria probabilmente di livello globale mentre una sua permanenza - a regole invariate - comporti la necrosi del nostro sistema produttivo e il conseguente collasso economico e sociale. Il discorso dell'Economista è peraltro più ampio: rileva che le asimmetrie della zona euro sono insostenibili. Regole fiscali diverse per ogni singolo paese appartenente all'area (peraltro usate a fine di dumping fiscale), regole di bilancio statali rigide per tutti senza tener conto dei fondamentali [conti con l'estero]. Tutto ciò comporta la netta divaricazione sociale ed economica tra gli appartenenti all'unione. Io peraltro umilmente sostengo che l'Euro non è una moneta ma una moneta per nazione all'interno dell'area e una moneta unica verso l'esterno dell'area. Ha una natura chiaramente ambivalente.
Tornando a Stiglitz da notare anche la sottolineatura sui trattati che hanno imposto queste regole folli per il governo della moneta [Trattato di Maastricht in primis]; sono state pensate ere geologiche fa, ai tempi della sconfitta del comunismo, all'alba dell'imposizione di un sistema liberista (quelle erano le intenzioni all'epoca, poi che ci siano riusciti è altro discorso).
Tria lancia un pacchetto di incentivi alle imprese ma la tesi della bassa intensità di investimenti per spiegare la bassa crescita dell’Italia non trova conferme. Piuttosto è Berlino a condurre i giochi nell’Euro-area. Così anche la Via della seta risulta uno sbocco per la Cina e per la Germania
Inquadramento delle politiche a sostegno della crescita degli investimenti
Il governo del Paese si accinge a prefigurare delle misure economiche e finanziarie per rilanciare il Paese. Il segno delle misure ricalca quanto già predisposto da altri governi. Il sole 24 ore del 17 marzo 2019 giustamente titola: “Da fisco e investimenti manovra per la crescita economia”. Le proposte del ministro dell’Economia Giovanni Tria sono relative al Patent Box semplificato, all’ampliamento dei mini-bond per finanziare le Pmi, alla Sabatini-quater in forma estesa e una nuova sezione del Fondo centrale di garanzia mirata alle medie imprese. Nel pacchetto dovrebbe rientrare anche il super-ammortamento e il taglio generalizzato dell’Ires sugli utili e le riserve che rimangono in azienda (Quest’ultimo provvedimento dovrebbe essere sostenuto con l’abbandono della mini-Ires appena nata, ma subito finita al centro di critiche per le difficoltà operative che comporterebbe la sua applicazione pratica).
L’obbiettivo è quello di rilanciare gli investimenti in macchinari e, in particolare, quelli a maggior contenuto tecnologico, unitamente ad una contrazione del carico fiscale in capo alle imprese. Se i vincoli finanziari europei compromettono gli investimenti pubblici, attraverso gli incentivi fiscali si immagina di rilanciare almeno gli investimenti privati (Cristian Perniciano della CGIL, esperto fiscale, stima gli aiuti pubblici verso le imprese pari a 10 miliardi strutturali tra il 2015 e il 2018). La logica sottesa è quella dell’ex ministro Carlo Calenda: innoviamo il sistema produttivo nazionale per rafforzare il made in Italy, in particolare nella produzione di beni strumentali e intermedi (addentrandosi nella questione, è saggio compiere una fondamentale quanto banale distinzione circa la composizione degli incentivi e le modalità con cui sono concessi; esistono, infatti, Paesi come l’Italia e la Francia che scommettono principalmente sull’utilità degli incentivi fiscali, mentre altri, come la Germania, che prediligono il finanziamento diretto a progetti selezionati tramite bando, anche attraverso la Kfw).
Uno dei fatti più notevoli degli ultimi anni è l’evoluzione accelerata dei partiti verso l’adozione di forme movimentiste. Come conseguenza della critica alla rappresentanza e dell’ingresso in una società più fluida, le iniziative politiche hanno finito per integrare nuove forme d’impegno politico, non necessariamente più democratiche. I casi più degni di nota in Francia sono En Marche! e La France Insoumise, in parte erede del Parti de gauche. Analisi di una mutazione a partire dal caso del movimento fondato da Jean-Luc Mélenchon
In La ragione populista (2005), Ernesto Laclau già spiegava come gli effetti del capitalismo globalizzato abbiano prodotto forme di dislocazione interna ai campi politici e pure ciò che si può chiamare liquefazione dei rapporti sociali; è il carattere sempre più fragile delle norme e dei parametri di riferimento. Predisse, a tal riguardo, l’emergere accelerato delle forme movimentiste a spese delle forme-partito tradizionali. I movimenti restano, in senso generico, dei partiti, ma rompono con le forme istituzionalizzate ereditarie della generalizzazione del suffragio universale avvenuto nel XIX e XX secolo. Inoltre, quando essi emergono nella sinistra tradizionale, operano una frattura rispetto alla forma del partito di massa [1], modello dei movimenti operai. In Francia, il PCF è stato a lungo ideal-tipo [2] del partito di massa, organizzato in maniera piramidale e con più livelli in teoria ubbidienti al principio del centralismo democratico: la sezione, la federazione, il consiglio nazionale e la direzione nazionale. Per certi aspetti il PS, in continuità con la SFIO [la socialdemocrazia francese prima della sua rifondazione da parte di Mitterand, n.d.r] , ha mantenuto queste forme, mentre si organizzava attraverso correnti. Oltre a questo modello c’erano piccoli partiti trotzkisti fondati sul principio dell’avanguardia illuminata. Questi partiti erano elitari, selettivi e facevano affidamento sul ruolo guida di una piccola minoranza nei processi rivoluzionari. Il Parti de gauche, fondato nel 2009 da Jean-Luc Mélenchon da una scissione del PS, è da questo punto di vista più vicino alla tradizione trotzkista e al modello del partito di quadri [3]. Ci sono diverse cause nell’emergere di movimenti e nel crollo delle strutture tradizionali. Tutto ciò ha inizio con l’avvento dei movimenti anti-globalizzazione degli anni ’90, come ATTAC che ha portato ai comitati del No al referendum del 2005 sul Trattato costituzionale europeo. Poi, dagli anni 2000, abbiamo assistito al rapidissimo sviluppo dell’uso politico di internet e dei social network.
L’assemblea che il 9 marzo, a Roma, ha lanciato il Manifesto per la sovranità costituzionale, ha avviato un processo che può portare, in tempi non remoti, alla costituzione di un soggetto politico capace di fare uscire dal minoritarismo, e dal ghetto informativo in cui è stato rinchiuso dal mainstream, il discorso che da tempo lega la questione sociale e la questione nazionale, la lotta al liberismo e la lotta all’Unione europea.
Proprio per facilitare questo processo è opportuno iniziare a puntualizzare ed approfondire alcune questioni nodali, sia perché ogni salto politico-organizzativo richiede un avanzamento nell’analisi e nell’articolazione della proposta, sia perché quando si inizia ad uscire da spazi ristretti è necessario tradurre i concetti in un linguaggio comprensibile ed efficace. Se cominciamo a fare sul serio abbiamo bisogno di un ragionamento più complesso e di un discorso più semplice.
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Nello spirito del Manifesto non inizio dalla questione, pur dirimente, dell’Ue e dell’euro, perché dobbiamo abituarci a concentrare il nostro discorso sugli elementi propositivi e positivi, e non su quelli negativi e distruttivi. Ho già detto, e ripeto, che il limite maggiore del sovranismo storico (un termine con cui non indico questa o quella organizzazione, ma una cultura, uno stile di pensiero ed un insieme di riflessi mentali che sono anche in me) sta nel presentarsi di fatto come il partito del “No Ue – No euro”, esaltando più il mezzo che il fine e presentando all’esterno il lato più complicato e problematico della propria proposta: cosa che può concorrere a spiegare il minoritarismo di quest’area, nonostante la ricchezza delle intuizioni e delle analisi.
E’ per questo che il Manifesto (che pure sull’Ue dice cose non equivocabili) non parte dalla questione europea ma dalla questione italiana. Una questione che a mio avviso deve essere riassunta nella necessità di ricostruzione di uno stato degno di questo nome, come risposta alle esigenze essenziali degli italiani e di tutti coloro che in Italia vivono e lavorano.
“E’ maschio o femmina? lo deciderà lo Stato!” (dal film Louise Michel- Francia 2009)
Che la lettura di classe, da sola, non sia sufficiente a leggere la società e, in particolare, la specificità delle questioni di genere, la cui caratteristica precipua è la trasversalità, non solo è condivisibile, ma è patrimonio del movimento femminista.
Ma è importante partire da questo dato perché, intorno al tema, c’è molta confusione e sottovalutandolo, non solo ci neghiamo una chiave di lettura, ma, anche e soprattutto è imprescindibile nell’odierna agenda politica delle nostre lotte.
L’uso dell’emancipazione come fine e non come mezzo, nella visione femminista socialdemocratica, ha annullato l’orizzonte della libertà, la strumentalizzazione delle diversità è stata uno dei veicoli attraverso i quali sono state promosse le guerre umanitarie, la tutela delle differenze sessuali, con una lettura asimmetrica, viene “scoperta” solo in paesi non allineati all’occidente, per cui si è arrivati al paradosso tragico, che se circola in rete il blog di una lesbica di un certo paese che denuncia persecuzione, siamo sicure che quel paese è nell’elenco dei paesi da invadere.
La generalizzazione del principio della cooptazione di persone provenienti da ceti, etnie, ambienti oppressi che, in cambio della loro personale promozione sociale, contribuiscono all’oppressione dei gruppi di provenienza e degli oppressi/e tutti/e, ha avuto la sua manifestazione più eclatante nella nomina di un presidente nero negli Stati Uniti, tra l’altro già decisa a tavolino nel 2002, mentre i neri/e d’America che sono il 12% degli americani tutti, in carcere rappresentano il 50% dei detenuti/e.
In questo quadro il pinkwashing è l’emblema delle democrazie sessuali occidentali.
A margine di “Proletkult” dei Wu Ming: quando Bogdanov insegnava a Bologna (1910-1911)
di Giorgio Gattei
Con una postilla di Roberto Sassi
1. Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij detto Bogdanov (1873-1928) è stato il maggiore antagonista politico di Lenin negli anni precedenti la Grande Guerra e appena dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Biologo di professione e filosofo per vocazione, teorizzò l’empiriomonismo (stroncato da Lenin in Materialismo ed empiriocriticismo nel 1908) e la “tectologia”, ovvero «la scienza generale dell’organizzazione» giusto il convincimento che «ogni attività umana nel campo della tecnica, della prassi sociale, della ricerca scientifica e dell’arte» poteva esserestudiata «dal punto di vista organizzativo». Al tempo della rivoluzione d’Ottobre fu l’artefice del movimento di massa del Proletkult (contrazione di Proletarskaja Kultura) che sosteneva l’autonomia delle iniziative culturali operaie a prescindere dalle indicazioni di partito che alla fine del 1920 raccoglieva quasi mezzo milione di attivisti (ma il movimento venne ricondotto da Lenin nel 1923 nell’alveo delle organizzazioni partitiche).
Ma Bogdanov è stato anche l’autore di un romanzo utopico La stella rossa in cui si racconta come un tal compagno Leonid fosse volato su Marte, “pianeta rosso” per definizione, a scoprirvi che lassù vi avevano già realizzato il socialismo (il lavoro era solo “volontario” ed il consumo dei prodotti non era limitato “in nessun modo: ognuno prende ciò che gli serve e nella quantità che vuole”). Ritornato sulla terra, l’astronauta descriverà per iscritto la sua esperienza straordinaria che Bogdanov pubblicherà nel 1908 (con continuazione nel 1913 con L’ingegnere Menni).
Nel libro dei Wu Ming la storia di Leonid ha un seguito inaspettato perchè su Marte (in verità il pianeta non era Marte, bensì Nacun) il terrestre aveva lasciato incinta la “marziana” Netti, la cui figlia Denni sarà inviata nel 1927 sul nostro pianeta in una difficile missione di sopravvivenza per Nacun minacciato di estinzione.
Proprietà pubblica e privata tra Costituzione e trattati europei
di Vladimiro Giacchè
Pubblichiamo l’intervento di Vladimiro Giacchè all’incontro “Unione Europea, Costituzione e diritti di proprietà” tenutosi a Roma il 23 febbraio 2019, promosso dalle associazioni Patria e Costituzione e Attuare la Costituzione
1. Proprietà pubblica e privata: l’economia mista prevista dalla nostra Costituzione
La nostra Costituzione dedica alcuni dei suoi articoli più importanti alle diverse forme di proprietà: si tratta degli articoli 41-43, 45-47, centrali tra gli articoli dedicati ai “Rapporti economici” (artt. 35-47). Rileggiamoli:
Art. 41.
L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Art. 42.
La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Art. 43.
A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
Greta Thunberg: la posta egemonica e lo scontro per il mondo
di Alessandro Visalli
In fondo è una storia come tante altre, banale. Una ragazzina di quindici anni che prende una idea semplice, in bianco e nero, e la sposa con l’entusiasmo dei suoi anni. Nasce in una famiglia di professionisti dello spettacolo (una cantante ed un attore) e traduce questa idea in performance. Queste performance, nativamente preordinate nel codice della società dello spettacolo, sono utilizzate da un sistema dei media sempre alla ricerca di eventi-mondo per costruire un prodotto efficace. Questo efficace prodotto viene ripreso e rilanciato, per i più diversi scopi, dalle più diverse forze ed organizzazioni.
Stiamo facendo un esercizio di complottismo? Un’aggressione alla simpatica ragazzina?
No. Tutt’altro, Greta Thunberg ha tutta la mia simpatia, è una ragazzina sveglia ed intelligente, piena di ottimi sentimenti e impegnata per una battaglia degna.
Semplicemente il mondo ha il suo modo di funzionare, ed usa tutto.
Ma il fatto che qualcosa sia usato significa che non sia fondato? No. Io credo fermamente che il sistema ambientale sia alterato dall’uomo, ad una profondità che è difficile da definire con precisione, e che il clima venga modificato anche da questi fattori di pressione antropogenetici.
Il fatto che qualcosa sia fondato significa che altro non lo sia? No. Io credo fermamente che la questione in campo sia il potere.
Il fatto che una cosa sia usata e fondata significa che non ci sia altro da dire? No. Io credo fermamente che buona parte del degrado dell’ambiente sia determinato dalla logica dello sfruttamento della natura per il profitto e dalla sua appropriazione da parte di pochi.
Il fatto è che, anche se Greta Thunberg può pensarlo[1], il mondo non è affatto “bianco o nero”.
Quando ad agosto 2018 il curioso “sciopero”[2] (dalla scuola) della ragazzina di Stoccolma, opportunamente spettacolarizzato, in vista delle elezioni generali di settembre, e subito rilanciato da qualche interessato sito come parte di una strategia di autopromozione commerciale/ambientale[3], sfonda il muro della irrilevanza prende avvio un processo autorafforzante imponente.
Il comunismo è la sola possibilità di salvare il pianeta Terra
di Istituto Onorato Damen
Le vaste e significative manifestazioni studentesche che si sono tenute in oltre 120 Paesi contro i cambiamenti climatici spingono all’apertura di una riflessione e di un confronto che consentano di riannodare:
- l’approfondimento della critica alla distruzione ambientale connaturata al modo di produzione capitalistico;
- una critica delle ideologie ecologiste e ambientaliste, che non colgono il nesso di determinazione che vige tra capitalismo e devastazione del pianeta, e che sono inoltre agite come strumenti delle battaglie interimperialistiche e del Capitale contro il proletariato;
- la comprensione delle motivazioni che mettono in movimento migliaia di giovani, compositi dal punto di vista di classe, con grandi confusioni e con ideologie certo tutte borghesi; motivazioni che però in qualche misura rappresentano ed esprimono disagi profondi del giovane proletariato internazionale che bisogna saper collocare, con cui bisogna saper entrare in collegamento, rendendo possibile la produzione di una coscienza critica che sappia connettere, in minoranze più avanzate, la critica del capitalismo a quella dei suoi effetti disastrosi sull’ambiente;
- la lotta contro le micidiali illusioni nella democrazia borghese, nelle sue istituzioni di ogni livello, negli accordi tra briganti imperialisti su clima e ambiente;
- il rilancio della prospettiva del comunismo, una società finalmente umana che metta fine al dominio e allo sfruttamento, che riconcili umanità e natura, grazie a una prassi sociali trasparente, non mistificata, non finalizzata al profitto, ma che abbia come obiettivo e come caratteristica il muoversi in direzione degli interessi e del ben-essere degli uomini, in armonica relazione con il contesto ambientale.
Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, è anch'esso ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia.
K. Marx - F. Engels, Manifesto del Partito Comunista.
In questo articolo mi propongo di esporre alcune considerazioni critiche concernenti le ventidue tesi formulate da Carlo Formenti sul “momento populista” qui . Ritengo infatti che il testo in parola esprima in un modo particolarmente pregnante ed incisivo il succo delle posizioni politiche, economiche e culturali che caratterizzano il movimento dei populisti di sinistra.
Che cos’è il populismo
Parto quindi dall’‘incipit’, dove, come risposta al quesito sulla natura del populismo, viene offerta una definizione che, essendo negativa, risulta quanto mai debole: “Il populismo non è un’ideologia”. La ragione di tale debolezza va ricercata, come ammette l’autore delle tesi, nella diversità e pluralità con cui, sia nel tempo sia nello spazio, si sono manifestati, assumendo connotazioni di destra o di sinistra, i movimenti populisti: da quelli ottocenteschi a quelli contemporanei. Né contribuiscono a chiarire la reale natura dei movimenti populisti i tratti indicati in questa prima tesi: lo stile comunicativo e l’autorappresentazione in chiave nuovista. Questa incertezza terminologica e semantica è uno dei limiti, peraltro non casuali (come si vedrà), del documento redatto da Formenti.
Che cos’è il popolo
Nella tesi due spicca la definizione del popolo e della sua genesi attuale: “Il popolo che i populisti aspirano a rappresentare non è un’entità ‘naturale’, preesistente all’insorgenza del loro discorso politico...Si tratta al contrario d’una costruzione politica resa possibile dalla crisi catastrofica di un sistema di potere consolidato.
Mistificazione, deresponzabilizzazione, distrazione: la manifestazione del 15 marzo
Greta: bimba di distrazione di massa
Ciò che gli editocrati di schermo ed edicola ci hanno propinato nelle 72 ore, impestate di retorica e ipocrisia climatiche, tra il 14 e il 16 marzo, su ordine di servizio dei mandanti nella Cupola, non suscita solo il sospetto che merita ogni campagna politico-mediatica dell’establishment e dei media incorporati. Merita l’accusa di ipocrisia, mistificazione, occultamento della realtà. E’ uno dei più cinici assalti alla nostra integrità intellettuale e morale da almeno l’11 settembre e dalle armi di distruzione di massa di Saddam. Supera e riunisce tutte le campagne ordite e lanciate nel corso delle ultime sei presidenze Usa, dei contemporanei papati e proconsolati UE, da Delors e Prodi a Barroso e Juncker: terrorismo islamico, migrazioni, diritti umani, “dittatori” arabi e latinoamericani (limitatamente ai non-dittatori disobbedienti), #metoo, “non una di meno”, razzismo-fascismo (da che pulpito!!!), antisemitismo (sulla cui sciagurata identificazione con l’antisionismo imperversa con un inserto di ben quattro pagine il solito “manifesto”), sovranismo, populismo, medicalizzazione, bergoglismo, eccetera, eccetera.
Il suprematista bianco australiano che, uccidendo una cinquantina di musulmani in Nuova Zelanda, coglie tre piccioni con una serie di raffiche: rilancia lo scontro di (in)civiltà tra razze da colonizzare e razze colonizzanti; pompa a bue la rana esopica della minaccia razzista-fascista finalizzata a oscurare la corsa genocida alla dittatura dei pochi su chi sta fuori; collateralmente distoglie dalla catastrofe climatica che, a dispetto dei bravi ragazzi in piazza in cento paesi, torna a farsi prioritaria nella consapevolezza della gente, insieme, però, all’individuazione dei suoi responsabili. Quella che manca nelle piazze dei bravi ragazzi.
E che non ci sono neppure nei proclami della nuova Santa Giovanna d’Arco, Greta Thunberg, la ragazzetta svedese affetta dalla sindrome di Asperger (riconosciuta ufficialmente dall’Onu nel 1993, si tratta di una forma di autismo che comprende una serie di difficoltà legate soprattutto all’interazione sociale, alla sfera affettiva e motivazionale), che la campagna ha messo a capo del primo movimento mondiale degli adolescenti.
Una lettera a Mario Tronti, a commento de Il popolo perduto
di Epimeteo
L'Europa si definisce dall'interno con le grandi correnti che non cessano di attraversarla e che la percorrono da lunghissimi tempi (Lucien Febvre)
Caro Mario,
perdonaci il tono confidenziale di questo incipit degli appunti di lettura che abbiamo steso dopo una approfondita discussione sul tuo ultimo libro di recente pubblicazione. D’altra parte questo testo per noi non è come altri che abbiamo recensito sul nostro sito negli ultimi mesi e men che meno il suo autore è uno fra tanti. Tu sei stato per noi “il maestro” che ci ha insegnato a leggere la società e la politica con occhi nuovi, da quel famoso “punto di vista” che solo può consentire di comprendere la totalità proprio perché è il punto di vista di una parte. E poi c’è un altro motivo che giustifica questa introduzione empatica e sta nella particolare intonazione emotiva che traspare da ogni pagina de Il popolo perduto, quel pathos e quella partecipazione con cui hai esposto la tua posizione e le tue amare considerazioni sulla situazione attuale.
Il titolo stesso del libro, d’altra parte, allude a una frattura, allo spezzarsi di un legame con qualcuno con cui si è vissuto una lunga, intensissima storia, un “qualcuno” collettivo che infine si è perso di vista, per ragioni oggettive ma anche soggettive. E proprio perché siamo in presenza di responsabilità soggettive, non possiamo che sentirci compartecipi di quella sorta di “autodafé” che hai voluto mettere per iscritto alle pagine 83 e 84 del tuo testo:
“Dove ho sbagliato io insieme agli altri e a differenza di altri? Quella ricerca era tutta a livello di pensiero. Mi sono dedicato a un ‘che pensare?’ invece che applicarmi a un ‘che fare?’. Un errore intellettualistico. Per un intellettuale totus politicus, quale io credo di essere, un errore imperdonabile. Dovevo fare più politica e meno cultura malgrado la enorme importanza che do, e ho sempre dato, a quest’ultima. (…) Il primato della politica non si può teorizzare senza praticare. Chi pensa la politica deve anche farla. E, viceversa, chi fa politica deve anche pensarla.”
Negli ultimi anni, abbiamo assistito all'emergere di un centro geo economico in Eurasia, che si sta strutturando attorno alla Russia e alla Cina. Un nuovo polo di sviluppo che vuole e può diventare un'alternativa al centro euro-atlantico. E c'entra soprattutto il gas
Nel 2018, la percentuale di gas fornita ai paesi dell’Ue e la Turchia ha raggiunto il 36,7%, il massimo da sempre” (34,2% nel 2017). Lo ha affermato il Direttore Generale di Gazprom Export, Elena Burmistrova, nel corso del Gazprom’s Investory Day che ha avuto luogo in Singapore il 28 febbraio. Burmistrova ha specificato che il prezzo medio nel 2018 è stato di 245,5 dollari per 1.000 m3 rispetto ai 167 dollari per 1.000 m3 nel 2017 (+ 24,6% anno su anno). Conformemente alle stime preliminari rese pubbliche dalla Gazprom, nel 2018, la compagnia controllata a maggioranza dallo Stato russo ha esportato nell’Unione europea più la Turchia 201,8 Gm3 di gas naturale (potere calorifico: 37,053 MJ/m3), un ammontare pari a più di tre volte la somma degli approvvigionamenti di LNG all’Europa.
Come messo in luce da Bloomberg il 15 febbraio, la costante riduzione della produzione di gas da parte del Vecchio Continente è la principale ragione del rafforzamento della Federazione Russa come primo fornitore di gas naturale dell’Europa, soprattutto dopo che l’Olanda – il secondo estrattore europeo dopo la Norvegia – è diventata un importatore netto di gas per la prima volta da quando iniziarono le estrazioni dal giacimento di Groningen nel 1963.
Sempre a Singapore, Gazprom ha inoltre annunciato che il gasdotto Power of Siberia è prossimo al completamento. Grazie a questa nuova infrastruttura, a partire dal 1 dicembre 2019, la Federazione Russa rifornirà la Cina con 38 Gm3 di gas naturale all’anno per un arco di tempo di trent’anni e un ammontare totale stimato in circa 1 trilioni di m3 di gas. Il contratto stipulato dai due paesi nel maggio 2014 è un take or pay oil-link (collegato al prezzo del petrolio) per un valore complessivo valutato attorno ai 400 miliardi di dollari.
Tuttavia, il 28 febbraio trascorso, Bloomberg rilevava che il colosso energetico aveva perso financial appeal (interesse finanziario) nel corso degli ultimi anni a causa dei significativi costi di investimento sostenuti, i quali avevano ridotto la possibilità di remunerare gli investitori con dividendi più alti.
Carlo Formenti è una delle menti più lucide e preparate che quella sinistra che non ha voluto piegarsi ai diktat del liberismo, ha al suo interno. La sua preparazione è sotto agli occhi di tutti: nel suo impegno politico ma soprattutto nel suo lavoro.
Infatti, tante sono le sue pubblicazioni e tutte hanno precorso i tempi, dando modo di aprire una profonda riflessione che ha provocato la necessaria reazione al dominio neoliberista anche nel nostro paese, la stessa reazione che oggi vede diversi soggetti iniziare ad aggregarsi per costruire un campo e una prospettiva marcatamente socialista e sovranista, antimperialista, antiliberista e anticapitalista.
In occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Il socialismo è morto, viva il socialismo“, edito da Meltemi, abbiamo chiesto ad Enea Boria di Rinascita!, di intervistare per noi Carlo Formenti sul suo libro.
Ne è scaturita una conversazione interessantissima, assolutamente da non perdere. Eccola qui di seguito.
* * * *
Enea Boria: Leggendo il tuo ultimo libro la prima sensazione che si prova è uno strappo doloroso. Non tanto per quello che riguarda un divorzio dalla sinistra ampiamente consumato, quanto per il lapidario giudizio sul ‘900 e quindi sull’esperienza storica e culturale dalla quale proveniamo, che per te sono da considerare definitivamente finiti. Questo però non lascia spazio al pessimismo. Abbiamo perso la guerra più che una battaglia, scrivi, ma poi aggiungi che la storia non è finita e che occorre ricostruire identità e capacità di mobilitazione intorno a un progetto che sia altro dal capitalismo. Per questo sostieni che bisogna cambiare prospettiva: non basta più limitarsi a ripetere, con Gramsci, che “il vecchio muore ma il nuovo non può nascere”, bisogna iniziare ad agire nel segno di un nuovo che “deve nascere”.
Mi sembra che nella prima parte del libro, sintetizzata nelle dodici tesi del primo capitolo, si evidenzi una continuità con due opere precedenti, “Utopie letali” e “La variante populista”, i cui contenuti vengono qui riproposti e sintetizzati in una necessaria pars destruens. Sgombrato il tavolo degli attrezzi consunti e ormai inservibili, nella seconda parte del libro, inaugurata da altre ventidue tesi, attrezzi il banco di lavoro con nuovi strumenti e abbozzi alcune istruzioni su come utilizzarli.
La secolarizzazione del capitale non ha fondato la laicità, ma una nuova forma invasiva e infiltrante di clericalismo: i nuovi chierici non sono identificabili in una casta, in una lobby, sono trasversali, sono l’asse diffuso del nuovo “potere capitale” disciplinare e penetrante. Il circo mediatico laicista si struttura in modo sempre pervasivo: accademici, economisti, burocrati dell’economia, politici dal credo-pensiero unico, tutti nichilisti sempre pronti al trasformismo, sono la struttura ed il veicolo che inibisce ogni spazio plurale, lo riduce ad un’operazione di marketing, a plusvalore, ad un’operazione di perenne sussunzione. Il linguaggio dell’aziendalizzazione, della compravendita, l’inglese organico alla globalizzazione estendono le loro maglie d’acciaio: la rete informativa in nome del capitale trova nelle istituzioni pubbliche fiancheggiatori che diffondono il linguaggio e la lingua del mercato. Si osanna l’inclusione mediante la normalizzazione delle prestazioni: per essere normali ed inclusivi si fa appello sempre ai diritti individuali. Si forma all’orientamento accondiscendente, ovvero ad adattarsi alle esigenze del mercato, mentre i servizi pubblici, i servizi alla persona – vera precondizione di ogni democrazia – sono curvati sulla privatizzazione, sui bilanci. Il pubblico con i suoi servizi non rappresenta l’alterità rispetto al privato, ma nel pubblico l’organizzazione lavorativa ed i fini sono i medesimi del privato: pertanto la laicità scompare, si eclissa nel gioco ideologico della propaganda.
Gli oratores del circo mediatico laicista
La laicità non è semplice laicismo anticlericale. L’integralismo attuale trova nella religione una contraddizione, per cui i clerici mediatici e disinibiti abbondano in notizie sui crimini della chiesa, mentre tacciono dei crimini che quotidianamente avvengono in nome del capitalismo assoluto, in primis i crimini ambientali, i migranti ridotti in stato di schiavitù effettiva, i popoli declassati a plebe in competizione.
Recentemente, in coda alle presentazioni del Manifesto per la Sovranità Costituzionale a Milano e Roma, mi ha sorpreso notare come le note più critiche a quel documento si siano appuntate su qualcosa che non credevo controverso, ovvero il rilievo dato alla questione ecologica.
Alcuni hanno obiettato che parlare di riscaldamento globale e di come sarà il mondo tra cent’anni è qualcosa di astratto e lontano, che non tocca le tasche di nessuno; altri che attorno a tale tema interclassista non si può mobilitare alcun ceto preferenziale, alcuna ‘identità di classe’; altri ancora, che si tratterebbe di un modo con cui le élite distraggono l’opinione pubblica da temi di maggiore urgenza.
Questa reazione di diffidenza, di sospetto, a prescindere dalla sostenibilità delle specifiche obiezioni, mi pare degna di approfondimento.
II) Il dilemma ecobuonista
Negli ultimi anni, la tematica ecologista è stata integrata con successo all’interno di una visione liberale, che l’ha resa un tema di conversazione alto borghese, garbato quanto innocuo. Il tema infatti si presta a grandi campagne sentimentali, capaci di estrudere occasionali lacrime per le sorti di un orso polare o un panda gigante, salvo poi rientrare prontamente nella sezione ‘tonici e digestivi’: dove, insieme a qualche episodio di cronaca, conferisce quel pizzico di preoccupazione postprandiale che aiuta la digestione.
I temi ecologici, addomesticati dalla ragione liberale, sfociano così in due prospettive generali.
La prima consta di appelli all’iniziativa personale e al senso di responsabilità delle ‘persone di buona volontà’: ciascuno è chiamato a ‘fare la sua parte’, a ‘contribuire col suo granello di sabbia’. Si creano così gli spazi per ‘diete ambientalmente consapevoli’, ‘acquisti etici’, ‘consumi responsabili’, ‘prodotti biologici’, ‘raccolta differenziata’, ‘beni equi e solidali’, e una miriade di altre lodevoli iniziative in cui ci si sente cavalieri dell’ideale a colpi di tofu.
Una recensione-conversazione a cura di Géraldine Delacroix con l’economista Shoshana Zuboff sul suo nuovo libro The age of surveillance capitalisme. The Fight For a Human Future at the New Frontier of Power (Profile Books Ltd, 2019). È stata pubblicata il 2 marzo 2019 su Médiapart. La traduzione in italiano è di Salvatore Palidda.
Il capitalismo di sorveglianza è il fondamento di un nuovo ordine economico. Le imprese del capitalismo di sorveglianza competono nella produzione di “prodotti di predizione”, scambiati in lucrosi nuovi mercati di “comportamenti futuri”. Le architetture digitali del capitalismo di sorveglianza – quelle che Shoshana Zuboff chiama “Big Other” – sono progettate per catturare e controllare il comportamento umano per un vantaggio competitivo in questi nuovi mercati, poiché la produzione di beni e servizi è subordinata a un nuovo “mezzo di modifica dei comportamenti” che favorisce i risultati del mercato privato, svincolato da ogni supervisione o controllo democratico. Per chi fosse interessato ad approfondire, Shoshana Zuboff, professoressa di Harvard Business School, parla qui, in una recente conferenza, del suo nuovo libro.
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Per l’economista Shoshana Zuboff, il cui libro The Age of Capitalism of Surveillance è appena apparso negli Stati Uniti, il pericolo rappresentato dai giganti del web è molto maggiore di quanto generalmente si pensi. Intercettando i dati personali per modificare a loro insaputa il comportamento dei loro utenti, minacciano la democrazia stessa. Appropriatisi dei nostri dati personali, gli imprenditori del “capitalismo di sorveglianza” mettono in pericolo niente meno che la democrazia manipolando il nostro libero arbitrio. Tale è la tesi difesa da Shoshana Zuboff in questo ampio volume appena pubblicato.
Il capitalismo è entrato in una nuova era, spiega l’autrice e, per capirlo e combatterlo, dovremo indossare nuovi occhiali, perché i vecchi non operano più di fronte a un cambiamento così radicale e così veloce – una rivoluzione avvenuta in meno di venti anni. Un “nuovo pianeta”, una situazione “senza precedenti” che si sarebbe sbagliato pensare sia una semplice continuazione del passato.
La sfida eurasiatica all’egemonia degli Stati Uniti
di Alberto Prina Cerai
Questo articolo è il primo di una serie di contributi per approfondire il tema della sfida tra Stati Uniti e Cina per l’ordine mondiale. In seguito alle recenti dichiarazioni riguardo ad una possibile adesione dell’Italia alla Belt and Road Initiative – la cosiddetta nuova Via della Seta –, abbiamo deciso di dedicare una serie di articoli alle prospettive strategiche relative alla fase che stiamo vivendo e al possibile ruolo del nostro Paese, che merita un approfondimento di più ampio respiro. Questo primo articolo si propone di fare luce di come e perché la BRI rappresenti una sfida all’egemonia americana. Nei successivi si tenterà di capire come l’Italia possa essere un benchmark per gli equilibri geopolitici tra Washington e Pechino
Sin dal 1945 il cuore pulsante della politica estera statunitense è stato preservare «un ordine internazionale aperto e stabile, basato sul libero movimento di beni, capitali e persone» basato su un «balance of power in favore della libertà». Queste iniziative, secondo lo storico Hal Brands, hanno costituito un «impegno bipartisan di lunga data» volto a sostenere «la leadership americana e preservare l’ordine internazionale liberale che il potere americano ha tradizionalmente promosso»[1]. Per chi vede queste continuità, al netto dei grandi cambiamenti che hanno fortemente messo alla prova la tenuta della Pax Americana, la natura e le radici dell’egemonia globale degli Stati Uniti si possono identificare nella lettura esplicita di Henry Kissinger:
«Geopoliticamente l’America è un’isola al largo del grande continente eurasiatico. Il predominio da parte di una sola potenza di una delle due sfere principali dell’Eurasia […] costituisce una buona definizione di pericolo strategico per gli Stati Uniti, guerra fredda o meno. Quel pericolo dovrebbe essere sventato anche se quella potenza non mostrasse intenzioni aggressive, poiché, se queste dovessero diventare tali in seguito, l’America si troverebbe con una capacità di resistenza efficace molto diminuita e un’incapacità crescente di condizionare gli avvenimenti»[2]
La geopolitica del secondo dopoguerra è rimasta fortemente ancorata a questa visione e più in generale all’eredità imperiale degli impegni globali degli Stati Uniti. Harry Truman agli esordi della guerra fredda aveva recuperato l’immagine del paese come grande erede «della Persia di Dario I, la Grecia di Alessandro, la Roma di Adriano, la Gran Bretagna vittoriana […] Nessuna nazione ha avuto le nostre responsabilità»[3].
Carlo Formenti, Il socialismo è morto. Viva il socialismo!, Meltemi, Milano, 2018, pp. 276, € 18,00
Almeno da Utopie letali (2013), Formenti porta avanti la sua personale battaglia per l’affermazione di un populismo “di sinistra”. Se però il saggio del 2013, nonché La variante populista (2016) – malgrado il tono lapidario – lasciavano i ragionamenti in sospeso, alimentando un fecondo margine d’apertura verso chi, a sinistra, insisteva nell’ideologia post-operaista variamente (e inconsapevolmente) declinata, da un po’ di tempo questa propensione alla convergenza sembra essere venuta meno. Spostandosi di propensione e di prospettiva, anche le possibilità di dialogo si disperdono. Non rimane che accettare o rifiutare un discorso che si stringe sempre più in proposta politica, che però continua a mancare (nei fatti più che nelle aspirazioni). È un peccato, perché mai come oggi continua ad essere necessario l’incontro di ragioni più che la sua vicendevole eliminazione. Partiamo dalle cose che funzionano.
Quel che la “tradizione comunista” insiste a non cogliere, è che il futuro sembra scivolare verso una riproposizione sbilenca e sgangherata (e forse anche impotente) del 1789 e non del 1917. Prima di tornare alla «autonomia politica del proletariato», per dirla in termini solenni, sembra sempre più evidente che dovremmo reintrodurre margini minimi di democrazia tanto sostanziale quanto formale. Lo sviluppo contraddittorio ma travolgente del liberismo a livello planetario sta sempre più modellando società polarizzate oltre ogni limite di sopportazione. Vista dal basso, questa polarizzazione non si presenta come mero fatto di classe. Ne abbiamo costanti prove nelle vicende della politica di questo decennio. Da Trump alla Brexit, dai gilets jaunes al governo “gialloverde”, le sfide al potere liberale-liberista non provengono da uno specifico settore di classe, ma da una multiforme e frastagliata sommatoria sociale di sconfitti. Questi hanno poco in comune tra di loro, ma quel che li tiene insieme, almeno sul piano della protesta elettorale, è la critica al capitalismo globalizzato e ai suoi referenti politico-culturali.
“L’età della disgregazione. Storia del pensiero economico contemporaneo”
di Alessandro Roncaglia
Pubblichiamo la presentazione dell’autore tenuta presso l’Accademia Nazionale dei Lincei, marzo 2019
Il libro che vi presento arriva in libreria in questi giorni, dopo una lunga (e faticosa) fase di gestazione. Si intitola L’età della disgregazione ed è, come dice il sottotitolo, una Storia del pensiero economico contemporaneo. Ho già consegnato la versione inglese alla Cambridge University Press, ed è in corso la traduzione spagnola.
Il titolo allude al fatto che la ricerca in economia è sempre più frammentata, sia per campi sia per orientamenti di ricerca. Chi si occupa di finanza o di econometria raramente conosce i dibattiti di teoria del valore o dell’impresa; inoltre, in ciascun campo coesistono impostazioni radicalmente diverse: keynesiani, neoclassici, istituzionalisti, e così via, fino agli induttivisti sostenitori di una econometria ateoretica.
Questa duplice frammentazione impedisce una esposizione lineare e complica ulteriormente un compito già reso difficile dalla vastità del terreno da coprire: ogni anno escono migliaia di riviste e migliaia di volumi sui diversi temi dell’economia. Accade così che tanti ricercatori, per affrontare in modo davvero approfondito il tema prescelto, passino la vita a studiare l’ultima falange del dito mignolo, come diceva Becattini. Il problema in realtà non è concentrarsi sul dito mignolo, come in qualche momento della nostra attività tutti noi facciamo, ma farlo in totale assenza di consapevolezza del corpo umano al quale è collegato. Quindi, proprio la frammentazione rende indispensabile un tentativo di raccordo. Anche perché in moltissimi casi la disgregazione permette agli economisti attivi nei vari campi specialistici di sorvolare sulle debolezze spesso tragiche delle fondamenta della loro ricerca.
Schumpeter distingueva tre fasi nella ricerca, che spesso si intersecano in un processo non lineare. La prima fase è la concettualizzazione: la costruzione di una rete di concetti che specificano la visione del mondo; ad esempio il mercato inteso come punto nel tempo e nello spazio d’incontro tra domanda e offerta, come nelle fiere medievali o nella borsa valori moderna: questo è in sostanza il concetto utilizzato sia nel Medioevo sia dalla teoria marginalista; oppure il mercato inteso come rete di relazioni tra le diverse attività produttive in un’economia basata sulla divisione del lavoro, che è il concetto utilizzato dalla teoria classica e keynesiana.
Articolo pubblicato sul sito del Festival della Complessità (qui) che quest’anno giungerà alla sua Xa edizione. Alla versione on line sul sito del festival, qui si aggiungono alcune considerazioni più specifiche (in corsivo)
Nei due articoli precedenti sul –– ed il successivo che tornava sulla annosa , abbiamo indagato l’impostazione del nostro sistema delle conoscenze. Già avevamo introdotto a premessa l’intero argomento. Pare a noi evidente che un mondo sempre più complesso quindi “intrecciato assieme”, chiami una profonda revisione del nostro sistema delle conoscenze, sistema che ereditiamo dal moderno, un periodo alla fine del suo ciclo storico e culturale. A sua volta, il sistema moderno andava a rimpiazzare il sistema delle conoscenze medioevali, il (latino, retorica e filosofia) e (aritmetica, geometria, astronomia e musica) impostati da Marziano Capella già nel V secolo. Se ogni epoca si rispecchia in un sistema di conoscenze, potremmo interrogarci su quali potrebbero esser le condizioni necessarie per riformare l’attuale sistema in tempi di nuova complessità.
La riflessione anglosassone su i sistemi di educazione e formazione va avanti già da tempo. Si sta verificando che il sistema delle iper-specializzazioni votate alla formazione -tra l’altro non di futuri cittadini, ma di futuri professionisti-, ha tre problemi. Il primo è che il mondo del lavoro richiederebbe in realtà un misto di saperi pratico-teorici, quando le scuole sono semmai prodighe dei soli saperi teorici. Il concetto stesso di specializzazione è ambiguo dato l’alto tasso di odierna evoluzione delle forme economiche che sembrano chiamare certe conoscenze per un qualche periodo di tempo, poi altre per il periodo successivo. Il secondo è che, più in generale, la formazione teorico-specialistica sembra produrre tecnici che si trovano a loro agio solo nell’applicazione di procedure e modelli, totalmente smarriti quando si tratta di improvvisare, innovare, inventare. Data la richiesta di un alto tasso di novità crescenti e data l’alta interconnessione che c’è nei sistemi complessi e dato che tutti i principali sistemi della nostra vita associata stanno diventando sistemi molto complessi, si sta venendo a creare una sorta di disadattamento cognitivo per il quale si formano esperti di procedure laddove si incontrano ogni giorno di più terre incognite che di loro natura non sono ancora mappate, né tantomeno hanno procedure indicative sul come affrontarle.
Il documento dei compagni della Rete dei Comunisti dall’emblematico titolo “Unità della sinistra? Un falso problema” ha l’indubbio merito di voler affrontare a viso aperto quel vero e proprio tormentone (appunto l’unità della sinistra) che, soprattutto a ridosso di scadenze elettorali, si ripropone con sistematica e stucchevole puntualità.
Liberarsi da questa ossessione, appunto da questo falso problema, è la precondizione per non procrastinare oltre un dibattito, questo si urgente e non più rinviabile, sulla prospettiva e sulla costruzione di una visione organica e generale che superi quel “pensiero della vita quotidiana” basato, invece, su una visione frammentata e distorta che porta ad affidarsi all’ideologia immediatamente disponibile in un dato momento (la rapida ascesa del Movimento 5 stelle e la sua più che probabile repentina caduta costituisce da questo punto di vista un caso di scuola).
Premesso che l’unità è un valore solo se si fonda, appunto, su una visione ed un orizzonte strategico comune e non sulla sommatoria algebrica di forze politiche in vista del raggiungimento (generalmente fallimentare) della soglia di ingresso nelle istituzioni, il vero paradosso della tanto invocata unità a sinistra è in realtà proprio la sua divisività: non mi riferisco tanto alla composizione, scomposizione e poi ricomposizione delle forze politiche che se ne fanno promotrici, ma nella distanza e separatezza che tale formula ha determinato rispetto a quegli interessi sociali e popolari che almeno teoricamente si candiderebbe a rappresentare.
Insomma, mentre si invoca unità tra le varie forze della sinistra si scava il solco con i ceti popolari e le classi subalterne le quali irrimediabilmente si rivolgono e indirizzano altrove.
Ma la formula dell’unità a sinistra produce anche e soprattutto un altro effetto collaterale dirompente: i punti programmatici che dovrebbero essere costituenti e irrinunciabili per delineare una alternativa di sistema vengono progressivamente elusi o, nella migliore delle ipotesi, così annacquati da risultare indefiniti, generici e impalpabili.
Tra sogni federali, Regioni egoiste e Comuni abbandonati
di Alessandro Visalli
Ci stiamo avvicinando alle ennesime elezioni europee, nelle quali nel solito clima da ultima spiaggia si elegge un Parlamento che istituisce di fatto una doppia sovranità, lo strano organismo istituzionale che si è stratificato in oltre cinquanta anni lascia separati tra di loro i popoli europei, che si confrontano e spesso scontrano attraverso i loro governi, ma crea un quasi-democratico luogo di espressione della volontà dei cittadini europei in quanto individui. La principale funzione di questo dispositivo di fatto è aiutare a dissolvere la sovranità popolare, dividendola, e tradendola attraverso meccanismi oscuri[1] e limitazioni inaccettabili[2].
Questa soluzione non funziona, o meglio, funziona molto bene ma è incompatibile con uno standard democratico che deve consentire ai cittadini di presumere le leggi siano generate da se medesimi tramite l’autorizzazione ad esercitare potere legittimo. Tramite i meccanismi europei gli esecutivi si sono di fatto ‘schermati’ dalle proprie stesse opinioni pubbliche e messi al sicuro dalle procedure di revoca democraticamente istituite (l’eccezione è il 4 marzo), trattando i cittadini come “bambini sotto tutela”. L’autoprogrammazione degli esecutivi, tra gli obiettivi non detti più forti, depotenziando strutturalmente gli obblighi di giustificazione e razionalizzazione depositati dalla storia delle lotte sociali nelle sfere pubbliche nazionali, li rende facili prese di forze esterne “del mercato”. Dunque la desiderata autonomia (dalla democrazia popolare) diventa facilmente etero-programmazione da parte delle forze dell’economia, in particolare finanziaria.
In questa situazione le forze politiche si allineano su una frontiera simbolica tra chi pretende di realizzare finalmente gli Stati Uniti d’Europa, trasferendo ad essi la sostanza del potere sovrano, e chi vorrebbe che questo progetto si interrompa, rientrando nei confini degli Stati Nazionali[3].
Perché nel XVII secolo vi fu un crollo della ricerca scientifica italiana?
di Lucio Russo
Questo articolo riprende, in forma molto sintetica, una tesi esposta in L. Russo ed E. Santoni, Ingegni minuti, Una storia della scienza in Italia, Feltrinelli, 2010
Credo che si possa tranquillamente affermare che la moderna scienza europea nacque nel Rinascimento italiano (anche se gli storiografi anglosassoni tendono a spostare il lieto evento di qualche secolo, facendolo coincidere con il salto di qualità, sul quale torneremo, che si realizzò alla fine del Seicento).
Senza ricordare i tanti successi scientifici italiani del Quattrocento e del Cinquecento, notiamo solo che una chiara prova del ruolo centrale svolto dal nostro paese nella scienza dell’epoca è fornita dalla sua capacità di attrarre studiosi stranieri. È universalmente riconosciuto il ruolo chiave svolto dal fiammingo Andrea Vesalio (Andreas van Wesel) nella nascita dell’anatomia moderna; è perciò significativo che Vesalio, dopo aver studiato a Lovanio e Parigi, abbia voluto coronare la sua carriera laureandosi a Padova, divenendovi professore e svolgendovi le sue principali ricerche. In astronomia è universalmente noto il ruolo svolto da Niccolò Copernico (Mikołaj Kopernik), che aveva studiato a Bologna, Ferrara e Padova. Ancora nel Seicento il padre riconosciuto della geologia e della stratigrafia, il danese Niccolò Stenone (Niels Stensen), svolse quasi tutta la sua attività di ricerca in Toscana.
Nel Seicento ai successi italiani nelle scienze fisico-matematiche (soprattutto, ma non solo, ad opera della scuola galileiana) si accompagnò, nelle scienze della vita, il ruolo decisivo svolto da scienziati come Francesco Redi e Marcello Malpighi.
Nel Settecento, e già alla fine del Seicento, l’Italia era tuttavia divenuta un paese scientificamente sottosviluppato (con qualche eccezione nelle scienze della vita). Quali furono le cause di un crollo verticale così rapido?
La vulgata, ripetuta infinite volte, dà una risposta netta e chiara: la colpa fu della chiesa cattolica, che bloccò le ricerche scientifiche con i processi e le condanne di Bruno (1600) e di Galileo (1633).
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008
Salvatore Minolfi: Le origini della guerra russo-ucraina