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Mosca, l’autobomba e la soglia invisibile della guerra

di Giuseppe Gagliano

 

L’attentato che colpisce la struttura

L’uccisione del tenente generale Fanil Sarvarov, avvenuta il 22 dicembre in un parcheggio residenziale nel sud di Mosca, segna un passaggio ulteriore nella trasformazione del conflitto russo-ucraino. Non è soltanto l’eliminazione di un alto ufficiale, ma un colpo portato alla spina dorsale organizzativa delle Forze armate russe. Sarvarov, responsabile dell’addestramento operativo dello Stato maggiore, incarnava la continuità e la trasmissione del sapere militare: una funzione meno esposta mediaticamente, ma decisiva per la capacità di rigenerazione dello strumento bellico.

La dinamica è chiara e studiata. Un ordigno collocato sotto l’auto, l’esplosione all’alba, il ferimento mortale e il decesso poco dopo in ospedale. Un’azione che non cerca lo spettacolo, ma l’efficacia. Il Comitato Investigativo russo parla apertamente di omicidio e traffico illecito di esplosivi, indicando la pista dei servizi speciali ucraini come una delle principali. È il linguaggio della guerra segreta, dove l’attribuzione non è mai definitiva ma sempre politicamente orientata.

 

Precedenti e metodo

L’attentato a Sarvarov non arriva nel vuoto. È il terzo episodio, in poco più di un anno, che colpisce generali russi di alto rango con ordigni esplosivi nell’area di Mosca.

La sequenza indica una continuità operativa, una scelta di metodo. Non si tratta di azioni casuali, ma di una campagna mirata a dimostrare che anche il centro del potere è vulnerabile.

Questa strategia risponde a una logica precisa: logorare la percezione di sicurezza, colpire figure simboliche e funzionali, costringere l’avversario a disperdere risorse nella protezione interna. È una forma di pressione che non modifica direttamente gli equilibri sul campo, ma incide sul clima strategico e psicologico.

 

La capitale come campo di battaglia

Che tutto avvenga a Mosca è l’elemento più significativo. La capitale è il luogo della stabilità proclamata, della guerra presentata come distante e controllata. Portare la violenza lì significa incrinare questa narrazione. Ogni autobomba in un quartiere residenziale ha un valore che va oltre l’obiettivo immediato: parla alle élite, all’opinione pubblica, agli apparati di sicurezza.

Il fatto che il presidente sia stato informato immediatamente sottolinea la gravità dell’evento. Non è solo una questione di ordine pubblico o di sicurezza personale dei vertici militari, ma di credibilità dello Stato e della sua capacità di controllo.

 

Rischi politici e diplomatici

L’attentato arriva in una fase delicata, segnata da discussioni informali su possibili canali negoziali. In questo contesto, l’eliminazione di un generale a Mosca agisce come un fattore di destabilizzazione. Da un lato rafforza, in Russia, le richieste di rappresaglie e di inasprimento della linea. Dall’altro rende più difficile qualsiasi tentativo di raffreddamento del conflitto, perché sposta il confronto su un terreno emotivo e simbolico.

È il paradosso della guerra ombra: pensata per indebolire l’avversario, rischia di irrigidirne le posizioni e di alimentare una spirale di azioni e reazioni sempre più opache.

 

Una guerra senza retrovie

L’uccisione di Sarvarov conferma una tendenza ormai evidente. La distinzione tra fronte e retrovia si sta dissolvendo. L’assassinio mirato diventa uno strumento ordinario del conflitto, non più un’eccezione. In questa logica, nessun ruolo è davvero protetto, nessun luogo completamente neutro.

L’autobomba di Mosca non cambia da sola l’andamento militare della guerra. Ma segnala un salto di qualità nel modo in cui il conflitto viene combattuto e percepito. È il segno di una guerra lunga, che consuma progressivamente le certezze, erode i confini e porta la violenza sempre più vicino al centro del potere.

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