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Angelo Del Boca: uno storico in difesa dei senza voce
di Matteo Dominioni
Dalla penna di uno dei suoi principali allievi, una nota biografica sul lavoro politico ed intellettuale di un uomo e di uno storico che controcorrente ha raccontato l’indicibile e contribuito a svelare il rimosso coloniale in Italia
Angelo Del Boca nacque a Novara nel 1925 dove passò l’infanzia. Dalla fine della guerra, visse a Torino dove lavorò come giornalista. Inviato della «Gazzetta del popolo» di Torino, trascorse lunghi periodi all’estero. Scrisse memorabili reportage, diede un contributo fondamentale per la defascistizzazone degli studi coloniali, lasciò preziose memorie sulla lotta di liberazione.
Offriamo qualche spunto di riflessione per ricordare uno dei più importanti intellettuali contemporanei, innovatore nell’ambito giornalistico e in quello della storiografia, per la metodologia e i temi trattati.
L’uomo
Chi ha avuto la fortuna di conoscere Angelo Del Boca e di collaborare con le sue numerose fatiche editoriali, ha apprezzato il suo forte senso di giustizia e l’apertura mentale di stare sempre dalla parte dei deboli. Non era solamente coerenza politica la sua, ma era un modo di porsi di fronte al mondo e agli altri che maturò durante la lotta di liberazione. Crebbe in un ambiente non fascista – racconta che la madre «l’avevo vista più volte sputare sul ritratto di Mussolini, che tenevamo in cucina, ma non era un’antifascista, era soltanto una donna stanca di scucire denaro per le costose divise dei figli» – ma durante la guerra dovette arruolarsi con la Repubblica sociale italiana per evitare rappresaglie contro la famiglia. Tornato dall’addestramento in Germania, disertò e raggiunse i partigiani del piacentino.
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La MMT spiega la crisi dell’Eurozona ed il ruolo della moneta?
Un commento a Bonetti e Paesani
di Angelantonio Viscione
Nell’articolo “La MMT dalla teoria alla prova dell’Eurozona”, Alessandro Bonetti e Paolo Paesani ripercorrono sul Menabò i cardini della Teoria della Moneta Moderna per offrire una chiave di lettura ed alcuni spunti di riflessione riguardo la recente storia della crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona. Bonetti e Paesani, infatti, nella parte finale del proprio contributo confrontano brevemente l’interpretazione dell’eurocrisi avanzata dai teorici MMT con quelle di altri filoni di ricerca, allo scopo di stimolare un dibattito che immerga la teoria economica nell’esperienza dell’eurocrisi e viceversa. Partendo proprio da dove si conclude il contributo dei due autori, questo articolo evidenzia più da vicino alcuni caratteri peculiari della crisi dei debiti sovrani, per poi offrire un ulteriore spunto di riflessione di tipo teorico.
Innanzitutto, la crisi che ha colpito le economie europee tra il 2008 ed il 2009 ha riguardato i debiti sovrani, generalmente, solo in seguito ai piani di salvataggio adottati dagli Stati dell’Unione monetaria. Lo riconosceva lo stesso ex vice-presidente della Banca centrale europea, Vítor Constâncio, in un ormai celebre discorso tenuto ad Atene nel 2013 in cui sosteneva che, contrariamente ai debiti pubblici, è stato il livello complessivo del debito privato ad aumentare di ben il 27% durante i primi sette anni dell’Ume ed, in modo particolare, in Paesi che successivamente sarebbero stati sotto forte pressione come Grecia (+217%), Irlanda (+101%), Spagna (+75,2%) e Portogallo (+49%), mentre la crescita ripida del debito pubblico sarebbe iniziata solo dopo – e non prima – lo scoppio della crisi finanziaria.
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Pluriverso e politica dell’amicizia
di Luigi Pellizzoni
Postfazione al volume Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo, Orthotes Editrice 2021
Questo libro può essere letto in molti modi; o forse è più opportuno dire da molti versi. È uno di quei testi in cui si può partire da punti differenti e dirigersi in direzioni altrettanto divergenti, cogliendo assonanze e dissonanze tra temi, concetti, riflessioni. Lo dice il titolo: non c’è una sola maniera di concepire il mondo, di stare al mondo, di immaginare relazioni umane e oltre-che-umane, cercando vie d’uscita dal vicolo cieco in cui la modernità si è cacciata. Tuttavia – punto a mio avviso cruciale – il pluriverso, che il libro alimenta prima e più che descrivere, non è un caleidoscopio di (in)differenze; non descrive o dichiara una realtà puramente differenziale, equivalente nella e per la sua infinita variazione. Questa è la realtà del capitale; quella che in particolare il capitalismo tardo-moderno cerca in tutti i modi di imporre. Una realtà in cui la forma-merce ha raggiunto un’estensione e un’intensione che oltrepassa di molto l’analisi di Polanyi, poiché in gioco non è più la produzione di un’immagine fittizia di parti o elementi del mondo per poterli scambiare sul mercato, ma la rivelazione del carattere originario e integrale di merce del mondo intero. Una realtà cui molti autori, nella loro critica della società capitalista e dell’ontologia cartesiana che ne ha costituito la cornice originaria di senso, si sono fin troppo avvicinati, se pure non hanno contribuito a costruirne le basi; tesi, quest’ultima, sostenuta da autori come Luc Boltanski e Eve Chiapello1 o Paolo Virno2 a proposito dell’acquisizione a fini controrivoluzionari della “critica artistica” dei movimenti degli anni ’70, e rinnovata a proposito del sempre più sistematico impiego della decostruzione scientifica a fini reazionari.3
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Per una rilettura delle riletture dei “bienni rossi”*
di Marco Riformetti
Introduzione
Nell’ambito del corso di Storia del movimento operaio e sindacale abbiamo avuto modo di leggere il testo di Steven Forti dedicato ai bienni 1919-1920 e 1968-1969 (FORTI [2009]).
Questo nostro intervento intende essere una sintetica analisi critica di quel testo che peraltro ripropone meritevolmente alla riflessione dei lettori e degli studiosi un’epoca storica – il biennio 1919-1920, detto “rosso” – di grandissima rilevanza per la storia del movimento operaio italiano (e se diciamo epoca, al singolare, e non epoche è perché malgrado l’intenzione dichiarata nel titolo in realtà il testo di Forti si sofferma quasi esclusivamente sul primo biennio rosso e accenna solo fugacemente al secondo – quello del 19681969 –).
Del resto, pur essendo certamente stimolante, il parallelo tra i due “bienni rossi” deve essere accolto soprattutto come suggestione. Basta infatti confrontare le premesse storiche – per il primo biennio: la Grande guerra e soprattutto la Rivoluzione d’Ottobre, con le relative conseguenze politiche e sociali…; per il secondo biennio: la rinascita del movimento operaio seguita al cosiddetto “miracolo italiano”, il ciclo di lotte di liberazione anti-imperialiste e anti-coloniali… – con gli esiti storici – per il primo biennio: la contro-rivoluzione fascista e la repressione del movimento operaio e “democratico”…; per il secondo biennio: lo sviluppo politico negli anni ‘70, i movimenti delle donne e dei giovani, la “strategia della tensione”, la guerriglia metropolitana… – per constatare che le similitudini sono piuttosto relative e spesso incentrate solo sul comune ricorso al termine “consigli” e sul relativo accostamento tra il movimento dei Consigli di fabbrica e delle occupazioni del 191920 e l’azione dei Consigli di fabbrica (in special modo nel triangolo industriale del Nord-Ovest, Milano-Torino-Genova) durante il cosiddetto “autunno caldo”.
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Dall’esame di Stato “alla tessera per competenze"
di Fernanda Mazzoli
Si impone ormai all’evidenza che la pandemia è stata utilizzata come formidabile acceleratore nei più svariati ambiti di processi già in atto da tempo. L’Esame di Stato non poteva rimanere estraneo a questa dinamica: la riproposizione, anche per il 2021, di una forma semplificata, senza le due prove scritte nazionali e con la commissione tutta interna, salvo il Presidente, coglie al balzo le criticità sollevate da un anno in buona parte in DAD per traghettare l’esame verso nuove modalità. Il nuovo assetto, da cui germoglieranno ancora altre trasformazioni, non dovrebbe né stupire, né scandalizzare, in quanto è perfettamente coerente con le politiche scolastiche attuate dai tanti governi succedutisi dalla fine del secolo scorso ad oggi. La matrice di tali politiche, da collocarsi nell’ottica dell’apprendimento permanente, è da ricercarsi nel Libro Bianco di Edith Cresson (1995), documento cruciale da cui dobbiamo partire per fare il punto sulle nuove modalità di svolgimento dell’esame e per avanzare ipotesi su futuri sviluppi. Esso mette in discussione il titolo di studio come canale esclusivo o privilegiato per l’occupazione e suggerisce una soluzione più flessibile: una “tessera personale delle competenze” sulla quale andrebbero riportate conoscenze e competenze acquisite via via dal titolare nel corso di tutta la sua vita attiva. Vengono individuati come partners di diritto degli Istituti d’istruzione nel processo di formazione (e nel riconoscimento delle competenze maturate) innanzitutto le imprese, e poi le associazioni, gli enti territoriali, i movimenti dei consumatori, le agenzie specializzate in settori come turismo, energia ed ambiente. Non è azzardato ritenere che in un futuro non molto lontano il peso crescente degli attestati conseguiti in ambito extrascolastico e certificati da una pluralità di organismi accreditati come formatori (imprese, associazionismo, società private con finalità culturali, organi territoriali) tenderà, se non a sostituire, sicuramente ad integrare in modo decisivo l’esame conclusivo del ciclo di studi secondari. A questo servirà il Curriculum dello studente.
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Navi, container, treni, metalli: il grande disordine
di Vincenzo Comito
Le catene di approvvigionamento merci e materiali – chip ma anche di rame, terre rare e altri minerali necessari alla transizione energetica – sono supercongestionate. Al fondo di questo caos che inciderà sui prezzi, gli obiettivi climatici della Cina, l’inadeguatezza delle reti di trasporto e la speculazione
Prima la pandemia, poi la tendenziale e forte ripresa dell’economia, insieme ad alcuni incidenti casuali (quale il blocco del canale di Suez e il recente focolaio di pandemia che ha rallentato le operazioni del terminal container cinese di Yantan-Shenzhen), con sullo sfondo l’accelerarsi della transizione ecologica e il boom dell’elettronica, tutti questi fattori insieme hanno contribuito a portare una grande confusione in alcuni settori dell’economia a livello mondiale. Partendo da quello dei trasporti internazionali e da quello dei metalli, il marasma si è esteso alla rottura nelle catene di approvvigionamento delle merci e ad un aumento dei prezzi di alcuni prodotti a livello globale e comunque a scossoni violenti, persino stupefacenti, come ha indicato qualcuno, del sistema del commercio internazionale. Questa confusione dovrebbe durare ancora soltanto per qualche tempo su alcuni fronti, mentre su degli altri dovrebbe invece accompagnarci a lungo.
Così, per quanto riguarda il primo aspetto, quello transitorio, sembra ormai compromessa, almeno parzialmente, la consegna delle merci natalizie da parte della Cina al resto del mondo. Non solo, la carenza di rifornimenti di chip dovrebbe durare ancora un anno mentre dovremo probabilmente convivere a lungo con la carenza e con rilevanti aumenti dei prezzi di alcuni metalli.
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Quell’anti-Maastricht della BCE
di Sergio Cesaratto
Lo scorso 8 luglio 2021 Christine Lagarde ha presentato la revisione della strategia monetaria della BCE (ECB 2021a) in linea, peraltro, con quanto fatto anche dalla Federal Reserve americana. Commentiamo qui alcune novità salienti di tale revisione integrando alcuni estratti del volume Sei lezioni di moneta – La politica monetaria com’è e come viene raccontata, in uscita per Diarkos il prossimo settembre
L’inflazione si fa simmetrica (né troppa né troppo poca)
Gli obiettivi finali sono la parte più squisitamente “politica” della politica monetaria, e tipicamente includono la stabilità dei prezzi, la piena occupazione e la crescita; questi sono obiettivi decisi dai politici, in genere coprendosi le spalle con qualche teoria economica che giustifica il peso maggiore dato all’uno rispetto all’altro obiettivo. I politici, scrisse Keynes nella Teoria Generale, sono ispirati più o meno inconsapevolmente dalla teoria di qualche economista defunto parecchi anni prima. La BCE, come vi è forse già noto, ha come obiettivo primario quello della stabilità dei prezzi, avendo tuttavia facoltà di tradurre tale obiettivo generale in un target finale più preciso. Praticamente dalla nascita dell’euro la BCE ha tradotto il proprio obiettivo in quello di un tasso di inflazione annuo inferiore, ma vicino, al 2%. Solo in subordine la BCE ha libertà di sostenere gli obiettivi della crescita e dell’occupazione. Il mandato della Federal Reserve americana attribuisce invece uguale importanza alla bassa inflazione e all’alta occupazione. La Nuova Zelanda, per anni campionessa dell’inflation targeting, nel 2018 ha affiancato l’obiettivo della piena occupazione a quello della stabilità dei prezzi (Tooze 2021). Un po’ triste per l’Europa, nevvero? A consolarci, al principio del luglio 2021 la BCE ha presentato, in anticipo sulle previsioni, una revisione della propria strategia di politica monetaria in cui l’obiettivo del 2%, da realizzarsi nel “medio periodo”, diventa “simmetrico” (la nuova strategia è diventata operativa con la riunione del Comitato direttivo della banca centrale del 22 luglio 2021).
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Marx: un’introduzione alla critica dell’economia politica
di Adelino Zanini
Riprendendola da Genealogie del futuro (ombre corte, 2013) pubblichiamo un’altra fondamentale lezione per comprendere le basi marxiane della critica dell’economia politica. In questo testo Adelino Zanini, utilizzando in particolare il Libro primo de Il capitale, ripercorre i concetti, il metodo e gli obiettivi principali dell’analisi di Marx, a partire dalla critica degli economisti classici (Smith, Ricardo, Malthus). Per mostrare come il progetto del Moro di Treviri non fosse quello di scrivere un peraltro impossibile «libro corretto» di economia politica, ma di forgiare uno strumento teorico di parte, utile a interpretare-per-sovvertire la realtà sociale.
* * * *
1. Non ho di certo la presunzione di affrontare i molti aspetti inerenti alla critica dell’economia politica in Marx – questione assai articolata, da un punto di vista tematico e storiografico, poiché numerosi sono i problemi connessi ai testi, differenti per maturazione, difficoltà e sistematicità, e (superfluo il ricordarlo) innumerevoli le interpretazioni, alcune davvero «epocali». Vorrei semplicemente ragionare su Marx e la critica dell’economia politica, sviluppando un’argomentazione del tutto basilare, forse utile per coloro che, per ragioni, diciamo così, generazionali, meno abbiano frequentato quei testi che, per le generazioni precedenti, erano stati «formativi».
A tal proposito sarà necessario partire dalla definizione stessa, se è lecito utilizzare questo termine. Critica dell’economia politica è locuzione che ha in effetti un valore fondativo: non solo il titolo dato da Marx al testo del 1859 (Zur Kritik der Politischen Ökonomie) e il sottotitolo de Il capitale.
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Il “Mondo Nuovo”: la repressione nella democrazia tecno-liberista
di Vincenzo Morvillo
Le immagini del video – circolato nei giorni scorsi su media, stampa, social – che ritraggono le guardie penitenziarie di Santa Maria Capua Vetere accanirsi, con sadico piacere di aguzzini, sui detenuti di quel carcere (finanche su quelli costretti in sedia a rotelle) che avevano protestato, lo scorso anno, per il logico timore che si potesse verificare una rapida diffusione del Covid – sono la rappresentazione plastica di Corpi di Polizia sempre più fuori controllo.
Sempre più pervasivi e dunque concepibili quali gangli indispensabili della governance occidentale e neoliberista che disciplina, ormai, ogni settore delle nostre esistenze.
Corpi, dunque, sempre più dotati di potere autonomo e discrezionale, sempre più impuniti ed esenti dal rispondere a un supposto vertice politico sulla catena del comando.
E peraltro sempre pronti a coprire ogni nefandezza…
Corpi, dunque, per molti versi assimilabili a squadroni della morte di stampo fascista.
Sono immagini, quelle viste nel carcere sammaritano, che evocano e possono benissimo sovrapporsi a quelle delle brutalità compiute dalla Dina cilena di Pinochet, dalla Tripla A durante la dittatura della Junta in Argentina, dalla Falange del Maggiore D’Aubuisson in Salvador, dai Contras in Nicaragua.
O da qualunque altro corpo speciale creato, a fini repressivi, da uno Stato che rilasci un assegno in bianco alle forze dell’ordine e su cui la cifra e l’intensità delle violenze e delle torture venga costantemente aggiornata al rialzo.
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L'originalità della teoria del crollo di Henryk Grossman
di Bollettino Culturale
La “ripresa del marxismo” operata da Henryk Grossman è stata allo stesso tempo il recupero dell'idea che il capitalismo avrebbe trovato la sua fine attraverso le sue leggi economiche immanenti e che l'azione rivoluzionaria della classe operaia dovesse basarsi sulla comprensione di queste leggi. Fu quindi allo stesso tempo un recupero del materialismo storico e dell'importanza dell'economia politica. Grossman parte dal problema lasciato da Rosa Luxemburg: fino a che punto era realmente possibile l'accumulazione prevista negli schemi produttivi? Rifiuta la soluzione della Luxemburg ma accetta le implicazioni del problema: affermare la possibilità che il capitalismo si espanda proporzionalmente, secondo schemi di riproduzione, significa accettare la possibilità dell'eterna espansione del capitalismo e privare il socialismo del suo fondamento “oggettivo”.
Imperterriti da questa accusa, i critici hanno ripetutamente presentato contro la Luxemburg la coerenza degli schemi di riproduzione e hanno affermato che il supposto "problema" dell'accumulazione non esisteva. Critica il cui massimo sviluppo è stato il modello di accumulazione di Otto Bauer. Se questa fosse la fine della questione, il trionfo teorico degli schemi di Tugan-Baranowsky, Hilferding, Pannekoek e Bauer sul sottoconsumismo rappresenterebbero il fallimento della teoria del crollo. Ma in “The Law of Accumulation and Breakdown of the Capitalist System”, Grossman usa proprio il modello di Bauer per illustrare la sua teoria e confutare la conclusione che abbandonare il sottoconsumismo significherebbe accettare la possibilità di un'espansione illimitata del capitalismo.
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Confindustria attacca il lavoro, i sindacati confederali applaudono
di coniarerivolta
Nonostante l’Italia si trovi ancora in una profonda crisi occupazionale, con il numero di lavoratori occupati calato di circa 800 mila unità tra febbraio 2020 e giugno 2021 e con un tasso di disoccupazione aumentato dal 9,5% di fine 2019 al 10,5% di maggio 2021, la scadenza del blocco dei licenziamenti è arrivata. Con il decreto-legge n. 99/2021 il Governo pone fine, a partire dal 1° luglio 2021, al blocco dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo introdotto nel marzo 2020, escludendo dallo stop solo il comparto della moda (ritenuto uno dei settori che più ha subito la crisi per effetto delle misure di contrasto alla pandemia) e la filiera produttiva ad esso collegata come calzature, pelletteria e tessile.
A corredo della misura governativa, martedì 29 giugno Governo, sindacati confederali (CGIL, CISL e UIL) e Confindustria hanno siglato un accordo. Si tratta, in realtà, di una mera presa d’atto di cui non si comprende il valore giuridico e l’effetto vincolante che potrà esercitare, ma che il segretario della CGIL Landini non ha esitato a definire un grande risultato per tutto il Paese. Nell’accordo si afferma testualmente quanto segue: “le parti sociali alla luce della soluzione proposta dal Governo sul superamento del blocco dei licenziamenti, si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente ed il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro”.
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Lo smart working sopravviverà alla pandemia?
di Domenico Laise
Cos’è lo smart working? È una formula organizzativa che i capitalisti utilizzano per accrescere lo sfruttamento dei lavoratori (plusvalore). È la finalizzazione dello smart working allo sfruttamento del lavoro che va combattuta e non la formula dello smart working in quanto tale
In questa nota si sosterrà che ci sono validi motivi per ritenere che lo smart working sopravvivrà oltre il tempo della pandemia. Esso, è, infatti, uno strumento a disposizione dei capitalisti per “destrutturare, frammentare e atomizzare” la residua resistenza della classe dei lavoratori proletari, nella lotta per la difesa delle conquiste che essi hanno realizzato nel passato [1].
La pandemia, dovuta al virus Covid-19, ha incentivato il ricorso allo smart working. Ciò, come è noto, è dipeso, principalmente, dal fatto che lo smart working può essere svolto senza vincoli stringenti di spazio e di tempo, permettendo il distanziamento richiesto per ridurre il rischio di contagio.
Ora, all’interno della disputa sui vantaggi e gli svantaggi dello smart working ci si domanda: “dopo la fine della pandemia lo smart working continuerà a svilupparsi oppure ritornerà ad essere un fenomeno relativamente marginale come nel passato?”
Per dare una risposta a questo quesito, bisogna analizzare nel dettaglio la natura dello smart working [2].
Nel dibattito tra gli “addetti ai lavori”, alcuni autori, di orientamento neo-liberista, sostengono che lo smart working si svilupperà ancora di più nel post-pandemia, poiché esso è uno strumento che soddisfa il bisogno naturale e primario di auto-organizzazione del lavoratore, bisogno che il lavoro tradizionale (taylorista-fordista) non è in grado di soddisfare perché è etero-organizzato dal capitalista.
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Haiti, ecco perché è stato ucciso il presidente Jovenel Moïse
di Geraldina Colotti
Un omicidio nato nelle stanze del potere, all’ombra degli interessi imperialisti che hanno deciso di cambiare cavallo? È il probabile scenario che inquadra l’assassinio di Jovenel Moïse, presidente de facto di Haiti. A compierlo materialmente, un piccolo esercito di mercenari che hanno fatto irruzione nella sua residenza super-controllata mercoledì all’alba spacciandosi per agenti della Dea, lo hanno ucciso e hanno ferito la moglie. Si parla di complicità interne con l’avallo del capo della polizia. Il commando è stato arrestato quasi al completo e mostrato alle telecamere.
Si tratta di 15 colombiani e due statunitensi, che sarebbero arrivati a giugno ad Haiti passando per la Repubblica dominicana. I due statunitensi hanno dichiarato di essere stati contrattati tramite internet come interpreti, per sequestrare e non per uccidere Jovenel Moïse, che avrebbe dovuto essere condotto davanti a un giudice in quanto colpito da un mandato di cattura. Uno di loro è un imprenditore della Florida che ha poi fondato un gruppo no-profit per fornire assistenza umanitaria a Port au Prince, la capitale di Haiti. Altri tre colombiani sono morti per mano della polizia e otto mercenari sono in fuga.
Bogotà ha confermato che 6 degli arrestati sono ex militari colombiani. Il giornale El Tiempo ha rivelato il curriculum di uno di loro, Manuel Antonio Grosso Guarn, fino al 2019 considerato uno dei più preparati dell'esercito colombiano. All'inizio della sua carriera ha ricevuto una formazione da commando speciale, e nel 2013 fu assegnato al Gruppo di Forze speciali antiterroriste urbane, quelle che sequestrano e uccidono i manifestanti che da mesi protestano contro il governo Duque. Quei reparti che, in questi giorni, hanno ricevuto ulteriori rinforzi dalla Cia.
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DDL Zan, ovvero quando la confusione aspira a diventare legge, ovvero Caligola che fa console il suo cavallo
di Sirio Zolea
Fino a questo momento mi sono guardato dall’intervenire sul cosiddetto “Ddl Zan”. Il diritto penale non è la mia materia e, data un’occhiata a qualche cronaca sui contenuti del Ddl e sul relativo dibattito, mi ero fatto l’idea che la discussione si sarebbe presto sopita e che un testo così bislacco e raffazzonato sarebbe caduto nel dimenticatoio senza che neanche si arrivasse in proposito a un dibattito parlamentare serio. Ma il fatto che col passare dei mesi il Ddl resti sulla cresta dell’onda, a differenza di proposte dalla spiccata rilevanza sociale come salario minimo e obsolescenza programmata, e le sollecitazioni di svariati colleghi allibiti e preoccupati mi spingono a una più attenta analisi critica del testo, cercando di evidenziarne i punti più allarmanti, nell’auspicio di dare un modesto contributo affinché quello che a me pare soltanto il frutto di molta confusione – terminologica, concettuale e fors’anche mentale! – non possa aspirare seriamente a trasformarsi in legge dello Stato. Ciò aggiungendo alcune considerazioni di più generale portata alle più specifiche e ben motivate critiche giuspenalistiche che già tanti esperti del settore hanno manifestato. Per la verità, tali e tante sono le amenità contenute nella proposta, che si ha solo l’imbarazzo della scelta di quelle su cui più infierire!
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La critica di Engels al “socialismo giuridico” e il modo corretto di formulare le rivendicazioni del proletariato
di Eros Barone
Una risposta puntuale alle posizioni del socialismo giuridico è quella data da Engels e da Kautsky in uno scritto che apparve nel 1887 sulla Neue Zeit, rivista teorica della socialdemocrazia tedesca. In questo scritto, che offre indicazioni di grande interesse per una corretta impostazione della pratica socio-politica dei comunisti, gli autori svolgono una critica delle tesi revisioniste di Anton Menger, conducendo una importante battaglia contro le posizioni antimarxiste della frazione di destra della socialdemocrazia e del suo gruppo parlamentare. Se Menger si proponeva, come è noto, di ‘rifondare’ (anche questa è una vecchia storia!) le concezioni del socialismo da un punto di vista giuridico, l’Anti-Menger di Engels e Kautsky (quest’ultimo si muoveva allora sul terreno del marxismo rivoluzionario) colpisce al cuore l’ideologia giuridica, offrendo un esempio paradigmatico del modo in cui si deve condurre la lotta teorica e politica contro l’opportunismo socialdemocratico. 1
La tesi scientifica (e sottolineo ‘scientifica’, giacché è in questione la teoria-chiave del materialismo storico, quella del rapporto struttura-sovrastrutture), che costituisce il fondamento teorico dell’Anti-Menger engelsiano e che dodici anni prima era stata posta da Marx al centro della sua Critica del programma di Gotha, è che l’ideologia giuridica e il marxismo sono come l’acqua e l’olio: tra di essi non è possibile alcuna combinazione.
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Sacrifici in arrivo per l’Italia
di Leonardo Mazzei
Sacrifici in ogni caso. Ma sacrifici pesanti e concentrati, o sacrifici più leggeri ma spalmati all’infinito nel futuro dell’Italia? Su questo mortifero dilemma discetta Federico Fubini sulle pagine del Corriere della Sera.
Il suo editoriale parte da un dato di fatto. In materia di debito pubblico nell’Ue si confrontano due partiti, quello dei “falchi” e quello delle “colombe”. Il primo stanziato a nord, il secondo al sud. Partiti che rispecchiano ovviamente le opposte esigenze delle rispettive economie.
Per Fubini la linea dura verrà riproposta, ma essa non sarebbe più egemone a Bruxelles, anche perché difficilmente applicabile nel contesto attuale. Da qui la sua certezza sul fatto che le regole europee verranno riscritte, concetto ripreso direttamente da alcune recenti affermazioni dello stesso Draghi.
Già, verranno riscritte, ma come? Sul punto l’editorialista del Corsera accenna a quella che sarebbe la proposta di revisione del Patto di stabilità del governo italiano. Essa si baserebbe su due pilastri: l’emissione di debito comune nei momenti di crisi; l’impegno ad una spesa pubblica in discesa nelle fasi di crescita. Ovviamente si tratta di uno schema generale, i cui meccanismi andrebbero poi precisati nelle solite estenuanti trattative brussellesi. Laddove, si sa, il diavolo si nasconde sempre nei dettagli.
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Verso il collasso
Lettere al futuro 5
di Marino Badiale
1. Introduzione
Il presente intervento intende approfondire alcuni temi di un articolo di qualche tempo fa (“Fine partita. Ha vinto la barbarie”[1]), nel quale argomentavo che il carattere ecologicamente insostenibile dell’attuale organizzazione economica e sociale sta portando il mondo verso l’esplosione concomitante di numerose, diversificate e pericolose crisi, il cui peso il mondo attuale non potrà reggere. L’argomentazione dello scritto citato portava quindi ad una prognosi di prossimo collasso dell’attuale società.
Nell’analisi svolta in [1], l’elenco (peraltro incompleto) dei vari fattori di crisi, generati dalla dinamica dell’espansione economica illimitata, era desunto dalla letteratura internazionale su tali argomenti, ormai piuttosto ampia (si veda la bibliografia dello stesso articolo). A questo si aggiungevano una serie di argomenti per sostenere che l’attuale società mondializzata non ha al proprio interno le risorse politiche e culturali per affrontare le crisi in arrivo: era questo il fulcro della diagnosi di collasso prossimo dell’attuale civiltà. Per la sua importanza all’interno della mia argomentazione, mi è sembrato che valesse la pena di dedicare un intervento all’approfondimento specifico di quest’ultimo tema, che nello scritto citato era mescolato con altri. Nel presente articolo non ripeterò quindi l’elenco delle crisi ecologiche che minacciano l’attuale società, per le quali rimando a [1] e alla sua bibliografia. Mi concentrerò invece sull’assenza delle condizioni sociali e politiche che sarebbero indispensabili per contrastare l’incombente crollo della nostra civiltà.
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Cosa si sono detti Biden e Putin a Ginevra?
di Fulvio Bellini
Biden tenta di portare sul proprio fronte la Russia in versione anti cinese. Gli USA accetteranno l’uscita dallo stato di pandemia nel mondo se otterranno l’adesione di Putin alla proposta di Ginevra
La Casa Bianca ha scelto il suo obiettivo: la Cina
Nell’articolo “Joe Biden e la nuova strategia americana” pubblicato sul numero di Giugno di Gramsci Oggi, si descriveva come l’amministrazione americana fosse costretta a valutare l’uscita dalla “confort zone” rappresentata dalla pandemia da Covid-19. Grazie ai milioni di morti in tutto il mondo, gli strateghi di Washington avevano potuto rimandare la terribile scelta di quale potenza aggredire, e se non fosse stato per i vaccini alternativi russi e cinesi, con tutti i limiti e difetti che potevano avere, gli USA avrebbero tenuto segregato il mondo intero il più a lungo possibile per inabissarlo in una voragine di debiti. Ma i vaccini russi e cinesi hanno agito e di conseguenza hanno costretto all’azione anche quelli occidentali, dimostrando quasi quotidianamente di essere altrettanto imperfetti di quelli sino-russi. Nella stanza ovale si è passata la primavera a “pensare” quale scenario d’uscita sarebbe stato necessario costruire, e quale suggerimento di amici ed alleati ascoltare. Israele ha proposto di attaccare l’Iran e causare un nuovo shock petrolifero. Per convincere gli americani Tel Aviv ha anche proceduto all’allontanamento dal potere di Benjamin Netanyahu, eccessivamente legato alla destra americana, e la sua sostituzione con un governo “alla Draghi” presieduto da Naftali Bennett.
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La presunta svolta della politica economica europea ai tempi del Covid 19
Verso il G20 della finanza a Venezia
di Andrea Fumagalli
La crisi sanitaria ed economica che stiamo vivendo ha evidenziato cali del Pil mai registrati nella storia del capitalismo, di gran lunga superiori a quelli fatti registrare durante la crisi finanziaria globale del 2007-08.
Le stime per i prossimi anni ipotizzano che quasi la metà del calo del Pil potrebbe essere recuperato quest’anno (se non ci saranno peggioramenti nella situazione sanitaria) e si potrà arrivare ai livelli pre-crisi già a partire dal 2023.
Si tratterebbe di un andamento congiunturale a V, assai diverso da ciò che è successo dopo la crisi finanziaria del 2007: dopo la prima fase recessiva, soprattutto in Europa e nei paesi del Mediterraneo, si è registrato un ulteriore calo del Pil, creando una dinamica a W. Solo molti anni dopo si sono raggiunti i livelli pre-2007.
Come mai si potrebbe verificare una dinamica diversa? La principale ragione sta probabilmente nel perseguimento di politiche economiche, a prima vista, assai differenti.
All’indomani dello scoppio della bolla dei subprime, la commissione Europea, il Fmi e la Bm (la cosiddetta “troika”), di fronte al rischio di insolvenza del sistema creditizio, iniziano a perorare la causa dell’austerità nei bilanci pubblici, soprattutto di quei paesi con il debito più alto, gentilmente chiamati PIIGS. In tal modo, si cercava di compensare il crescente debito privato con una stretta sui debiti pubblici. Gli economisti mainstream la chiamavano con un ossimoro e in modo ideologico, “austerità espansiva”.
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Il giardino dell’Eden
di Paolo Di Marco
1. Il plusvalore
Possiamo leggere la storia degli ultimi secoli come una progressiva espropriazione del proprio tempo, trasformato in tempo di lavoro collettivo controllato dal capitale.
Marx è l’ultimo economista che si occupa dell’origine del profitto (tema centrale dell’economia classica sino a Ricardo), e la sua analisi parte dalla giornata di lavoro, il cui tempo viene diviso in due parti: una in cui il lavoratore lavora per sé, l’altra per il padrone. Questa seconda dà origine al profitto.
* * * *
Il capitalista investe del denaro D per ottenere dell’altro denaro D’, che includa un guadagno D -> D’, D’–D=R (profitto), (R/D == saggio profitto)
come nasce R: nel processo produttivo abbiamo: cc: capitale costante (macchinari, stabilimenti), cv: capitale variabile (gli operai); sv: il surplus prodotto solo da cv (quello prodotto nel tempo ‘del padrone’); quindi: il capitalista trasforma il denaro D in mezzi di produzione, cc e cv e ne ottiene un prodotto p (che contiene il pluslavoro sv) che trasforma sul mercato in nuovo denaro D’: cc+cv+sv= p (prodotto) R=sv e, chiamando r il saggio:
r= sv/(cc+cv)
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I politici parolai nelle difficoltà dell’attuale fase
di Michele Castaldo
In calce una nota di Alessio Galluppi per noinonabbiamopatria*
Che succede nel Movimento 5 Stelle? Anticipiamo la nostra tesi, così risparmiamo al lettore pigro di scorrere l’articolo per intero e capire il nostro pensiero: succede un caos, abbondantemente previsto, quale riflesso di una parte del ceto medio che la crisi delle categorie capitalistiche italiane aveva espresso come protesta nei confronti di un ceto politico che aveva tradito le sue aspettative. Si trattava di un movimento composito, ovvero di un flusso di più interessi che si è ritrovato unito nella protesta e che di fronte alla necessità di fare proposte, ovvero di misurarsi con le leggi dell’economia, diventa strabico mentre si decompone.
Grillo, Conte, Crimi, Di Maio, Fico, e via elencando. Personaggi di pochissimo spessore come i ceti sociali che li hanno eletti, ovvero gente che chiede di cambiare il mondo attraverso un clic della tastiera.
Evitiamo di elencare in questa sede gli sproloqui e le sceneggiate di Grillo, moderno guru che si era illuso di avere il mondo ai suoi piedi piuttosto che stare, invece, alle falde di una duna sabbiosa che lo sta rendendo volatile, trasferendolo via scirocco verso il sol Levante dell’Estremo Oriente e la nuova Via della Seta cinese di questa fase.
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Roma: morire di debito o sfidare il commissariamento
di coniarerivolta
Da troppi anni Roma versa in una situazione di disagio e abbandono, specialmente nelle sue aree più periferiche e popolari. Quel che accade a Roma è ormai arcinoto: carenza di servizi, emergenza abitativa, buche su ogni tipo di strada, spazzatura che resta non raccolta per giorni, disservizi al trasporto pubblico locale, impoverimento dell’offerta culturale. La lista sarebbe ancora lunga, ma fermiamoci qui. Come vedremo, si tratta del frutto di precise scelte politiche messe in atto, senza distinzione di colore politico, dalle amministrazioni che hanno guidato Roma negli ultimi decenni. Chi ha governato Roma, infatti, ha scelto di brandire e usare l’austerità imposta dalle norme nazionali ed europee per effettuare tagli su tagli al tessuto pubblico e sociale della città.
Lo Stato centrale e, a cascata, tutti gli enti locali devono sottostare al pareggio di bilancio previsto dai trattati europei (il famigerato Fiscal Compact), che meglio di ogni altra regola incarna il disegno politico dell’austerità. Significa, in breve, che amministrazioni centrali ed enti locali possono spendere (per garantire servizi) solo nella misura in cui riscuotono (tramite le tasse), senza avere la possibilità di indebitarsi per coprire le spese non coperte dalle entrate fiscali. Al di là della retorica liberista, questo dispositivo ha degli obiettivi economici e politici ben precisi: vietare il ricorso alla spesa in disavanzo significa far venir meno il principale strumento di stimolo alla crescita economica, rendendo in questo modo impossibile una piena fornitura di servizi, lo sviluppo della città e, in ultima istanza, il perseguimento della piena occupazione.
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Crisi climatica fra emergenza, opportunità di profitti e lobby di potere
di Niccolò Bertuzzi
Letto nel 2021 durante la pandemia da Covid-19, il libro Clima, capitalismo verde e catastrofismo (Eleuthera 2021) di Philippe Pelletier acquista un rinnovato interesse. L’edizione originale, in francese, risale al 2015; solo quest’anno ne è stata pubblicata una traduzione italiana, per la quale bisogna rendere estremo ringraziamento a Elèuthera. Si tratta infatti di un testo forte, divisivo, sicuramente problematico, ma fondamentale nel dibattito contemporaneo sulla governance climatica
Perché quindi un libro simile dovrebbe suonare così interessante nella congiuntura pandemica? Non si tratta (o comunque non direttamente) delle riflessioni, avanzate da molte/i negli scorsi mesi, rispetto alle connessioni fra le due crisi. La ragione principale è un’altra, legata all’argomento di fondo sostenuto dall’autore: la narrazione, e per conseguenza la gestione, di fenomeni così rilevanti e centrali quali il cambiamento climatico (e oggi potremmo dire la pandemia) dev’essere inquadrata nella sua complessità, oltre le rappresentazioni dominanti offerte nel dibattito mediatico ma anche presso la “comunità scientifica”, espressione che Pelletier definisce come “formula cosmetica” funzionale a “nascondere le dinamiche di potere (economico, politico, simbolico) esistenti fra ricercatori, paesi e discipline” (p. 217).
Sullo sfondo di questo assunto, il volume condensa in 230 pagine una considerevole quantità di riferimenti, episodi ed eventi fondamentali nello sviluppo dell’attuale registro discorsivo che informa la lotta ai cambiamenti climatici, denunciandone in modo estremamente documentato intrecci geo-politici e interessi di natura economica.
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Biden è come Trump: parla di libertà e diritti umani ma vuole solo soldi, tanti soldi
di Giorgio Paolucci
L’America è semplicemente la capofila di un disastro più generale che sta già mettendo radici altrove e che si diffonderà ulteriormente in futuro. (Anne Case e Angus Deaton)
Hanno fatto molto scalpore le ultime previsioni del Fondo Monetario internazionale che danno nel 2021 il Pil statunitense in crescita del 6,5%, superiore anche a quello cinese che si attesterebbe al 6%. Ben ultima, invece, l’Unione Europea con il 3,9%. In considerazione di ciò, non pochi hanno dedotto come imminente il ritorno tout court degli Usa agli antichi fasti: «L’America di Biden –scrive per esempio F. Rampini- è pronta a sottrarre alla Cina il ruolo di locomotiva mondiale trainando anche la crescita degli altri»[1]. Il miracolo avverrebbe grazie ai «ristori dell’ordine di 1,9 trilioni di dollari (9% del Pil) [a cui - n.d.r.] si aggiungeranno gli investimenti pubblici in infrastrutture previsti dall’American Jobs Plan per 2,2 trilioni, da devolvere in otto anni (1,5% del Pil all’anno, in media) alla grave carenza nei trasporti, utilties, scuole, ospedali, ricerca. A fine aprile - ci informa Pier Luigi Ciocca- Biden prospettava un ulteriore piano di sostegni alle famiglie di 1,8 trilioni. Il complesso degli interventi si aggirerebbe nel tempo sui sette trilioni di dollari: una cifra smodata, pari a circa un terzo dell’attuale Pil».[2] E tutto ciò in aggiunta ai «900 mld di dollari (4% del Pil) di spesa pubblica deliberati dall’amministrazione Trump nel 2020 per sostenere l’economia messa in ginocchio dalla pandemia (-3,5% del pil nel 2020).»[3] Cifre davvero importanti, tanto che Biden, presentando la sua prima legge di Bilancio, ha potuto dichiarare: «La ripresa è già cominciata. L’America sta rinascendo. Ricostruiamo la nostra forza a partire dal ceto medio e dalle classi lavoratrici».[4]
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Mattarella e il passato oppresso
di Paolo Virno
Un intervento di Paolo Virno che prende spunto dalle esternazione del presidente della Repubblica in occasione della commemorazione di Aldo Moro lo scorso maggio. Una rivendicazione degli anni in cui «si sviluppò uno scortesissimo potere operaio ed ebbe luogo il primo e unico tentativo di rivoluzione comunista in seno al capitalismo maturo»
Si stanca qualsiasi parola, di più non puoi farle dire. Non è sempre vero, però. Ero sicuro che le parole mie, e di Gianni Riotta e degli altri ragazzi del coro, in lode del presidente Mattarella fossero ormai esauste, simili a moscerini tramortiti dal falò. Poi ho ascoltato le meditazioni presidenziali sugli anni Settanta, pronunciate il 9 maggio, anniversario della morte di Aldo Moro. E ho letto l’intervista pensierosa sullo stesso argomento, rilasciata poco dopo a «la Repubblica» dal custode della Costituzione. Mi devo ricredere: nomi e aggettivi, d’un tratto rinvigoriti, scalpitano per migliorare e correggere e ampliare gli elogi già archiviati.
Ho esitato a lungo a scrivere, convinto che i fatti su cui ha indugiato Mattarella siano noti a coloro che hanno più di sessant’anni, ma non ai giovani lavoratori precari che, soli, potrebbero seminare disordine e panico nel capitalismo contemporaneo. Se mi sono deciso, è perché non riesco a mettere la sordina al monito di un filosofo ebreo morto suicida, secondo il quale la redenzione del passato oppresso (gli anni Settanta, nel nostro caso) è affidata per intero ai conflitti più attuali, ingaggiati da uomini e donne che con quel passato non hanno dimestichezza alcuna. Uno sciopero riuscito dei dipendenti di Amazon riscatterà certi episodi tumultuosi di mezzo secolo fa, restituendo loro verità e buonumore. Per questo, però, non sembra inutile dare qualche notizia, scarna quanto un segnale stradale, sul passato oppresso che attende redenzione dai dipendenti di Amazon. Pongo dunque rimedio, con un ritardo imbarazzante, al peccato di omissione di cui mi sono macchiato nei confronti del suggestivo album di ricordi che il garante della democrazia, in balia di mutevoli stati d’animo, ha sfogliato nello scorso maggio.
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