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A volte ritorna. Il dibattito su reddito di cittadinanza e simili, prima della crisi
di Redazione
Il successo del Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni ha riportato all'attenzione dei giornali la proposta sul reddito di cittadinanza. Riportiamo una serie di articoli pubblicati da "il manifesto" nel 2006 sul basic income e sulle forme simili di sostegno al reddito, gentilmente segnalata da Riccardo Bellofiore. Il dibattito parte da un articolo di Giovanna Vertova del 4 giugno 2006. Seguono interventi di Fumagalli-Lucarelli; Masi; Bricchi; Sacchetto-Tomba; Morini; Chainworkers; Bellofiore-Halevi; Tajani; Gambino-Raimondi; Valentini; Ciabatti; Freschi.
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Il manifesto - 4 giugno 2006
Giovanna Vertova (*)
È uscito recentemente il libro Reddito garantito e nuovi diritti sociali, frutto di una ricerca dell’Assessorato al Lavoro, Pari Opportunità e Politiche Giovanili della Regione Lazio. L’idea è di offrire delle linee guida alle amministrazioni regionali che intendono proporre forme di basic income. Il volume è importante per due motivi. Formula una proposta politica precisa di reddito garantito, all’interno di una visione più complessa che mira alla revisione ed all’aggiornamento di un sistema di welfare per adeguarlo al nuovo capitalismo flessibile. Fornisce, inoltre, una dettagliata analisi di simili iniziative a livello europeo.
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Ripensare i fondamenti per la sinistra: ‘libertà’
di Alessandro Visalli
Gianpasquale Santomassimo, recentemente, ha scritto nel tempio della sinistra-sinistra mainstream, Il Manifesto, che dopo questa sconfitta epocale “senza ripensare tutto sarà impossibile ripartire”. Come scrive Fabrizio Marchi su l’Interferenza, ha proprio ragione.
Ma ripensare tutto, che significa?
Bisognerebbe intanto capire meglio che cosa designiamo con ‘sinistra’, perché in essa convergono tradizioni e culture non sempre compatibili, ed in particolare bisognerebbe riguardare alla storica opposizione tra ‘liberalismo’ e ‘socialismo’ ed alle loro reciproche ragioni; da questo angolo ripensare alla differenza tra ‘cosmopolitismo’ e alle ragioni, non tutte innocue, per le quali alcuni socialismi e pressocché tutte le sinistre oggi lo sposano (anche se a volte sotto l’etichetta di ‘internazionalismo’, che a guardare l’etimo ha la potenzialità di avere diverso significato). Su questo sentiero si incontra da una faccia diversa lo stesso europeismo, progetto storicamente essenzialmente liberale, e spesso della versione di destra di questo. E si incontra anche l’universalismo: specificamente quella versione intrecciata all’utilitarismo che sta alla radice, non vista, della presunzione di beneficio globale da attribuire alla libertà di movimento, dunque alle immigrazioni/emigrazioni senza limiti.
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Stati Uniti e Cina nell’era Trump
di Maurizio Scarpari
L’irrompere sulla scena di Donald Trump ha prodotto grande sconcerto e uno scompiglio istituzionale di dimensioni impensabili negli Stati Uniti e nel mondo, mettendo in discussione la validità e la solidità del modello di governance occidentale e del concetto stesso di democrazia.[1] Per molti, la politica riconducibile allo slogan “America First” e l’arrogante determinazione con cui viene portata avanti starebbero minando la reputazione e la posizione dominante dell’America nel mondo, favorendo la Cina, pronta a cogliere ogni opportunità per promuovere le proprie relazioni economiche e migliorare la propria immagine internazionale, proponendosi come potenza consapevole delle proprie responsabilità, rispettosa delle regole internazionali e fautrice di un nuovo ordine in grado di rispondere alle esigenze di un mondo sempre più interconnesso e globalizzato.[2]
Ci si chiede se stiamo assistendo al declino degli Stati Uniti e, più in generale, dell’Occidente in favore di una Cina destinata a diventare entro il 2050 il “grande paese socialista moderno, prosperoso, forte, democratico, culturalmente avanzato, armonioso e bello”[3] di cui ha parlato con orgoglio Xi Jinping in apertura del 19° Congresso del Partito comunista cinese (Pcc) nell’ottobre 2017 come alcuni sostengono, o se sta avvenendo, piuttosto, un semplice riposizionamento funzionale al mantenimento dello status quo.
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Per la rivoluzione e per la controrivoluzione: Gramsci e Gentile
di Emiliano Alessandroni*
Nei Quaderni del carcere, allorché si trova a illustrare il concetto di unità tra teoria e pratica, e tra storia e filosofia, Antonio Gramsci insisterà più volte sull'affermazione di Engels secondo cui, non già una corrente culturale, ma il proletariato tedesco in carne e ossa sarebbe l'autentico «erede della filosofia classica tedesca»1. Quelle spinte universalistiche che lo sviluppo, ancorché critico, dell'Aufklärung avevano sprigionato, sotto l'influsso di un evento di portata mondiale come quello della Rivoluzione Francese, trovavano ora una nuova incarnazione nelle lotte di classe ai tempi di Engels e in un'altra Rivoluzione dagli effetti planetari, come presto fu quella dell'Ottobre, ai tempi di Gramsci.
Diametralmente opposto, a tal proposito, risulta il giudizio di Giovanni Gentile. Per questi, tutte le lotte ingaggiate dai ceti subalterni per acquisire diritti sociali e i tentativi di sollevazione da parte delle masse popolari, costituiscono una forza anetica e materialistica suscettibile di disgregare lo spirito statale. Egli condanna quest'ascesa a partire dal superamento delle restrizioni censitarie nel suffragio, affermando che con l'estensione del diritto di voto «il potere centrale dello Stato» si è visto «indebolito, piegato al vario atteggiarsi della volontà popolare attraverso il suffragio popolare»2.
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La società italiana dopo dieci anni di crisi
di Leonardo Mazzei
Pubblichiamo l'inchiesta di Leonardo Mazzei presentata alla II. Assemblea del Movimento Popolare di Liberazione-Programma 101 svoltasi il 10 e l'11 marzo
Premessa: le dinamiche di fondo di una globalizzazione in crisi ed il nodo europeo
La globalizzazione è in crisi, ma non per questo i suoi tremendi effetti sociali stanno venendo meno. Riduzione dei salari, disoccupazione, precarietà, delocalizzazioni. Tutti questi mali non sono certo soltanto italiani. Ciò vale pure per le conseguenze di tali cambiamenti strutturali, dalle minori tutele sindacali all'innesco di una continua "guerra tra poveri", alimentata anche dai flussi di forza-lavoro straniera.
Quel che peggiora ulteriormente la situazione del nostro Paese è l'austerità imposta dall'Unione Europea e dalle regole del "Dio Euro" cui tutto dev'essere sacrificato. Nell'esaminare, sia pure in maniera molto sintetica, i cambiamenti intervenuti in questi 10 anni di crisi, è perciò necessario considerare innanzitutto il peso delle scelte politiche derivanti dall'appartenenza - oltretutto in posizione subalterna - alla gabbia eurista.
1. Austerità e povertà in Italia
L'aumento della povertà in Italia è semplicemente drammatico. Le fredde statistiche non possono dirci tutto, ma certamente aiutano a capire il fenomeno. Quelle di Istat ed Eurostat raggruppano i diversi tipi e gradi di povertà in tre categorie: a) le persone a rischio di povertà ed esclusione sociale, b) le persone in situazione di grave deprivazione materiale, c) i poveri assoluti.
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Intelligenza Artificiale e Capitale
di Tomasz Konicz
Nella Singolarità attesa con ansia alla Silicon Valley, emerge il soggetto automatico
"Quello a cui stai giocando, può arrivare al 2° livello?"
(Nick Land)
L'umanità, è pronta a servire devotamente i robot, che ben presto saranno fra noi? Questa domanda, che spesso appare nei prodotti-spazzatura dell'industria culturale, potrebbe ben presto diventare abbastanza reale, secondo quella che è l'opinione di molti critici della ricerca sull'Intelligenza Artificiale (AI). Nel caso che i robot volessero ancora governare l'umanità - e non decidessero di volersi liberare rapidamente di questi irritanti "sacchi di carne", facendo uno spietato remake del film Terminator.
Le voci che ci mettono in guardia circa la ricerca, in gran parte non regolamentata, sull'Intelligenza Artificiale, che viene svolta nei laboratori delle grandi imprese internazionali nel campo dell'alta tecnologia, ultimamente sono sempre più ascoltate - e provengono da una vasta gamma di figure di spicco della comunità scientifica e tecnologica. [*1]
Per Stephen Hawking, fisico noto a livello mondiale, la scoperta qualitativa cruciale avvenuta relativamente alla ricerca sull'Intelligenza Artificiale - a cui ci si riferisce spesso, nell'ambito dell'Intelligenza Artificiale, con il termine di "Singolarità" - potrebbe coincidere con la "fine dell'umanità". [*2] Essa «si distinguerebbe da sé sola, si modificherebbe ad una velocità sempre più crescente. Gli esseri umani, limitati dall'evoluzione biologica, non potrebbero competere con essa e verrebbero eliminati».
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Hikikomori e altri orrori
Il vuoto incombente di un presente senza futuro
di Mario Lupoli
«Può darsi che, per il condannato a morte, l'ultimo spazio di tempo che gli rimane passi così, inarrestabile e inutilizzato» (T. W. Adorno).
«Chi ha visto delle maschere a una festa da ballo danzare amichevolmente insieme, e tenersi per mano senza conoscersi, per lasciarsi subito dopo, senza più rivedersi né rimpiangersi, può farsi un'idea di quel che è il mondo» (L. de Clapiers).
La porta sempre chiusa separa da una stanza in penombra. L’unica luce che svela qualcosa è quella blu del PC, in collegamento con il mondo virtuale. A terra il vassoio con gli avanzi di un pasto consumato distrattamente, in attesa che una madre con gli occhi rassegnati si appresti a portarlo via.
È la camera tipo di un hikikomori. Hikikomori è il termine giapponese che definisce un numero crescente di giovani, spesso giovanissimi, che chiudono le porte al mondo reale, si rintanano in un isolamento quasi totale, rotto in genere solo attraverso dispositivi elettronici. Ogni tipo di legame non viene «solamente liquefatto, ma rigettato, annientato e dissolto» (1). L’uso ludico del computer consente di occupare le ore evitando che «il senso del vuoto sia troppo incombente» (2), che il tempo si prolunghi senza nulla che possa interrompere quella monotona, infinita notte artificiale. Come era stato colto da Adorno, è proprio la durata che infatti «genera un orrore intollerabile» (3) nelle notti insonni.
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Gli economisti non sanno più contare
B.Quattrocchi e V.Bilancetti intervistano Christian Marazzi
Dietro la modesta ripresa economica interrotta dal susseguirsi di flash crash dei mercati finanziari, si nasconde l’incapacità dei modelli economici dominanti di leggere la realtà. Sullo sfondo, la svolta autoritaria del neoliberismo
Dopo un lungo periodo di relativa stabilità dei mercati finanziari a inizio febbraio si sono manifestate delle nuove turbolenze. Sono state fornite diverse spiegazioni contrastanti sull’origine di questo flash crash. I più pessimisti parlano dell’inizio di una nuova ondata di crisi, altri dicono che è il risultato di una ‘eccessiva autonomia’ degli algoritmi che controllano oltre il 60% delle transazioni nelle borse mondiali e sono capaci di determinare vere e proprie profezie auto-avveranti, altri analisti invece – e questo è il dato più interessante – spiegano la volatilità dei mercati con la ripresa dei salari in Usa e con l’accordo salariale che l’IG Metal ha raggiunto in Germania. Ne abbiamo parlato con Christian Marazzi, economista, docente presso la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana.
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Partiamo da questi dati sui salari americani, che hanno non poco contribuito a far precipitare le borse, anche se in modo circoscritto. Questi dati si riferiscono solo all’ultimo trimestre, quello precedente a febbraio, eppure questa informazione è stata trascurata nel dibattito. Leggendo questi dati sull’innalzamento dei salari bisogna tenere in considerazione che nei mesi invernali i lavoratori a bassi salari non lavorano o lavorano meno. Basti pensare al settore dell’edilizia, l’indice è salito, perché è aumentata la parte dei salari medio alti. Gli algoritmi sono scattati sulla base di questo dato distorto, una sorta di fake news, che però ha fatto partire una serie di reazioni a catena “come se” i salari americani fossero veramente aumentati.
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Mario Galati, sulle letture di Macerata: ragione e colonialismo
di Alessandro Visalli
Nella seconda parte della risposta di Eros Barone e Mario Galati al mio testo su Macerata “Lo scontro delle secolarizzazioni”, sono trattati i temi: la violenza e le sue cause e quindi la questione dello “scontro delle secolarizzazioni”; l’interpretazione concettuale dei processi di astrazione del lavoro e della mobilità interregionale; la riaffermazione dell’importanza dell’irrazionale dei riti e del simbolico, con il riferimento alla ‘religione del capitalismo’ e la ‘questione della tecnica’. Nell’ambito di una divisione del lavoro concordata tra di loro, Eros Barone aveva invece scelto di trattare i seguenti temi: della mia accusa, a suo dire, di schematismo e tradizionalismo nei suoi confronti; della dinamica di emigrazioni ed immigrazioni; della proposta di politica economica alternativa e dell’interpretazione dell’ultimo Marx.
Si tratta quindi di un apprezzabile e raro dialogo nel merito al quale non posso sottrarmi: al testo di Barone (“Fisica e metafisica dei fatti di Macerata”) ho quindi già risposto in “Eros Barone, circa ‘fisica e metafisica’: internazionalismo, sinistra e immigrazione”, a quello di Galati (“Ancora su ‘letture del dramma di Macerata’”) lo faccio ora.
Come già detto Si tratta di una sequenza di post che su Sinistrainrete partiva dalla pubblicazione di “Sui fatti di Macerata”, un dialogo con Roberto Buffagni, e che nelle sue articolazioni ha avuto più o meno 3.000 letture.
Per venire al testo, Mario Galati muove da quella che ritiene essere una citazione da un testo di Samir Amin (l’unico autore, tra quelli citati, che i due amici reputano essere adeguatamente marxista).
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Manhattan. Dai laboratori del nucleare alla guerra generalizzata all'essere vivente
di Jean-Marc Royer
Se le due prime parti di questo libro partono da quella che è una storia completamente diversa del Nucleare, è la sua terza parte - agli occhi dell'autore, la più importante - che ambisce a trarre le conclusioni relative alla sfera teorica, storica, filosofica e politica. Va qui precisato che non si tratta di fare un qualche riassunto del libro, ma lo scopo di questa presentazione è quello di attrarre l'attenzione del lettore su degli aspetti che vengono considerati essere i più importanti. Di conseguenza, il lettore non troverà la cosiddetta base argomentativa di alcune delle affermazioni qui avanzate
1 - Se questa fosse solamente un'altra storia del Nucleare, quale sarebbe la sua specificità?
Solo un attento studio degli archivi disponibili, ha permesso di cogliere le gigantesche dimensioni storiche, politiche e industriali dell'evento nucleare che ha cambiato il volto del mondo (sia in senso proprio che in senso figurato); ha permesso di comprendere nel dettaglio in che modo gli Stati Uniti hanno usato il nucleare allo scopo di attribuirsi il ruolo di gendarme del mondo, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale [*1], e, più in generale, come i complessi (scientifici-militari-industriali) che ne sono stati all'origine abbiano finito per infettare tutti gli apparati statali. Ma questo non sarebbe stato sufficiente a poter cogliere il fenomeno in tutte le sue dimensioni: bisognava anche tornare indietro nel tempo per riuscire a restituire a questi avvenimenti tutta la loro profondità.
Fondamentalmente, il nucleare dev'essere caratterizzato come il primogenito della scienza dell'inizio del XX secolo, in quanto esso proviene dalle teorie della relatività e dalla fisica delle particelle. Tuttavia, la storia che viene raccontata in questo libro si tiene lontana da qualsivoglia approccio esclusivamente tecnico o scientifico.
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Le pensioni fanno gola ai mercati
Ecco perché l’Europa chiede le riforme
di coniarerivolta
Nel dibattito politico recente si è parlato in lungo e in largo della famigerata Riforma previdenziale Monti-Fornero. Questo provvedimento, che ha avuto forti impatti restrittivi sui diritti pensionistici, è tuttavia soltanto il punto di arrivo di un processo di continue riforme in campo previdenziale avviato da ormai venticinque anni.
Avviato dal 1992 con la prima grande controriforma Amato, proseguito con la legge Dini nel 1995 e poi con successive riforme “minori”: Prodi (1997), Maroni (2004), Damiano (2007), Sacconi (2011) e infine la Fornero (2011-12), il groviglio di mutamenti legislativi ha seguito un iter coerente le cui direttrici fondamentali sono state almeno cinque:
- l’aumento dell’età pensionabile di vecchiaia, ovvero l’età minima per poter accedere alla pensione per motivi anagrafici;
- il progressivo aumento del numero di anni necessari per la pensione di anzianità, ovvero quella ottenibile in base al numero di anni lavorati, fino alla sua totale abolizione, avvenuta con la legge Fornero che l’ha sostituita con la pensione anticipata strutturata tuttavia come opzione penalizzante.
- il passaggio dal sistema retributivo, in cui la pensione è pagata in base al livello dei redditi ricevuti durante la vita lavorativa, a quello contributivo, nel quale la pensione è pagata in base ai contributi versati effettivamente all’INPS;
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Dopo le elezioni. Il fantasma di Nicolò Bombacci
di Gianni Giovannelli
Il complesso marchingegno elaborato dal Partito Democratico e da Forza Italia non ha prodotto il risultato che gli autori speravano. Come accade nei cartoni al celebre Wile E. Coyote la legge elettorale non è servita a nulla e, anzi, ha danneggiato sia Matteo Renzi sia Silvio Berlusconi. Si è rivelata l’ennesima tecnologia difettosa e d’uso impossibile, fornita dal vecchio ceto politico tramite una sorta di Acme Inc. Ancora una volta il velocissimo Beep Beep (Lega e/o Movimento 5 Stelle) ribalta le previsioni e sfugge alla trappola, mentre cadono vittime del loro stesso piano coloro che lo avevano ideato.
Senza dubbio non giunge inattesa una composizione delle due camere che non consente, al momento, di individuare una maggioranza certa. Il Centro Destra era, d’altro canto, l’unica coalizione che, in astratto, poteva raggiungere il risultato, pur trattandosi di eventualità non molto probabile, anche se non esclusa in partenza. E ha fallito l’obiettivo, crollando nei collegi del meridione.
Per quanto tuttavia l’esito interlocutorio e la conseguente situazione di stallo fossero non solo previsti, ma forse anche in qualche modo promossi, la composizione dei futuri gruppi parlamentari ha invece colto di sorpresa, trovando impreparato l’intero apparato di governo. La ripartizione dei voti e l’assegnazione dei seggi determinano una situazione che rende incerto il nuovo assetto di gestione del potere legislativo e di composizione del potere esecutivo.
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Suggerimenti per un percorso inverso
Sul rifiuto del lavoro
di Ottone Ovidi
Intervento nel dibattito sul rifiuto del lavoro aperto da Anna Curcio qui e qui
Il 26 gennaio 2018 Econopoly, blog de Il Sole 24 Ore che «vuole parlare di economia in maniera seria e documentata», pubblicava un contributo di tale Enrico Verga che proponeva, dopo aver constatato che la condizione dei lavoratori salariati e di molti lavoratori autonomi fosse miserevole sotto il punto di vista sia dei diritti che della retribuzione, di ritornare alla schiavitù come base delle economia avanzate. Ovviamente promettendo poche frustate e tanto affetto da parte dei padroni, ricordando per certi versi Le dodici sedie, film diretto nel 1970 da Mel Brooks, dove il buon padrone, nonché nobile decaduto, Ippolit Vorobyaninov veniva ricordato così dal vecchio servo: «Era molto buono, ci picchiava solo la domenica!». Per altri versi, ma meno comicamente, può ricordare una delle più famose intuizioni di Karl Marx, quando diceva che «la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa».
Nello stesso periodo veniva data notizia dei nuovi braccialetti elettronici che Amazon avrebbe presto cominciato a far indossare ad ogni suo singolo lavoratore per controllarne e dirigerne il lavoro secondo i tempi e i ritmi decisi dall’azienda. In realtà, in questo caso, si trattava semplicemente di un aggiornamento tecnologico di un’impostazione del lavoro e della produzione che era già ampiamente diffusa nelle aziende più importanti del mondo. Nel caso specifico, le metodologie produttive di Amazon erano nel 2013 state indagate da Jean – Baptiste Malet nel suo libro – inchiesta En Amazonie: infiltré dans le “meilleur des mondes”.
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Tre proposte per ridurre il rapporto debito pubblico/PIL
di Enrico Grazzini
Tutti gli economisti e i politici riconoscono che il più grave e urgente problema che soffoca l’economia italiana è l’eccesso di debito pubblico. Tutti sono concordi: se il debito pubblico continua a crescere con questa dinamica diventerà insostenibile. La crescita reale del PIL italiano è attualmente di 1,5%, l’aumento dell’inflazione è pari a 0,8%, quindi la crescita nominale è del 2,3%, mentre gli interessi che paghiamo ai mercati finanziari sono pari a oltre il 3% del PIL. L’Italia produce ogni anno più debito che reddito. Come risolvere il problema ed evitare una crisi verticale dell’economia italiana?
Questo articolo si propone di esporre e di suggerire alcune possibili soluzioni mirate a diminuire il debito pubblico italiano e, più precisamente, a ridurre il rapporto debito/PIL.
Vale la pena citare innanzitutto alcuni dati che sono noti ma che è opportuno esplicitare in tutta la loro crudezza. Il debito pubblico italiano è pari a circa 2.218 miliardi di euro, cioè al 132,6 % del PIL che vale 1.672 mdi (dati Istat 2016). In valore assoluto il nostro debito segue solo quello degli Stati Uniti d’America, pari a 18.237 miliardi di dollari, Giappone, 10.557 miliardi e Cina, 5000 miliardi circa. Ma è il valore relativo rispetto al PIL che preoccupa: qui siamo dietro solo a Giappone, 200% sul PIL e Grecia, circa 175% . Soprattutto, il nostro debito pubblico cresce a spirale: lo stato italiano aumenta il suo debito per pagare gli interessi sul debito.
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Analisi SWOT di Potere al popolo
di nique la police
I risultati e le prospettive di Potere al popolo a livello nazionale, in una situazione di lento e velenoso declino del paese come la nostra, impongono qualche riflessione, di prospettiva, a freddo
Si tratta soprattutto di riflessioni legate alla possibilità di far crescere una forza di sinistra conflittuale in un paese che ha davanti a sé nuove ondate di ristrutturazione tecnologica, mutazioni sociali che si giocano tra invecchiamento demografico e uscita dal lavoro di intere aree del paese, nuovi spasmi nella contrazione dei beni pubblici nell’incapacità di disconnettersi dalla dipendenza della finanza globale. Per far emergere questo tipo di riflessione, lontana da esigenze di compulsiva ricerca del consenso o da botta e risposta su Facebook, torna utile lo schema delle analisi SWOT.
In poche parole, di una analisi che, più o meno schematicamente metta sul tavolo i punti di forza, quelli di debolezza, le opportunità e le minacce che stanno attorno al fenomeno osservato. E’ evidente che l’accelerazione del processo di costruzione di Pap dall’autunno scorso rendeva, fino a poco tempo fa, inutili questo genere di considerazioni. I processi di accelerazione in politica mettono, naturalmente, tra parentesi un tipo di analisi che non ha bisogno di velocità ma di silenziosa, lenta estensione.
Al contrario oggi questa analisi serve. Di fronte a processi che si daranno nella mutazione, di nuovo drammatica, di un paese grazie a fenomeni che sono già tra noi ma sono ancora lontani dai radar delle sinistre radicali, e di movimento, esistenti.
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Spannaus spiega le ragioni della rivolta degli elettori europei
di Davide Rossi
La rabbia contro l’Europa e l’euro che certo deborda oltre la ragionevole avversione al liberismo speculativo della casta eurocratica, nasce dalla consapevolezza dei cittadini della violenza e dell’imbroglio perpetrato contro i lavoratori delle nazioni europee da parte dell’élite politico – finanziaria che da un quarto di secolo ha provato, spesso riuscendoci, a imporsi attraverso una forzatura del consenso popolare. Col tempo il dogma ideologico liberista e speculativo è diventato la teoria politica di una dittatura oligarchica e tecnocratica, tuttavia l’assottigliarsi del consenso per i partiti popolari e socialdemocratici del vecchio continente testimonia, con tutta evidenza, che tale sistema è giunto al capolinea.
Spannaus con parole chiare e vibranti ci prospetta l’alternativa in “La rivolta degli elettori. Il ritorno dello stato e il futuro dell’Europa”. Si deve infatti rimettere al centro un progetto condiviso di Europa che parta dalla cooperazione tra gli stati e non dalla Commissione Europea e della Banca Centrale di Francoforte, un progetto capace di sostenere il lavoro produttivo e manifatturiero e non le speculazioni bancarie e le delocalizzazioni, un progetto volto a dispiegare decisive politiche sociali e non a tagliare i fondi per le pensioni, la scuola, la sanità.
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Robot: cosa significano per il lavoro ed il reddito?
di Michael Roberts
La recente apertura, da parte di Amazon, di un nuovo punto vendita nel seminterrato del suo quartier generale a Seattle, ha provocato più di una discussione sull'argomento di come il lavoro umano verrà ben presto spazzato via dall'espansione dei robot e dell'Intelligenza Artificiale.
Nel nuovo negozio, il quale è chiaramente un "pilot", i clienti entrano, controllano i loro smartphone, scelgono ciò che vogliono dagli scaffali ed escono di nuovo. Non ci sono né casse né cassieri. Al loro posto, invece, i clienti per prima cosa scaricano un'app sui loro smartphone e in questo modo le macchine che si trovano nel negozio capiscono di quale cliente si tratta e che cosa il cliente sta prelevando dagli scaffali. Nel giro di un minuto o due, prima che l'acquirente lasci il negozio, sul suo telefono appare un pop up, come ricevuta di tutti gli articoli che ha comprato. Questo genere di sviluppo della vendita "automatica" rispecchia quella che è un'altra automazione: negli uffici, nelle automobili senza conducente, nell'assistenza sociale e nel processo decisionale.
Tutto ciò significa che ben presto gli esseri umani verranno del tutto sostituiti da macchine intelligenti in grado di imparare e da algoritmi? In quanto ho scritto precedentemente, ho delineato una previsione di quelli che potrebbero essere i posti di lavoro che verranno perduti grazie ai robot, nel prossimo decennio o più. Sembra essere enorme: e non solo per quanto attiene al lavoro manuale nelle fabbriche, ma anche per quel che riguardano i cosiddetti lavori da colletti bianchi come il giornalismo, le banche e perfino gli economisti!
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Appunti postelettorali. Un tentativo di analisi gramsciana
di Angelo d’Orsi
Confesso: ho votato “Potere al Popolo”. Di malavoglia, lo ammetto; non già “turandomi il naso” perché condividevo (e condivido) ideali e sogni di quel popolo di sinistra che si è raggrumato sotto questa etichetta. Non potevo non votarlo, oltre tutto, avendo firmato un appello di intellettuali, sottopostomi dall’amico Citto Maselli, al quale appunto risposi: “Come faccio a dirti di no?”.
E poi, se non avessi votato per PaP, per quale lista avrei potuto votare? Se “Liberi e Uguali” fosse nato un anno prima (almeno!), se non avesse riciclato personaggi ingombranti, politici sconfitti, tromboni in cerca di una collocazione, se non avesse rivelato una continuità e contiguità con l’epoca renziana, sarebbe stata quella la scelta giusta, se non altro per recare danno al PD di Matteo Renzi: alla luce dei risultati, del resto, Renzi il danno se lo è arrecato da solo, anche se l’ultimo capitolo della sua vergognosa sceneggiata di dimissioni a rilascio ritardato, è il grottesco “Mi dimetto ma non mollo”. Una promessa che suona coma una minaccia. Certo, la tentazione di rinuncia al voto – o meglio di scheda annullata con una scritta del genere: “No alla nuova legge truffa!” – è stata enorme, in me come in tanti altri: votare significa comunque accettare le regole del gioco, e con il “Rosatellum”, come con la precedente legge elettorale, si trattava di un gioco truccato.
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Scandalo ong e orge, questo è il capitalismo
di Cecilia Zamudio (*)
ONG e orge: quando cadono le maschere, il volto del capitalismo fa paura
C’è un tema che di recente è sulla cresta dell’onda dei media dominanti, che mette in chiaro l’opposizione tra Riforma e Rivoluzione (che già sviluppava Rosa Luxemburg e che continua ad essere il nodo gordiano dei processi storici, particolarmente urgente oggi).
Si è venuto a sapere che dirigenti e lavoratori di Oxfam Haiti facevano orrende orge approfittandosi della miseria di donne e bambine, abusando di loro in quello sfruttamento aberrante che è la prostituzione; di fronte a questi fatti ci sono persone che si chiedono: “come è possibile che qualcuno che ‘lotta contro la povertà’ (sic!) possa essere un puttaniere e approfittare della miseria per abusare delle donne?” … I media dominanti sono pieni di tavole rotonde di pseudo esperti in “diritti umani e cooperazione internazionale”, in cui apparentemente i partecipanti si rompono la testa per capire questa questione: rappresentazioni destinate all’alienazione di massa.
Il fatto è che, per comprendere queste questioni in apparenza incompatibili (solo in apparenza), bisogna capire il ruolo del riformismo nella perpetuazione del sistema capitalista. La questione ha radice nel fatto che le ONG come Oxfam non lottano realmente contro la povertà: perché l’impoverimento è causato dal saccheggio e dallo sfruttamento perpetrati contro la maggioranza e contro il pianeta da un pugno di capitalisti; e le ONG non mettono in discussione né combattono il sistema. Mettono pezze, fanno rapporti che possono risultarci utili come documentazione (ma sempre tenendo conto della loro ideologia), si riuniscono in hotel e spendono in catering bilanci milionari e – come no … - perpetrano orge in paesi impoveriti da una storia di saccheggio coloniale e di saccheggio capitalista attuale, come Haiti o il Ciad.
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Eros Barone, circa "Fisica e metafisica": internazionalismo, sinistra e immigrazione
di Alessandro Visalli
Devo ringraziare lo sforzo di Eros Barone e di Mario Galati che si sono divisi il lavoro nel rispondere con grande attenzione e qualità argomentativa al mio testo su Macerata (qui nel mio blog e qui in Sinistrainrete). Nella risposta di Eros Barone “Fisica e metafisica dei fatti di Macerata”, a sua espressa indicazione, vengono trattati i temi: della mia accusa, a suo dire, di schematismo e tradizionalismo nei suoi confronti, avanzata nella mia replica (che quindi rovescia); della dinamica di emigrazioni ed immigrazioni; della proposta di politica economica alternativa e dell’interpretazione dell’ultimo Marx. Mentre nella risposta di Mario Galati “Ancora su ‘letture del dramma di Macerata’”, che leggeremo dopo, sarebbero trattati gli altri temi che i due individuano nel mio testo, ovvero: la violenza e le sue cause e quindi la questione dello “scontro delle secolarizzazioni”; l’interpretazione concettuale dei processi di astrazione del lavoro e della mobilità interregionale; la riaffermazione dell’importanza dell’irrazionale dei riti e del simbolico, con il riferimento alla ‘religione del capitalismo’ e la ‘questione della tecnica’. Si tratta di una sequenza di post che su Sinistrainrete partiva dalla pubblicazione di “Sui fatti di Macerata”, un dialogo con Roberto Buffagni, e che nelle sue articolazioni ha avuto più o meno 3.000 letture.
I due amici si sforzano nelle loro repliche di correggere i miei molti errori in termini di ortodossia marxista, e di questo li posso solo ringraziare.
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All'1% gli utili idioti dell'Uccidente
di Fulvio Grimaldi
La Siria di Ghouta e la Ghouta di Amnesty, Palmira e Babilonia, i nazifascisti in agguato, il gender e i migranti: quando i “sinistri” condividono distruzioni e distrazioni di massa
Quelli “del popolo”
Quelli che risultano più nauseabondi sono sempre gli ipocriti. A partire dal “manifesto” e da tutta la combriccola pseudosinistra dell’imperialismo di complemento, che volteggia nel vuoto dell’interesse e del consenso di un elettorato italiano che, per quanto disinformato o male informato sulle cose del mondo, ha dimostrato di badare più alla sostanza che alle formulette di palingenesi sociale incise sulle lapidi della sinistra che fu. E la sostanza ci dice che mettere tutti sullo stesso piano, 5Stelle e ologrammi nazifascisti, Putin e Trump, opposti imperialismi, migranti in fuga da bombe Nato e migranti attivati dalle Ong di Soros, jihadisti a Ghouta Est e truppe governative, a dispetto dell’immane e unanimistica potenza di fuoco mediatica, poi produce al massimo l’1 virgola qualcosina per cento. Brave persone, certo (esclusi i paraculi fessi dei GuE), ma fuori dal mondo, da chi è il nemico e da come si muove l’1% finanzcapitalista e tecno-bio-fascista nell’era del mondialismo e dell’high-tech. E, permettetemi una risatina, neanche bravi, ma di un narcisismo solipsista che rivela tratti patologici per quanto è dissociato dal reale, quelli della Lista del Popolo (Chiesa, Ingroia, bislacchi e farlocconi vari), trionfalmente giunti allo 0,02%. Ma si puo!
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Rileggere Roosevelt contro l’inerzia della crisi
di Claudio Gnesutta
Giovanna Leone, Maurizio Franzini, Giuseppe Amari e Adolfo Pepe rileggono, da angolature diverse, il ruolo di Roosevelt nella trasformazione del capitalismo del secondo dopoguerra. Nel confronto sottinteso con l’oggi risalta il suo spirito riformista e umanista
È nota l’argomentazione di Lakoff che i “progressisti” democratici, accettando le modalità di pensiero dei conservatori per paura di dire ciò in cui credono realmente, incontrino difficoltà nel costruire una narrazione persuasiva per i propri elettori e per quelli incerti. Rinunciando a prospettare una visione del mondo realmente alternativa depotenziano il loro linguaggio e l’immaginario ad esso correlato, indebolendo la carica emotiva rispetto allo status quo conservatore.
Non è il caso di Franklin Delano Roosevelt, quando alla Convenzione democratica del 2 luglio 1932 afferma che i “nostri leader repubblicani ci parlano di leggi economiche – sacre, inviolabili, immutabili – che causano situazioni di panico che nessuno può prevenire. Ma mentre essi blaterano di leggi economiche, uomini e donne muoiono di fame. Dobbiamo essere coscienti del fatto che le leggi economiche non sono fatte dalla natura. Sono state fatte da esseri umani”. Si tratta di un rovesciamento radicale delle priorità politiche repubblicane che percorre il suo Looking Forward – la raccolta degli articoli e dei discorsi sviluppati nel corso della sua campagna elettorale per le presidenziali del 1933 – la cui traduzione è apparsa in questi giorni per i tipi della Castelvecchi editore. Il libro, Guardare al futuro. La politica contro l’inerzia della crisi, a cura di Giuseppe Amari e Maria Paola Del Rossi ha un’introduzione di J. K. Galbraith e comprende anche il Discorso di insediamento (4 marzo 1933) e la Prima chiacchierata al caminetto sul bank holiday (12 marzo 1933) dello stesso Roosevelt, le due lettere inviategli da Keynes (del 1934 e del 1938) sul suo New Deal e un articolo su “Il popolo d’Italia” del 1933 nel quale Mussolini rivendica al fascismo l’originalità dell’interventismo rooseveltiano.
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La crisi della sinistra fra ipocrisia, metamorfosi e impotenza
di Francesca Donato
Il dibattito mediatico sorto in seguito al risultato del voto del 4 marzo si avvita in questi giorni attorno a due interrogativi fondamentali: le ragioni del crollo della sinistra, nelle sue varie declinazioni partitiche, e quelle del trionfo dei due partiti “populisti” Lega e M5S.
Entrambi i quesiti faticano ad ottenere risposte convincenti da parte degli esponenti dei partiti sconfitti, e le spiegazioni fornite dai vari giornalisti, opinionisti e politologi che sono cresciuti nutrendosi degli slogan funzionali al sistema di governo sino a ieri in forze, risultano altrettanto inconcludenti.
Per effettuare una corretta analisi della crisi della sinistra italiana, è necessario partire da un esame obiettivo dello stato di salute della sinistra in Europa, visto che facciamo parte dell’Unione europea, ma anche dall’esame della situazione politica d’oltreoceano, dato che viviamo in un mondo “globalizzato”.
Contrariamente a quanto affermato da vari commentatori, la débâcle della sinistra in Europa non è affatto omogenea.
Al di là dei casi di Germania, Austria e Paesi dell’est, in cui le forze politiche di destra o centrodestra sono cresciute a spese delle sinistre locali, vi sono altri Paesi in cui invece la sinistra, nella sua veste più “estrema” (cioè tradizionale), ha ultimamente guadagnato molte posizioni rispetto alle elezioni precedenti.
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Armi Nucleari e Grandi Potenze in un Contesto Multipolare
di Federico Pieraccini
In un ordine mondiale multipolare, con nazioni dotate di armi nucleari, la probabilità di un’apocalisse nucleare diminuisce. Il titolo dell’articolo e la premessa iniziale potranno sembrare controintuitive come affermazioni, ma dopo una lucida analisi si evince uno scenario inedito e per certi versi sorprendente
Una doverosa premessa iniziale. Quando parliamo di armi nucleari è bene mettere in chiaro alcuni importanti punti prima di addentrarsi in ragionamenti complicati. L’arma atomica è qui per restare e chiunque creda in un processo di progressiva denuclearizzazione del globo si sbaglia di grosso. Provate a chiedere a qualunque politico Indiano, Pakistano, Cinese, Russo, Nordcoreano o Americano cosa ne pensi dell’abbandono delle proprie armi nucleari. Vi risponderanno che non accadrà mai. Pretendere che una nazione rinunci spontaneamente alla sua più potente arma di deterrenza è semplicemente irrealistico. Ciononostante, vorrei enfatizzare quanto il paradosso della sicurezza derivante dalle armi nucleari sia attuale e centrale in questo articolo. Chiunque dotato di raziocinio potesse servirsi di una bacchetta magica, farebbe scomparire un’arma capace di eliminare la razza umana; il problema è che nel mondo reale questa ipotesi semplicemente non sussiste.
Vi è comunque una contro argomentazione molto valida, secondo cui l’assenza di armi nucleari avrebbe fortemente alterato l’equilibrio durante la guerra fredda, portando ad uno scontro devastante, seppur in termini convenzionali, tra le due superpotenze dell’epoca. In questo articolo proverò ad argomentare come l’arma nucleare possa, specie in futuro, essere garante di pace, piuttosto che di distruzione. Sempre tenendo a mente il grande rischio che l’umanità si è accollata con l’invenzione di un’arma così distruttiva. Una spada di Damocle sul destino dell’umanità, per queste ragioni soprattutto un bilanciamento tra potenze è necessario affinché si possa evitare per sempre una catastrofe nucleare.
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Contro il pensiero di Byung-Chul Han
Riflessioni critiche intorno alle tesi del filosofo sudcoreano autore di Psicopolitica
di Daniele Vazquez
Byung-Chul Han, nato a Seul nel 1959, già docente di Filosofia e Teoria dei Media presso la Staatliche Hochschule für Gastaltung di Karlsruhe, insegna ora Filosofia e Cultural Studies alla Universität der Künste di Berlino. È autore di saggi sulla globalizzazione e l’ipercultura
Byung-Chul Han ripete all’infinito come un mantra il suo pensiero per ipnotizzare e convincere con la violenza della ripetizione il lettore. Questo autore ha fatto a pezzi i migliori filosofi contemporanei e alcuni intoccabili del XX secolo come Hannah Arendt e Michel Foucault, entrando nel merito con molta arguzia di alcuni loro saggi e questo ci ha incantati e fatto superare alcune abitudini intellettuali. Ci ha liberati di molti concetti che andavano effettivamente superati e che nessuno osava criticare. Fin qui il mantra è stato davvero sparigliante. Tuttavia tra i silenzi di tale mantra, piccoli e significativi non detti, si intravedono scenari senza sbocco e una cultura dell’ineluttabile e della fatalità, molto probabilmente una eco heideggeriana, che finisce per coincidere con una cultura della auto-colpevolizzazione.
Dalla negatività alla positività
Diciamo subito che la sua dialettica della negatività non è affatto un modo di incedere teorico nuovo, ma un patrimonio della critica radicale del dopoguerra, i primi ad aver utilizzato un certo modo logico di avanzare nelle argomentazioni di Hegel e del giovane Marx per criticare il capitalismo, per il quale le lotte del proletariato vanno considerate come un movimento del negativo. Fondamentale in Han è il passaggio da una società in cui è la negatività a motivare gli individui e una in cui è la positività.
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