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sinistra

Dimensione operaia degli Stati Popolari, Sardine, ecologismo, antirazzismo, antipatriarcato...

di Karlo Raveli

città americane street art 1280x720Fine del lavorismo secolo XIX?

L’iniziativa Stati Popolari potrebbe riuscire a riproporre un reale percorso di lotta anticapitalista, generale e radicale pur tra tutti i condizionamenti attuali, a cominciare dai virus dell’informazione ufficiale. ‘Di sinistra’ inclusa. Superando il populismo neo-fascista ma rimettendo anche al loro posto vari inscatolamenti lavoristi dell’universo operaio, soprattutto per opera di vecchi marx-ismi chiusi tra le stantie inferriate dell’esclusività salariale produttivistica più o meno tutelata. Cioè della storica particolarità del lavoro stipendiato assunto ed innalzato a esclusività strategica operaia, anti-Capitale, dallo stesso cosiddetto “Marx politico” di un secolo e mezzo fa.

Appaiono del resto sempre più come strumenti di difesa terminale del sistema anche recenti dissertazioni di confusione e irretimento etico, teorico e politico a proposito della DIMENSIONE o CLASSE operaia globale. Per esempio attorno all’idea di un presunto ‘quinto stato’ riproposta poco tempo fa in un articolo di Allegri e Ciccarelli del Manifesto, ‘Fenomenologia della classe a venire’. Un 5° stato che, da tipici marxismi di sinistra del sistema, servirebbe come concetto valevole per eclissare il primo ed essenziale elemento classista marxiano, innanzitutto etico ma poi teorico e politico:

l’alienazione o appropriazione particolare, privata, personale e famigliare di naturali od oggettivi Beni Comuni di una società. Da cui sorge lo sfruttamento e guerre e violenze di ogni tipo.

Cioè il dominio del possedere, dell’Avere, sopra l’essere sociale e personale. Parlando quindi della base originaria del capitalismo, a partire dalle cosiddette rivoluzioni neolitiche… e poi con tutte le successive fasi di gestazione, accumulazione e perfezionamento del complesso globale, ora planetario. Un sistema di contrapposte classi sociali fondate sullo sfruttamento dell’attività (lavoro) altrui derivato dal potere dell’appropriazione personale, padronale, a cominciare dai beni primari materiali fondamentali. Ma poi da estendere logicamente ai beni artificiali e immateriali creati via via e in crescendo dall’umanità nel suo percorso millenario. Per esempio tecnologie, dati di ogni genere, brevetti, ecc. quasi sempre prodotti e sviluppati da conoscenze e lavoro sociale, cioè in un contesto collettivo o ‘pubblico’ come la rete o internet!

 

Disintossicazione di classe

Trattiamo quindi di un fenomeno teorico “di sinistra” che si presenta e si enfatizza – come processo di rimozione dell’alienazione originaria dell’avere, del possedere - soprattutto nelle metropoli del complesso globale, e specialmente nelle ‘culture’ occidentali, ma che in pratica infetta e concerne ormai tutti i 200 stati-nazione e stati nazionali del sistema politico-istituzionale globale, cinese incluso (1). Sebbene possiamo constatare come non sia ancora una rimozione del tutto infiltrata nell’incredibile varietà delle 5000–7000 nazioni o popoli della Terra, grandi o piccoli, che codesti 200 stati-nazione dominano attualmente (2).

Cioè laddove la patologia sociale dell’alienazione privata dei beni comuni non si è tuttavia insediata o radicata fino in fondo. Si veda il caso di molte nazionalità originarie africane – che poi il neo-colonialismo chiamerà “tribù”, popoli sottosviluppati, ecc. - o dell’Abya Yala come gli aimara, i mapuce e molte altre (3).

Oppure come l’antitesi molto attuale dell’evento curdo del Confederalismo democratico, nella Rojava (4), ma in questo caso di caratteristiche, importanza e significati nuovi, originali. Se ci atteniamo ai suoi straordinari processi di riscatto comunale cooperativo, ecologico e culturale – come la straordinaria gineologia anti-patriarcale - proprio nel cuore della mitica Mesopotamia.

Del resto è ben comprensibile questa oscena rimozione teorica e politica della questione proprietaria. Una specie d’amnesia generalizzata dell’alienazione privata dei beni comuni che dobbiamo desumere come vero e proprio processo degenerativo di molti marxismi “post-comunisti”. Soprattutto quelli immersi o agganciati a valori e culture di determinati settori della dimensione operaia globale che ora chiamano fasce o ‘classi’ medie. Con ulteriori mistificazioni del linguaggio (5), dei termini, dei concetti e della stessa analisi teorica marxiana. Sviluppate tanto per cominciare dalla sociologia sistemica quando attribuisce il concetto di classe (media, poi!) a certe ‘fasce sociali’ più avvantaggiate ma ben poco oggettivamente capitalistiche (piccolo-borghesi, si diceva). A cominciare dalle in parte etichettate come colletti bianchi, impiegati, capi e capetti, funzionari, ecc. - che a partire dalla controffensiva generale anti-sovietica degli anni ‘20-30, in particolare in Occidente, si sono volute scindere politicamente dalla dimensionalità operaia. Separandole il più possibile dal cosiddetto proletariato ma soprattutto dalle altre branche lavoratrici salariate alle quali si attribuirà da allora in poi la specifica denominazione di ‘classe lavoratrice’…! Cioè i cosiddetti settori operai ‘tute blu’, sovente meno stabili, sicuri o ‘garantiti’, anche se generalmente sindacalizzati. Fino a poco fa cuore politico di quasi tutti i marxismi lavoristi.

Trattiamo quindi di una fascia sociale inebetita, scollegata e spesso ‘politicamente’ (elettoralmente…) contraddittoria come ora in Europa rispetto agli altri settori operai alienati, espropriati, sfruttati o disoccupati, precarizzati, riproduttori, migranti, intermittenti, emarginati, ecc. che non dispongono di ‘vantaggi consumistici’… ma soprattutto parcelle – anche se di per sé già illusorie o ingannevoli anche per tali cosiddette fasce medie - di proprietà privata. Magari manifeste o significative. Come una ‘propria casetta’ (ipotecata...), uno o addirittura più veicoli, assurdi guardaroba consumistici, mode, viaggi e vacanze d’evasione e tutto il resto dell’illusorio ‘benessere-welfare’ individualistico di cui appunto fruirebbero queste presunte ‘classi medie’ del capitalismo. Appunto agganciate ai più banali simboli dell’Avere, con conseguenti “necessità di ordine e sicurezza”, o all’essenziale delle ‘mie chiavi’, delle porte, inferriate, divieti, cancelli, muretti, siepi, ecc, ecc. Che risultano logicamente ancor più alienate da derivate necessità d'assicurazioni o, altro esempio, più dipendenti dai crescenti montaggi o fenomeni pseudo-pandemici come l’ultima influenza stagionale eletta a “covid”.

Insomma le colonne portanti e votanti delle cosiddette “democrazie”, cioè dei regimi parlamentari e partitocrazie del sistema.

 

Marx: ben stagionato e imbottigliato...

Ci riferiamo purtroppo a una rimozione persino accettata da coloro che si attribuiscono basi determinanti di teoria marxiana. Rispetto invece a un ben più vasto concetto operaio marxiano assolutamente o strategicamente antagonistico al Capitale. Senza quindi saper riconoscere e relativizzare nel Karl Marx attivista politico la sua stessa ‘deriva’ pubblica, o storicamente circostanziale, in quanto tatticamente – necessariamente? - dispiegata in un ben specifico periodo storico. Cioè un capitalismo ancora primitivo, con il conseguente sacrosanto lavoro salariato falcemartellista dei primi fenomeni industriali. Trattando cioè di un Marx – oltretutto post-luterano di per sé lavorista e patriarcale... – dinamizzatore dell’AIL (I Internazionale) composta da delimitati e ben specifici settori operai. Quelli appunto dei dipendenti salariati soprattutto industriali, poi spesso o sostanzialmente produttori professionali e garantiti. Una realtà che ci ha agganciati a una sinonimia politica tra concetto di lavoratore salariato e il prototipo ben più generale ed allo stesso tempo contraddittorio di OPERAIO. Ciò che appunto tutt’oggi perdura nello stesso linguaggio ‘comunista’ o rivoluzionario e anti-sistema: non abbiamo altro termine che operaio, per specificare classe e antagonismo sociale assoluto al Capitale. Ma l’abbiamo ridotto a sinonimo di lavoratore. Lavoratore salariato.

Una indeterminatezza terminologica perciò spiegabile nel secolo XIX, rispetto allo specifico settore di produttori o lavoratori salariati come porzione massiccia e ‘politicamente’ dominante in molte lotte fino alla seconda metà del secolo XX, relativamente a tutto l’insieme della ben più sterminata dimensione operaia. Ciò che del resto già colse in parte Rosa Luxemburg all’epoca della cruciale rivoluzione tedesca 1918-19. Andata tra l’altro a rotoli proprio su questa contraddizione, rimozione e sinonimia teorica sui concetti di proletariato, classe e masse, lavoratori (salariati) e operai in generale! Nonostante la forte incidenza e provocazione politica, per esempio, di importanti formazioni o settori di ‘operai-soldati’ non lavoratori… reduci dalla guerra. Ben tenuti alla larga da fabbriche e sindacati, e soprattutto dall’integrazione lavorativa salariale e ...politica nella classe.

Popolo, proletariato, classe, movimenti settoriali e dimensione operaia antagonista globale.

Parliamo in ogni caso di una sinonimia salariato/operaio ancor più ingannevole se teniamo conto di altri settori operai BEN determinanti oltre a quelli già citati. A cominciare dalle donne – solo mogli di maschi operai..? - riproduttrici e ‘massaie’ infaticabili, sino a tutta la sequela di fasce attive non stipendiate o garantite. Oggi soprattutto quelle precarie e intermittenti, per esempio anche qui nella cura e salute. E così successivamente gli stessi anziani e pensionati, ma via via con le maggioranze studentesche, o soprattutto oggigiorno con sempre più ampie frange produttrici e preduttrici legate a controlli e attività di rete. Di certo non solo le esplicitamente soggette ai super mostri Gafam e cinesi. E quindi crescenti settori migranti di vario tipo e tante altre frange che si vorrebbero includere o escludere da quinti stati, cognitariati, ecc. Quando sempre stiamo parlando di specifici settori molto diversi – e spesso contraddittori tra loro! - di una dimensione operaia multiforme e globale di fronte a un Capitale sempre più organicamente dominato da minoranze delinquenti, ma al contrario ben connesse!

Detto meglio: da una criminalità sistemica con tutte le sue varietà di burattini istituzionali, mediatici, “scientifici”, accademici, ecc. di quasi ogni regime parlamentare o dittatura più o meno esplicita del pianeta.

Dunque, chiarissimo, una estensione antagonista ben più ricca, variata e complessa delle vecchie ‘classi lavoratrici’, ‘classi sfruttate produttrici di plusvalore’, ‘mondo del lavoro’, ecc. Pur con precise e spesso ben distinte composizioni regionali, nazionali e statali che si presentano però all’interno di una sempre più tangibile e strategica dimensione o classe operaia mondiale.

Come del resto vedremo a Roma: già in sé potenzialmente operativa per coloro che, finalmente, cominciano ad assumerla e dinamizzarla politicamente, aprendo e sviluppando connessioni energiche ma rispettose – ecco il gran valore degli Stati Popolari! - tra i più diversi settori (6).

Proprio ora con scenari capitalisti, sia statali che globali, dominanti e infiltranti ognuno di noi attraverso le reti. Con nodi ‘produttivi’- finanziari multi-statali (Gafam, BigPharma, energie, armamenti, ecc.) sempre più organicamente connessi con gli organismi inter-statali (OMC, OMS, ecc.) e i regimi istituzionali statali di tutto il pianeta. Proprio come l’offensiva cornavirus sta dimostrando!

Quindi, insomma, dimensione da assumere finalmente per sé – e anzitutto dinamizzare, che certo non vuol dire omogeneizzare, come nel ‘900 - in maniera tatticamente diversificata per ogni area geografica e culturale in cui si possa attivare. Come ora in Italia.

Tatticamente sì, ma mirando però tendenzialmente al quadro di resistenze e attivazioni di strategia operaia mondiale! Così come insegnano alcuni movimenti antipatriarcali, antirazzisti ed ecologisti ma anche come offrono consapevolezze decifrabili di alcuni popoli dell’Abya Yala, o soprattutto dalla Rojava.

 

Da Stati Popolari a Stati Operai?

Non cent’anni, ma parrebbe un già trascorso un millennio dal “Pane, pace e terra” sovietico che scosse per la prima volta il capitalismo. Ma solo per pochi anni – o mesi, secondo alcuni. Istigando rapidamente, poco tempo dopo, un’atterrita reazione generale borghese definita “new deal”.

Ora però i contenuti dell’urgente balzo epocale sono più chiaramente profondi, decisivi e globali. Oltre le guerre geopolitiche ed i saccheggi economici, minerali, agricoli...

I climi ed ecosistemi dell’antropocene in progressivo e irreversibile aggravamento.

Le crescenti migrazioni, ben presto massicce e imparabili. E intercontinentali.

Concentrazioni impressionanti e delinquenti della proprietà in tutte le sue forme: finanziaria, tecnologica, informazionale, personale, urbanistica, di brevetti, algoritmi, comunicazioni e via così...

Società con radici patriarcali sempre più alienanti e che sfociano in dilemmi vitali via via più profondi ed estesi su generi, famiglie e relazioni umane in generale. Alienazione assolutamente legata all’appropriazione privata, in questo caso e in modo specifico rispetto ai concatenamenti dell’essenziale funzione di riproduzione della specie (6).

Cosa aspettiamo? Un nuovo ‘new deal’ cioè patto o accordo di riforma del supremo sistema dell’avere? O nuove ideologie, con partiti derivati, che incerottino di nuovo regimi e stati del Capitale? Magari con qualche riforma anche dell’O.N.U. che già nel suo nome nasconde l’inganno chiamando ‘nazioni’ tutti gli stati plurinazionali – è una O.S.U! - che colonizzano e affogano migliaia di culture e popoli ricchissimi di valori e capacità naturali, collettive e armoniosamente autentiche?

Ma non sarà così, visto che già assistiamo a un crescendo mondiale di potenti movimenti specifici, che solo necessitano di connessioni e articolazioni intelligenti ed efficaci. Per questo parliamo di una dimensione generale, operaia, che ci presenti o ci faccia individuare com’è possibile oltre che indispensabile e urgente questa ricomposizione ‘per sé’ definitiva, d’antagonismo conclusivo al Capitale sotto tutte le sue forme e manifestazioni. Oggi infine realizzabile proprio a cominciare dalle specifiche impostazioni di ogni movimento, ma connesse nella lotta alla sistemica appropriazione privata sempre più assurda, estrema, sofisticata e “immateriale”. Anti-ecologica, di sfruttamento del lavoro altrui, patriarcale, chimico-farmaceutica allopatica, razzista, individualista...

Quindi Stati popolari radicali non congiunturali. E connessi globalmente in linee sempre più incalzanti e contundenti rispetto all’ecosistema, a questo punto bersaglio via via più rovinoso e globale della violenta riduzione e riproduzione proprietaria capitalistica – oltre alle sue ulteriori manifestazioni distruttive, contaminanti e involutive come le militari, terroristiche e repressive dei rispettivi bracci statali. Con corrispondenti ingranaggi scientifici, scolastici, medici, tecnologici, ecc, ecc!

È per la stessa sopravvivenza della specie e civilizzazione umana che dobbiamo recuperare controlli sia intimi che collettivi di spazi, tempi, energie e informazioni proprio grazie a un realmente radicale quanto molto policromo antagonismo operaio, che vada cioè alla radice di tutti i fenomeni alienanti di un Buon vivere comune. Non solo evidentemente in quelli ‘classici’ del lavoro sfruttato più o meno salariato! Per non parlare poi di sindacati ‘occidentali’ o di presunte e degenerate ‘classi medie’… fenomeni ben assorbiti dal o nel lavorismo populista del Capitale e delle sue partitocrazie.

Ma dobbiamo impegnarci a che non si tratti di nuovo di semplici risposte congiunturali, o troppo generiche e sommarie, invece di un inizio di ricomposizioni sociali realmente anti-sistema. Cioè dell’avvio non solo di una rivolta, ma proprio di un avanzata operaia reale che saprà assumere tutta la complessità sociale attuale con tutti i contraddittori colori delle sue sardine. Dal verde ecologista al rosso storico rivoluzionario del lavoro, dall’antipatriarcale all’internazionalista effettivo, in un insieme di movimenti concreti, territoriali e globali, per ogni fascia, settore ed espressione di dimensione operaia anti-sistema, cioè radicalmente inter-nazionale anti-capitalista! Ossia come unica fattibile composizione politica realmente antagonista alle alienazioni fondamentali del capitale. Ormai la sola che può aprire una speranza a tutta l’umanità.

Per poter uscire dall’attuale progressivo abbrutimento di solitudini sempre più diffuse, sottomesse, consumiste e autodistruttive. Quanto abbinate alle crescenti robotizzazioni personali informatizzate di un ‘progresso’ ormai quasi solo controllato da ultra minoritari poteri proprietari sempre più avariati e fetenti!

Conquistando cioè collettivamente-globalmente armonie di vita, movimento, incontro e attività di lavoro cooperativo reale. Ricostruendo naturalmente, già nello stesso incedere di movimento, sempre più spazi comuni associativi, unitamente ad alloggi più comprensivi e vivibili, più condivisi e gradevoli, con cure sane, vitalizzanti, e con corrispondenti alimenti compatibili per ogni comunità ed ecosistema.


Note
(1) Ecco un altra tipica mistificazione terminologica, quella di ‘comunismo’ nel caso odierno della ‘repubblica’ cinese: l’espropriazione sistemica dei naturali o genuini Beni Comuni da parte di uno stato centrale super-unificato e materialmente appropriato da un solo partito. Oltretutto a sua volta dominato da una esigua minoranza sociale di tutto l’immenso stato-nazione ‘comunista...’. Oltre che da una ben precisa nazionalità e cultura, che spadroneggia in tutti i poteri istituzionali. In questo caso gli Han, sebbene anche per la R.P.C. si tratti di un complesso plurinazionale (oltre 50 nazionalità tuttavia importanti in ‘Cina’). Quindi: uno stato con forme ufficiali specifiche d’appropriazione privata realmente dominanti, capitalistiche, anche se legalmente succedanee di una pretesa ideologia “comunista” statale, costituzionale.
(2) Stati che in quanto soggetti istituzionali, politici e culturali si attribuiscono fraudolentemente il termine e concetto di ‘nazione’. Ciò che risulta del resto normalizzato persino nel discorso teorico, accademico e legale generale, non solo ufficiale! Quindi un altro esempio evidente di termini e linguaggi come arma fondamentale d’alienazione personale, sociale e politica. Che però sembra stia emergendo in sempre più lavori critici (marxiani?) proprio sulla questione del linguaggio e di tutte le sue distorsioni e mistificazioni sistemiche – si veda appunto il termine ‘classe’! Stato e nazione sono due concetti molto diversi e sempre più contraddittori – come vediamo nel possente caso della contraddizione tra nazione curda, confederalismo democratico e stati siriano, turco, iracheno, ecc! O come emergere attualmente in Europa con la nazione catalana, la Catalunya, e i vari altri popoli sottomessi dallo stato spagnolo post-franchista. Detto correttamente: stato-nazione castigliano.
(3) Dove spesso non esiste una propria o specifica dimensione operaia in termini di relazioni proprietarie e produttive capitalistiche, se non come parte compartecipe e oggettivamente connessa con l’insieme operaio globale, planetario. Visti i crescenti e impressionanti processi d’inserimento passivo di molte piccole nazioni, popoli o nazionalità originarie nel complesso alienato globale, come dimostrano per esempio le più estreme situazioni amazzonica o della Nuova Guinea. Per maggiori coordinate vedi per es.“Clase obrera e internacionalismo indígena” in https://www.indybay.org/newsitems/2009/06/20/18603003.php. Segnalo inoltre il potente caso mapuce di Moira Millan come richiamo concreto attuale sull’enorme potenziale umano, sociale e civilizzatore anticapitalista di una tra le migliaia di nazioni originarie tutt’ora colonizzate da stati-nazione plurinazionali, in questo caso l’argentino assieme al cileno: https://www.youtube.com/watch?v=eSImXAqBnPQ .
(4) https://rojavainformationcenter.com/storage/2020/02/DemocraticSystem-Italian_web_compressed-1.pdf
(5) Su ruolo e centralità politica del linguaggio vedi per esempio Christian Marazzi in ‘Il racconto tossico dell’austerità’, http://www.euronomade.info/?p=12655.
(6) Movimenti popolari di massa attuali come l’antirazzismo e l’antipatriarcato rimandano alla questione assolutamente centrale della proprietà privata coloniale e particolarmente maschile, come si sviluppa in “Proprietà, patriarcato e criminalità ecologica Cop24” (https://sinistrainrete.info/sinistra-radicale/14499-karlo-raveli-proprieta-patriarcato-e-criminalita-ecologica-cop24.html).

 

Comments

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C. Speziali
Wednesday, 19 August 2020 17:02
Raveli, hai fatto centro. Parlando dell’ex-quotidiano comunista.
Guarda un po’ cosa ci racconta un paio di giorni fa’ la Castellina, per dipiù chiudendo un editoriale:
“Quello su cui non ha purtroppo scritto ancora nessuno, ed è quanto ha reso così difficile la vita della sinistra oggi, è come si possa aggregare il soggetto antagonista, vale a dire usare positivamente la ricchezza delle nuove contraddizioni, impedendo che esse diventino invece divisive.
La difficoltà sta nel fatto che assai meno di una volta, quando c’era una bella classe operaia omogenea e geograficamente concentrata, non basta la protesta: serve, per far nascere il nuovo soggetto, più mediazione politica e culturale di un tempo. I movimenti di protesta sono indispensabili perché si muovono, ed hanno perciò antenne sensibili. Ma da soli non bastano.”
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S. Cisneri
Monday, 20 July 2020 17:33
Il collegamento (4) per la Rojava non funziona.
Ve ne consiglio un altro di gran valore:
https://retejin.org/kck-la-rivoluzione-del-rojava-continua-a-essere-una-speranza-per-il-mondo/
È veramente una gran speranza per tutti!
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Andrea H.
Saturday, 18 July 2020 16:30
Caro Raveli,
le sinistre più o meno ‘comuniste’ non solo ti ignorano, con tra l’altro la scappatoia della tua lingua emigrante, ma combattono a fondo, essenzialmente, la profonda critica al lavorismo marxista che proponi. Un chiarissimo esempio si è offerto per esempio lo scorso 15 in un famoso quotidiano ex-comunista, però con un buon articolo di Stefania Tarantino “La ‘mutazione antropologica’ che cuce un disastro quotidiano”.
A proposito di una raccolta poetica a cura di Valeria Raimondi (La nostra classe sepolta. Cronache poetiche dei mondi del lavoro. Ed. Pietre vive).
Penso tra l'altro che proprio una chiave di volta di questo lavorismo si trovi nel serio disguido marxiano contenuto nell’affermazione dell’articolo, e cioè che ‘il passaggio dal capitalismo al neoliberismo ha avviato una reale mutazione antropologica (con) un divario abissale tra l’operaio del Novecento e il precario di oggi’.
È detto quasi tutto.
Sparisce il Capitale, il vecchio… capitalismo dell’appropriazione privata, e sarebbe essenzialmente il sacrosanto lavoro a sancire che ‘chi parte dal niente è nel niente che si ritrova’ con l’attuale ‘paradigma economico molto più feroce’!
Voilà.
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KR
Thursday, 16 July 2020 17:14
Nonostante le varie forme di ignoranza o censura verso nuove proposte strategiche di lotta di classe, come si diceva un tempo o, come diciamo oggi, di possibile processi di superazione del tumore Capitalocene, ignoranze e censure coerenti con l’ormai consolidata diffusione di un conservatorismo marxista che ignora i presupposti elementari del comunismo marxiano, sempre appaiono comunque scintille di speranza.
Come questo stimolante commento di I. Oliveri dell’11 luglio scorso in
https://contropiano.org/news/politica-news/2020/07/06/gli-stati-popolari-e-il-controverso-appello-di-aboubakar-0129766 .
Oliveri risponde mi pare in generale all’articolo di Sergio Cararo ‘Gli Stati Popolari e il controverso appello di Aboubakar’ ed ai suoi vari commenti, riferendosi però in particolare a ‘Dimensione operaia’ qui sopra.
In questo modo:
Si, forse ci siamo avviluppati in un dibattito un po’ da cruciverba, grazie ai dubbi qui sollevati sugli Stati Popolari del 5 scorso. Ma scandagliando nella questione di alcune contraddizioni segnalate nell’articolo di Cararo, per esempio parlando di “emerse aspettative e intenzioni che qualche perplessità non possono che suscitarla”, oppure a proposito della “sfida ancora aperta sul come costruire il blocco sociale, anzi il blocco storico, capace di sintetizzare un mondo e portarlo sulla strada dell’emancipazione collettiva in uno scenario di conflitto di classe dall’alto sempre più cinico e spietato” ci tengo a far notare come uno dei nodi di fondo sia proprio – come dice Raveli nell’articolo sopra indicato – la messa in discussione dell’episteme ormai sempre più assunto dalle cosiddette sinistre sulla ‘lotta di classe’ e più in generale sui movimenti sociali. Cioè appunto quel lavorismo che riduce i rapporti Capitale-lavoro a questioni di garanzie dell’impiego, del salario, e poi via via il biasimo delle precarietà, dell’intermittenza, ecc.
Un episteme che comprende l’insieme dell’attuale approccio dominante, ma che pure caratterizza i critici del “sistema”, sulla base di valori e teorie politiche e sociali accettate come ‘scienza’ e ‘conoscenza’. Quindi compresi coloro che si pongono ‘moralmente’ in modo dissenziente di fronte al dominio capitalista e al potere economico e politico dei cosiddetti capitalisti. Moralmente ma non eticamente, dovremmo pur dire. Cioè secondo una epistemologia, proprio come propone K. Raveli, i cui fondamenti ‘comunisti’ smascherano ciò che sta alla base e nell’essenza del capitalismo: l’alienazione proprietaria privata dei beni comuni, della natura e della vita. Pertanto la profonda sostanza determinativa dell’Antropocene o Capitalocene, comprese oltretutto le derive globali più recenti e subordinate come la presunta pandemia virale.
Conclusione: quando parliamo di contraddizioni sociali o “interne al popolo”, cara Adele, dovremmo manifestare in modo chiaro quali ne sono i rispettivi e principali valori di riferimento.
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Pietro
Saturday, 11 July 2020 18:32
Tra le falle di salvezza... mi pare che una delle migliori si trovi in "la sinistra quotidiana":
https://www.lasinistraquotidiana.it/dagli-stati-popoli-la-ripresa-della-coscienza-di-classe/
dove perlomeno ci si ricorda della coscienza di classe!
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SRossi
Friday, 10 July 2020 15:45
Caro Raveli, anch’io sono purtroppo pessimista rispetto all’evoluzione eco sistemica della società umana, ma comunque per quanto concerne l’Italia e le sue sinistre non vedo ancora del tutto persa la partita. Proprio riguardo all’isolamento in cui si è mantenuta l’iniziativa di Sumahoro e compagni. C’è qualche falla di salvezza, nella chiusura mediatica coronavirus e pre-coronavirus, qui sinistre residuali comprese, come infatti leggo e partecipo in Contropiano in un dibattito sufficientemente sintomatico. Qui:
https://contropiano.org/news/politica-news/2020/07/06/gli-stati-popolari-e-il-controverso-appello-di-aboubakar-0129766
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KR
Monday, 06 July 2020 17:08
Bè, peccato che l’articolo arriva un pochino tardi… ma comunque vediamo se sarà un buon seminato. Dovete però sapere, PURTROPPO, che è stato pure inviato ad altri siti “di sinistra”, ma a quanto pare è troppo indigesto. E ciò non sorprende, visto che anche un quotidiano che osa chiamarsi “comunista” ha praticamente ignorato gli Stati Popolari. A parte un paio di trafiletti. Anzi, trafilettini.
Scusate il mio italiano migrante, ma spero che qualcuno degli elementi che propongo si possano sviluppare al più presto. Non abbiamo troppo tempo. E non parlo solo del progressivo lavaggio cerebrale globale covid, ma soprattutto e per cominciare dall’aggravarsi dell’ecosistema dell’ homo ‘sapiens’, che è poi, tra l’altro, una delle cause – o la causa principale – dell’aggravarsi delle periodiche influenze stagionali, su cui stanno appunto costruendo da quattro mesi almeno una vera e propria mostruosità!
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