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Oltre Keynes
di Luca Benedini
Da Rocca, una rivisitazione prospettica dell’“economia keynesiana” alla luce delle dinamiche socio-politiche contemporanee – inclusa la spesso estrema debolezza delle classi lavoratrici – e in relazione con le tattiche economiche del “socialismo scientifico” marx-engelsiano
La situazione economica mondiale analizzata in Dietro le quinte dell’economia internazionale (Rocca n. 12/2016) sollecita delle riflessioni da cui poter poi sviluppare delle proposte alternative che affrontino pienamente i suoi nodi.
Mentre la tendenza alla “stagnazione secolare” non devia affatto – in sintonia con l’imperversare del neoliberismo nelle scelte economiche di quasi tutti i governi del globo – molti aspetti della situazione ricordano il mondo che John M. Keynes si trovava davanti negli scorsi anni ’30: un mondo dominato dal liberismo e pertanto caratterizzato da un ruolo molto limitato della pubblica amministrazione (P.A.), e tanto più proprio nel campo economico, contrassegnato da frequenti e drammatiche crisi cicliche collegate soprattutto a delle fasi di sovrapproduzione, di riadattamento ai continui cambiamenti tecnologici e di debolezza creditizia e monetaria.
Keynes mise in luce come, specialmente nelle fasi di crisi, la P.A. potesse non solo regolare con più duttilità e acume il credito e la moneta, ma anche utilizzare la spesa per investimenti e servizi pubblici e la redistribuzione dei redditi dalle classi privilegiate a quelle economicamente in difficoltà come stimoli “anticiclici” che risollevassero l’andamento economico e la produzione, accrescendo l’indebolita domanda complessiva di beni e servizi.
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Il Venezuela tra Costituente, crisi economica e violenza paramilitare
Intervista a Jose Miguel Gomez*
Domenica 30 luglio si vota per l’Assemblea Costituente mentre aumenta la violenza paramilitare dell’opposizione che lancia l’offensiva contro il governo chavista e annuncia che non riconoscerà l'esito delle elezioni (appoggiata da Usa e Colombia). Una conversazione con l’attivista venezuelano Jose Miguel Gomez per comprendere cosa accade in questo momento decisivo per il futuro del paese latinoamericano
Come ha segnalato la scorsa settimana Marco Teruggi da Caracas meno di due settimane fa Trump ha minacciato sanzioni contro il Venezuela se il governo procede con il processo Costituente, mentre le opposizioni di destra hanno annunciato un governo parallelo, la volontà di impedire le elezioni della Costituente e un aumento della mobilitazione che in questi giorni è stata un flop, principalmente basata sull’azione paramilitare minoritaria. Due settimane fa si sono tenute le prove di forza dei due schieramenti: le elezioni-farsa di un referendum dell’opposizione (che non ha dato prova pubblica alcuna dei numeri di votanti annunciati e ripetuti dai media internazionali) e contemporaneamente le elezioni di prova della Costituente, completamente invisiblizzate dalla stampa internazionale in cui hanno votato milioni di elettori.
Incontriamo a Buenos Aires Jose Miguel Gomez, co-fondatore della Comuna Pio Tamayo e della fabbrica autogestita di proprietà comune Proletarios Unios di Barquisimeto, a pochi giorni dalle elezioni dell’assemblea costituente. Lo abbiamo conosciuto due anni fa in Venezuela durante l’incontro internazionale Economia dei Lavoratori, uno spazio di riflessione, dibattito ed organizzazione tra ricercatori e studenti, lavoratori e lavoratrici dell’autogestione, delle fabbriche recuperate, delle cooperative, dei sindacati conflittuali impegnati nelle lotte per una economia dei lavoratori.
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Sarà invertendo l'austerità che si metterà fine alla depressione?
di Michael Roberts
Sono state le politiche della cosiddetta austerità la causa della Grande Recessione?. Se non ci fosse stata nessuna austerità non ne sarebbe conseguita alcuna depressione o stagnazione per quel che riguarda le principali economie capitaliste? Se è così, ciò significa che le politiche dei governi "austeri" sono state solo follia, del tutto basata sull'ideologia e sul cattive scelte economiche?Per i keynesiani, la risposta a tutte queste domande è "sì". E sono i keynesiani quelli che dominano il pensiero della sinistra e del movimento operaio come alternativa alle politiche pro-capitaliste. Se i keynesiani hanno ragione, allora la Grande Recessione e la conseguente Lunga Depressione avrebbero potuto essere evitate con un sufficiente "stimolo fiscale" all'economia capitalista per mezzo di una maggiore spesa pubblica in direzione di un deficit di bilancio (vale a dire, facendo a meno di equilibrare la spesa governativa e non preoccupandosi della crescita dei livelli del debito).
È certamente questa la conclusione di un altro articolo del centro-sinistra britannico, The Guardian. L'autore, Phil McDuff, sostiene che mantenere bassi i salari e tagliare la spesa pubblica, com'è stato fatto dai governi degli Stati Uniti e del Regno Unito, fra gli altri, è stata un'idea di "economia zombie" che è stata «continuamente screditata ma che continua a farsi strada camminando con andatura ondeggiante e barcollante nel nostro discorso pubblico.»
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Cosa sta accadendo in Venezuela? Un approfondimento
di ****
Lo scontro si va acuendo di giorno in giorno, sotto la spinta degli Stati Uniti a sostegno della destra golpista
Vi riproponiamo l’analisi complessiva della situazione, per come esce fuori dall’incontro stampa di qualche giorno fa tra analisti che il Sud America lo conoscono davvero.
Un incontro Stampa organizzata da ADIATV, Radio Città Aperta, Contrapunto Internacional e Rivista Nuestra America, con la partecipazione del professore dell’università Sapienza di Roma, Luciano Vasapollo e del giornalista Achille Lollo, profondi conoscitori del contesto latino americano, fa il punto sulla situazione in Venezela.
Come l’imperialismo attacca violentemente la costruzione “del Territorio Libero di America”.
* * * *
ADIATV – Il piano per destabilizzare il governo bolivariano di Nicolas Maduro, definito Freedom-2, fu implementato in Venezuela dagli agenti della CIA durante il governo del democratico Barak Obama. Oggi con il repubblicano Donal Trump cosa è cambiato?
Luciano Vasapollo: ” Assolutamente nulla! Freedom 2 ha ricevuto una silenziosa conferma da parte di Donald Trump, poiché in termini di geo-strategia, quando si tratta di colpire chi non vuole sottomettersi al comando imperiale, non ci sono differenze tra democratici e repubblicani.
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L’eterno ritorno della servitù volontaria
Riprendendo in mano l’intuizione di Etienne de La Boètie
di Pierluigi Fagan
Il testo di questo breve ed esplosivo saggio venne scritto originariamente a metà del 1500 da un giovane men che ventenne secondo quanto riferito dal suo grande amico, personale ed intellettuale, Michael de Montaigne. L’originale, aveva un doppio titolo, quello del Discorso che divenne poi il suo unico e conosciuto titolo ed un altro “Le Contr’Un” che si potrebbe tradurre come “Contro l’Uno”. La tesi è nota e già spiegata nel concetto di “servitù volontaria”: nella forma di gerarchia che informa le relazioni umane e sociali la funzione è certo dall’alto verso il basso ma la formazione originaria del sistema è probabilmente dal basso verso l’alto. Montaigne che rimase folgorato dalla tesi sosteneva che Etienne l’aveva scritta addirittura a sedici anni, forse diciotto. Possibile?
In fisica, si ritiene che dopo i trenta anni nessuno più avrà facoltà di avere idee originali. Il motivo è semplice, più si va avanti nell’età, più la mente assorbe schemi di pensiero esterni, storici e sociali, meno si ha facoltà di mantenere uno sguardo genuinamente stupefatto sulle cose, uno sguardo pulito ed originario, non ancora strutturato da vari tipi di fantasmi teorici. Del resto, nella favola “I vestiti nuovi dell’imperatore” scritta da Andersen nel 1837, chi ha la sfrontatezza di dire la verità semplice ovvero che “… il Re è nudo!” è appunto un bambino. Il bambino non ha ancora introiettato la convenzione sociale di dire quello che si pensa col sistema mentale attraverso cui tutti pensano. Quel sistema non può dire che il Re è ridicolo e quindi sostiene la finzione in maniera così vasta e pervasiva da far della finzione una realtà intersoggettiva che nelle umane società, è spesso la verità di fatto.
In più, La Boétie, crebbe in un milieu culturale fortemente influenzato dall’Umanesimo rinascimentale italiano, rappresentato nel suo ambiente dal vescovo del suo paese natale che era un cugino della famiglia Medici, il vescovo cattolico fiorentino Niccolò Gaddi.
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Reductio ad pueros
di Il Pedante
Dicembre 2016. A Port Said (Egitto) una pattuglia di polizia avvista una bambina coperta di stracci insanguinati che corre tra le macerie di un edificio abusivo in demolizione. Avvicinatisi, gli ufficiali vi trovano altre persone: un regista, due cameraman, un ragazzino e la famiglia della piccola, il cui sangue si rivela poi essere vernice rossa. Il gruppo finisce in commissariato. Lì il regista confessa ai poliziotti l'intenzione di realizzare e distribuire un finto reportage sulla crisi umanitaria di Aleppo, la città siriana a lungo assediata dall'esercito governativo di Bashar al-Assad.
Nello stesso mese gli oppositori del regime siriano diffondono sui social network la fotografia virale di un'altra bambina in corsa tra i cadaveri. Nonostante la maccheronica didascalia che la accompagna («It's not in Hollywood This real in syria»), l'immagine è in realtà tratta da un videoclip della cantante libanese Hiba Tawaji. Due anni prima, il 10 novembre 2014, il tema era stato declinato anche da una troupe cinematografica norvegese con un cortometraggio intitolato «Eroico ragazzo siriano salva la sorella da una sparatoria». Prima di ammettere che il film era un falso girato a Malta con attori professionisti e fondi inspiegabilmente pubblici, gli autori avevano incassato più di 5 milioni di visualizzazioni e scatenato l'indignazione di pubblico ed esperti per l'«uso di cecchini contro i bambini piccoli» da parte dell'esercito siriano.
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Attacco bipartisan alle pensioni
Quando la solidarietà tra generazioni diventa un dispositivo neoliberale
di Alessandro Somma
Due proposte di legge
La Commissione Affari costituzionali della Camera ha da poco iniziato l’esame di due proposte di modifica dell’articolo 38 della Costituzione, nella parte in cui menziona il diritto alla pensione e precisa che alla sua attuazione “provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”. Con la prima proposta, sottoscritta da parlamentari di maggioranza e opposizione, dal Pd ai Fratelli d’Italia, si vuole puntualizzare che il diritto alla pensione si attua “secondo principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni”1. La seconda proposta è stata presentata da deputati del Pd e ha un contenuto simile: vuole precisare che “il sistema previdenziale è improntato ad assicurare l’adeguatezza dei trattamenti, la solidarietà e l’equità tra le generazioni nonché la sostenibilità finanziaria”2.
Molti hanno accolto con entusiasmo il richiamo alla solidarietà tra generazioni, considerato una novità positiva per i pensionati di domani. Proprio su questo aspetto deve avere insistito una velina a cui evidentemente si deve un titolo molto gettonato dalle testate, che hanno sbrigativamente parlato di “norma salva-giovani”. Sono però mancate analisi più approfondite su una vicenda di notevole portata e impatto, tutto sommato passata sotto silenzio.
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Capitalismo, piattaforme e trasformazioni del lavoro
Dialogando a distanza con Benedetto Vecchi
di Michele Cento
Capitalismo delle piattaforme è una definizione precaria che ambisce a ricomporre la realtà in frammenti che viviamo ogni giorno. In virtù della sua precarietà, l’espressione si presta a evocare un mondo di mezzo, uno stadio di transizione che inizia con la crisi degli anni Settanta senza aver ancora concluso il suo ciclo, senza cioè aver raggiunto un assetto stabile che lo identifichi con precisione, come l’assetto fordista rendeva identificabile il capitalismo industriale. Più precisamente, lo suggerisce Benedetto Vecchi nel suo ultimo volume, con il quale vorremmo dialogare a distanza (Il capitalismo delle piattaforme, Manifestolibri, 2017), agli assetti certi il capitalismo delle piattaforme preferisce quelli a geometria variabile: è un agglomerato per sua natura instabile, rifiuta le vecchie «regolazioni» e mette a valore la presenza di identità diverse e non immediatamente riconducibili a unità, spacciando per ambivalenze quelle che sono le sue contraddizioni. In questo modo va dritto al cuore degli uomini: può dominarli perfino fuori dai tradizionali luoghi dello sfruttamento e fare a meno dell’intermediazione delle cose, grazie soprattutto all’intermediazione immateriale della Rete.
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Sull’intervista del capo della polizia Franco Gabrielli
di Turi Palidda
“C’è un quadro di Paul Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova unangelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa losguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovesciaai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti ericomporre l’infranto. Ma una tempesta che spira dal paradiso si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.
Così Walter Benjamin interpreta la celebra tela del pittore Paul Klee.
“L’attesa perpetuamente insoddisfatta della salvezza … un’attesa in cui l’essere umano è trascinato dal tempo e dal progresso, lasciando alle spalle le tragedie e gli orrori di cui i dominanti sono stati capaci, seminando morte e distruzione ovunque. Redimere questi orrori, cioè dare senso e rendere giustizia alle vittime, non è un compito che viene assunto e garantito dalla divinità o dalla storia dell’umanità. Le macerie della storia restano mute, non trovanogiustificazione … la storia dell’umanità è rimasta storia di sangue e morte. Così l’Angelo di Klee guarda angosciato il passato, mentre il vento (il tempo) lo spinge via, quando vorrebbe restare tra quelle vittime per tenerle strette asé, per garantire ad esse un significato di qualche tipo[1].
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La sinistra desolata
di Tim Barker
Non è un segreto che il collasso del comunismo internazionale, avvenuto dal 1989 al 1991, abbia costretto su posizioni difensive molti marxisti. Ciò che viene meno compreso è il perché siano stati così tanti altri a cogliere l'opportunità per abiurare alcuni di quelli che erano i principi più venerati del marxismo. Perry Anderson, in un saggio sorprendentemente ammirativo su Francis Fukuyama, scritto nel 1992, concludeva valutando sobriamente quello che rimaneva del socialismo. Al centro della politica socialista - egli scriveva - c'era sempre stata l'idea che un nuovo ordine di cose sarebbe stato creato da una classe operaia militante, «la cui auto-organizzazione prefigurava i principi della società a venire.» Ma nel mondo reale, questo gruppo «era diminuito in dimensioni ed in coesione.» Non è che si fosse semplicemente spostato dall'Ovest sviluppato ad Est; anche a livello globale, notava, «la sua ampiezza relativa proporzionalmente all'umanità diminuisce costantemente.» La conclusione era che uno principi fondamentali del marxismo era sbagliato. Il futuro ci offriva una sempre più piccola, disorganizzata classe operaia, incapace di realizzare il suo ruolo storico.
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A proposito di jus soli e di razzismo tra gli operai
di Aldo Milani (SI-Cobas) e Pietro Basso (Il cuneo rosso)
Mentre è in atto l’osceno balletto del rinvio della legge sullo jus soli, con la retromarcia del governo Gentiloni e l’annessa gara a chi, tra M5S, Lega, Forza Italia e la restante congrega anti-immigrati, l’ha provocata, proviamo a mettere qualche punto fermo basilare a riguardo, parlando – è consentito ancora? – da comunisti internazionalisti.
Anzitutto per ricordare come fu impostata e risolta la questione un secolo fa nella Russia sovietica. Art. 2 della Costituzione: “In conseguenza della solidarietà tra i lavoratori di tutti i paesi, la Repubblica socialista sovietica federativa russa riconosce tutti i diritti politici dei cittadini russi a coloro che risiedono nel territorio della Repubblica russa, hanno un lavoro e appartengono alla classe operaia. La Repubblica socialista sovietica federativa russa riconosce inoltre il diritto dei soviet locali di garantire la cittadinanza a questi stranieri senza complicate formalità”. Questo è quanto. Altro che la celebre Costituzione italiana nata dalla resistenza!
Per noi che abbiamo come principio-guida fondamentale la solidarietà tra i lavoratori di tutti i paesi, le lavoratrici e i lavoratori immigrati in Italia, e non solo i loro figli, dovrebbero vedersi riconosciuti tutti i loro diritti politici, incluso il diritto alla cittadinanza (se ritengono di avvalersene).
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Tito Boeri e l’immigrazione: l’assenza di spiazzamento
di Alessandro Visalli
Il 19 luglio il Presidente dell’INPS, Tito Boeri, ha tenuto un’audizione informale presso la Commissione Migrantidella Camera dei Deputati (qui il link all’evento). Il messaggio che propone, rispondendo anche ad alcune delle numerose critiche che gli sono giunte in seguito alla pubblicazione del XVI Rapporto annuale dell’Istituto di alcuni giorni fa è che bisogna, per salvaguardare l’equilibrio dei conti della previdenza nel medio periodo, regolarizzare quanti più lavoratori immigrati possibile, in parte sottraendoli all’attuale condizione di lavoro nero causata dal loro status di clandestini. In linea generale andrebbe promossa da ora in avanti una immigrazione regolare e mirata ai settori di maggiore utilità. Il resto lo farà il mercato.
Viceversa chiudere le frontiere, costringendo tutti i migranti a introdursi come “richiedenti asilo”, anche quando non ne hanno i requisiti, con l’effetto di stazionare a lungo in una condizione giuridica che gli impedisce la stabilizzazione, ha effetti solo negativi, perde le opportunità che pure l’immigrazione potrebbe garantire, e potrebbe in prospettiva addirittura “distruggere il sistema di protezione sociale”.
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A proposito del “ruolo dei comunisti”
di Italo Nobile
In questi mesi la Rete dei Comunisti ha avviato un dibattito sul ruolo dei comunisti oggi, dibattito necessario per rimettere di nuovo a confronto militanti provenienti da diverse esperienze e provare ad elaborare un linguaggio condiviso.
Chi scrive ha partecipato al dibattito facendone principalmente resoconti che facilitassero questa elaborazione. Tuttavia si sente il bisogno anche di esprimere il proprio personale punto di vista. E fare una prima sintesi problematica di tutti gli stimoli che il termine “comunista” porta con sé, a dispetto delle caricature che si fanno a questo termine creando a piè sospinto il proprio tascabile partito.
- A questo termine non si deve abdicare nonostante tutte queste parodie. Il nome è il primo momento di un passaggio dall’in sé al per sé che si augura ad ogni individuo e ad ogni organizzazione che iniziano un determinato processo di autocoscienza. Il nome è l’appropriazione di una storia con tutto il suo precipitato di errori e di tragedie.
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Gig-economy: se il codice è legge
di Gianluca De Angelis
Questo contributo è tratto da un intervento proposto in occasione della conferenza internazionale Logistics: Labour, Infrastructures, Territories, tenutasi il 3 e il 4 Aprile 2017 e organizzata dal Dipartimento di Filosofia, Sociologia e Psicologia Applicata dell’Università di Padova[1]
Ci siamo trovate a maturare la nostra coscienza
civica, il nostro impegno sociale all’interno di u
contesto dominato da un linguaggio che non siamo
noi a parlare. È il linguaggio che parla noi, perché è
un linguaggio costruito e manipolato retoricamente
per definire i confini in quel mondo: i diritti che hai,
quanto li puoi esercitare, le relazioni che costruisci e
il modo di gestirle. Se tu contravvieni ai codici ne
vieni espulsa perché quel mondo è costruito come
narrazione per essere il mondo. E quando sei fuori
da quell’universo ti viene anche strappata la lingua
per dire quello che ti è successo e ti viene rovesciata
addosso la responsabilità. La frusta dell’oltre, appunto.
da Il bene, il male e i loro campioni;
Luca Rastello
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Dal femminismo dell'élite alle lotte di classe nella riproduzione
G. Souvlis e A. Čakardić intervistano Cinzia Arruzza
Cinzia Arruzza insegna Filosofia presso la New School for Social Research di New York. Il suo libro più recente è Storia delle storie del femminismo (con Lidia Cirillo, 2017). Tra gli altri suoi testi ricordiamo Le relazioni pericolose (2010) e Il genere del capitale (nella Storia del Marxismo a cura di S.Petrucciani) che è stato uno dei Libri dell’Anno 2016 di PalermoGrad.
Puoi dirci in breve qualcosa sulle esperienze della tua formazione intellettuale e politica?
Questa è una domanda difficile, perché sono diventata un’attivista all’età di tredici anni, e a partire da allora questo fatto non ha mai smesso di dare forma alla mia vita, nella sua interezza. Se dovessi identificare le esperienze che hanno maggiormente influito sul mio impegno politico e sul mio modo di pensare, potrei fornire l’elenco che segue. Anzitutto, il fatto di provenire da una famiglia povera siciliana, il che mi ha messa a contatto con l’ingiustizia e le diseguaglianze di classe, con il sessismo, con il razzismo culturale ‘soft’ nei confronti della gente del meridione (specialmente negli anni Novanta, quando la Lega Nord ebbe un’impennata sulla base di un programma antimeridionale). Quando avevo meno di vent’anni, i punti di svolta nel mio processo di politicizzazione furono le conversazioni con un insegnante di storia e filosofia della scuola superiore, che era un vicino di casa e un amico, la lettura del Manifesto del partito comunista, quella di Stato e rivoluzione di Lenin, e la partecipazione, da studentessa della scuola superiore, alla lotta degli operai di una fabbrica della Pirelli della mia città, che stava chiudendo e stava licenziando centinaia di operai che non avevano alcuna speranza di trovare un altro lavoro, dato il livello di disoccupazione in Sicilia.
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Il Capitale secondo Vilfredo Pareto
di Sebastiano Isaia
Nicola Porro ha letto – o riletto – Il Capitale di Vilfredo Pareto, un saggio critico scritto dall’eminente sociologo ed economista italiano nel 1885, e ripubblicato quest’anno dall’editore Aragno, e ne è rimasto letteralmente estasiato: «È favoloso vedere la lucidità di Pareto e scorgere in alcune sue critiche al marxismo, alcuni tic che ancora contraddistinguono il pensiero dominante e collettivistico di oggi». Già solo questo ammirato giudizio ci fa comprendere quanto poco Porro abbia compreso Il Capitale marxiano, e questo, come vedremo, anche sulla pessima scia di Pareto (1). Con quanta superficialità e assenza di cultura storica Porro si approccia a Marx e al cosiddetto marxismo è ben rivelato dagli spassosi passi che seguono: «Alla fine dell’Ottocento Karl Marx è una star. È un Saviano [che faccio, rido?], si parva licet [ah, ah, ah!], su scala globale: è la cosa giusta, scritta nel momento giusto, e appoggiata dai salotti giusti. Sono in pochi a contestarlo [come no!]. Il socialismo è agli inizi, ma gode di grande fama». Ai «salotti giusti» è sufficiente aggiungere i «poteri forti» i «giornaloni» e i salotti radical-chic, ed ecco Marx trasformato in un Bertinotti qualunque, in un protagonista della scena politico-mediatica dei nostri miserabili tempi. Ma che film storico ha visto il signor Porro? Affari suoi, comunque, e del resto lui scrive per un pubblico che non vuole ragionare criticamente, ma desidera piuttosto intrupparsi in una delle tifoserie che movimentano la scena politica di Miserabilandia.
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Per un approccio a “Sulle orme di Marx” di G. Carchedi
di Mauro Luongo
La recente pubblicazione del lavoro di Guglielmo Carchedi “Sulle orme di Marx. Lavoro mentale e classe operaia”, da parte delle Rete dei Comunisti e Noi restiamo, è una scelta politica- editoriale che non passa inosservata.
Quello di Carchedi è un lavoro che, in piena continuità con la sua elaborazione, potremmo definire di “frontiera”, il cui ancoraggio al metodo analitico marxiano, alla dialettica, si impone prepotentemente nella ricerca di categorie analitiche idonee a comprendere il modello di accumulazione nella attuale fase di sviluppo. Non dovrebbe essere necessario ma, a scanso di equivoci, non si tratta di un lavoro di filosofica teoretica, una speculazione intellettualistica sulla conoscenza, bensì di una ponderata e articolata, pur nella sua forma sintetica dell’opuscolo, indagine sulla funzione della conoscenza nel processo di produzione del valore e del ruolo svolto dall’appropriazione capitalistica del sapere, conoscenza-informazione, nel punto più alto del generale processo di produzione nell’attuale modello di accumulazione, la cosiddetta economia digitale.
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“Houston, abbiamo un problema”
Andrea Aimar
Le trasformazioni tecnologiche di Industria 4.0 ci pongono di fronte due strade: subire questo progetto di trasformazione guidato dall’interesse di pochi oppure tentare di guidarlo nell’interesse di tanti. Un dibattito in vista del G7 di settembre a Torino
Sono nomi di computer ad alta potenza di calcolo, software, start up, piattaforme: YuMi, StasMonkey, Watson, Tug, Sedasys, Coursera, Shutterstock, Digits, Warren, e-discovery, Baxter, Iamus, Workfusion, Sawyer. Rappresentano il presente dell’innovazione e l’anticipazione di un futuro probabile dove il lavoro umano diminuirà.
49% [1]o 47%[2]le ipotesi più radicali, 9% [3]quelle più caute, 35%[4] per chi preferisce una via di mezzo: dietro le percentuali i posti di lavoro che verrebbero bruciati dall’innovazione tecnologica. Tecnologie delle reti e dell’informazione, robot, macchine potentissime, big data: è più o meno questa la ricetta che si aggira per il mondo promettendo rivoluzioni digitali e industrie 4.0.
Chi minimizza ricorda l’introduzione del telaio meccanico a fine Ottocento e l’automazione degli anni ‘70 e ‘80: sembrava la fine del mondo ma era solo l’inizio di qualcosa di nuovo. Si bruciano posti di lavoro ma si ritrovano da altre parti. Ma assai più del “vissero tutti felici e contenti” sembra convincere la narrazione a la “Houston, abbiamo un problema”.
A guardarla da vicino, questa rivoluzione guidata da algoritmi intelligenti, sembra davvero un’altra storia.
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Il consenso logora chi non ce l'ha
Specialmente se non ha (più) idea di come ottenerlo
di Quarantotto
1. In un articolo intitolato significativamente "Il partito democratico rimane sull'orlo del collasso", Zero Hedge cita Bloomberg in un passaggio che mi pare riassuma il punto fondamentale:
"Un presidente come Donald Trump che ha i sondaggi di gradimento storicamente più sfavorevoli, può almeno consolarsi per questo: Hillary Clinton sta facendo peggio.
La rivale democratica del 2016 è vista con favore solo dal 39 percento degli Americani nell'ultimo Bloomberg National Poll, due punti sotto allo stesso Presidente in carica! Si registra così il secondo peggior indice di gradimento per la Clinton da quando viene seguita da questo tipo di sondaggio nel settembre 2009.
La ex segretaria di Stato era sempre stata una figura controversa, ma questa inchiesta mostra che ha addirittura perso di popolarità tra quelli che l'avevano votata a Novembre.
Più di un quinto dei votanti per la Clinton affermano di avere una visione negativa di lei. Per fare un paragone, solo l'8 percento dei probabili votanti per lei dichiaravano di sentiri così nel sondaggio finale di Bloomberg prima delle elezioni, mentre solo il 6 percento dei votanti per Trump asseriscono ora di valutarlo in modo sfavorevole.
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L’Internazionale Situazionista: merce, desiderio e rivoluzione
di Sandro Moiso
Gianfranco Marelli, L’AMARA VITTORIA DEL SITUAZIONISMO. Storia critica dell’Internationale Situationniste 1957- 1972, Mimesis Edizioni 2017, pp.456, € 26,00
A sessant’anni esatti dalla Conferenza di Cosio d’Arroscia (Imperia) del 28 luglio 1957 che ne stabilì di fatto la nascita, l’Internazionale Situazionista continua a costituire una sorta di oggetto volante non identificato della teoria politica e della critica radicale dell’arte, della cultura e della società capitalistica avanzata.
Anche se il suo equipaggio, nel corso dei suoi quindici anni di vita, comprese complessivamente non più di 70 persone (di cui soltanto sette donne), “Navigare sul mare della storia del situazionismo non è certo facile” come afferma Gianfranco Marelli al termine del suo lungo, dettagliato, appassionato e sofferto studio di quello che può essere ancora definito come uno dei movimenti più radicali della seconda metà del ‘900 e forse l’unico le cui principali formulazioni possano ancora costituire, almeno in parte, un’eredità immarcescibile per l’azione sociale antagonista nel secolo in cui siamo entrati, quasi senza accorgercene, ormai da un ventennio.
Gianfranco Marelli si occupa dell’argomento da più di venti anni e l’attuale pubblicazione di Mimesis costituisce la ristampa, ampliata e arricchita (72 note a piè di pagina e 50 pagine in più rispetto alla precedente) del testo pubblicato per la prima volta nel 1996 dalle Edizioni BFS di Pisa.
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Contro il regime del salario
Sul dominio del tempo tra fabbrica e metropoli
di Eleonora Cappuccilli
Un nuovo regime di produzione che mette a valore l’autonomia e l’autoimprenditorialità; una nuova società dell’io; una nuova economia che si poggia sul lavoro gratuito: questa è l’immagine superficiale dell’economia politica ai tempi del neoliberalismo. Poi c’è il dominio violento che fa leva sul potere pastorale; la rete come modello dello sfruttamento; il lavoro salariato malpagato e ricattato: questa è la faccia nascosta del regime del salario attuale, quel puzzle di condizioni di vita e lavoro dentro e contro cui siamo costretti a muoverci. Guardando da entrambe le prospettive il neoliberalismo appare come un enigma irrisolto, eppure proprio la convivenza di due modelli inconciliabili sembrerebbe costituire la ricetta del suo successo senza storia e senza fine. Lungi dall’essere un insieme monolitico e onnicomprensivo, il neoliberalismo si dà sotto vesti differenti, in luoghi sconnessi. Di volta in volta, mostra un lato diverso per ingannare gli astanti, convincendoli di poter trovare la soluzione allo sfruttamento, anzi, meglio, la chiave per innescare la rivolta, se solo si posizionassero correttamente. In questa rincorsa al nuovo paradigma, si rischia di perdere la bussola per strada.
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Ripensare la politica fiscale
di Andrea Terzi
- Finanza, economia reale e politica anti-ciclica
Dieci anni fa cominciava a muoversi la colossale frana finanziaria che avrebbe portato, tra l’altro, al tracollo di Bear Stearns e al fallimento di Lehman Brothers, due tra le maggiori banche d’affari del mondo. In un ciclo economico alimentato principalmente dal debito privato, la fragilità finanziaria finì per avere un formidabile impatto sull’economia reale. Dopo Lehman, l’economia mondiale cambiava decisamente passo, entrando in una profonda recessione. A quel punto, si manifestava fatalmente la vulnerabilità della politica economica nell’area euro fino al punto da mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa della moneta unica.
La lunga crisi non è affatto archiviata. Passata la recessione, la crescita negli Stati Uniti è stato troppo modesta per poter riagguantare il sentiero tendenziale (FIGURA 1).
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La classe tra primo e secondo operaismo
Operaio massa e operaio sociale a confronto
di Daniele Ilardi
In alcuni suoi scritti di fine anni ’50, l’operaista Romano Alquati modella alcune categorie essenziali per le analisi sull’ organizzazione capitalistica del lavoro e la conflittualità operaia: la più importante di queste è sicuramente la “composizione di classe”. Infatti è possibile leggere l’intero percorso operaista a partire dalla teoria composizionista, sviluppo della teoria marxiana sulle classi, fornendo le basi per l’avvento delle figure storiche di Tronti e di Negri. Essa consiste nell’analisi del nesso tra connotati oggettivi e soggettivi della forza lavoro, cioè tra una particolare composizione tecnica e una specifica composizione politica. La prima designa i livelli sociali di produzione, la quantità e la qualità dei bisogni della forza lavoro; la seconda considera i comportamenti politici, sociali e morali in grado di determinare bisogni e forme di lotte necessarie alla classe operaia.
A distanza di molti anni, la teoria composizionista rimane uno dei temi operaisti più riconosciuti, soprattutto per il rilievo che assumerà a partire dagli sviluppi del pensiero trontiano in Classe Operaia. In seguito all’esperienze in fabbrica statunitensi e francesi, per Romano Alquati l’inchiesta sulla composizione di classe coincideva con l’intervento politico: essa si doveva far carico di organizzare la lotta operaia. Da questa connessione nasce la pratica di inchiesta ideata da Alquati: la con-ricerca.
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Appunti politici: Visalli e i migranti
di Ennio Abate
Questi appunti si confrontano con l’articolo di Alessandro Visalli, Poche note sulla questione dell’immigrazione: della svalutazione dell’uomo. apparso sul suo blog e segnalatomi da Cristiana Fischer (E. A.)
Ma in sostanza che dice o suggerisce Visalli sulla questione dei migranti?
Vediamo prima il suo ragionamento. Con l’integrazione nell’Europa e la mondializzazione, Il sistema produttivo italiano (io aggiungerei ‘capitalista’), risulta «schiacciato da una parte dalla pressione competitiva generata dai prodotti ad alta specializzazione e contemporaneamente basso costo del nord Europa […] e dall’altra da quelli a media specializzazione e basso prezzo derivanti dai mercati asiatici». E si sta dividendo in almeno tre settori: uno piccolo che si trova delle nicchie nel gioco competitivo internazionale e occupa sempre meno lavoratori; un altro, che si rivolge al mercato interno, esporta prodotti poveri e a bassa tecnologia, non fa investimenti e sfrutta sempre più intensamente i lavoratori; e uno enorme – quello dei servizi – dov’è «massima la frammentazione, la precarietà, e la bassa produttività e dove gli investimenti sono assolutamente nulli».
A questo punto entrano in scena i migranti. Visalli ricorre a uno studio del 2014 dell’ Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) per dirci che per loro «l’Italia negli ultimi quindici anni è il paese con maggiore capacità di attrazione» proprio «a causa di una persistente domanda di forza lavoro a bassa qualifica e bassi salari».
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La nostra economia dell’obsolescenza
di Steven Gorelick
Un mio amico indiano racconta una storia riguardo all’aver guidato una vecchia Volkswagen Beetle dalla California alla Virginia durante il suo primo anno negli Stati Uniti. In una singolare tempesta di ghiaccio in Texas è finito fuori strada, lasciando l’auto col parabrezza rotto e portiere e parafanghi malamente ammaccati. Quando è arrivato in Virginia ha portato l’auto in una carrozzeria per una stima della riparazione. Il proprietario le ha dato un’occhiata è ha detto: “E’ irrecuperabile”. Il mio amico indiano è rimasto sconcertato: “Come può essere irrecuperabile? L’ho appena guidata fin qui dal Texas!”
La confusione del mio amico era comprensibile. Anche se “irrecuperabile” suona come una specie di termine meccanico, è in realtà un termine economico: se il costo della riparazione è superiore a quanto varrà l’auto dopo, la sola scelta economica “razionale” e portarla dallo sfasciacarrozze e comprarne un’altra.
Nelle “società a perdere” del mondo industrializzato, questo è uno scenario sempre più comune: il costo di riparazione di stereo, elettrodomestici, utensili elettrici e apparecchi di alta tecnologia supera il prezzo di comprarne di nuovi.
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