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La trappola europea dello spread: il problema è l’atterraggio
di coniarerivolta
L’Italia è nel mirino della speculazione internazionale. Il prezzo dei titoli pubblici italiani è letteralmente crollato nelle ultime ore, portando i rendimenti sui BTP decennali dall’1,8% di inizio maggio ad oltre il 3,2% di fine mese. Questo aumento straordinario nel costo dell’indebitamento pubblico è dovuto ad una massa di vendite che si sono realizzate in un lasso di tempo relativamente ristretto, come testimoniato martedì mattina dall’inversione di un tratto della curva dei rendimenti, una curva che rappresenta per ogni scadenza il corrispondente tasso di interesse sul debito pubblico italiano e che di norma ha un andamento crescente, a riflettere il maggiore interesse richiesto per prestiti a più lunga scadenza: per qualche ora i BTP con scadenza 2020 pagavano un rendimento maggiore dei BTP con scadenza 2021, contro ogni logica economica – che associa a scadenze più lontane rendimenti più elevati – e coerentemente con le dinamiche speculative, quando i titoli sono scambiati non in virtù del loro rendimento ma solo allo scopo di trarre un profitto dalla variazione di prezzo di quelle attività finanziarie. Se le cause di questa svendita del debito pubblico italiano dovranno essere attentamente indagate, gli effetti dell’impennata nei rendimenti di quei titoli sono invece facilmente prevedibili. Attraverso una simile stretta sul costo dell’indebitamento pubblico i mercati – chiunque essi siano – stanno esercitando una pressione sulla politica italiana in una fase storica delicatissima, e cioè esattamente nel momento in cui una tornata elettorale aveva spazzato via le forze di governo degli ultimi venti anni, ossia Forza Italia ed il Partito Democratico. L’Europa funziona così: quando la macchina dell’austerità è in affanno, puntualmente interviene lo spread.
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Il gran rifiuto del Presidente e la Repubblica a sovranità limitata
di Angelo d’Orsi
Ed eccoci qui, divisi nei due partiti: Pro e contra Mattarella, pro e contra Savona, pro e contra l’euro, pro e contra Salvini, pro e contra Di Maio. Possibile che non si possa uscire dall’angustia delle contrapposizioni semplicistiche? Certo, la situazione, inedita e inquietante, presenta tanti e tali risvolti da rendere difficoltose le analisi, ma proprio per questo esse sono indispensabili, fuori dal coro dei sostenitori dell’uno e dell’altro “partito”.
La prima osservazione, che non mi pare di avere colto nei commenti di questi giorni agitati, riguarda il dettato stesso costituzionale: “noi che abbiamo detto no” (come recita un gruppo su Facebook), non volteremo certo le spalle alla Costituzione, che abbiamo difeso e che difenderemo a spada tratta, in ogni modo. L’abbiamo difesa contro la sciaguratissima e goffa manomissione tentata dalla banda Renzi-Boschi, con il loro corteo di mediocrissimi supporters. E abbiamo vinto quella battaglia epocale. Questo non deve impedirci di guardare anche con occhio smagato, sia pure carico di passione civile, come si conviene, alla nostra Suprema Carta, chiedendoci se essa non contenga qualcosa che si presti, in determinate condizioni, a interpretazioni ambigue, come in effetti emerge dal dibattito fra i costituzionalisti (ma si legga l’odierno comunicato, del tutto condivisibile, dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici).
Soprattutto, forse occorre rendersi conto che la nostra non è una Repubblica parlamentare, tout court, né una Repubblica presidenziale, bensì una sorta di Stato misto, che affida al Presidente una serie di funzioni che possono o no essere tradotte in poteri: egli è posto a capo della Magistratura (come presidente del Consiglio Superiore), delle Forze armate (presiede il Consiglio di Difesa), può sciogliere il Parlamento, a suo piacimento, e può indire elezioni, può dichiarare guerra, anche se sulla base di un parere parlamentare, e su indicazione del governo, può firmare o respingere le leggi, e non è responsabile degli atti che compie, che vanno controfirmati dai governi. Infine, può esprimere parere contrario sui ministri designati dal presidente del Consiglio incaricato.
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La crisi italiana e la responsabilità dei comunisti
di Andrea Catone
1. La Costituzione italiana si fonda sul governo parlamentare. Il presidente della repubblica non ha il potere di dettare l’indirizzo politico del governo
il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non ha firmato la nomina a ministro dell’Economia del professor Paolo Savona, propostogli, su indicazione di M5S e Lega, dal presidente del consiglio incaricato Giuseppe Conte, che ha rimesso il mandato.
Mattarella ha motivato tale sua scelta con un breve discorso al paese in cui ha affermato di aver
“condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell'Economia. La designazione del ministro dell'Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari. Ho chiesto, per quel ministero, l'indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l'accordo di programma. Un esponente che - al di là della stima e della considerazione per la persona - non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell'Italia dall'euro [1]. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell'ambito dell'Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano. A fronte di questa mia sollecitazione, ho registrato - con rammarico - indisponibilità a ogni altra soluzione, e il Presidente del Consiglio incaricato ha rimesso il mandato. L'incertezza sulla nostra posizione nell'euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende […] È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri - che mi affida la Costituzione - essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani […] Quella dell'adesione all'Euro è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro Paese e dei nostri giovani” [2].
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Governo umanitario, neoliberalismo e populismo
di Valerio Romitelli
Una recensione di Valerio Romitelli al libro di Didier Fassin, Ragione umanitaria. Una storia morale del presente, da poco pubblicato in Italia per DeriveApprodi, nella traduzione di Lorenzo Alunni. Il testo ha suscitato dibattito sulla lista di Effimera. A breve pubblicheremo un confronto tra Salvatore Palidda e Valerio Romitelli proprio a partire dai lavori di Fassin e dai temi da lui trattati
È uscita la traduzione in italiano del libro di Didier Fassin, La raison humanitaire. Une histoire morale du temps présent, pubblicato in Francia nel 2010 (Ragione umanitaria. Una storia morale del presente, traduzione di Lorenzo Alunni, DeriveApprodi, Roma, 2018). L’autore che può essere considerato uno dei più importanti antropologi contemporanei, docente e direttore di ricerca in prestigiose università francesi e statunitensi, è già noto al pubblico italiano per la traduzione di sue non poche opere (Fassin, 2013, 2014, 2016). In questa ultima tradotta egli presenta nove rapporti di inchieste svolte tra il 1996 e il 2003, cinque in Francia e quattro tra Sudafrica,Venezuela, Palestina e Iraq. Tema ricorrente: “La messa in pratica della ragione umanitaria all’interno delle politiche rivolte alla vita precaria” altrimenti dette anche “politiche della sofferenza”, (p 24). Rapporti di grande interesse, dedicati a svariati ed eterogenei casi di studio. Ad esempio, le iniziative condotte da psichiatri e psicologi nelle periferie di alcune città francesi al fine di attivarvi luoghi d’ascolto per giovani disagiati o l’epidemia di Aids che all’inizio del 2000 ha toccato particolarmente i bambini sudafricani o ancora l’esperienza di Ong intervenute nei territori occupati da Israele al momento della seconda Intifada. Le dotte, puntuali e affascinanti analisi di Fassin non temono di cimentarsi coi problemi più scabrosi di simili tragiche situazioni. Il suo approccio che si vuole “analitico” (p. 15) e “critico”, senza astenersi dal discutere in dettaglio del senso da attribuire a questo termine (pp. 313-19), lo porta non di rado a conclusioni a dir poco scomode. Si può così comprendere ad esempio come gli interventi psichiatrici e psicologici tra i giovani delle periferie francesi abbiano finito per tacitare ogni ineguaglianza sociale non traducibile nel linguaggio della salute mentale (p. 25), mentre a proposito dell’epidemia di Aids in Sudafrica appaiono tutti gli equivoci e i fraintendimenti derivati dalla “mobilitazione emotiva” alimentata attorno a stereotipate figure di bambini sofferenti.
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I mercati ordinano, Cottarelli esegue
I piani bellicosi del ‘governo neutrale’
di coniarerivolta
Ci siamo tutti baloccati per qualche giorno con l’idea del governo dei pagliacci. Nessuna persona ragionevole poteva sinceramente credere che costoro avrebbero rappresentato anche la benché minima minaccia per la stabilità dell’Unione Europea, dell’Euro e in generale di tutta l’architettura istituzionale intessuta di austerità, lacrime e sangue con la quale ci siamo abituati, purtroppo, a convivere. Ma evidentemente tutto questo non è stato ritenuto sufficiente. Sono possibili diverse letture. Secondo la più fantasiosa, anche Mattarella tifa palude. Secondo quella più verosimile, adesso saremo chiamati a fronteggiare una spiacevole situazione.
Eppure, già da qualche giorno i principali giornali italiani stavano preparando il terreno per un possibile scenario ‘tecnico’ per il nostro governo, riproponendo in maniera martellante lo spauracchio dello spread. Dietro a questo agitarsi scomposto c’è una logica del tutto fallace, che idealizza i mercati come luogo della razionalità, depositari della saggezza che noi umani non sappiamo cogliere. Comunque, se “i mercati” chiamano, preoccupati, c’è l’uomo ideale pronto a rispondere. Il nome di Carlo Cottarelli aleggiava da mesi come possibile ultima risorsa della Repubblica, alternativamente come saggio che potesse tenere insieme e indurre a miti consigli il governo dei pagliacci o come uomo di punta del governo del Presidente.
Ora, dopo il no di Mattarella sul nome di Savona, gli è stato affidato l’incarico di formare un governo. Tra le sue prime parole spicca una rassicurazione su quale sarebbe, ahinoi, l’orientamento del suo ipotetico governo nella gestione delle finanze pubbliche: “una gestione prudente dei nostri conti pubblici“.
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Italiani Scrocconi e fannulloni? Tedeschi truffatori e falsari!
di Domenico De Simone
La battaglia durissima e senza precedenti che si sta consumando intorno alla nomina di Paolo Savona a Ministro dell’economia, sta assumendo toni intollerabili, con attacchi violenti da parte della stampa italiana, come al solito ricca di falsità, allarmi, valanghe di fango e menzogne, e recentemente con la discesa sul campo di battaglia delle “sturmtruppen”, anch’esse armate di falsità e menzogne, oltre che di insulti e pregiudizi. Facciamo un po’ di chiarezza.
Paolo Savona è un economista di valore e di grande prestigio che ha il solo torto di aver detto chiaramente, PRIMA dell’entrata in vigore dell’euro, che la moneta unica, così come era stata concepita, avrebbe fallito e che i vantaggi tanto sbandierati dai politici di allora e dalla stampa, si sarebbero rivelati un’illusione pericolosa. In Italia è stato uno dei pochissimi a dirlo, una voce fuori da coro che ha dato molto fastidio e che è stata messa a tacere con i soliti sistemi mafiosi dei signori del potere. Semplicemente negandogli l’accesso ai media. Che cosa diceva il buon professore sull’Euro? Niente di diverso da quello che sostenevano molti noti economisti d’oltre oceano, ovvero che una moneta unica in un’area con economie tanto diverse e senza meccanismi di compensazione avrebbe provocato molti danni alle economie più deboli. Si tratta della teoria delle Aree Valutarie Ottimali (AVO) in inglese nota come teoria dell’OCA (optimum currency area) elaborata negli anni sessanta dl premio Nobel Robert Mundell e ben nota agli economisti. Se volete capire quanto sono bravi i tedeschi al gioco dell’OCA cliccate su questo articolo.
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Gli avvoltoi sull’Argentina: scene dalla periferia dell’Impero
di coniarerivolta
Nel nostro collettivo c’è anche spazio per un giovane economista argentino: ecco un contributo che ci aiuta a fotografare la situazione economico-politica del suo Paese
L’Argentina rappresenta da molto tempo il laboratorio preferenziale delle riforme neoliberiste del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e delle altre istituzioni finanziarie sovranazionali. Essa ha una storia finanziaria turbolenta, avendo sperimentato diversi episodi di default sul debito estero (in seguito ai quali si è proceduto alla cosiddetta “ristrutturazione” del debito, ovvero di una ridiscussione dei termini, temporali ed economici, nei quali il debito verrà ripagato) in epoca recente. Dopo un ciclo politico moderatamente progressista (con le presidenze di Nestor e Cristina Kirchner dal 2003 al 2015), attualmente essa è guidata da un governo, quello di Mauricio Macri, considerato tra i più “promettenti” dalle istituzioni finanziarie sovranazionali. Ciononostante, l’Argentina ha di recente chiesto aiuto al FMI, notizia che ha catturato l’attenzione dei media italiani. Proviamo a capire perché.
Dal 10 dicembre 2015, data della sua entrata in carica, il governo di Macri ha deciso di impiegare tutti gli strumenti istituzionali dello Stato per rafforzare e favorire l’alleanza di classe che ha permesso il suo successo elettorale. Si tratta di uno scambio di favori. Due grandi blocchi di interessi hanno costituito il gruppo di sostegno al nuovo governo sin dal principio: l’oligarchia rurale (la Società Rurale Argentina) e le grandi multinazionali, nelle loro articolazioni reali e finanziarie. I grandi assenti dell’alleanza mono-classista, per ovvi motivi, sono stati e sono i lavoratori, la gran parte del corpo elettorale.
La proposta di “Cambiemos”, il partito del presidente, non è nuova. Lo stesso partito ha governato la città di Buenos Aires, il distretto municipale più grande dell’Argentina, per più di dieci anni.
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Tracce di resistenza e opposizione nel lavoro contemporaneo
di Paolo Rabissi
Figure del lavoro contemporaneo: un’inchiesta sui nuovi regimi della produzione. Introduzione e cura di Carlotta Benvegnù e Francesco E. Iannuzzi, Postfazione di Devi Sacchetto (Ombre corte, 2018). - Otto saggi di un gruppo di ricercatori/trici che interrogano con il metodo dell'inchiesta sul campo le nuove soggettività del lavoro
Che ne è della classe operaia? Che ne è di quel soggetto economico-politico che negli anni sessanta e settanta sembrava in grado di inceppare indefinitamente i meccanismi di riproduzione del capitale con forme organizzative, quasi interamente autonome da partiti e sindacati, di comando sul lavoro? In altre parole come si configura oggi il lavoro?
Il libro in analisi è una buona occasione per fare il punto. Raccoglie infatti un nutrito numero di esperienze diverse che compongono un quadro utile per orientarsi. A patto ovviamente di dare per scontate certe specificità comuni alle varie situazioni: prima di tutto il processo di frammentazione e dispersione di lavoratori e lavoratrici in luoghi di produzione sparsi sul pianeta e poi la implacabile flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro. A ciò si possono anche legare la dissoluzione della contrattazione collettiva, uno dei momenti di forza nell’epoca fordista sopra rammentata, e il declino dei sindacati con il loro fallimento nel tentativo di gestire una precarizzazione limitata alle fasce marginali del mercato del lavoro col fine di salvaguardare gli occupati stabili.
Presupposto di metodo di tutti i saggi del libro sta l’inchiesta sul campo, che è di matrice operaista (dai Quaderni Rossi in avanti fino a Primo Maggio). Essa viene considerata imprescindibile per la comprensione di processi sociali e soprattutto per l’approfondimento dei modi con cui le soggettività interrogate rispondono e resistono alle condizioni più pesanti del lavoro, con forme specifiche di resistenza e rifiuto che scavalcano spesso le forme sindacali tradizionali.
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Crisi istituzionale. Parla Potere al Popolo!
Il presidente Mattarella si è reso responsabile di una grave crisi istituzionale, pur di non accettare come Ministro dell’economia Paolo Savona, considerato “euroscettico” e dunque non compatibile con i diktat dell’Unione Europea.
Mattarella ha ammesso di non aver accettato Savona perché sgradito “ai mercati”, temendo “un segnale di allarme o di fiducia per i mercati”. La volontà dei mercati ha prevalso su quella dei cittadini.
Piegandosi ai diktat della Bce e del Fmi, Mattarella dà l’incarico a Cottarelli, diretto rappresentante dei poteri forti della finanza e noto “tagliatore di teste” del FMI, ex strapagato plenipotenziario per la spending review.
Un governo “tecnico” che si dà la priorità, dichiara Cottarelli, “Di far quadrare i conti”. Una replica del Governo Monti, che per far quadrare i conti ha aumentato l’età pensionabile, precarizzato il lavoro, tagliato i servizi pubblici.
Non ci interessa sapere se Salvini volesse davvero fare questo governo o no, nemmeno il dibattito su un eventuale impeachment di Mattarella: quello che è inaccettabile è la motivazione della sua scelta. Dire che si rifiuta la nomina di un ministro perché ha una visione della politica monetaria diverse da quelle della UE è inaccettabile. Così come è inaccettabile il ricatto dello spread, che la sovranità sia dei “mercati” e non del popolo che vota.
In questo modo il presidente Mattarella ha portato un attacco diretto alla democrazia ed alla Costituzione del nostro paese, facendo una scelta politica in continuità con lo sciagurato interventismo dell’ex presidente Giorgio Napolitano.
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Bentornati nella Germania di Weimar
di Wolgang Munchau
Nella sua rassegna stampa di oggi, il sito Eurointelligence, diretto dall’editorialista del Financial Times Wolgang Munchau, commenta la decisione di Mattarella di porre il veto sul governo “populista” che stava per formarsi come un avvenimento molto grave e denso di conseguenze forse impreviste. Non era infatti mai accaduto nella storia delle democrazie europee che un presidente impedisse la formazione di un governo dotato di una solida maggioranza parlamentare. Il risultato sarà sicuramente una sfiducia diffusa del popolo italiano nel sistema democratico del proprio paese, e per alcuni aspetti appare una riedizione della miopia politica che portò alla tragedia di Weimar, ma questa volta sotto forma di farsa
Nelle ultime dodici ore ha continuato a girarci nella mente l’idea che la storia si ripete, prima come tragedia poi come farsa. Il presidente Sergio Mattarella ha deciso di staccare la spina al governo 5 Stelle/Lega. La ragione apparente è stata la sua obiezione a Paolo Savona come ministro delle finanze, viste le sue opinioni scettiche sull’eurozona. Il suo veto su Savona ha provocato l’immediata decisione di Giuseppe Conte di rimettere il suo mandato alla formazione del governo. Il risultato sarà di inasprire il popolo italiano con una sensazione di sfiducia nel gioco democratico.
Il veto di Mattarella porterà quindi a nuove elezioni, probabilmente nella seconda metà dell’anno. Ma, a differenza delle ultime elezioni, queste saranno di fatto un referendum sull’appartenenza dell’Italia all’euro, date le ragioni per cui questo governo non è riuscito a formarsi. Nel frattempo, Mattarella ha deciso di dare l’incarico di Presidente del consiglio a Carlo Cottarelli, ex membro del FMI, per calmare i mercati. Cottarelli è un tecnocrate alla Mario Monti, mai eletto. Ma, a differenza di Monti, non avrà nemmeno una maggioranza parlamentare alle spalle.
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Una crisi politica dirompente
di Eros Barone
Le dimissioni di Conte, presidente incaricato proposto dalla coalizione M5S-Lega, e il conferimento dell’incarico per la formazione del nuovo governo a Cottarelli segnano, nel braccio di ferro tra uso politico della presidenza della repubblica e uso populistico delle elezioni, una nuova fase, concitata e drammatica, della crisi politica e istituzionale italiana determinata dai risultati elettorali del 4 marzo scorso. Tuttavia, anche se la vicenda offre una ricca materia agli specialisti del diritto costituzionale, sarebbe miope pensare che la questione riguardi soltanto la corretta interpretazione delle prerogative del presidente della repubblica e la corretta applicazione delle regole e delle procedure previste dalla Carta - questione in sé astrattamente scolastica e formale -, poiché essa riguarda, in realtà, un conflitto verticale di volontà politiche e di interessi economici tra blocchi sociali contrapposti. Schematizzando, si tratta dello scontro fra la grande borghesia europeista e la piccola borghesia anti-unionista: scontro furibondo come non mai e perciò aperto ai colpi più duri che si possano sferrare dall’una e dall’altra parte.
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“Un gioco borghese”
A proposito del Colpo di Stato bianco di Mattarella
di Elisabetta Teghil
No, no, non stiamo parlando del Bridge, ma del così detto “gioco democratico”, vale a dire la democrazia borghese.
E’ una specie di “teresina”, solo che la borghesia gioca a carte coperte e “bluffa”, le/gli oppresse/i le carte le devono avere scoperte, sennò il gioco non vale.
Il gioco democratico attualmente si basa sul suffragio universale
Il principio di suffragio universale è correlato alle idee di volontà generale e di rappresentanza politica promosse da Jean-Jacques Rousseau :in base a questi principi, si elabora l’assunto per il quale la rappresentanza politica trova legittimazione nella propria volontarietà.
I cittadini/e, nei moderni Stati democratici, sono alla base del sistema politico e col suffragio universale viene eletto l’organo legislativo di uno Stato; nelle repubbliche presidenziali, ciò avviene anche per l’elezione del Capo dello Stato.
Il principio del suffragio universale maschile è stato introdotto per la prima volta durante la rivoluzione francese da un “comitato di salute pubblica”
In Italia il primo suffragio universale maschile è del 1912 e noi donne abbiamo votato per la prima volta il 2 giugno del 1946, quando ebbe luogo il referendum per scegliere fra monarchia o repubblica.
Le elettrici e gli elettori quindi, dovrebbero votare i loro rappresentanti, mandare in Parlamento chiunque secondo loro possa fare i loro interessi.
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Tanto tuonò che piovve
di Militant
Nel tentativo di salvaguardare il rispetto dei vincoli europei da parte dell’Italia ieri sera Mattarella ha fatto un favore enorme tanto a Salvini quanto a Di Maio, traendoli d’impaccio e regalando loro un capitale politico che, se non sono stupidi (e, ahinoi, non lo sono), potranno agevolmente incassare di qui a qualche mese, quando il paese sarà nuovamente chiamato alle urne. E quando il frame entro cui si giocherà la partita elettorale sarà quello dello scontro verticale (ovviamente fittizio) tra popolo ed élite, tra sovranità democratica e diktat europei, con buona pace di quanti vorrebbero ricondurlo sull’asse orizzontale centrodestra vs centrosinistra. Scampati alla prova dei fatti ai due ora non resterà da far altro che cannibalizzare ciò che resta del blocco europeista già in via di sfaldamento. Sinceramente le ricostruzioni dietrologiche che in queste ore riempiono le pagine dei giornali ci appassionano poco, così come il fatto che Salvini sia riuscito ad imporre o meno ai cinque stelle la sua linea oltranzista, o il clamore suscitato dal curriculum di Conte, oppure dall’insistenza nel voler affidare ad un keynesiano di destra il ministero dell’economia. Quello su cui dovremmo interrogarci è invece perché un moderato di 82 anni sia improvvisamente assurto a feticcio dello scontro contro l’Europa dei Trattati nell’assoluta latitanza della sinistra di classe. Infatti, se c’è una cosa che emerge con estrema chiarezza da tutta questa vicenda, è che la vera natura dell’Unione Europea si sta finalmente imponendo come questione centrale nel dibattito pubblico senza che vi sia una forza di classe che abbia la stazza o l’autorevolezza per far sentire autonomamente la propria voce in merito, per indicare un proprio punto di vista.
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Ben svegliati! E grazie a Mattarella
di Giovanni Dall'Orto
Gli italiani questa mattina si svegliano e “scoprono” che qualcuno attenta alla Costituzione. Fanno male, perché l’attentato dura da vent’anni, non da stamattina (ben svegliati, tesori!), ed ha visto perfino un tentativo sistematico di azzerarla da parte del PD, per fortuna bocciato da un referendum popolare.
Stamattina leggo di continuo deliranti richieste di “impeachment” di Mattarella, che mostrano come ormai la gente creda di vivere ad Hollywood, visto che una legge per farlo in Italia, semplicemente, non esiste (la messa in stato d’accusa per alto tradimento è altra cosa, e solo un idiota può sostenere che si applichi al caso presente).
Nel 2006 Silvio Berlusconi, per salvare i suoi compagni di merende presenti o futuri, in una delle sue tante leggi “ad personam” (che mica per caso i presidenti della Repubblica hanno firmato tutte senza mai fiatare!) modificò il codice penale, stabilendo che l’attentato alla costituzione fosse punibile solo a patto che avvenga “CON ATTI VIOLENTI”.
Mattarella non ha compiuto nessunissimo atto violento, QUINDI non è imputabile. Punto. Quando si invoca la Legge, il nostro primo dovere è conoscerla! Invocare l’applicazione di leggi che non esistono, è eversione della Legge, non sua difesa!
Aggiungiamo, a questo, un secondo falso mediatico: il Presidente della Repubblica non ha affatto nessun presunto “obbligo” (di cui invece leggo di continuo) di nominare un ministro. E’ prassi formale che egli non rifiuti mai, se non per motivi gravissimi (ma esistono precedenti su questo, uno dei quali riguarda Previti).
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Mattarella, articoli della Costituzione e bufale mediatiche
di Italo Nobile
Sul web, in queste ore, è tutto un discettare sulla costituzionalità del comportamento di Mattarella. Cerchiamo di chiarire almeno parzialmente la questione. Gli articoli coinvolti sono l’articolo 92 e l’articolo 47
L’articolo 47 recita così
“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”.
Possiamo dire che Mattarella a questo proposito abbia tutelato il risparmio? No, perché per farlo in questa forma Mattarella dovrebbe avere capacità previsionali che non ha e non può avere. Inoltre, se volesse garantire il risparmio da tutti i possibili rischi, la controfirma ministeriale a tutte le finanziarie sarebbe stato un processo oltre modo lungo e difficile, ma così non è stato. Perciò possiamo inferire che l’intenzione del Presidente della Repubblica, in questo senso, non sia del tutto trasparente.
L’articolo 92 recita così:
“Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”.
Che senso hanno in questo contesto i termini “nomina” e “proposta”? Costantino Mortati, in quanto relatore all’epoca diceva:
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Chi tocca (anche per finta) l’Europa muore
La lezione di Mattarella
di coniarerivolta
Nel suo romanzo Saggio sulla lucidità, Saramago racconta la storia di una città nella quale si svolgono le elezioni politiche. Il risultato è sorprendente: ben il 73% dei votanti ha imbucato una scheda bianca. Le elezioni si ripetono: le schede bianche aumentano ancora. In un crescendo di repressione e intimidazione, le istituzioni provano a convincere gli elettori della città a scendere a più miti consigli. Un romanzo, dicevamo; frutto della fantasia dello scrittore portoghese. Eppure, quel che sta avvenendo in queste ore in Italia non è molto diverso.
Sia chiaro: in tempi normali, dovremmo essere tutti contenti di aver evitato un governo di razzisti e finti anti-europeisti. Eppure quel che è accaduto nel tardo pomeriggio al Quirinale è profondamente inquietante. Allo stesso tempo, i fatti che si sono svolti oggi aiutano a mettere in evidenza la natura fortemente antidemocratica e antipopolare che si nasconde dietro la retorica dell’integrazione europea.
Un breve riassunto della serata di ieri: Giuseppe Conte, indicato da Lega e Movimento 5 Stelle come Presidente del Consiglio, è salito al Quirinale per conferire col Presidente della Repubblica, per comunicargli l’esito delle consultazioni e per presentargli la lista dei ministri. Già da diversi giorni si rincorrevano voci riguardanti la casella fondamentale di tale lista, quella legata al Ministro dell’Economia. Il Movimento 5 Stelle e la Lega avevano indicato Paolo Savona, già Ministro dell’industria durante il Governo Ciampi (1993-94).
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“Qui comandano i mercati e il popolo non conta nulla!”
di Dante Barontini
Ora tutto è chiaro, davanti agli occhi, senza veli ideologici che possano mascherare la realtà.
Il metodo della democrazia parlamentare, vanto e giustificazione dell’aggressività occidentale contro il resto del mondo, non è più funzionale alle esigenze del grande capitale multinazionale. E quindi va “superata”.
La decisione di Sergio Mattarella – impedire l’insediamento di un governo non pienamente controllato dalla Troika e assegnare l’incarico a Carlo “mani di forbice” Cottarelli, uomo del Fondo Monetario Internazionale, troppo estremo perfino per Matteo Renzi. come commissario alla spending review – segna uno spartiacque irreversibile con la tradizione repubblicana, italiana ed europea.
La Costituzione italiana nata dalla Resistenza viene ridotta al solo comma dell’art. 81 (“Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”), introdotto a forza su pressione dell’Unione Europea e votato senza discussione da tutti i partiti esistenti all’epoca del governo già para-golpista di Mario Monti. Il resto non conta più nulla; non è esigibile se sballa il pareggio di bilancio.
Lo ha spiegato lo stesso Mattarella con insolita chiarezza: “La designazione del ministro dell’economia costituisce sempre un messaggio immediato per gli operatori economici e finanziari, ho chiesto per quel ministero l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, che […] non sia visto come sostenitore di linee che potrebbe provocare la fuoriuscita dell’italia dall’euro”.
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Eurodisastro
di Carlo Clericetti
Quello che è accaduto con il rifiuto del presidente Sergio Mattarella di accettare la designazione di Paolo Savona come ministro dell’economia, e la conseguente rinuncia di Giuseppe Conte a formare il governo, apre una crisi dagli sviluppi imprevedibili, che forse il presidente della Repubblica non ha valutato appieno e da cui non può venire nulla di buono per il paese e per i suoi cittadini.
Una premessa, che serve ad attirarmi le critiche sia da una parte che dall’altra, cosa in cui posso vantare una certa abilità. Consideravo il governo gialloverde una jattura, visti i suoi propositi. Un “governo del cambiamento” che avrebbe esordito con un condono fiscale (oltretutto, entrata una tantum per finanziare una riduzione di entrate permanente) offriva già un biglietto da visita particolarmente contraddittorio e indigesto. Ma poi, una riforma fiscale che avrebbe avvantaggiato i più benestanti e ancor di più i più ricchi; una riforma della Fornero su misura per gli elettori leghisti del nord, visto che al sud “quota 100” la raggiunge al massimo un piccolo numero di dipendenti pubblici; le posizioni sui migranti; una impostazione di politica economica di sapore liberista nonostante alcune misure in controtendenza. Questo e altro lo rendevano molto lontano da chi abbia un orientamento di sinistra.
E però, dopo le elezioni 5S e Lega avevano trovato un accordo per formare un governo e disponevano della maggioranza parlamentare per appoggiarlo. In democrazia questo basta, a meno di esplicita volontà di tale maggioranza di voler mettere in questione la Costituzione, nel qual caso il capo dello Stato, che ne è il garante, avrebbe il diritto-dovere di rifiutare l’incarico. Ma non è questo il caso, e infatti nel suo discorso Mattarella non ha detto nulla del genere.
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Post-democrazia e crisi italiana
Mattarella e il “governo del cambiamento”
di Alessandro Visalli
Il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha oggi chiuso una lunga crisi istituzionale con una decisione drastica che fa fare alla crisi politica italiana un salto di qualità di enormi proporzioni.
È davvero difficile immaginare come la crisi istituzionale evolverà: probabilmente avremo un presidente del consiglio incaricato del tutto privo di legittimazione elettorale, direttamente designato dal Presidente della Repubblica con la quasi certezza che non potrà avere i necessari voti di fiducia; quindi questi, dopo rituali consultazioni e il probabile appoggio del PD e FI (magari di LeU), formerà la sua lista dei ministri e probabilmente giurerà. A questo punto un governo senza appoggio politico adeguato in Parlamento (un “governo di minoranza”, si dice, ma senza l’astensione delle altre forze) andrà a chiedere la fiducia e non la otterrà. Il Presidente potrebbe o dovrebbe nominare un altro presidente per verificare se c’è un’altra maggioranza, ma lui sa già che non c’è. Dunque lo farà entrare in esercizio e si riserverà di sciogliere le camere, io credo.
Di qui il terreno si farà ancora più scivoloso, perché un governo senza alcuna legittimazione elettorale, di minoranza, ma contro una maggioranza politica alla quale è stato impedito di esprimere un suo governo, si troverà a prendere decisioni di grandissimo momento in Europa e in Italia. Proverà, magari, ad arrivare alla legge finanziaria di fine anno, quindi non sciogliendo un Parlamento ostile che gli boccerà aspramente tutte le leggi che passano. Questo governo si esprimerà solo attraverso decretazioni di urgenza.
Ma la crisi politica è più grave della crisi istituzionale.
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Quello di Mattarella è un attentato alla democrazia in nome della Troika
di Giorgio Cremaschi
Ubbidendo alla Troika ( UE, BCE, FMI) e ai suoi referenti italiani il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ufficialmente fatto entrare l'Italia nei paesi senza una vera democrazia. Rifiutando di dare l'incarico a Savona per le sue, per altro moderatissime, critiche verso l'euro, Mattarella ha reso chiaro che il popolo italiano, come quello greco e come tanti altri popoli europei, non è libero.
La dittatura finanziaria bancaria della UE, che Draghi ha definito il pilota automatico, è intervenuta. Il governo e il potere tedesco, anche con la loro stampa razzista, si sono mossi contro l'Italia e Mattarella ha pronunciato le parole che suonano come de profumdis per la nostra Costituzione democratica, sociale, antifascista. Nel nome del risparmio degli italiani ha fatto saltare un governo che avrebbe riscosso la fiducia della maggioranza del Parlamento. Parlando da presidente aggiunto della Banca Centrale Europea Mattarella ha messo sotto scacco il parlamento, trasportando la democrazia italiana in sabbie mobili mai raggiunte nella sua storia.
Neppure Napolitano era arrivato a tanto, avendo sempre ottenuto con le sue pressioni il consenso delle Camere. Ora il timido Mattarella ci porta dentro un golpe bianco.
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I poteri del Presidente
di Paolo Flores d’Arcais
L’articolo 92 della Costituzione garantisce al Presidente della Repubblica la possibilità di rifiutare la nomina di un ministro proposto dal Presidente del Consiglio incaricato. Ma il margine di discrezionalità di cui può avvalersi il Presidente della Repubblica è stabilito con precisione dagli articoli 54 e 95.
Quest’ultimo stabilisce che chiunque sia nominato ad una carica pubblica deve adempiere il suo mandato con disciplina ed onore. Il Presidente della Repubblica può perciò obiettare alla nomina di un ministro che gli sia stata proposta dal Presidente incaricato se rileva nei comportamenti passati del candidato qualcosa che confligge con l’onorabilità. Nessun rilievo del genere è stato avanzato dal Presidente della Repubblica nei confronti del professor Savona.
Quanto alla disciplina il titolare della unità dell’indirizzo politico del Governo è solo il Presidente del Consiglio come inderogabilmente stabilito dall’articolo 54. Esula perciò dai poteri del Presidente della Repubblica sindacare sulle opinioni politiche dei candidati ai singoli ministeri. Nel caso del professor Savona il presidente Mattarella ha invece fatto esplicito riferimento alle opinioni di Savona riguardanti la possibilità di fuoriuscita dall’euro.
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L’ora più buia
di Redazione
Mattarella, in un discorso storico, ha chiarito la gerarchia delle fonti di potere sovrano che vanno rispettate nella scelta del governo: l’euro, le agenzie di rating e la finanza globale. Il resto, dalla sovranità popolare e ai partiti, è subordinato. Mai un presidente aveva parlato così chiaro sulla gerarchia della sovranità della moneta continentale rispetto alle stesse scelte emerse dal voto prima e dal dibattito tra le forze politiche poi. Una situazione grave ed esplosiva dove i poteri forti, cioè quelli reali, hanno gettato la maschera e hanno ridisegnato i fondamenti stessi della democrazia.
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Vogliamo essere chiari fin da subito. La nostra simpatia politica non si sposta di un millimetro a favore nè del presidente della repubblica nè della coalizione gialloverde che ha provato a formare il governo. Tantomeno ci schieriamo con fantasiosi interpreti della Costituzione, che si spingerebbero anche a dare poteri quasi dittatoriali a Mattarella, oppure con quei teorici del voto che darebbero mano libera a chiunque ottiene una maggioranza.
La Costituzione italiana, il cui valore è stato confermato nel referendum del 2016, è una costituzione rigida. In omaggio alle grandi crisi degli anni ‘30, tra cui Weimar, non tutto è costituzionalmente ammesso come ad esempio, notoriamente, la ricostituzione del partito fascista. E neanche sono ammessi comportamenti di partiti, anche legittimati dal voto, che cerchino di forzare le prerogative del custode della Costituzione.
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Battere il nemico principale
di Programma 101
Con il rifiuto opposto alla nascita del governo giallo-verde da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la grave crisi sociale e politica diventa una devastante crisi istituzionale. Per la prima volta nella storia della repubblica, egli ha impedito che il Parlamento eleggesse il suo governo.
Non c’è dubbio che con il suo veto, egli ha brutalmente travalicato le prerogative che gli assegna la Costituzione, per questo riteniamo che il Parlamento possa e debba avviare la procedura per la sua rimozione.
Con il discorso pronunciato questa sera Mattarella ha gettato la maschera. Anche in questo caso violando la sua funzione istituzionale super partes, ha svolto un discorso tutto politico, dimostrando che egli non è il difensore della Costituzione e della sovranità popolare e democratica; si è posto in modo sfrontato, in stile presidenzialista, come garante delle oligarchie eurotedesche, della grande finanza predatoria e della dittatura dello spread.
Siccome, a meno di un vero e proprio golpe, nuove elezioni sono inevitabili, Mattarella non ha esitato a porsi come il capo politico del fronte eurocratico, indicando quale sarà la strategia dell’élite: guerra totale alle forze della sovranità popolare, terrorismo psicologico contro cittadini, richiesta ai “mercati” di strangolare l’Italia, senza escludere la catastrofe del Paese. Funzionale a questo disegno disfattista è l’incarico che Mattarella vuole dare a Cottarelli, cane da guardia dell’oligarchia, di formare il governo da qui alle elezioni. Altro che “governo di garanzia democratica”! Sarebbe un atto gravissimo e inaccettabile.
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Governo, Di Maio: “Occorre impeachment Mattarella per evitare reazioni della popolazione. Poi si torna al voto”
di F. Q.
Con una telefonata a Fabio Fazio il leader del M5s conferma che i vertici del M5s stavano ragionando della messa in stato d'accusa del presidente della Repubblica: "Prima attiviamo l’articolo 90 e poi si va alle urne, perché bisogna parlamentarizzare questa crisi". Parla di messa in stato d'accusa del capo dello Stato anche Giorgia Meloni, mentre Matteo Salvini attacca il Colle: "Non siamo un Paese libero". A difendere il presidente solo il Pd e - forse per la prima volta in vita sua - Berlusconi
Quella più evocativa era l’unica senza virgolettato. Ma ci ha pensato Luigi Di Maio a parlare apertamente di impeachment per Sergio Mattarella. Il capo politico del Movimento 5 stelle è intervenuto telefonicamente a Che tempo che fa per essere intervistato da Fabio Fazio e dire: “Se andiamo al voto e vinciamo poi torniamo al Quirinale e ci dicono che non possiamo andare al governo. Per questo dico che bisogna mettere in Stato di accusa il Presidente. Bisogna parlamentarizzare tutto anche per evitare reazioni della popolazione“. Quindi è vero che i vertici del Movimento stavano ragionando in queste ore sull’ipotesi di impeachment a Sergio Mattarella. “Prima attiviamo l’articolo 90 e poi si va al voto, perché bisogna parlamentarizzare questa crisi”, ha spiegato su Rai Uno quello che è il leader della prima forza politica del Paese. Una richiesta che non ha precedenti. Come non ha probabilmente precendenti questa crisi politica.
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Colpo di mano del Quirinale. Niente governo M5S/Lega
di Redazione Contropiano
Con un colpo di mano che si andava profilando già da ieri, il Quirinale ha ufficialmente bloccato la nascita del nuovo governo M5S/Lega perchè il posizionamento eurocritico del ministro dell’economia proposto, Paolo Savona, è incompatibile con i diktat della Commissione europea e i desiderata dei mercati finanziari. Lo stesso Presidente Mattarella che ha stoppato il nuovo esecutivo, ha già dato mandato ad unnoto “tagliatore di teste” del Fmi come Cottarelli (lo strapagato plenipotenziario per la spending review). Cottarelli è un personaggio sicuramente gradito ai banchieri, agli oligarchi di Bruxelles e, paradossalmente anche al M5S di cui oggi cammina sulle ceneri. Al di là dei soggetti destinatari di questo colpo di mano da parte del Quirinale per conto delle istituzioni europee, soprattutto della Germania, quanto è accaduto è di una assoluta gravità. guai a sottovalutarlo. La gabbia europea si è chiusa di nuovo, ma dentro questa volta c’è un paese ed una popolazione, i nostri, in cui ormai solo il 39% aveva fiducia nella Ue. Dopo i fatti di oggi è un consenso destinato a diminuire vertiginosamente – e legittimamente. Vogliamo regalare tutto questo al M5S e alla Lega o nella sinistra popolare si comincia a battere qualche colpo?
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