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sollevazione2

Critica del Fusaro politico

di Moreno Pasquinelli

fusaro versus marxRicordando il duecentesimo anniversario della nascita di Karl Marx, ci eravamo ripromessi di tornare "sull'attualità e le antinomie del suo pensiero". E' in questa prospettiva che vogliamo occuparci dell'amico Diego Fusaro, visto che egli accetta di farsi accreditare come "filosofo marxista".

L'occasione ci è offerta dalla ristampa, per i tipi della Bompiani, di Bentornato Marx!, un libro del 2009.

Rileggere il libro a distanza di dieci anni conferma, a meno che non si voglia ridurre il marxismo ad un generico "anticapitalismo" — di anticapitalismi, infatti, ce ne sono molti —, che del lascito di Marx, in Fusaro, c'è oramai solo una sbiadita ombra. Di più. Denudato dalla erudizione filosofica, quello del Fusaro ci si presenta come un anticapitalismo molto distante — in decisivi luoghi addirittura in stridente contrasto — da quello del Moro. Il suo anticapitalismo pare solo una postura letteraria, un vezzo radical chic, un épouvanter lei bourgeois.

Scelta, tra le diverse possibili, la chiave ermeneutica ed epistemologica post-strutturalista e decostruzionista di certi filosofi francesi (che il compianto Preve etichettava come "pallocrati"), il giudizio di Fusaro è presto detto: Marx cattivo economista, fu anzitutto un filosofo, ma la sua filosofia, date le sue numerose aporie e antinomie, farebbe acqua da tutte le parti. Questo il succo delle sue quattrocento pagine. Vi chiederete a questo punto che senso abbia definirsi "marxista", per quanto "indipendente". Appunto.

Il Nostro converrà infatti che al netto della sua complessità teorica, alla base della grande fatica di Marx, c'è una cosa e una sola: l'analisi del sistema capitalistico, quindi le ragioni del suo carattere antagonistico, le cause delle sue contraddizioni intrinseche e della sua destinazione, il suo inesorabile "crollo" — ove per "crollo" non è da intendersi una caduta improvvisa, né un'automatica dissoluzione, bensì un processo storico il cui esito sarà deciso sul campo di battaglia: o il socialismo o l'autodistruzione delle classi in lotta. Fusaro potrà pure considerare, in compagnia con la sterminata armata dei suoi detrattori, che Marx sia stato un "cattivo economista", ma non c'è dubbio che il Moro, ove egli abbia pensato di restare alla storia, ha immaginato che questo posto sarebbe dipeso dalla sua critica dell'economia politica, ovvero dall'aver svelato le leggi del modo capitalistico di produzione. Non per niente egli ha considerato Il capitale la sua opera magna.

E che ci dice il Fusaro? Raccogliendo alla rinfusa le numerose confutazioni dei teorici marginalisti, neoclassici e sraffiani, scrive, nero su bianco che: (1) la teoria marxiana del valore è sbagliata, (2) che lo sfruttamento è una mera categoria morale, (3) che sballata è la teoria sul saggio medio di profitto, (4) che è destituita di ogni fondamento scientifico la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, (5) dunque errate le cause delle crisi indicate da Marx.

E' quindi come minimo pittoresco che Fusaro, condivise le tesi dei demolitori della teoria marxiana del capitalismo e "provata" l'inconsistenza scientifica del suo impianto categoriale, scriva che "tuttavia non va buttato il bambino con l'acqua sporca". Non si capisce in cosa consista questo "bambino" se non appunto, una critica etico-morale del capitalismo buona per tutte le stagioni. Una "pappa del cuore" che più lontana da Marx non si potrebbe.

Non avendo lo spazio per trattare adeguatamente la teoria marxiana del valore (ce ne siamo occupati ampiamente anche su questo blog), vediamo di capire quale sia l'impianto categoriale che egli mette al posto di quello di Marx, qual è dunque il "bambino" che il Fusaro ha partorito? Ce lo spiega nella densa prefazione a questa seconda edizione del suo Bentornato Marx! A questo "bambino" il Nostro da addirittura un nome: "capitalismo assoluto". Un concetto che ci apprestiamo ad analizzare.

Intanto va detto che egli lo prende in prestito — come vedremo snaturandolo assai —, dal compianto Massimo Bontempelli e dall'amico Marino Badiale. Essi lo utilizzarono per la prima volta nel 2009 nel libro LA SINISTRA RIVELATA. Il Buon Elettore di Sinistra nell’epoca del capitalismo assoluto (Massari Editore).

Cosa essi intendessero lo spiegano a chiare lettere:

«“Capitalismo assoluto” è un’espressione che abbiamo introdotto per indicare la fase recente del capitalismo, nella quale il modello aziendalistico diviene l’unico modello accettabile di organizzazione della realtà sociale, ogni aspetto della vita sociale viene pensato in termini aziendali (investimenti, profitti), e il paese stesso non è più una nazione ma un’azienda, l’ “azienda-Italia”. Utilizzando i concetti della tradizione marxista, possiamo dire che in questa fase storica il “modo di produzione” capitalistico tende a coincidere con la “formazione sociale” (con la concreta società in cui viviamo), e il capitalismo diviene “assoluto” perché non si limita più a indirizzare la dinamica sociale ma permea ogni aspetto della realtà».

Nello spirito e nella lettera Bontempelli e Badiale non solo non pretendevano revocare in dubbio l'impianto categoriale marxista, essi ritenevano anzi che la loro definizione fosse un inveramento dell'analisi e della profezia marxiana. [1]

Non è così per Fusaro. Per il Nostro non si tratta dell'ultima fase del capitalismo (che conserva, esasperandoli, i tratti essenziali del capitalismo); per il Nostro saremmo in presenza di una formazione sociale la quale, ragionando in termini marxiani, funzionerebbe con leggi di movimento sue proprie e diverse. Ce lo spiega, appunto, nella prefazione, dalla quale estraiamo alcune chicche.

«Si è costituita una nuova forma di capitalismo feudalizzato, in cui la ricchezza è svincolata dal lavoro e la polarizzazione tra il vertice e la base si fa ogni giorno più accentuata». [sottollineatura nostra]

Che sciocchezza l'idea della "Ricchezza svincolata dal lavoro", ovvero non creata dal lavoro! Ma proprio questo è l'esito obbligato della critica marginalista-borghese alla teoria marxiana del valore. Cosa ci direbbe invece Marx? Che oggi come ieri, oltre alla natura, solo il lavoro è fonte della ricchezza sociale, ricchezza che il capitale, grazie al possesso dei mezzi per produrre, si appropria, ma non genera motu proprio.

La conseguenza di questa sciocchezza è una seconda sciocchezza: il Fusaro sembra credere che nel circuito della speculazione finanziaria e borsistica venga creata ricchezza, quando si tratta invece di predazione di valore già esistente — prodotto nel ciclo di produzione delle merci, materiali o immateriali che siano — da parte di capitalisti a danno di altri. Il Nostro fraintende dunque, in modo clamoroso, lo schema con cui Marx descriveva il ciclo della speculazione finanziaria: D-D1: se una banca presta centomila euro e ottiene un interesse, poniamo del 3%, con ciò la ricchezza sociale non aumenta di un grammo, come non aumenta di una lira ove in borsa avvenga che un Soros, avendo scommesso su questo o quel titolo, sull'andamento di questa o quella valuta, guadagni, poniamo, 100milioni. Si tratta di quattrini predati ad altri estorsori di valore come lui.

Poco più avanti Fusaro afferma:

«Non più il lavoro, ma la rendita torna ad essere il fulcro del modo della produzione. Il mondo borghese e proletario, incardinato sul valore del lavoro — qui Marx avrebbe precisato: "della forza-lavoro, non del lavoro NdA — e su un mondo della vita non ancora integralmente mercificato, è superato dal nuovo assetto post-borghese e post-proletario del capitalismo flessibile-finanziario, poggiante sui due pilastri dell'usura e della bancocrazia. Se la borghesia e il proletariato vivevano del lavoro, sia pure diversamente praticato e concepito, la nuova oligarchia finanziaria dei capitani cosmopoliti della new economy è affrancata dall'attività lavorativa e dal suo concreto quadro concettuale. (...) Il capitalismo aristocratico-finanziario annichilisce il capitalismo borghese-industriale e le sue due classi di riferimento». [sottollineature e corsivi miei]

Il guazzabuglio s'ingarbuglia. Per giustificare la sua idea che saremmo oggi alle prese con una società "post-borghese e post-proletaria", il Nostro scrive che "Il mondo borghese e proletario, incardinato sul valore del lavoro... è superato". Risulta alquanto bizzarro che, negata ogni base scientifica alla teoria marxiana del valore, egli la riabiliti scaltramente, facendone addirittura il paradigma teorico per individuare la cifra della distinzione tra una formazione sociale e un'altra. Sarebbe giusto se fosse vero, ma è sbagliato. Al netto della prosopopea del Nostro, la finanziarizzazione globalizzata non ci ha portato affatto in una "società post borghese e post-proletaria", ci ha fatto semmai ritornare, seppellito il "trentennio dorato", al capitalismo di vecchio stampo, a prima del '29, ad una società non solo più polarizzata ma ancor più proletarizzata.

E' vero che all'interno della classe capitalistica la frazione dominante è divenuta quella finanziario-predatoria, ma che la finanza sia il "fulcro" del sistema economico e non sia più il lavoro salariato — ovvero che non sia più esso a valorizzare il capitale — è una corbelleria.

L'amico Fusaro dovrebbe peritarsi, fosse davvero un marxista, a compiere un'indagine scientifica e meno fantasmatica della realtà. Con il ciclo neoliberista, se considerato su scala globale, come in effetti dev'essere fatto, il lavoro salariato non è meno ma più determinante di quanto non fosse decenni addietro. [2]

classi mondiali

E' quindi sballata l'idea che "Il capitalismo aristocratico-finanziario abbia annichilito il capitalismo borghese-industriale e le sue due classi di riferimento", di conseguenza inesatto sostenere che i "due pilastri" del sistema siano "l'usura e la bancocrazia". Tesi questa evocativa, questa del mondo governato dagli usurai, le cui origini sono lontane e che ha un vago sapore fascistoide. Tesi che ai fascisti infatti piace assai poiché funziona come alibi per assolvere il "buon vecchio capitalismo" — che obbligava al lavoro coatto i proletari (compresi bambini, malati e donne incinte) ricompensandoli con un salario di fame che era "come il foraggio per le vacche" —, e la loro utopia corporativa.

Da questa analisi sbagliata il Fusaro non poteva che ricavare un assunto teorico sbagliato, a ben vedere copia su carta carbone dalle negriane "moltitudini": al posto delle tradizionali classi sociali avremmo una nuova mega-classe. Sentiamo:

«La vecchia borghesia imprenditoriale del ceto medio dirigente e il vecchio proletariato dei lavoratori di fabbrica vanno, così, a costituire una nuova classe in fieri, che non è più borghese e non è più proletaria: e che, insieme, è oggetto di sfruttamento da parte del polo dominante svincolato dal lavoro e attivo unicamente nella sfera finanziaria della rendita e della bancocrazia. Anch'esso non è più connotato come borghese, né, a fortiori, come proletario. (...) La nuova global class finanziaria e neo-feudale sfrutta oltre ogni limite la pauper class, la plebe postmoderna composta dalla vecchia borghesia e dal vecchio proletariato».

Avremo il difetto di utilizzare "l'impianto categoriale marxista", ma se fosse come la mette Fusaro, è evidente che non saremmo più in presenza del capitalismo (quale che sia il predicato che gli si voglia affibbiare), ma di una diversa formazione sociale, di un sistema sociale (il "capitalismo assoluto") per quanto abietto, del tutto nuovo. E' proprio questo quel che il Nostro infatti sostiene. Non volendo egli utilizzare l'apparato concettuale marxiano quando prova a connotare questo "capitalismo assoluto", o si arrangia con concetti astrattissimi rubati a Marcuse ("mercificazione totale"), o coi salti mortali ontologici. Una autentica chicca psuedo-hegeliana è quando afferma:

«Il modo della produzione è "superato" nella sfera del modo della produzione (...) E' "superato" dialetticamente (sia pure non nel comunismo) perché ne vengono mantenuti i fondamenti, ne vengono superate le contraddizioni (la polarità borghese e proletaria) e ne viene realizzata compiutamente in forma absoluta l'essenza».

Pensavamo che una contraddizione è dialettica dal momento che c'è opposizione tra un ente ed il suo opposto. Ora, ammesso che Marx abbia sbagliato a vedere nella borghesia e nel proletariato due irriducibili poli opposti sociali — per cui il superamento di questa antitesi era per lui la scomparsa di entrambi e l'avvento di un terzo (comunismo) — risulta alquanto bislacco affermare: (1) che il polo opposto del vecchio capitalismo sia quello finanziario e (2) che la supremazia di quest'ultimo non realizzi un'essenza totalmente altra ma anzi attui, addirittura in "forma absoluta", l'essenza del polo soppresso. Un pasticcio assoluto, una absentia absoluta di rigore logico.

Ma riscendiamo dal cielo della filosofia a quello della politica.

Neghiamo noi forse che la iper-finanziarizazione sia una "mutazione qualitativa" del capitalismo? Certo che no. Abbiamo anzi criticato a più riprese chi si ostina a non riconoscere i cambiamenti intervenuti col lungo ciclo della nuova globalizzazione neoliberista. [3]

Abbiamo anzi spiegato la iper-finanziarizazione o capitalismo casinò, anche ricordando alcune intuizioni di Marx, che proprio a causa delle crisi ricorrenti [4] il capitale tenta una via surrogata di valorizzazione. Tuttavia una mutazione, per quanto qualitativa, non è sufficiente per stabilire il passaggio da un sistema ad un altro, tanto più senza sconquassi storici. Anche la fase keynesiana del "trentennio dorato", segnata dalla centralità degli Stati come protagonisti del ciclo economico, era una mutazione qualitativa rispetto al liberismo selvaggio che regnava prima della crisi del '29, ma non segnava un salto sistemico, per di più si è rivelata una parentesi. Destino che toccherà anche e comunque e tra spasmi dolorosi alla figura della iper-finanziarizazione.

Per di più noi ne abbiamo sempre parlato come caratteristica specifica dell'Occidente imperialistico (e delle sue enclavi) e segno della sua decadenza, a fronte dell'impetuoso sviluppo capitalistico in altre aree del pianeta, Cina anzitutto. Aree dove infatti è avvenuto un ciclo di industrializzazione e proletarizzazione, a ben vedere, senza precedenti. Aree in cui si è effettivamente spostato il baricentro della produzione capitalistica. E comunque la de-industrializzazione è stata sì la tendenza generale dell'Occidente, ma a patto di vederne le contro-tendenze (Germania su tutte) e le modalità contraddittorie (delocalizzazioni industriali in aree con più bassi costi di produzione e salariali).

Fusaro, portando alle estreme conseguenze la sua analisi, ritiene che avremmo oggi una cosiddetta "pauper class" composta dal "vecchio proletariato" e dalla "vecchia borghesia imprenditoriale", che sarebbe sfruttata anch'essa dagli usurai. En passant notiamo un'ulteriore aporia: abbiamo visto che Fusaro contesta la categoria marxiana di "sfruttamento" come "mera categoria morale"; ma è proprio questo che egli fa scambiando lo sfruttamento di classe, l'estorsione di plusvalore, con i furti dei mariuoli.

Come spiegare l'astrusità della "pauper class"? Se il Nostro, invece di saltellare da un'ovattato studio televisivo all'altro, scendesse nel mondo reale, capirebbe l'errore. Esistono e come! una classe borghese che possiede i mezzi di produzione ed una classe proletaria nullatenente che possiede solo la propria forza lavoro. Che la prima sia ben consapevole dei suoi interessi di classe mentre la seconda non sappia più cosa sia e sia anzi intrisa della merda ideologica dominante, non inficia che sono classi ai poli opposti della società.

Ciò detto sappiamo che la contraddizione principale non è oggigiorno quella tra questa due classi, che in questa fase essa sia un'altra. Che nelle condizioni in cui il nostro Paese si trova occorra una strategia di unità patriottica per uscire dalla gabbia dell'euro e sganciarsi dalla globalizzazione, siamo stati e siamo i primi a sostenerlo. [5] Una strategia politica che tuttavia solo prima vista può essere confusa con quella del Fusaro. Una strategia ha senso se essa ha un fine, e noi non abbiamo mai nascosto che questo fine è il socialismo. [6] Quale sia il fine del Nostro difficile dire. E se ci risulta difficile capirlo la ragione è forse che nemmeno lui lo sa.

I maligni dicono che egli non voglia dirlo, che ce lo nasconde. I maligni dicono che l'aver lui accettato di collaborare con Casa Pound, svelando chi siano i suoi sodali, indica anche che la sua visione della società non sia altro che il corporativismo (fascistoide). Speriamo si sbaglino. Speriamo che Fusaro, invece di avventurarsi sul terreno della lotta politica, invece che mettersi in mostra nei salotti televisivi della global class, si limiti a fare ciò che lui dice di saper fare meglio, filosofeggiare e studiare, fermo restando che per noi vale l'XI. delle marxiane Tesi su Feuerbach: "I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo".


NOTE
[1] Affermavano infatti Bontempelli e Badiale: «La crisi economica attuale è una crisi seria. Ci permettiamo di formulare una previsione: le voci ottimistiche che si sentono in questi giorni, sul fatto che il peggio è ormai passato, saranno secondo noi smentite entro l’anno. La crisi è seria perché discende dalle caratteristiche di fondo dell’attuale fase capitalistica: l’abbassamento del livello di vita delle classi subalterne ha creato in tutto il mondo occidentale un deficit di domanda solvibile, al quale si è tentato di rimediare con il credito facile, che a sua volta ha generato la bolla speculativa poi esplosa con le conseguenze note. Non siamo certo in grado di affermare che questa sia la fine del capitalismo, ma è molto probabile che la crisi segni l’inizio della fine per quella forma particolare di organizzazione che il capitalismo si è dato negli ultimi trent’anni (“globalizzazione”, “neoliberismo”). Cosa verrà dopo di questo non possiamo saperlo. Data la totale mancanza di forze politiche in grado di indirizzare la crisi verso forme di organizzazione sociale capaci di maggiore giustizia, è assai probabile che ciò che emergerà dalla crisi sarà un capitalismo più feroce e inumano di quello attuale, un capitalismo “alla cinese”, per intenderci. In ogni caso ci sembra che la crisi economica stia accentuando alcuni processi di crisi della civiltà occidentale che erano già in corso».
[2] «L'ultimo trentennio di globalizzazione capitalista ha invalidato o convalidato l'analisi di Marx? I dati empirici dimostrano che aveva visto giusto. La tabella mostra che i lavoratori salariati sono più di due miliardi. Ma sono numeri per difetto, poiché la tabella non prende in considerazione centinaia di milioni di salariati, spesso minori, che vengono sfruttati ma non sono registrati come forza-lavoro. Qui da noi si direbbe che "lavorano a nero". Si tenga poi conto che centinaia di milioni di addetti all'agricoltura sono anch'essi dei salariati. Lo stesso numero dei proletari senza lavoro è evidentemente calcolato per difetto. Anche ove fosse giusto, gli stessi dati del Fondo Monetario indicano che la crisi scoppiata nel 2008 ha fatto aumentare la disoccupazione mondiale — nel 2005 le statistiche parlavano di 192 milioni di disoccupati. Sottolineiamo che Marx includeva i disoccupati, ovvero lo "esercito industriale di riserva", nella classe proletaria e non, come a torto si ritiene, nel "sottoproletariato". Mai come adesso la classe proletaria è stata così numerosa». In: LA GLOBALIZZAZIONE SMENTISCE LE "PROFEZIE" DI MARX? di Moreno Pasquinelli
[3] «Il processo di finanziarizzazione consiste essenzialmente nel fatto che il capitale, giunto al suo massimo punto di espansione nel periodo keynesiano, con l’ausilio determinante del potere politico imperiale nordamericano da Nixon in poi, per diverse cause (tra cui l’avanzata delle lotte operaie e dei popoli oppressi, la concorrenza forsennata tra monopoli, il declino dei tassi di plusvalore) è stato spinto ad orientarsi verso la speculazione (denaro che riconsegna più denaro) senza passare per un ciclo produttivo di plusvalore che implica investimenti produttivi, accumulazione di capitale e quindi sviluppo delle forze produttive materiali. In termini marxiani, inceppatasi la “riproduzione allargata”, il capitale, che per sua natura cerca anzitutto profitto, ha finito per scegliere le modalità speculativo-finanziarie per ottenerlo. Abbiamo che in Occidente il capitale monetario fa fatica a convertirsi in capitale produttivo, che l’eccedenza ottenuta nel processo di produzione, invece di essere riconvertita in plusvalore, preferisce ottenere plusvalenza monetaria nei mercati finanziari, del debito e delle valute. Siccome capitale produttivo è solo quel capitale che crea sì profitto ma solo in quanto crea plusvalore su scala sempre più ampia, abbiamo che il capitale è diventato appunto anzitutto speculativo e improduttivo. I settori produttivi che resistono sono quelli in cui il ciclo di valorizzazione è sempre più breve (a danno di investimenti che hanno periodi lunghi di remunerazione) e quelli rivolti al mercato dei beni di consumo (che infatti hanno generalmente tempi brevi).
Ciò ha indotto profonde trasformazioni sia per quanto attiene alla composizione delle due classi fondamentali e alle loro relazioni reciproche, che alla composizione della società tutta. Alla crescita abnorme del capitale improduttivo (e dei settori rentier della borghesia) ha corrisposto necessariamente l’aumento del lavoro improduttivo. Ha infine causato la definitiva sussunzione dello Stato e della sfera del politico, nella forma della loro privatizzazione da parte degli organismi e dei consorzi speculativi transnazionali (sotto le mentite e ingannevoli spoglie dell’osservanza delle “regole del mercato”, nel frattempo brutalmente manipolate dai pescecani della speculazione).
Un simile modello sistemico è per sua natura parassitario, instabile e destinato a passare, nel contesto della fine della crescita e dell’opulenza, da un crack all’altro, senza la possibilità (salvo un redde rationem bellico) di potere invertire il corso decadente, producendo nuove e inedite tensioni sociali all’interno stesso delle roccaforti imperialistiche, e dunque il ritorno al centro della scena della necessità di una rottura rivoluzionaria e della fuoriuscita dal capitalismo».
In: LA TEORIA MARXISTA SPIEGA QUESTA CRISI? Capitale industriale, capitale finanziario e decadenza dell'occidente. Di Moreno Pasquinelli
[4] «Quand’è che il ciclo espansivo si interrompe? Quando non si realizza la formula che racchiude l’essenza stessa del meccanismo capitalistico: D-M-D’. Il possessore del denaro-capitale desiste dal mettere in circolazione il proprio D, ovvero ad investire il suo denaro nel ciclo produttivo, ove temesse di non ottenere D’, quel surplus di valore che, come abbiamo visto, è il solo incentivo della produzione capitalistica. Senza D’ il capitale desiste dall’investire, preferisce, o mantenere il capitale nella forma monetaria aspettando circostanze più favorevoli, oppure, come è successo, indirizzarlo nel campo evanescente e aleatorio della pura speculazione finanziaria. Ecco dunque che il processo semplicemente si interrompe e scoppia la crisi. Nel nostro caso: la crisi di sovrapproduzione era già in atto negli anni ’80-’90, ciò che spiega come mai enormi masse di capitale scelsero la strada piscotropica della speculazione finanziaria, la scorciatoia illusoria che il denaro producesse denaro (D-D’). Il crack finanziarioera inevitabile, come del resto i più accorti economisti avevano ampiamente previsto». In: La teoria marxista e il collasso dell’economia capitalistica. Di Moreno Pasquinelli
[5] Tesi per una sinistra patriottica di P101
[6] L’ITALIA SOCIALISTA CHE IMMAGINIAMO di P101

Comments

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Clau
Friday, 25 May 2018 16:57
Gentile Eros Barone,
per un sig. nessuno quale son io, il marxismo è una teoria scientifica elaborata da grandi maestri, allo scopo di offrire una qualche possibilità di riscatto alla lotta del proletariato contro la borghesia che, in quanto detentrice del monopolio dei mezzi di produzione, è sfruttatrice. Tutte caratteristiche peculiari dell’attuale ordinamento sociale, suddiviso in classi sociali contrapposte, che produce e scambia merci, attraverso il sistema di mercato e moneta. Il succo di tale concezione teorica, è riassunto, come ben sa, nella parola d’ordine de Il Manifesto: “Proletari di tutti i paesi unitevi”. Parola d’ordine che s’è fatta ancor più improcrastinabile ed attuale col passaggio del sistema capitalistico ad un unicum globalizzato. L’impellente necessità di portare avanti l’unione internazionale del proletariato, contro le classi borghesi, anch’esse mondializzate e super organizzate in funzione antiproletaria ed antipopolare, anziché la sacra “unità patriottica” contro altri popoli, portata avanti da vari “sinistri”,è, dunque, una questione di grande sostanza politica, di principi elementari del marxismo, e non di tempi. I tempi riguardano invece la teoria, che, come per tutte le scienze, và periodicamente aggiornata per mantenerla adeguata a poter fronteggiare i grandi mutamenti economico/finanziari e le involuzioni politico/sociali che si sono manifestate a partire soprattutto dalla vigilia della seconda guerra mondiale.
Che quindi a settantenni dal Manifesto, singoli elementi e/o gruppi di personaggi, che si danno arie di autentici militanti di sinistra, in quanto ritengono di collocarsi politicamente un pochino più a sinistra, ovvero un tantino meno a destra, di quel partito che per l’intero secondo dopoguerra ha collaborato e governato al sostegno degli interessi di industriali e banchieri, contro il proletariato e le altre classi subordinate, di uno dei primi dieci paesi capitalistici del mondo, che come tutti sappiamo, ora si chiama PD, ebbene, nonostante ciò che credono, in buona o cattiva fede, costoro sostengono una parola d’ordina piccolo e medio/borghese reazionaria, da un bel pezzo superata dalla storia, nonché diametralmente opposta al marxismo. In questo, purtroppo essi sono in affollata compagnia. Basta infatti osservare che quelli della cosiddetta sinistra “antagonista”e/o “rivoluzionaria”, a cominciare da quelli di matrice grosso modo bordighiana e trotskiana, anziché cercare di unire le debolissime frange, non hanno mai smesso di continuare a frantumarsi, fino a ridursi in pulviscoli di poche unità, che si contano sulle dita di una mano. Insomma, in quanto a crisi teorica, politica ed organizzativa, la cosiddetta sinistra, nel suo complesso, riesce a battere cento a uno il capitalismo! E’ un vero e proprio dramma che da svariati decenni stiamo vivendo, senza che si riesca ad intravvedere una fievole penombra di cambiamento in meglio, ma sempre e soltanto in peggio.
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Eros Barone
Thursday, 24 May 2018 20:47
@ clau

Proviamo a prendere le mosse, nel ragionare sul rapporto tra lotta per la sovranità nazionale e lotta di classe nei paesi capitalisti economicamente avanzati ma politicamente e militarmente dipendenti come l'Italia, dall’esistenza della catena imperialistica mondiale, dalla legge dello sviluppo ineguale e dalla gerarchia tra paesi imperialisti, nonché dalla teoria della rottura dell’‘anello debole’. Si tratta chiaramente di altrettanti aspetti della visione leninista dell’imperialismo come ‘formazione economico-sociale’. È a questo punto che sorge un’obiezione di non poco momento alla linea interpretativa sviluppata da clau su questo punto specifico ma di importanza fondamentale, poiché emerge una evidente contraddizione tra la tesi enunciata da Lenin nell’articolo "Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa" e l’affermazione di clau secondo cui una strategia di fuoriuscita dall'euro è non solo errata, ma anche antistorica e antimarxiana. In altri termini, se è vero quanto sostiene Lenin nell’articolo in parola, che è una stringente confutazione prepostera della subalternità della sinistra di allora e di oggi all’‘internazionalismo del capitale’, e se è indiscutibile la vigenza della legge dello sviluppo ineguale del capitalismo, non si pone allora con forza per il movimento di classe, come indicava Stalin, la necessità di rilanciare la parola d’ordine della lotta per la sovranità e l’indipendenza nazionale, raccogliendo questa bandiera dal fango in cui è stata gettata dalla borghesia e saldando questa lotta alla prospettiva della rivoluzione socialista? Non si ripropone forse, nel quadro del polo imperialista europeo, di cui l’Unione Europea è il braccio economico-finanziario e la Nato il braccio politico-militare, il problema del rapporto fra Stati disgreganti e Stati disgregati e quindi, ancora una volta, in funzione antimperialista e in un’ottica socialista, il problema della lotta per l’indipendenza e la sovranità nazionale? Ammesso e non concesso che questa bandiera possa essere raccolta oggi dalla sinistra comunista e/o sovranista, sarebbe, comunque, una scelta fuori tempo massimo, giacché questo terreno fondamentale di iniziativa del movimento operaio è stato interamente regalato alle destre populiste dall'azione dei partiti e dei sindacati che sono gl'interpreti 'nazionali' della volontà della UE. Per quanto concerne quel modesto episodio di lorianesimo che risponde al nome di Fusaro, ho già detto in altre occasioni che non mette conto discuterne se non per segnalare gli svarioni che infarciscono i suoi libri su Marx e, in generale, la mislettura che egli propone del materialismo storico e del socialismo scientifico.
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Clau
Thursday, 24 May 2018 09:14
Nella mail precedente mi è sfuggita una precisazione importante. Alla fine della sesta riga dopo “oltre che antimarxiana”, a salvo di equivoci, aggiungere: come Fusaro.
Scusate.
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Clau
Wednesday, 23 May 2018 19:59
Centrata e totalmente condivisibile la critica che fa a Diego Fusaro, che tuttavia credo vada capito, nel senso che, se s'industria a far soldi, anziché studiare approfonditamente i mutamenti che si susseguono nel sistema capitalistico, non lo può fare che mettendo insieme colossali corbellerie da dare in pasto alle moltitudini reazionarie sempre avide di critiche al marxismo. Per costoro, l’importante è soltanto la critica, non che essa abbia un qualche fondamento...
Detto ciò, a spanne ritengo che la vostra posizione sulla "strategia di unità patriottica per uscire dalla gabbia dell'euro e sganciarsi dalla globalizzazione" sia non solo errata ma anche antistorica, oltre che anti marxiana, in quanto non si può pensare di risolvere i grossi problemi dell'economia capitalistica italiana, che non ha un brandello di politica industriale, né energetica o dei trasporti, non è capace d’utilizzare le forze-lavoro, soprattutto giovani , che ha a disposizione e fa scappare i cervelli, e voi pensate di poterli risolvere con l'uscita dalla "gabbia dell'euro"? In tal modo, se mai, i problemi si aggraverebbero. Una delle leggi del capitalismo è che il pesce grosso mangia il piccolo, e dunque, uscendo dalla moneta unica e dalla Ue, l’Italia diventerebbe un paese più fragile, e a pagarne le spese, come sempre, sarebbero le classi più deboli.
In quanto alla “unità patriottica” penso che non valga la pena di soffermarvisi, è stata il perno di tutta la lotta dei comunisti contro i borghesi socialdemocratici della Seconda Internazionale, e non solo.
Infine, sarei curioso di capire come pensate che possa fare un media potenza industriale a sganciarsi da un’economia mondiale che è globalizzata. Forse penserete all’abbandono della terra e al trasferimento su un altro pianeta.
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Mario Galati
Wednesday, 23 May 2018 09:23
Mi sa tanto che Fusaro distorce anche il concetto di neofeudalesimo, dopo averlo preso in prestito da Preve. Mi sembra che Preve volesse connotare un capitalismo nel quale si affacciano veri e propri rapporti di dipendenza personale tra una massa plebeizzata e una casta dominante, anche sotto la permanenza della forma del "libero" rapporto di lavoro. In questa forma neofeudale svolge un ruolo essenziale il sistema di controllo ideologico e culturale. Ma non mi sembra che Preve individuasse nella sola aristocrazia finanziaria la casta neofeudale, o che mettesse in dubbio i meccanismi capitalistici di valorizzazione come descritti nella teoria "economica" di Marx.
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