Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email

altrenotizie

Ucraina, la UE chiude nel ridicolo

di Fabrizio Casari

La decisione dell’Unione Europea di assegnare altri 90 miliardi di Euro in prestito, che l'Ucraina dovrà rimborsare solo se la Russia accetterà di pagarle le riparazioni per i danni di guerra. Dato che la Russia non pagherà, l'Ucraina non dovrà rimborsare Bruxelles e il debito UE sarà coperto con lo spazio che resta nel bilancio europeo. Si è decisa un’ennesima regalìa all’Ucraina, che serve solo a far proseguire la guerra per qualche mese in più; una sorta di certificazione di esistenza in vita dell’autonomia europea in politica estera.

Ma l’aspetto più importante della decisione della UE è la sconfitta della Commissione Europea e di quella porzione della UE facente capo a Germania, Baltici e Romania e sponsorizzata da Rutte, rappresentante NATO a Bruxelles. L’opposizione di Ungheria, Italia, Repubblica Ceka e Slovacchia ha scongiurato l’ultimo istinto suicidario europeo, quello di finanziare Kiev con i beni russi illegittimamente sequestrati. Sarebbe stata una rapina: la consegna a terzi dei beni russi in Europa non troverebbe infatti giustificazioni nel diritto comunitario come in quello internazionale.

Peraltro la mossa, di chiaro significato politico, sarebbe stata di scarso effetto pratico, perché ai capitali russi in Europa corrispondono capitali europei in Russia: 167 miliardi di Euro tra liquidi e macchinari, immobili e materiali. Ovviamente l’uso dei beni russi avrebbe comportato, per reciprocità, lo stesso destino per quelli europei. Che sono di aziende private (tra cui le italiane Unicredit, Ferrero, Cremonini, Barilla, Calzedonia, Benetton) che avrebbero certamente chiamato a giudizio la UE per aver procurato, tramite una operazione illegale, gravissimi danni alle loro aziende.

Vista la totale assenza di base giuridica e l’opposizione di Ungheria, Slovacchia e Italia, era stata ventilata l'ipotesi di approvare un'emissione di debito comune tramite l'articolo 122 del Trattato, quello per i casi d'emergenza, che consente di decidere a maggioranza qualificata e quindi superare i veti. Ma il 122 può essere applicato solo per questioni inerenti i paesi membri e l’Ucraina non lo è e nemmeno lo sarà a breve. Dunque anche questo cammino è legalmente non percorribile.

 

Le conseguenze finanziarie

Oltre alla norma inapplicabile, c’erano le considerazioni fatte alla luce del buon senso e sono state queste a mettere la pietra tombale sui disegni di Merz e dei Baltici. Il Belgio, tenutario di quei beni depositati presso l’Euroclear, guardava con estrema preoccupazione alle conseguenze legali di un simile furto. L’Euroclear svolge una funzione poco visibile, ma vitale: gestisce i depositi e i regolamenti, cioè i flussi di pagamenti e le consegne, nel mercato europeo delle obbligazioni. È un mercato immenso, da 400 mila miliardi di euro all’anno. In sostanza, quando un bond arriva a scadenza è presso Euroclear che l’ente debitore versa la liquidità al soggetto creditore. Quando i bond europei di proprietà della Russia sono arrivati a scadenza, i Paesi debitori hanno versato il rimborso presso Euroclear, come sempre in questi casi. Ma Euroclear non ha potuto girare i proventi alla Russia proprio perché quelle riserve sono “congelate”. Il Belgio sa che ogni ricorso giuridico di Mosca presso i tribunali internazionali vedrebbe l’Euroclear sconfitta e condannata al risarcimento compreso di interessi e dato che l’Ucraina non avrebbe avuto mai possibilità e intenzione di restituirli, il Belgio avrebbe dovuto rispondere in solido, mentre gli altri paesi europei al massimo ci avrebbero messo lo sdegno.

Anche la BCE ricordava come la sovranità sui fondi allocati nelle banche è indiscutibile e che, se avesse avuto seguito l’operazione, si sarebbe aperto uno scenario spaventoso per l’organismo e le banche continentali. Sarebbe stato uno shock finanziario pericoloso, perché nessun Paese al mondo, porrebbe le sue riserve nelle banche europee sapendo che in qualunque momento possono esserle sottratte unilateralmente. Per avere un’idea della portata del gesto, si ricordi che tale è la sacralità del denaro nel capitalismo che durante la Seconda Guerra Mondiale non si toccarono i depositi della Germania nazista ospitati nelle banche svizzere.

Con la neutralità del sistema bancario compromessa dalla UE che utilizza politicamente e illegalmente i capitali altrui allocati nelle banche europee, le riserve avrebbero preso in alcuni casi la strada degli Stati Uniti (anche qui con rischi evidenti) o, più probabilmente, si sarebbe incrementato il già costante processo di ritiro graduale dei fondi verso la Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS.

Se l’Europa non rispettasse la salvaguardia dei capitali in giacenza, minerebbe alla radice l’essenza stessa del capitalismo, che sulla fiducia dei mercati la libertà di movimento dei capitali e la neutralità delle istituzioni finanziarie gioca tutto il suo appeal. Ove questi elementi venissero meno, il suo sistema finanziario europeo crollerebbe come un castello di carte.

 

Il presunto piano per una presunta pace

Il mancato esproprio dei fondi russi in Europa mantiene in vita l’idea di un piano di pace, anche se il balletto europeo sulla bozza da presentare a Mosca registra ogni giorno più commenti che serietà. In alcuni passaggi sembra che l’idiozia con la quale la UE approccia la questione, si fondi su una lettura completamente invertita, quando non inventata.

Secondo gli strateghi di Londra e Bruxelles, il nodo di fondo è duplice: da un lato garantire la sicurezza ucraina attraverso un meccanismo sostanzialmente simile a quello previsto dall’articolo 5 dello Statuto NATO (che prevede una risposta di tutta l’organizzazione in caso di attacco anche solo a un singolo membro della stessa). Ma così le ragioni che hanno spinto Mosca a intervenire per anticipare l’ingresso di Kiev nella NATO (quello della NATO a Kiev era già operativo) si ripresenterebbero interamente.

Zelensky non fa nessuno sforzo ad ammettere che l’entrata nella NATO è fuori discussione, vista la decisione di votare NO all’ingresso di Kiev nell’Alleanza Atlantica è stata presa per il veto posto da Stati Uniti, Ungheria e Slovacchia. Ma tutto diventa relativo se poi i meccanismi della stessa trovano applicazione comunque con Kiev. E’ ovvio che i russi non accetteranno questa soluzione cucita su misura per far sedere al tavolo negoziale ciò che è stato escluso sul campo di battaglia. Inoltre, i russi accetteranno solo un progetto per la sicurezza collettiva in Europa e non uno che varrebbe solo per l’Ucraina.

Riguardo le dimensioni e dotazioni dell’esercito ucraino, nessuno può pensare che un paese di ormai 32 milioni di abitanti possa disporre di 800.000 soldati equipaggiati con forti sistemi d’arma offensivi. Mosca accetterà un massimo di 600.000 e solo con una dotazione militare convenzionale di tipo tattico.

Quanto alle forze internazionali che dovrebbero garantire la linea di confine tra Federazione Russa e Ucraina, Mosca considera i paesi NATO belligeranti e non neutrali e quindi non accetterà la loro presenza in territorio ucraino. Nemmeno sotto l’egida ONU accetterebbe soldati europei, giapponesi o canadesi. Un eventuale contingente di pace (sul modello magari di quello in Kosovo) dovrà essere composto da paesi che non hanno partecipato alla guerra politica, diplomatica, commerciale e militare contro la Russia. Se perciò i cosiddetti “volenterosi” pensavano di infilarsi in Ucraina solo altre spoglie, hanno capito male. Mosca considera la presenza di forze dei paesi NATO - tutti, nessuno escluso - un obiettivo militare legittimo, dentro e fuori l’Ucraina.

La posizione russa è stata ribadita con forza proprio in queste ore da Vladimir Putin, che ha dichiarato la Russia pronta a un accordo di pace ma indisponibile a furbizie mascherate da cessate il fuoco. Per Putin il Donbass sarà russo, con la pace o con la guerra, dal momento che il crescendo di minacce militari europee rafforza ancor più di quanto pensato nel 2022 circa la necessità di una zona cuscinetto tra la Russia e la NATO. Ha approvato il Bilancio militare per il 2026 (cosa che evidenzia la scarsa fiducia nel balbettio negoziale euro-statunitense) e annunciato per la fine di quest’anno l’entrata nelle dotazioni all’Armata del missile Oréshnik.

Il leader russo ha quindi ribadito come i termini per un accordo negoziale con la Russia dovranno comprendere le soluzioni ai problemi che hanno costretto Mosca all’Operazione Militare Speciale. Per il capo del Cremlino la Russia ha già vinto: se si vuole fermare la guerra serve convincere Mosca che si sono raggiunti in buona parte gli obiettivi fissati, ovvero la liberazione del Donbass, un accordo sulla sicurezza globale e un quadro complessivo denazificato e non discriminatorio per le popolazioni russe nell’Est. Accordo chiaro e verificabile con meccanismi concordati. Niente verrà firmato sulla fiducia. Se l’Occidente continua invece a perseguire l’idea di una vittoria sul campo, allora la vittoria russa sarà schiacciante sul piano militare.

Non c’è nulla di sorprendente, in ogni guerra chi vince si ferma solo se ha convenienza a farlo; dunque è onere dello sconfitto proporre una soluzione negoziale che riconosca quella vittoria e gli insiti compromessi in cambio della fine delle ostilità.

Mosca avrà quello che si è conquistata - ovvero le garanzie della sua sicurezza - e l’avrà sul campo o al tavolo del negoziato. Tertium non datur.

Pin It

Add comment

Submit