Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 1764
Giacomo Gabellini, “Krisis”
di Alessandro Visalli
L’importante libro di Giacomo Gabellini[1] reca l’ambizioso sottotitolo “Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense”. L’oggetto dello studio, informatissimo, è dunque “l’ordine economico statunitense”, l’arco della sua estensione è dalla genesi allo sgretolamento. La narrazione è orientata lungo la freccia del tempo.
L’ordine economico non è chiaramente l’unica forma di ordine, né l’economico l’unico ordinatore possibile o attivo nella successione degli eventi storici. Anzi, come del resto si rileva anche dalla lettura di Gabellini, l’economico è sempre in qualche misura intrecciato e talvolta incorporato nel politico e nel sociale (e culturale). Si relaziona profondamente, quando non promana nella sua forma concreta, al sapere tecnico ed alle tecnologie dominanti (non solo direttamente produttive, anzi una delle forme di ordine emergente è connessa intimamente con tecnologie che non sono apparentemente produttive, ma egualmente hanno una dimensione ‘economica’, come quelle del ‘capitalismo della sorveglianza’[2]), e ha una storica simmetria, nella sua forma moderna, con il razionalismo e la scienza[3]. Per fare un esempio di prospettiva del tutto diversa dell’ordinatore, se pure rivolta alle correnti profonde e non agli eventi superficiali (secondo la famosa immagine di Braudel), Emmanuel Todd inquadra il senso di declino che è anche alla radice della interpretazione per cicli ripresa nel testo nel contesto di una predazione demografica in corso da quaranta anni da parte dell’occidente ricco ed anziano nei confronti dei paesi periferici. La transizione è letta con occhiali antropologici e punta la sua attenzione sulle trasformazioni che si sono accumulate al termine del trentennio ‘glorioso’[4], trasformazioni che muovono tutti gli strati più profondi della società, partendo dall’economico e dal politico per arrivare alla sua cultura ed alle strutture familiari.
- Details
- Hits: 1632
“Tecnoluddismo. Perché odi il tuo lavoro”
di Gavin Mueller
Pubblichiamo in anteprima, per gentile concessione delle amiche e amici di Nero Not, un estratto del libro di Gavin Mueller Tecnoluddismo. Perché odi il tuo lavoro, uscito il 26 gennaio, e tradotto per l’edizione italiana da Valerio Cianci. La questione luddista, il rapporto con le nuove tecnologie e l’urgenza di una nuova “ecologia del lavoro” sono temi già emersi sulla nostra rivista (qui), che riteniamo importante continuare a diffondere e divulgare. Le note sono omesse per favorire la leggibilità [Ndr]
La storia non è stata clemente con i luddisti. L’eredità della loro resistenza alle macchine è stata generalmente intesa come una forma di tecnofobia; e, per via della contemporaneità fra le loro rivolte e l’avvento della produzione di massa, sono spesso stati associati a un irrazionale terrore del progresso. I critici della tecnologia finiscono o con il disconoscere enfaticamente l’eredità luddista, o a professare simpatie fin troppo incontrollate. E se da una parte lo scrittore di tecnologia Andrew Keen, parlando della sua avversione ai social media, insiste a ribadire che «non sono un luddista», dall’altra le «confessioni di un luddista» sono diventate un genere letterario vero e proprio, al cui interno troviamo tanto educatori quanto musicisti e persino specialisti delle tecnologie dell’informazione. L’associazione tra luddismo e tecnofobia è stata essa stessa motivo di una simpatia diffusa. Nel 1984, per esempio, Thoms Pynchon domandava ironicamente se fosse «ok essere un luddista», mentre gli anni Novanta hanno assistito alla nascita del cosiddetto movimento neoluddista che, in una nebulosa coalizione contro le tecnologie allora contemporanee, accorpava critiche sociali assortite e ambientalismo radicale. Benché nel loro manifesto specificassero che non rinnegavano la tecnologia in quanto tale, la generalizzata ostilità dei neoluddisti per l’ingegneria genetica, la televisione, i computer e le «tecnologie elettromagnetiche» tradiva un debito nei confronti delle politiche anticivilizzatrici tipiche dell’anarco-primitivismo.
- Details
- Hits: 3061
Io, terrapiattista femminista
di Nicoletta Cocchi
C’è chi pensa che non siano sufficienti finora le letture femministe della pandemia, proprio ora che i corpi sono al centro di decisioni a qualsiasi livello. Certo, alcune analisi hanno mostrato come la pandemia abbia ulteriormente penalizzato la vita delle donne e aumentato le violenze in tutte le loro forme, ma anche come il covid sia per alcuni aspetti una crisi della cura. E rispetto al green pass? E sul bisogno di riappropriarsi della medicina? E sui diversi dispositivi autoritari approvati, soprattutto in Italia? Un contributo di Nicoletta Cocchi, ricercatrice e traduttrice femminista
Da due anni m’interrogo come molte altre su quello che sta accadendo alle nostre vite e alle scelte che siamo chiamate a fare sui nostri corpi cercando di darmi risposte posizionate, incarnate, alias femministe. Fin dall’inizio dell’emergenza ho cercato di non oppormi aprioristicamente alle difficili scelte dei nostri governi, ma di fronte ai tanti divieti, prescrizioni, recinzioni e gabbie fisiche e mentali che si alternavano a misure di allentamento per poi tornare con una presa sempre più totalitaria sulle nostre vite, il mio atteggiamento è cambiato. Ogni mia previsione, anche la più distopica, si verificava regolarmente.
Allora come oggi mi guardo intorno, m’informo cercando fonti attendibili, parlo e discuto con vicine/i, amiche femministe e non, dosando le parole in acrobatiche conversazioni per non infilarmi in contrapposizioni prive di soluzioni, cerco dati, prove, tento ragionamenti. Quando, non più tardi di qualche mese fa, la presunta nuova normalità sembrava essersi imposta, ho avuto la certezza che qualcosa si era irrimediabilmente rotto, e gli ultimi decreti che entreranno in vigore in questi giorni mi danno la conferma che così è. Sono tra coloro che hanno scelto di non vaccinarsi, dunque non partecipo a convegni, incontri in librerie, non frequento biblioteche e nemmeno più l’associazione di donne che ho frequentato per anni, e naturalmente non vado al ristorante e al cinema.
- Details
- Hits: 1789
Generazione COVID: la pandemia sta influenzando il cervello dei bambini?*
di Melinda Wenner Moyer
Come molti pediatri, Dani Dumitriu era in allerta per il possibile impatto dell’arrivo del coronavirus SARS-CoV-2 nei suoi reparti, ma si era sentita sollevata quando la maggior parte dei neonati del suo ospedale che erano stati esposti al COVID-19 sembravano stare bene. Conoscendo gli effetti di Zika e di altri virus, che possono causare difetti alla nascita, i medici erano attenti a questo tipo di problemi.
Tuttavia erano seguiti a ruota gli indizi di una tendenza più sottile e insidiosa. Dumitriu e il suo gruppo al NewYork-Presbyterian Morgan Stanley Children's Hospital di New York avevano a disposizione dati sullo sviluppo infantile raccolti in due anni: dalla fine del 2017, avevano analizzato la comunicazione e le capacità motorie dei bambini fino a sei mesi. Pensando che sarebbe stato interessante confrontare i risultati dei bambini nati prima e durante la pandemia, Dumitriu aveva quindi chiesto al suo collega Morgan Firestein, ricercatore post-dottorato alla Columbia University di New York, di valutare se ci fossero differenze nello sviluppo neurologico tra i due gruppi.
Pochi giorni dopo, Firestein ha chiamato Dumitriu in preda all’agitazione. "Ha detto qualcosa come: Siamo in crisi, non so che cosa fare, perché non solo siamo di fronte a un effetto della pandemia, ma è un effetto significativo", ricorda Dumitriu che rimase sveglia quasi tutta la notte a esaminare i dati. I bambini nati durante la pandemia avevano ottenuto, in media, un punteggio più basso nei test di motricità grossolana (o abilità grosso-motoria), motricità fine e capacità di comunicazione rispetto a quelli nati prima (entrambi i gruppi sono stati valutati dai loro genitori usando un questionario standard). E non importava se il loro genitore naturale era stato infettato dal virus o no; sembrava esserci qualcosa che riguardava l'ambiente stesso della pandemia. Dumitriu era sbalordita. "La sensazione era: oh, mio Dio. Stiamo parlando di centinaia di milioni di bambini."
- Details
- Hits: 1259
Note sul pessimismo climatico
di Raffaele Scolari
Prendo spunto da due testi pubblicati recentemente su climalteranti.it. Il primo è una recensione del nuovo libro di Michael Mann, La nuova guerra del clima, in cui il climatologo americano, oltre a mettere in guardia contro le nuove forme di negazionismo camuffato, pone in risalto la pericolosità di visioni “eccessivamente cupe del nostro futuro”. Il secondo articolo verte sulla COP 26 di Glasgow e sui risultati che essa potrà produrre. Anche in questo caso vi è una sorta di messa in guardia: contro “una visione semplicistica del negoziato sul clima”. Secondo questo post, la contrapposizione “successo vs. fallimento” è fuorviante, perché ignora sia la complessità delle trattative sia i risultati intermedi che, come in occasione di passate edizioni, possono essere ottenuti e che comunque, ai fini di una efficace lotta contro i cambiamenti climatici, sono molto importanti.
Qui di seguito intendo, se non proprio mettere in guardia contro queste e altre simili messe in guardia, presentare alcune riflessioni critiche al loro riguardo. Per cominciare una nota sul titolo del saggio di Mann: considero l’impiego della metafora della guerra in riferimento al riscaldamento globale come problematico e opinabile, e comunque contradditorio rispetto al dichiarato intento di denunciare i facili allarmismi e pessimismi. Data la natura dell’oggetto in questione, il clima mondiale, se di guerra si tratta, quella contro il Climate change deve o dovrà necessariamente assumer l’aspetto di una guerra totale, contro un nemico assai potente e da tempo conosciuto, e in cui nessuno potrà risparmiarsi. Sennonché il nemico non risiede dall’altra parte della frontiera o del mare, bensì è in mezzo a noi, nelle nostre distese metropolitane, nei gangli del potere politico ed economico e pure nelle nostre menti e abitudini, talché se proprio si vuol ricorrere alla metaforica bellica, meglio sarebbe parlare di “nuova guerra civile del clima”.
- Details
- Hits: 1989
Il modello cinese e lo spazio del conflitto
di Sandro Mezzadra
Una lettura importante, sotto la lente dell’attualità, del libro di Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino, Mimesis, 2021. Si tratta di una nuova edizione del volume dopo la prima pubblicazione italiana, da tempo esaurita, uscita per Feltrinelli nel 2008 (la prima edizione in inglese è del 2007)
Adam Smith a Pechino, di Giovanni Arrighi (2007), è un libro ormai classico. La scomparsa del suo autore solo due anni dopo la pubblicazione mette ancora più in risalto la creatività e l’apertura delle analisi presentate in questo volume, che si muovevano certo all’interno della cornice della “teoria del sistema mondo” e del lavoro dello stesso Arrighi nei decenni precedenti, ma con elementi di significativa innovazione. È dunque meritoria l’iniziativa della casa editrice Mimesis, che propone una nuova edizione del libro, arricchita di una prefazione di Salvo Torre e di una postfazione di Andrea Fumagalli. Rileggere Adam Smith a Pechino nel tempo della pandemia, e mentre tensioni crescenti segnano i mutamenti dell’ordine e del disordine mondiale, getta nuova luce su alcune delle tesi di fondo di Arrighi. Ne proporrò naturalmente una lettura selettiva, isolando alcune questioni che mi sembrano particolarmente importanti.
Adam Smith appare qui un pensatore lontano dall’immagine abituale di apologeta di un capitalismo in pieno sviluppo. Certamente teorico di una società di mercato, Smith considera tuttavia “lo sviluppo economico come processo inserito (embedded) in uno specifico ambito geografico, sociale e istituzionale e che in tale ambito trova anche i propri limiti”. Il capitalismo, definito da Arrighi a partire dallo stretto nesso tra capitale e Stato (tra accumulazione illimitata di capitale e accumulazione illimitata di potere) assume nella prospettiva di Smith caratteri profondamente “innaturali”. E si dispiega storicamente attraverso un “ciclo delle egemonie” che, nel passaggio di testimone dalla Repubblica di Genova ai Paesi Bassi, dall’Inghilterra agli USA, ne articola e garantisce l’estensione globale. Marx e Braudel, Schumpeter e Wallerstein sono i principali riferimenti teorici di Arrighi, che propone qui in forma sintetica i lineamenti di un’analisi sviluppata altrove in modo più ampio (in particolare in Il lungo ventesimo secolo, del 1994).
- Details
- Hits: 1115
Dove non è il luogo e quando non è il momento (seconda parte)
Lenin, Luxemburg, i populisti: lotta di classe e sviluppo del capitalismo
di Gigi Roggero
Il saggio di Gigi Roggero che pubblichiamo per la prima volta in italiano, suddiviso in due parti, (qui la prima parte) è stato scritto nel 2012 per un volume curato dagli studiosi militanti della rivista polacca «Praktyka Teoretyczna». Come indicato nel sottotitolo, viene trattato il rapporto critico tra Lenin, Luxemburg e i populisti russi rispetto alla questione dello sviluppo del capitalismo. Più precisamente, da un lato viene tratteggiata in chiave genealogica la polemica di Lenin contro i populisti dell’ultimo decennio dell’Ottocento, sbiaditi eredi di una grande tradizione rivoluzionaria; dall’altro, vengono analizzate le ricchezze e i vicoli ciechi della lettura luxemburghiana dell’accumulazione del capitale. Lungi dall’essere un tema di semplice interesse storiografico, la tensione dell’intero testo è volta all’evidenziazione dell’attualità e della posta in palio politica di quel dibattito apparentemente remoto.
* * * *
2. Il mercato mondiale è ancora sempre in formazione?
Anche in questo caso, la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione, interamente dentro al rapporto di capitale (ciò che faceva dire a Marx che «la vera barriera della produzione capitalistica è il capitale stesso»), è stata decentrata e trasformata in una dicotomia tra interno ed esterno. Dicotomia che, si badi bene, quando Luxemburg scriveva era indubbiamente radicata nella realtà, ma la cui tendenziale scomparsa – come lo scenario attuale dimostra – non avrebbe significato il crollo del capitalismo. Eppure, secondo Luxemburg, è questo il vicolo cieco di Marx, ciò che rende la sua astrazione del sistema capitalistico irrealizzabile nella sua forma pura: «Una volta raggiunto il risultato finale – che rimane tuttavia una costruzione teorica –, l’accumulazione diventa impossibile: la realizzazione e capitalizzazione del plusvalore si trasforma in un problema insolubile.
- Details
- Hits: 1805
Note di commento al documento Collettivismo … forzato? di Nico Maccentelli
di Michele Castaldo
Premetto che non conosco Nico Maccentelli, dunque la discussione verte solo su quello che scrive nel documento che qui commento. Lo faccio nel solito stile: senza lasciare nulla fra le righe perché la fase – come ho scritto più volte – è complessa e le questioni sono spinose e perciò difficili da affrontare.
Nico Maccentelli difende in modo indistinto « chi va in piazza » dalle critiche « degli euroglobalisti e “antagonisti” » circa il carattere individualistico delle proteste contro il green pass e l’obbligatorietà del vaccino. Non appartenendo a nessuna delle due categorie ideologiche, politiche e culturali menzionate, mi sono posto il problema nei seguenti termini: qual è la causa che muove le persone che sono scese in piazza e in quale prospettiva si muove un simile movimento? Dunque niente di ideologico preventivo, innanzitutto perché si è trattato, e si continuerà a trattare, di movimenti compositi, e, per chi ha un minimo di conoscenza delle dinamiche sociali della storia, quello che è composito è destinato a scomporsi e frantumarsi, dunque non a stabilizzarsi. Pertanto l’avvertenza nei confronti di Nico Maccentelli e di tante altre brave persone che si vogliono cimentare su questo terreno, è bene tenerla presente.
Chiarito che si è trattato, e si tratterà ancora, di movimenti compositi, cerchiamo di chiarire contro cosa sono scesi in piazza, il che è presto detto, cioè contro la vaccinazione obbligatoria, ma in modo particolare contro il green pass. Siamo però già a una equiparazione di due rivendicazioni differenti, una di sostanza, la vaccinazione, l’altra di forma, il modo di applicare la vaccinazione, ovvero l’obbligatorietà addirittura con l’introduzione del green pass.
- Details
- Hits: 1029
Rinnovamento industriale
di Avis de tempetes
In questi giorni qualche timido fiocco sta imbiancando le pianure, le foreste e le colline di Belgrado est. Il termometro stenta a salire sopra lo zero nella capitale serba. In questo secondo fine settimana di gennaio sono previste nuove giornate di azione contro il progetto di apertura della più grande miniera di litio d'Europa (58.000 tonnellate all'anno), lanciato dal gruppo anglo-australiano Rio Tinto. Da diversi mesi migliaia di persone partecipano a manifestazioni, ma soprattutto a blocchi stradali in tutto il paese. La devastazione ambientale programmata da questo progetto minerario nella valle di Jadar è l'innesco di una «rivolta ecologica» che a poco a poco sta minacciando la stabilità del regime autocratico. E se le massicce proteste non hanno dato luogo ad ostilità più accese in un Paese particolarmente devastato dall'inquinamento industriale, il governo serbo comincia tuttavia a ritenere più prudente sospendere temporaneamente l'arrivo del colosso minerario Rio Tinto.
All’indomani di queste giornate d’azione, e mentre un pugno di attivisti lanciavano uova contro l'ufficio informazioni di Rio Tinto a Loznica, un illustre industriale francese è intervenuto a Parigi durante una piccola cerimonia organizzata nei palazzi del Ministero dell'Economia. Quel 10 gennaio, Philippe Varin ha solennemente consegnato alle autorità il suo rapporto sulla sicurezza della fornitura all’industria di materie prime minerali. Varin vanta un nutrito palmares: ha cominciato la sua carriera di industriale nei gruppi siderurgici, per diventare in seguito direttore del gruppo PSA Peugeot Citroën di cui ha guidato la ristrutturazione industriale, e poi passare al gruppo nucleare Orano (ex-Areva), di cui ha diretto la ristrutturazione in qualità di presidente del consiglio di amministrazione; sua la responsabilità della chiusura del cantiere del reattore nucleare EPR in Finlandia.
- Details
- Hits: 2704
Filosofia e politica
Marco Mazzeo intervista Paolo Virno
Dal tuo primo libro, Convenzione e materialismo, che risale al 1986 (riedito poi da DeriveApprodi nella nuova edizione del 2011), e anche dai tuoi primi scritti più politici negli anni Settanta, fino a quest’ultimi libri, Dell’impotenza (Bollati Boringhieri 2021) e ora Negli anni del nostro scontento (pubblicato in questi giorni da DeriveApprodi) è stata percorsa una lunga strada. Potresti ricordarne le tappe principali? (cosa che equivale a raccontare la storia della tua vita in un modo o nell’altro).
Ho cominciato a occuparmi sistematicamente di filosofia in seguito a una sconfitta politica. Parlo della sconfitta dei movimenti rivoluzionari che gremirono la sfera pubblica in Occidente tra la morte di John Kennedy e quella di John Lennon, dunque dall’inizio degli anni Sessanta alla fine del decennio successivo. Quei movimenti, che provarono orrore per il socialismo reale e si augurarono fin dal principio lo scioglimento del Pcus, avevano utilizzato Marx al di fuori e contro la tradizione marxista, mettendolo in contatto diretto con le lotte di fabbrica e la vita quotidiana delle società pienamente sviluppate. Un Marx letto insieme a Nietzsche e a Heidegger, posto a confronto con Weber e Keynes. Tuttavia, nel momento della sconfitta, quando l’intero panorama sociale fu sconvolto dall’iniziativa capitalistica, ci sembrò naturale saggiare i limiti, e mettere a nudo le omissioni, di questo nostro Marx. Ecco, per me il vagabondaggio filosofico è iniziato chiedendomi: quale teoria della conoscenza, quale etica, quale filosofia del linguaggio si possono desumere da Marx, senza che però egli le abbia mai sviluppate?
Il mio primo libro, Convenzione e materialismo, scritto tra il 1980 e il 1985, affronta con evidente povertà di mezzi questioni filosofiche niente affatto stagionali: il rapporto tra intelletto astratto e sensi, la genesi del singolare dall’impersonale, il radicamento dell’istanza etica nel funzionamento del linguaggio.
- Details
- Hits: 2067
Logiche Relazioni
Lucia Olivieri e Osvaldo Ottaviani dialogano con Massimo Mugnai

* ** *
In un contributo di qualche anno fa1 hai parlato di Leibniz come di un “logico del Novecento”. È soltanto un modo paradossale di dire che la riscoperta della logica lei- bniziana data dai lavori di Louis Couturat ai primi del Novecento o c’è qualcosa di più, nel senso che nei suoi scritti di logica Leibniz ha effettivamente anticipato temi e soluzioni della logica moderna (da Boole a Gödel)?
“Logico del Novecento” è una caratterizzazione che intende cogliere entrambi gli aspetti che avete menzionato. È un dato di fatto che soltanto col libro di Couturat (La logique de Leibniz, 1901) e con la pubblicazione degli Opuscules et fragments inédits (1903), sempre a cura di Couturat, è sorto l’interesse per la logica di Leibniz.
- Details
- Hits: 2472
Un concerto di cigni starnazzanti (e neri)
di Franco Bifo Berardi
Crisi russo-ucraina, declino USA, depressione, eventi impensabili: a che serve l’ottimismo quando la prospettiva è il caos?
Stento a crederci. Forse c’è qualcosa che non funziona più bene nella mia testa: quel che accade non riesco a spiegarmelo.
In Italia non se ne parla neanche, siamo impegnati a eleggere l’uomo della Goldmann Sachs oppure un altro chissenefrega. Ma quello che sta accadendo alla frontiera orientale del continente è la situazione più prossima alla guerra atomica che io abbia visto in vita mia. Avevo undici anni ai tempi della crisi dei missili per Cuba, e ricordo che non si parlava d’altro. Oggi nessuno parla più con nessuno, zitti e Mosca. A proposito, ricapitoliamo i fatti.
Quando Biden parlò alla nazione in agosto, quando disse “war in Afghanistan is over” mentre i suoi collaboratori afghani si accalcavano all’aeroporto, rincorrevano gli aerei in partenza, si attaccavano alle ali e cadevano giù da mille metri di altezza, pensai: quest’uomo è finito, ma il problema è che gli Stati Uniti d’America saranno ora costretti a fare i conti con se stessi.
Dopo due catastrofiche guerre concluse in modo ignominioso, con l’Iraq trasformato in terreno di guerra perenne, consegnato in parte all’arcinemico iraniano, e l’Afghanistan restituito ai talebani, pensavo che il ceto dirigente americano avrebbe preso per lo meno una pausa di riflessione.
Per qualche ragione che fatico a capire, Biden ha invece pensato che, perdute due guerre regionali contro nemici militarmente primitivi, il solo modo per ristabilire l’onore dell’America e per recuperare l’appoggio del suo popolo che si prepara a nuove elezioni, era lanciare una guerra contro un regime granitico nel suo nazionalismo, e dotato di un arsenale atomico che può annientare il genere umano.
- Details
- Hits: 1747
Perché così tanti medici diventarono nazisti?
Nella risposta, e nelle sue conseguenze, un bioeticista può trovare delle lezioni di morale per i medici di oggi
di Ashley K. Fernandes*
Un articolo segnalatomi tempo fa (mi scuso, ma non ricordo più da chi) e che può essere molto utile da leggere oggi nel Giorno della Memoria, per tenere a mente quello che è stato l'importante ruolo dei medici e degli scienziati nelle atrocità naziste. Quando la scienza perde il suo legame con l'etica e la filosofia morale, non ha più una bussola che la guida e può facilmente invertire quello che sarebbe il suo scopo originario, a favore della persona umana
Questo saggio è scritto dal punto di vista di un medico, un docente della materia e un bioeticista che trova nel deplorevole coinvolgimento dei medici nella Shoah un'opportunità per evidenziare delle lezioni morali sempre valide per la professione medica. Medicina e diritto sono intimamente legati tra loro e, a partire dalla professionalizzazione della medicina negli Stati Uniti e in Europa nella seconda metà dell'Ottocento, lo sono ancora di più. Una disciplina che collega entrambi è la filosofia morale; poiché tanto la legge quanto la medicina implicano la ragione e la volontà orientate al bene della persona. Quindi, la storia dell'Olocausto è una tragedia che si è svolta a causa della corruzione della filosofia morale prima, della medicina e del diritto in secondo luogo.
Perché questo è importante? Il motivo è che c'è chi si oppone all'applicazione ai giorni nostri delle lezioni apprese dagli orrori della medicina nazista. Alcuni dicono che la “medicina nazista” non fosse vera medicina o scienza: non possiamo nemmeno chiamare “medicina” ciò che facevano i nazisti, poiché la medicina contiene in sé un presupposto di rigore e benevolenza. Questa è un'obiezione che sento da scienziati medici, che indicano le garanzie rappresentate dal Codice di Norimberga (1947), dalla Dichiarazione di Helsinki (1964) e dal Rapporto Belmont (1978) come prova della natura radicalmente diversa della scienza odierna. Ma questo argomento è circolare.
- Details
- Hits: 2345
Quello che potremmo diventare
di Claudia Cipriani
Sono in tanti a considerare il green pass come la sintesi di tutta la strategia che il governo ha adottato dall’inizio della pandemia: addossare le responsabilità ai cittadini. Per questo c’è chi si chiede come mai molti a sinistra lo hanno giustificato senza avere neanche la curiosità di osservare da vicino un movimento complesso che si oppone al governo Draghi. «Bisognerebbe guardare positivamente al fatto che persone che non si sono mai occupate di politica sentono oggi il bisogno di prendere posizione – scrive Claudia Cipriani, documentarista – Ammetto che io stessa spesso in quelle piazze mi ci sono ritrovata un po’ a disagio perché accanto a chi teneva un cartello con la scritta “Ora e sempre resistenza”, c’era magari quello con l’icona di un santo. Per la prima volta però ho vissuto cortei eterogenei, dove persone di provenienza culturale e politica diversa si sono trovate insieme. È una cosa che non avevo mai visto e mi ha fatto riflettere…». Per chi protesta il re è nudo. Per dirla con Foucault, oggi l’obiettivo non è scoprire che cosa siamo ma rifiutare quello che siamo e «immaginare e costruire ciò che potremmo diventare».
* * * *
In questi ultimi due anni mi tormenta una domanda che non ho mai fatto a mia nonna. Lei fu un’adolescente durante gli anni del fascismo, della guerra, e mi raccontò di come fosse spesso triste, cupa, di come tutto ciò che le accadeva intorno le sembrasse assurdo e ingiusto. “Ma gli altri, quelli che invece andavano avanti come sempre, come facevano?”. Ecco, è questa la domanda che vorrei farle, adesso che purtroppo non c’è più. So che i paragoni con quel periodo fanno arrabbiare molti, ma d’altronde viviamo da più di due anni in uno stato d’emergenza e abbiamo subito per mesi il coprifuoco, provvedimento che non si aveva dai tempi della seconda guerra mondiale. Io più che altro, ancora oggi, dopo tanti mesi, mi chiedo come facciano molte persone a far finta che sia tutto normale.
- Details
- Hits: 2246
Politica, miti e realtà delle privatizzazioni in Italia
di Matteo Di Lauro
Il milieu ideologico delle privatizzazioni
Dagli anni ‘90 il clima culturale si è fatto ostile alle ideologie politiche e alle posizioni di parte. La democrazia non andrebbe più intesa come scontro tra ideali diversi, ma si ridurrebbe a un presunto “governo dei migliori”, dove le uniche qualità che contano sono la competenza e l’onestà.
Inutile dire che una persona può essere competente ed onesta, fermo restando il carattere politico delle sue idee. Dietro una scelta squisitamente tecnica si nasconde comunque una visione del mondo, degli obiettivi di lungo periodo e una qualche gestione di parte del conflitto distributivo.
Come sappiamo, in economia politica non esistono scelte squisitamente tecniche, ma sempre delle policy a favore o a sfavore di una certa classe sociale. In politica non esistono scelte neutre: è per questo che il tentativo, sia mediatico sia accademico, di ricondurre qualsiasi presa di posizione politica ad un presunto criterio tecnico scientifico ha fatto degenerare profondamente il dibattito pubblico in questo paese.
Ne è un esempio la riforma dell’IRPEF di Draghi, che, per quanto vanti un carattere tecnico scientifico, nasconde dietro di sé intenti chiaramente politici: una politica di classe.
Per questo, applicare un criterio puramente tecnico all’analisi delle riforme ha poco senso, senza prima aver esplicitato la propria posizione circa i possibili conflitti distributivi che scaturiscono dalla riforme stesse. Da qui, l’impossibilità di avere un esito win-win: qualcuno ci perde sempre.
Inoltre, si constata in modo del tutto singolare che, da quando la politica ha iniziato ad essere pervasa dal mito dell’onestà e della competenza, chi ha perso di più sono state le classi subalterne. Strano. Non sarà mai che gli onesti e competenti alla Draghi siano classe dominante e seguano una propria agenda politica a difesa dei propri interessi?
- Details
- Hits: 9123
Lenin e la pratica filosofica*
di Carlo Di Mascio
La verità non sta all’inizio, ma alla fine, o, più esattamente, nella continuazione. La verità non è l’impressione iniziale…
Lenin, Quaderni filosofici
Bisogna ribadire ‘ad nauseam’ […] il fatto che l’idealismo di Hegel non implica la tesi secondo la quale lo scibile è posto da un ‘io’, vale a dire da un sé che è l’essenza di ogni autoscienza, o addirittura da un isolato soggetto-coscienza.
Hans-Friedrich Fulda, Dialektik in Konfrontation mit Hegel
I.
Louis Althusser, nel suo Lenin e la filosofia, analizzando la distanza tra Lenin e la filosofia ufficiale, quella professorale, accademica, distanza che tende ad annullarsi ogni volta che la filosofia si trova costretta a fare i conti con l’urgenza dell’azione politica e della sua inesorabile relazione con essa, commentava come Lenin, «un naïf e un autodidatta in filosofia […] semplice figlio di maestro, piccolo avvocato diventato dirigente rivoluzionario», avesse avuto l’ardire di confrontarsi con la filosofia ufficiale e tutto questo con l’obiettivo preciso di promuovere «una pratica veramente cosciente e responsabile della filosofia»1. Ora, tuttavia, ciò che maggiormente colpisce di questa premessa è il fatto che Lenin, con tutte le inadeguatezze del caso, abbia inteso occuparsi – in un momento storicamente decisivo, connotato dalle conseguenze del fallimento rivoluzionario del 1905, dal disorientamento «ideologico» di molti intellettuali marxisti del tempo2, dalla singolare parabola della Seconda Internazionale, dal 1889 sino al suo crollo nel 19143, nonché dall’avvicinarsi di un conflitto mondiale e di una rivoluzione proletaria inevitabile – proprio di filosofia, ed in particolare tra il 1908 e il 19164, pur riconoscendo a più riprese, come sottolineato in una lettera a Gorki del 7 febbraio 19085 di non essere un filosofo, di essere impreparato, ma purtuttavia di non fare filosofia come quelli che la fanno di professione, i quali, invece, si limitano a «ruminare nella filosofia.
- Details
- Hits: 3590
Usa, Cina e futuro del sistema dollaro
L'intervista al gen. Mini sui libri di Qiao Liang
Claudio Gallo* intervista il generale Fabio Mini
Qiao Liang è un ex generale maggiore dell'aviazione dell'Esercito Popolare di Liberazione diventato celebre nel 1999 con il libro Guerra senza limiti (LEG Edizioni, 2001) di cui è coautore insieme con il collega Wang Xiangsui. Con gli usuali occhiali ideologici, i media occidentali hanno presentato lo studio come l'annuncio di un nuovo tipo di guerra che la Cina stava progettando contro l'America. Gli autori affrontavano il concetto di conflitto asimmetrico, prefigurando in qualche modo eventi che sarebbero accaduti di lì a poco, come l'attacco dell'11 settembre.
Qualche anno fa, Qiao ha scritto un nuovo libro, L’arco dell’impero, ancora tradotto dalla LEG (Libreria editrice goriziana). E’ la prima edizione in una lingua occidentale ed è stata curata dal generale Fabio Mini, già capo di stato maggiore del Comando NATO del Sud Europa nel 2000-2001 e comandante della Forza internazionale in Kosovo (KFOR) a guida NATO dal 2002 al 2003. Mini aveva introdotto in Italia anche Guerra senza limiti: la sua prefazione italiana è stata tradotta e inclusa nella seconda edizione cinese.
Il nuovo lavoro di Qiao è uno studio sulla superpotenza americana. Spiega il suo incredibile successo e le possibili ragioni del suo declino. Secondo Qiao, gli Stati Uniti hanno superato la logica imperiale colonialista dell’Impero britannico del XIX secolo adottando un rivoluzionario sistema di dominio economico, che ha raggiunto il suo apice con la fine gli accordi di Bretton Woods del 1971. Il potere del dollaro come moneta universale sostiene il primo impero finanziario della storia. The City Upon a Hill dei Padri Pellegrini, l'immagine dell'eccezionalismo americano amata da Reagan, è, in realtà, la Zecca sulla Collina. Con questa "economia finanziaria coloniale", la ricchezza americana è pagata dal resto del mondo.
- Details
- Hits: 1656
Culture e pratiche di sorveglianza. In balia dell’Incoscienza Artificiale e dell’algocrazia
di Gioacchino Toni
«Il punto è che non esiste una protesi cerebrale artificiale che sia intelligente; il calcolo senza significato può al massimo esprimere l’ossimoro dell’“intelligenza incosciente” […] La perdita di conoscenza e di autonomia fanno parte di un processo iniziato nel Ventunesimo secolo, nel corso del quale stiamo invertendo il rapporto gerarchico tra noi e le macchine. Oggi siamo sempre più portati a mettere in dubbio la risposta a una nostra domanda dataci da una persona, oppure quella di un assistente virtuale?» Massimo Chiariatti
«gli algoritmi sono pur sempre progettati da esseri umani, sono opachi, ossia poco trasparenti, e perseguono non solo obiettivi di efficienza, ma ancor più di profitto. Quando imparano dall’esperienza, poi, tendono a replicare i pregiudizi umani» Mauro Barberis
Nonostante si tenda a pensare all’Intelligenza Artificiale antropomorfizzandola, come se si trattasse di una macchina in grado di prendere “sue” decisioni ponderate, questa si “limita” a elaborare una mole di dati non governabile dagli esseri umani e a farlo con una velocità altrettanto al di sopra dalle loro possibilità. Per gestire le informazioni disponibili l’essere umano ha sempre teso a esternalizzare alcune funzioni del suo cervello estendendole nello spazio e nel tempo; sin dalla notte dei tempi l’umanità ha fatto ricorso a protesi tecnologiche per superare i suoi limiti fisici e cognitivi ma giunti alla digitalizzazione delle informazioni queste sono talmente aumentate che per la loro gestione si è resa necessaria una tecnologia sempre più sofisticata e performante soprattutto in termini di velocità di elaborazione.
- Details
- Hits: 1473
La relazione capitale-lavoro come rapporto di classe
di Sebastiano Isaia
È il capitale che impiega il lavoro. Già questo rapporto,
nella sua semplicità, è personificazione delle cose e
reificazione delle persone. In questo modo, il capitale
diventa un essere incredibilmente misterioso (K. Marx).
La relazione Capitale-Lavoro è in primo luogo e fondamentalmente un rapporto di classe, non un fatto meramente economico che si esaurisce sul mercato del lavoro o dentro il luogo di lavoro. Quella relazione, che caratterizza la società capitalistica, presuppone e pone sempre di nuovo l’esistenza del rapporto capitalistico di produzione, il quale si fonda sulla separazione dei produttori diretti (i lavoratori) dai mezzi di produzione e, quindi, dal prodotto del loro lavoro. I lavoratori posseggono solo la loro capacità lavorativa, che essi offrono sul mercato del lavoro al miglior offerente per riceverne in cambio un salario; i mezzi di produzione (macchine, edifici, materie prime, ecc.) e i mezzi di sussistenza comprati dai lavoratori con il salario ricevuto sono invece di esclusiva proprietà del Capitale – non importa in quale forma giuridica esso si presenti dinanzi al lavoratore: capitale privato, capitale pubblico, azionario, “misto” pubblico-privato, cooperativistico, e quant’altro.
Riprendendo ironicamente la celebre frase di Proudhon («La proprietà è un furto»), Marx definisce la proprietà specificamente capitalistica nei termini di un «furto di lavoro altrui». «La proprietà di capitale possiede la qualità di comandare sul lavoro altrui» (1).
Apro una piccola parentesi a proposito della fenomenologia giuridica del Capitale. Nel Manifesto del partito comunista del 1848, Marx ed Engels scrivono: «I comunisti possono riassumere la loro dottrina in quest’unica espressione: abolizione della proprietà privata» (2).
- Details
- Hits: 1473
Marx e Freud in Lacan: dall'inestricabile intreccio alla perfetta compatibilità
di David Pavón
Sembra che, politicamente, Jacques Lacan sembra sia stato un conservatore. Di certo non era un comunista, e nemmeno un socialista. Ha deriso a più riprese sia gli intellettuali marxisti che gli attivisti di sinistra. Quando era giovane, dichiarò di essere un sostenitore della monarchia, e partecipò alle riunioni di un'organizzazione di estrema destra, l'Action Française. Anni dopo, in piena maturità, ha ammesso di aver votato a destra, per Charles de Gaulle. Sebbene di destra e ostile al marxismo, Lacan ha sempre mostrato grande interesse, e un'ammirazione quasi fervente per Marx. Non ha mai smesso di leggerlo, e di riferirsi a lui con passione. È vero che a volte lo ha criticato, ma più spesso ha riconosciuto i suoi grandi meriti, i suoi successi e le sue scoperte. Inoltre, ha ampliato molte delle sue idee usandolo ripetutamente in quella che è stata la sua interpretazione del pensiero freudiano. Negli scritti di Lacan, e nel suo insegnamento orale, Marx non smette di continuare a incontrare Freud. Gli incontri, tanto frequenti quanto consistenti, profondi e significativi, a volte danno luogo a relazioni strette che organizzano internamente la teoria lacaniana. Tuttavia, quale che sia il grado di citazione di Marx messo in atto da Lacan, appare chiaro che a lui non viene conferito lo stesso posto di Freud. Lacan non adotta il punto di vista di Marx. Non si considera un suo seguace.
Lacan si attiene a Freud. È a lui che aderisce. Si considera un freudiano, non un marxista, e di certo non un freudo-marxista. La sua visione del freudo-marxismo non è per niente positiva. Lo descrive, nelle sue stesse parole, come se si trattasse di un groviglio inestricabile, come se fosse il «vicolo cieco», o «senza soluzione».
- Details
- Hits: 3141
Presidenza della Repubblica: verso una democrazia postmoderna
di Stefano G. Azzarà
Il percorso verso il superamento della Costituzione repubblicana è segnato e si intravvedono già i contorni della Repubblica presidenziale. Accuratamente nascosto sotto l’altezzoso sorriso Ancien Régime di Mario Draghi o magari sotto quello più rassicurante di qualche democristiano, c'è l'approdo a una democrazia postmoderna che si instradi sui binari di una forma flessibile di bonapartismo plebiscitario mediatico
Dopo l’inevitabile sceneggiata con la quale in questi giorni, a partire da Silvio Berlusconi, tutti gli attori sul palcoscenico hanno cercato di alzare il proprio prezzo e riacquisire una centralità politica spendibile nel prossimo futuro, è probabile che questa settimana Mario Draghi venga eletto presidente della Repubblica, poco conta se alla prima o dopo la quarta votazione. Del resto, questa non sarebbe affatto una sorpresa: nonostante la suspense o la fumisteria creata più o meno ad arte dalle ambizioni personali di qualcuno, arrivato fuori tempo massimo, questo esito sarebbe esattamente quanto era risaputo sin dall’inizio, ovvero da quando l’ex presidente della Banca d’Italia e poi della BCE è stato nominato premier da una vasta coalizione di unità nazionale, dopo che Renzi aveva staccato la spina al governo PD-M5S. E, si può dire, sarebbe esattamente ciò per cui quella nomina era a suo tempo avvenuta e quanto il sistema industriale dei media – impegnatissimo h.24 a fare il tifo per lui e a spianargli la strada delegittimando ogni alternativa – ha sempre dato per scontato.
Non si tratta di una scelta irrilevante e da valutare nichilisticamente con senso di sufficienza, sia chiaro. I gruppi economici dominanti sono alle prese con il serissimo problema di una crisi organica della loro egemonia, che è logora e fa acqua da tutte le parti. E se vogliono recuperare quei pezzi di ceti medi e classi subalterne che si sono sottratti al loro controllo ideologico diretto durante la lunga fase della crisi economica e dell’impauperimento generalizzato, devono a ogni costo ricostruire almeno parzialmente il blocco sociale messo in discussione dalla rivolta populista (abilmente cavalcata dai settori outsider interni al medesimo mondo industrial-finanziario) e dargli un barlume di plausibilità e coesione.
- Details
- Hits: 1666
Antibiotici, vaccini e pandemia
di Noi non abbiamo patria
Le crescenti preoccupazioni delle soggettività della necessità del modo di produzione capitalistico
Che cosa ne è del progresso della medicina? In fondo [clicca qui] a questa introduzione c’è un articolo apparso sul The Economist del 21 Gennaio 2022 dal contenuto davvero allarmante (e con accenti anche sciovinisti nei confronti dei paesi dell’Asia). Il cosiddetto progresso capitalistico, il cui sviluppo della accumulazione comportava progresso tecnico e miglioramento delle condizioni di vita, seppur in maniera diseguale e combinata, ora tornano indietro come un boomerang con tutte le contraddizioni nefaste rafforzate di questo modo di produzione. La resilienza della vita alle malattie ed ai patogeni batterici o virali è in regresso. Quanto predisposto da decenni di progresso medico scientifico non sta producendo più i risultati auspicati ed anzi appare essere esso stesso fattore di concausa ed origine di una nuova emergenza sanitaria.
Le organizzazioni sanitarie del Pakistan, India e Bangladesh si trovano a fronteggiare infezioni batteriche che risultano resistenti ai farmaci antibiotici ed antimicrobici con esiti fatali. Ma sono questi stessi antibiotici ed antimicrobici usati in agricoltura o negli allevamenti intensivi ad aver prodotto dei super batteri veicolati da super microrganismi davvero resilienti ai farmaci che hanno curato malattie fatali per l’uomo negli anni ’50, ’60 e ’70 e che ora non stanno salvando più le vite come in precedenza. Le infezioni batteriche già conosciute da decenni di esperienza medica appaiono decisamente più resistenti agli antibiotici determinando un impegno sanitario quintuplicato per le cure ospedaliere e farmacologiche, e un gran numero di morti imprevisto.
- Details
- Hits: 1308
Valore-lavoro e il lavoro come valore
di Temps Critiques
Il saggio Sur la valeur-travail et le travail comme valeur è stato originariamente pubblicato su Temps critiques, 15 Novembre 2021 ed è consultabile su Sur la valeur-travail et le travail comme valeur. Successivamente è stato ripubblicato su Lundimatin #313 e in versione inglese in Ill Will, 29 Dicembre 2021, consultabile su Labor Value and Labor as Value. Di seguito la traduzione a cura di J. Cantalini.
«Questo sono io» Il discorso performativo del Potere
Con i suoi attacchi contro assistenzialismo e reddito garantito, il discorso pronunciato da Macron il 9 novembre 2021 sul valore-lavoro (o sul lavoro “come valore”) è stato, in prima battuta, poco più di un revival di ciò che Jospin[1] aveva già detto nel 1998 durante il mouvement des chômeurs (movimento dei disoccupati), conclusosi nel 2001 con la creazione di un bonus assunzioni, che si sarebbe gradualmente trasformato in premio di produzione dopo il 2006; e poi, una replica di quello di Sarzoky sul «lavorare di più, guadagnare di più», pronunciato a proposito dell’introduzione di straordinari esentasse. Ciononostante, le misure adottate o proposte oggi (premi di produzione, “indennità inflazione”) contraddicono quanto dichiarato inizialmente da Macron, in quanto investono sull’individuo-consumatore bisognoso piuttosto che sull’individuo produttivo e creativo. In altre parole, non è il valore del lavoro e il conseguente salario («il potere del lavoro» secondo la dichiarazione rilasciata a Le Monde l’11 novembre da Aurélien Purière, direttore della Sécurité sociale) che il governo sta tentando di migliorare, ma il potere d’acquisto stesso, senza che intervenga il minimo cambiamento nel rapporto di potere tra capitale e lavoro. È da questo che dipende l’assenza di pressioni sul capitale e di aumento dello SMIC[2], mentre compaiono solo calcoli sofisticati, a quanto pare troppo complessi persino per il ministro del Lavoro Bruno Le Maire, cosa che il Presidente intende chiarire[3]. A livello più generale, è la stessa logica che è stata applicata durante il movimento dei Gilet jaunes, ossia la previsione di un bonus suppletivo al premio di produzione e un bonus concesso a titolo eccezionale dal governo Macron.
- Details
- Hits: 1764
Il Capitale, per molti e non per pochi
di Sebastiano Taccola
Roberto Fineschi riesce a tenere insieme complessità e divulgazione della teoria di Marx, disegnandola come una «cassetta degli attrezzi» per analizzare il modo di produzione capitalistico
Negli scorsi anni, anche grazie alle celebrazioni del bicentenario della nascita, in Italia (e nel mondo) si è assistito a un intensificarsi delle pubblicazioni su Karl Marx. Testi nuovi e di carattere diverso – divulgativo e scientifico, ammesso che sia possibile fare una distinzione netta tra questi due piani – hanno riportato Marx e il marxismo sugli scaffali delle novità delle nostre librerie e biblioteche. Una simile vitalità ha probabilmente un valore duplice: da un lato, ha rappresentato un’espressione dell’esigenza di un «ritorno a Marx» fortemente avvertita con la crisi economica del 2007-2008; dall’altro lato ha tentato di dare nuovi spunti critici in grado di entrare in sinergia con i fermenti del presente e dare loro nuova forza.
Se all’estero sono stati soprattutto studiosi come David Harvey o Michael Heinrich a tentare di riportare all’attenzione del grande pubblico la teoria dell’autore del Capitale, in Italia, invece, c’è stata più timidezza (con alcune eccezioni, come ad esempio il Karl Marx di Marcello Musto e la Storia del marxismo curata da Stefano Petrucciani). Del resto, gli addetti ai lavori conoscono bene la difficoltà di sciogliere e rendere comprensibili i nodi e i passaggi più complessi della teoria marxiana del Capitale, pur essendo altrettanto consapevoli della necessità di compiere questo lavoro. Non si tratta tanto di divulgare Il capitale di Marx, ma di operare nelle maglie della società e della cultura contemporanee per radunare un nuovo pubblico per quest’opera: un’opera di scienza, le cui categorie possono aiutarci a spiegare la riproduzione e l’ampliamento delle più diverse forme di sfruttamento oggi in atto. Le sfruttate e gli sfruttati non mancano. Si tratta di tentare di tessere i fili nella direzione giusta.
- Details
- Hits: 2368
Poche note sulla questione delle classi
di Alessandro Visalli
Tema della "composizione di classe": dopo gli interventi, nei numeri scorsi di "Cumpanis", di Alessandro Testa e Carlo Formenti, pubblichiamo questo articolo di Alessandro Visalli, architetto, docente all' Università degli Studi "La Sapienza" di Roma
In questo breve intervento sarà prodotta qualche divagazione a partire dai numerosi stimoli che derivano dai lavori di Alessandro Testa, “La lotta di classe oggi: tra teoria del valore ed organizzazione del lavoro”, e Carlo Formenti, “Composizione socioeconomica e composizione sociopolitica, questioni di metodo”.
Il mio omonimo Alessandro Testa parte dal concetto di “lotta di classe” (formula composta che, come proveremo ad argomentare, è utile pensare come inerente non già al suo apparente oggetto, ‘classe’, quanto al sostantivo ‘lotta’), e lo collega a modalità ‘tipiche’ del capitalismo e ‘specifiche’ del modo in cui questo crea il ‘valore’. Ovvero, in altri termini, a come questo organizza il lavoro a partire da specifici rapporti sociali.
Per entrare subito nel tema si può prendere un esempio. Come sottolineato anche da Carlo Formenti nel secondo capoverso la giusta istanza di analisi rigorosa dei mutati termini di formazione del lavoro e della classe consente, nella sua formulazione, al lettore meno attento di scivolare sul rischio sempre presente di oggettivare la ‘classe’. Accade perché viene auspicata una ‘analisi scientifica’ di essa. Sovrapponendo con ciò la confusa incertezza su cosa si intenda esattamente con ‘scienza’ a quella su cosa sia la ‘classe’ e quale materialmente sia. Intendiamoci, Testa fa bene a dirlo. Una ricerca sistematica, razionale, ben fatta, della sociologia e socioantropologia delle relazioni e rapporti sociali e dell’organizzazione del lavoro è utile e necessaria. Ma il lemma della (o delle) “lotte di classe”, o della/e lotta/e della/e classe/i è guidato dal sostantivo ‘lotta’ (e dal verbo “lottare”) e non dall’oggetto ‘classe/i”. Esiste quindi un limite insuperabile alla sua oggettivazione come conoscenza data.
Page 164 of 612
Gli articoli più letti degli ultimi tre mesi
Carlo Di Mascio: Diritto penale, carcere e marxismo. Ventuno tesi provvisorie
Carlo Lucchesi: Avete capito dove ci stanno portando?
Carlo Rovelli: Una rapina chiamata libertà
Agata Iacono: Cosa spaventa veramente del rapporto di Francesca Albanese
Barbara Spinelli: La “diplomafia” di Trump: i dazi
Domenico Moro: La prospettiva di default del debito USA e l'imperialismo valutario
Sergio Fontegher Bologna: L’assedio alle scuole, ai nostri cervelli
Giorgio Lonardi: Il Mainstream e l’omeopatia dell’orrore
Il Pungolo Rosso: Una notevole dichiarazione delle Brigate Al-Qassam
comidad: Sono gli israeliani a spiegarci come manipolano Trump
Alessandro Volpi: Cosa non torna nella narrazione sulla forza dell’economia statunitense
Leo Essen: Provaci ancora, Stalin!
Alessio Mannino: Contro la “comunità gentile” di Serra: not war, but social war
Sonia Savioli: Cos’è rimasto di umano?
L'eterno "Drang nach Osten" europeo
Gianni Giovannelli: La NATO in guerra
BankTrack - PAX - Profundo: Obbligazioni di guerra a sostegno di Israele
Alessandro Volpi: Come i dazi di Trump mettono a rischio l’Unione europea
Marco Savelli: Padroni del mondo e servitù volontaria
Fulvio Grimaldi: Siria, gli avvoltoi si scannano sui bocconi
Mario Colonna: Il popolo ucraino batte un colpo. Migliaia in piazza contro Zelensky
Enrico Tomaselli: Sulla situazione in Medio Oriente
Gianandrea Gaiani: Il Piano Marshall si fa a guerra finita
Medea Benjamin: Fermiamo il distopico piano “migliorato” di Israele per i campi di concentramento
Gioacchino Toni: Dell’intelligenza artificiale generativa e del mondo in cui si vuole vivere
Fulvio Grimaldi: Ebrei, sionismo, Israele, antisemitismo… Caro Travaglio
Elena Basile: Maschere e simulacri: la politica al suo grado zero
Emiliano Brancaccio: Il neo imperialismo dell’Unione creditrice
Gli articoli più letti dell'ultimo anno
Carlo Di Mascio: Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista
Giovanna Melia: Stalin e le quattro leggi generali della dialettica
Emmanuel Todd: «Non sono filorusso, ma se l’Ucraina perde la guerra a vincere è l’Europa»
Andrea Del Monaco: Landini contro le due destre descritte da Revelli
Riccardo Paccosi: La sconfitta dell'Occidente di Emmanuel Todd
Andrea Zhok: La violenza nella società contemporanea
Carlo Di Mascio: Il soggetto moderno tra Kant e Sacher-Masoch
Jeffrey D. Sachs: Come Stati Uniti e Israele hanno distrutto la Siria (e lo hanno chiamato "pace")
Jeffrey D. Sachs: La geopolitica della pace. Discorso al Parlamento europeo il 19 febbraio 2025
Salvatore Bravo: "Sul compagno Stalin"
Andrea Zhok: "Amiamo la Guerra"
Alessio Mannino: Il Manifesto di Ventotene è una ca***a pazzesca
Eric Gobetti: La storia calpestata, dalle Foibe in poi
S.C.: Adulti nella stanza. Il vero volto dell’Europa
Yanis Varofakis: Il piano economico generale di Donald Trump
Andrea Zhok: "Io non so come fate a dormire..."
Fabrizio Marchi: Gaza. L’oscena ipocrisia del PD
Massimiliano Ay: Smascherare i sionisti che iniziano a sventolare le bandiere palestinesi!
Guido Salerno Aletta: Italia a marcia indietro
Elena Basile: Nuova lettera a Liliana Segre
Alessandro Mariani: Quorum referendario: e se….?
Michelangelo Severgnini: Le nozze tra Meloni ed Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno
Michelangelo Severgnini: La Libia e le narrazioni fiabesche della stampa italiana
E.Bertinato - F. Mazzoli: Aquiloni nella tempesta
Autori Vari: Sul compagno Stalin
Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF
A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio
Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata
Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung
Daniela Danna: Covidismo
Alessandra Ciattini: Sul filo rosso del tempo
Davide Miccione: Quando abbiamo smesso di pensare
Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
Qui una anteprima del libro
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto