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sinistra

«Herr Vogt»: una battaglia di Marx poco nota (e quasi sempre fraintesa)

di Eros Barone

0 elDFgNmy g0w1KMuLo stesso Vogt afferma che il suo proposito... era quello di chiarire «lo sviluppo del suo personale atteggiamento nei confronti di questa cricca» (Marx e compagnia). Abbastanza curiosamente, egli descrive solamente conflitti che non ha mai vissuto e vive solo conflitti che non ha mai descritto. È quindi necessario porre a confronto le sue panzane con un pezzo di storia reale.

Karl Marx, Herr Vogt. 1

Oltre al suo talento di oratore, Kossuth possiede anche quello altrettanto grande di saper starsene in silenzio appena l’uditorio dà chiari segni di insofferenza... Al pari del sole, conosce perfettamente l’arte di eclissarsi. In una sua recente lettera a Garibaldi ha dimostrato di saper essere coerente con se stesso almeno una volta nella vita: in essa ammonisce Garibaldi a non attaccare Roma, per non offendere l’imperatore dei francesi, «l’unico sostegno per le nazionalità oppresse».

Karl Marx, Herr Vogt. 2

  1. Il signor Vogt: chi era costui?

Nella primavera del 1859 vide la luce, nel mondo di lingua tedesca, uno scritto intitolato Studi sulla situazione attuale dell’Europa, nel quale si sosteneva il punto di vista del partito bonapartista in politica estera. Questo scritto recava la firma di Carl Vogt, rappresentante della sinistra nell’Assemblea nazionale di Francoforte durante il cruciale periodo 1848-1849, esule in Svizzera dopo gli anni rivoluzionari e professore di scienze naturali a Ginevra. 3 Nello stesso anno apparve a Londra un volantino anonimo che denunciava le mene di Vogt per creare consenso intorno alla figura di Napoleone III e alla sua politica europea che proprio in quel periodo compiva un salto di qualità con l’appoggio francese all’unificazione italiana.

L’accusa, che, come poi risultò, proveniva da Karl Blind, giornalista appartenente al mondo della democrazia e scrittore tedesco emigrato a Londra, venne ripresa dal settimanale «Das Volk», al quale collaboravano anche Marx ed Engels, e dalla «Allgemeine Zeitung» di Augusta. La denuncia contenuta in quel volantino spinse Vogt ad adire le vie legali contro il quotidiano tedesco, che non poté invalidare la denuncia a causa dell’anonimato nel quale Blind volle restare. Così, benché la querela fosse stata respinta, Vogt fu il vincitore morale di quella vicenda giudiziaria. Forte della vittoria riportata sul terreno legale, quando pubblicò il resoconto degli avvenimenti (Il mio processo contro la «Allgemeine Zeitung»), egli accusò Marx di essere non solo l’ispiratore di un complotto nei suoi confronti, ma anche il capo di una banda che traeva i suoi proventi ricattando coloro che avevano partecipato ai moti rivoluzionari del 1848, con la minaccia di rivelare i nomi di quanti non avessero ceduto ad una simile estorsione. Sennonché lo scritto di Vogt ebbe un’eco notevole, oltre che in Inghilterra e in Francia, anche in Germania, dove trovò ampia risonanza presso la stampa liberale, in particolare presso la «National-Zeitung» di Berlino. Pertanto Marx si vide costretto a querelare questo quotidiano per diffamazione. Il «Supremo Tribunale Reale Prussiano», però, respinse l’istanza decretando che gli articoli rientravano nell’àmbito di una critica consentita e che da essi non risultava l’intenzione di offendere chicchessia. 4

Il libello di Vogt forniva un resoconto delle vicende dell’emigrazione politica post-quarantottesca, in cui fatti veri e fatti inventati di sana pianta risultavano intrecciati in un modo tale da alimentare seri dubbi sulla storia effettiva dell’emigrazione, creando perplessità e sospetti soprattutto fra coloro che non erano a conoscenza di chnerquella storia nella sua interezza e nella sua esatta concatenazione. Quindi, al fine di tutelare la propria reputazione Marx si dette d’attorno per approntare la sua difesa e cominciò a raccogliere il materiale per la sua risposta politico-ideologica alla provocazione ordita da Vogt. Essendo venuto a sapere dalla stampa che la pubblicistica bonapartista diffusa in Algeria era stata resa in arabo da un traduttore di nome Dâ-Dâ-Roschaid, Marx coltivò a lungo l’idea di intitolare il suo pamphlet “Dâ-Dâ Vogt”. Familiari ed amici consideravano però questo titolo troppo oscuro, e alla fine Marx, sebbene a malincuore, scartò l’idea, perché, come scrisse ad Engels, «Dâ-Dâ sconcerterà i filistei e farà un effetto comico», e anche perché «il fatto che Dâ-Dâ sconcerterebbe il filisteo mi piace e si adatta al mio sistema di derisione e disprezzo». 5

Egli avrebbe voluto intitolare il libro «Dâ-Dâ-Vogt» per richiamare la somiglianza di vedute tra Vogt e il giornalista bonapartista arabo, a lui contemporaneo, Dâ-Dâ-Roschaid. Questi, traducendo i pamphlet bonapartisti in arabo per ordine delle autorità di Algeri, aveva definito l’imperatore Napoleone III «il sole di beneficenza, la gloria del firmamento» e a Marx nulla pareva più appropriato per Vogt che l’epiteto di « Dâ-Dâ tedesco». Tuttavia, Engels lo convinse a optare per un più comprensibile Herr Vogt .

Va detto infine che la confutazione delle accuse mosse da Vogt nei suoi confronti tenne impegnato Marx per un anno intero, costringendolo ad interrompere gli studi economici che avrebbero dovuto costituire la continuazione del fondamentale testo, Per la critica dell’economia politica, pubblicato nel 1859. Quasi tutti gli studiosi che si sono occupati della biografia di Marx convengono nel luogo comune secondo cui le quasi duecento pagine scritte dall’autore di Herr Vogt furono uno spreco di tempo e di intelligenza, quasi che Marx avesse voluto combattere un nugolo di moscerini sparando cannonate. Nei paragrafi che seguono si cercherà invece di demistificare questo classico ‘topos’ dell’opportunismo, frutto di una cecità politico-intellettuale tutt’altro che innocente, mostrando che Herr Vogt, oltre ad essere un capolavoro della satira politica, è un testo-chiave per comprendere alla luce della teoria marxista la necessità, oggi più che mai urgente, di tracciare una netta linea di demarcazione tra il campo del comunismo proletario e il campo della democrazia borghese e piccolo-borghese. Nel dimostrare questa tesi si procederà, per pura comodità espositiva essendo i due aspetti inseparabili, con il trattare prima l’aspetto politico-ideologico e poi quello artistico-letterario. 6

 

  1. Il significato politico-ideologico di «Herr Vogt»

Senza la lotta contro la democrazia borghese e piccolo-borghese il movimento comunista moderno non si sarebbe mai potuto sviluppare. Grazie alla concezione materialistica della storia, Marx ed Engels giungeranno infatti a separarsi dal movimento democratico, dando un fondamento teorico al comunismo e scoprendo la legge economica oggettiva che determina la lotta politica tra le classi.

Marx ed Engels, conseguentemente, attaccheranno e liquideranno tutte le concezioni, come quella democratica, che ritengono che la lotta politica tra le classi sia un atto di pura volontà compiuto da un individuo eccezionale o da un gruppo di individui altrettanto eccezionali, il prodotto di una cospirazione o di un complotto, il frutto di ingegnosi stratagemmi. Pertanto, il significato politico-ideologico di Herr Vogt, paradossalmente disconosciuto anche da studiosi importanti delle opere di Marx, 7 nasce proprio dalla critica spietata di un certo modo – in definitiva mitologico, individualistico e superomistico - di concepire il primato della politica. Nello sfondo storico-politico da cui emerge questo scritto va situato allora il fallimento delle rivoluzioni del 1848, che aveva portato gli intellettuali piccolo-borghesi democratici alla disperazione ed al terrorismo, alimentando in essi la illusoria speranza di mutare il corso della storia con la loro volontà e con le loro ‘azioni’.

«Dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848-49 il partito proletario perdette sul continente quello che, in via eccezionale, aveva posseduto durante quel breve periodo: stampa, libertà di parola e diritto di associazione, cioè i mezzi legali dell’organizzazione di partito. I partiti borghese-liberale e piccolo-borghese-democratico, malgrado la reazione, trovarono nella posizione sociale delle classi da essi rappresentate le condizioni per mantenersi uniti in una o nell’altra forma e per far più o meno valere i loro interessi comuni. Al partito proletario, dopo il 1849 come prima del 1848, era aperta una sola via, la via dell’associazione segreta [...]. Nessun dubbio che, anche qui, i membri del partito proletario avrebbero preso parte di nuovo a una rivoluzione contro lo ‘status quo’, ma non era loro compito preparare questa rivoluzione e promuovere per essa agitazioni, cospirazioni, complotti... la Lega dei comunisti non era dunque una società di cospirazione...». 8

In pratica, la cospirazione dei democratici costringe alla clandestinità il partito che meno, in quel momento, ne ha bisogno: il partito proletario. Le conseguenze dell’attività cospirativa teorizzata e praticata dai democratici ricadono infatti sulle spalle dei comunisti i quali respingono tale attività in teoria e in pratica, giacché il loro obiettivo è la conquista della maggioranza di una classe e non il reclutamento di un piccolo gruppo di individui. Marx, poco più avanti. distingue nettamente tra il lavoro rivoluzionario dei comunisti e quello degli intellettuali piccolo-borghesi:

«Va da sé che una tale società segreta (come la Lega dei comunisti)... aveva ben poche attrattive per individui che, da una parte, gonfiano la loro personalità insignificante sotto il manto teatrale delle cospirazioni, dall’altra parte soddisfano la loro ottusa ambizione con il giorno della rivoluzione prossima ma che, soprattutto, vogliono avere il loro momento di importanza, condividere il bottino della demagogia ed essere salutati a festa dagli imbonitori democratici. Dalla Lega dei comunisti si separò perciò una frazione, oppure ne fu separata (come si vuole), la quale esigeva, se non effettive cospirazioni, almeno l’apparenza della cospirazione e dunque una diretta alleanza con gli eroi democratici del giorno: la frazione Willich-Schapper. È' caratteristico per essa che Willich figuri con e accanto a Kinkel come imprenditore dell’affare tedesco-americano del prestito rivoluzionario». 9

Sono qui còlti in modo incisivo i caratteri negativi di talune correnti, come quella di Willich-Shapper, che criticavano Marx ed Engels ‘da sinistra’, in quanto questi ultimi non volevano impegnare la Lega dei comunisti nella alleanza cospirativa con i democratici. Sicché Marx ed Engels saranno costretti a dissociarsi da questa corrente, dato il diverso modo di concepire il lavoro rivoluzionario, che nasceva dal differente giudizio formulato da Marx e dai democratici sul fallimento della rivoluzione del 1848. Per Marx la causa ultima di tale fallimento era lo spostamento del baricentro economico verso gli USA, per i democratici era la mancanza di volontà unitaria della democrazia. In altri termini, per il primo la causa risiedeva in un profondo processo di sviluppo economico, per i secondi in una mancata condizione politica. Il dissidio era di carattere radicale, poiché era evidente che la concezione materialistica si opponeva strategicamente alla concezione soggettivistica.

«In questa grandiosa prospettiva storica era già contenuta l’idea, come Marx più tardi disse, che la rivoluzione di febbraio era fallita in ultima analisi per la scoperta delle miniere californiane e australiane [...]. Con questo era naturalmente condannata quella parvenza di rivoluzione violenta alla quale indulgevano i profughi tedeschi e in generale gli europei. Fin dall'inizio Marx ed Engels avevano avuto una vita difficile nell’emigrazione. La loro critica spietata di ogni fandonia ideologica aveva già da lungo tempo urtato gli “imbroglioni sentimentali e i declamatori democratici” che da essa si sentivano colpiti. Essa era diretta non soltanto contro i luminari dell’epoca prerivoluzionaria..., ma colpiva anche i luminari della democrazia come Ludwig Simon e Gottfried Kinkel che avrebbero voluto continuare a svolgere la loro funzione illusoria nella palude della controrivoluzione.» Così scrive il più grande storico della socialdemocrazia tedesca, Franz Mehring. 10

«Sennonché la cricca dei democratici borghesi immigrati a Londra non cessava, con il sostegno della stampa liberale londinese, di lanciare “proclami” contro il potere controrivoluzionario e di tramare congiure e attentati sul continente europeo. A proposito di questa frenetica attività Marx ed Engels annotarono: “Teatralità piccolo-borghesi del genere sono sempre state insopportabili”. Già nella sua narrazione della campagna per la costituzione dell’Impero, Engels si era espresso molto amaramente sul conto esagerato che si era fatto degli “intellettuali vittime” dell’insurrezione, mentre nessuno parlava delle centinaia e migliaia di operai che erano caduti in battaglia o ammuffivano nelle casematte di Rastadt, o all’estero, soli tra tutti gli esuli, dovevano assaporare con l’esilio anche la feccia della miseria.» 11

In effetti, la costante che regola il comportamento pratico dei democratici borghesi è il primato della politica, dell’azione e della volontà, laddove Marx propone agli operai una prospettiva più ampia e più durevole. Da questa prospettiva discende il giudizio di Marx sulla frazione democratica staccatasi dalla Lega dei comunisti:

«Invece delle condizioni reali, considera la volontà come il motore della rivoluzione. Mentre noi diciamo agli operai: dovete attraversare quindici, venti, cinquanta anni di guerre civili e di guerre internazionali, non solo per trasformare la situazione ma per rendervi atti al potere politico, voi dite loro: bisogna arrivare subito al potere, altrimenti possiamo metterci a dormire...». 12

Nel periodo che precedette i moti del 1848 Marx ed Engels avevano duramente attaccato le concezioni democratiche che, negando la determinazione della politica da parte dell’economia, individuavano le cause delle ingiustizie sociali nelle forme politiche e nelle persone che vi stavano a capo. Partendo da queste basi il passo era breve per arrivare a concludere che bastava uccidere un ministro od un capo del governo per modificare la società. Il massimo teorico di tale concezione propria del terrorismo democratico era Karl Heizen. Scrive a tale proposito il Mehring: « In una polemica contro Engels, Karl Heizen aveva spiegato per mezzo della violenza l’ingiustizia nei rapporti di proprietà; aveva chiamato vile e pazzo chiunque osteggiasse un borghese a causa dei suoi acquisti di denaro e lasciasse in pace un re a causa del suo acquisto di potere». 13

D’altra parte, le congiure, i conflitti e gli attentati, che i terroristi democratici, da Mazzini a Heizen, da Ruge a Kinkel, organizzavano - o almeno tentavano di organizzare - sul continente europeo, offrivano agli apparati repressivi dello Stato borghese il pretesto per colpire la nascente organizzazione proletaria. Nel luglio del 1852 Marx segnala ad Engels quanto segue:

«Avrai sentito dei nuovi arresti di Parigi. I babbei (questa volta della cricca di Ruge) naturalmente dovevano per forza rimettere sul tappeto un simulacro di cospirazione [...] Luigi Napoleone ha bisogno di una cospirazione a tutti i costi»; 14 analoghe considerazioni saranno ripetute da Marx circa la funzionalità di tali cospirazioni «nell’interesse dei governi tedeschi e specialmente di quello prussiano». 15

Da buoni borghesi, concependo la lotta politica secondo le modalità che erano a loro familiari nel mondo in cui vivevano, gli intellettuali democratici tedeschi giunsero a concepire l’assurda idea che fosse la mancanza di soldi a far fallire la rivoluzione. Così, per porre rimedio a tale carenza, alla fine del 1851 Willich e Kinkel elaborarono un progetto (ispirato all’iniziativa mazziniana di raccolta di fondi per la democrazia europea) per un prestito rivoluzionario tedesco il cui scopo era quello di sostenere la prossima rivoluzione repubblicana. Un’idea geniale che Marx commentò in questi termini:

«Gottfried Kinkel, fiore della passione del filisteismo tedesco, alla fine della sua tournée rivoluzionaria, di piacere e di elemosine attraverso gli Stati Uniti, espose nella “Memoria sull’impegno nazionale tedesco per lo sviluppo della rivoluzione, Elmira, Stato di New York, 22 febbraio 1852”, delle opinioni che possiedono almeno il pregio della massima semplicità. Gottfried è convinto che la rivoluzione si fa, così come si costruiscono le ferrovie. Una volta che si ha a disposizione del denaro, si tratta qui di individuare il tracciato, là la rivoluzione.

Siccome la nazione nutre in cuor suo delle aspirazioni rivoluzionarie, i rivoluzionari di professione dovrebbero munirsi le tasche di denaro e tutto si riduce al problema di disporre di “una piccola schiera ben organizzata ed equipaggiata e abbondantemente fornita di denaro”. Ecco in quale labirinto d’idee l’atmosfera mercantile inglese sospinge perfino delle personalità melodrammatiche. Dal momento che qui tutto si fa tramite i pacchetti azionari, persino la public opinion, perché non costituire una società per azioni “Per la promozione della rivoluzione”?». 16

Karl Blind, giornalista e scrittore tedesco, fu uno dei maggiori rappresentanti della emigrazione piccolo-borghese. Nel 1848-1849, partecipò al movimento rivoluzionario del Baden. Negli anni ’50 fu uno dei capi dell’emigrazione tedesca a Londra. Egli esibiva i caratteri tipici degli intellettuali democratici dell’emigrazione: intriganti, megalomani, sempre pronti a gettarsi in qualunque avventura per mettersi in mostra. Essi, d’altronde, non avendo alcuna forza politica effettiva, cercavano ogni mezzo pur di comparire sulla stampa tedesca e coltivavano i loro sogni rivoluzionari immaginando che i rapporti di potenza fossero regolati dai loro gesti e non da interessi oggettivi.

«È ammirevole - osservava sarcasticamente Marx in una lettera ad Engels, del 17 dicembre 1858 – l’industriosità di questa piccola pulce badese [Blind] tenuta in caldo nella piscia democratica. Già gli antichi fanno una quantità di considerazioni edificanti sul salto della pulce». 17

Da uno di questi salti, e precisamente dalla pubblicazione di uno scritto anonimo del Blind contro il professore liberaldemocratico Karl Vogt, nacque – come si è rammentato all’inizio del presente articolo - la polemica che coinvolse lo stesso Marx e lo costrinse a rispondere all’accusa di essere il capo di una banda di cospiratori. Nel libro in parola Marx smaschera tutte le correnti democratiche e dimostra l’estraneità teorica e pratica del partito proletario rispetto al terrorismo democratico. È questa la ragione ideale e strategica che fa del pamphlet di Marx sul “signor Vogt” un testo esemplare della lotta del comunismo proletario contro i movimenti democratici borghesi e piccolo-borghesi. 18

 

  1. La forma letteraria di Herr Vogt

I biografi di Marx ci ricordano l’importanza della sua attività giornalistica fin dai tempi giovanili in cui era redattore capo della «Neue Rheinische Zeitung»; ma ci ricordano anche come Marx, assillato dal bisogno di denaro per far fronte alle necessità della numerosa famiglia, avesse accettato di collaborare a vari giornali scrivendo, tra il 1852 e il 1862, numerosi articoli sulla politica inglese, la Russia, la Turchia, la politica coloniale in Irlanda, in India e in Cina, le crisi e le guerre in tutto il mondo. 19 Nacquero così centinaia di articoli per giornali americani come il «New York Daily Tribune», il «People’s Paper» e il «Free Press» (articoli che, fin quando Marx non giunse a padroneggiare la lingua inglese, erano scritti originariamente in tedesco e tradotti in inglese da Engels).

Le tecniche sperimentate nella sua produzione pubblicistica per i giornali americani, inglesi e tedeschi si rivelarono utili quando, nel 1859, Marx si vide costretto a confutare in modo particolareggiato gli attacchi sferrati contro di lui nei paesi di lingua tedesca. Karl Vogt era uno dei più attivi propagandisti di quell’area di opinione che vedeva in Napoleone III la speranza dell’Europa. Il Diciotto brumaio di Marx costituiva una confutazione di tale speranza, e questo fu, per l’appunto, il motivo per cui Vogt cercò allora di screditarne l’autore con la nota accusa. Come sottolineano molti commentatori che si fermano alla superficie della cronaca e non arrivano a penetrarne il significato teorico e politico, Herr Vogt si presenta come un’opera colma di riferimenti a personaggi da tempo dimenticati e a temi che risultano in apparenza poco interessanti per la maggior parte dei lettori. Tuttavia, a dispetto di queste avvertenze che non invogliano alla lettura, essa contiene alcuni singoli brani di grande importanza storica (ad esempio, la ricostruzione della storia della Lega dei comunisti, scritta da Marx per confutare i libelli di Vogt) e, come si è cercato di dimostrare nel paragrafo precedente, merita attenzione per il modo, ricco di preziosi insegnamenti anche per i militanti odierni, con cui Marx demarca il campo di classe del comunismo proletario rispetto a quello della democrazia borghese e piccolo-borghese. Sennonché essa si presta ad essere studiata anche come un piccolo capolavoro letterario di polemica politico-ideologica.

In effetti, non vi è alcun’altra opera che faccia parte dell’intera produzione pubblicistica di Marx, la quale riveli in modo così chiaro, vivace e brillante la conoscenza che questi possedeva della letteratura mondiale, come Herr Vogt. Scorrendo le pagine di questo libro ci si trova di fronte ad una vera e propria cornucopia di autori, da quelli antichi a quelli moderni. I primi vi compaiono attraverso le citazioni di Cicerone, le massime di Virgilio e di Persio e perfino citazioni dagli epigrammisti greci nella lingua originale. Data la sua destinazione, rivolta al pubblico tedesco, non mancano poi varie allusioni ai personaggi biblici desunte dalla traduzione della Bibbia di Lutero e frasi consacrate dall’uso comune.

Come è naturale, la letteratura tedesca – dall’Anello dei Nibelunghi a Goethe, Schiller e Heine – occupa un posto centrale, sebbene Dante e Shakespeare, autori ben conosciuti e spesso citati nelle opere maggiori (come Il Capitale), abbiano un posto di tutto riguardo, insieme con altri autori inglesi, quali Pope, Sterne, Byron e Dickens. Infine, sono ben presenti autori ormai classici, come Calderón de la Barca, Cervantes, Rabelais, Voltaire, Victor Hugo e Balzac.

In un corsivo apparso sulla «Volkszeitung» di Berlino nel febbraio del 1860, Marx ebbe a definire Herr Vogt “una risposta letteraria” ai suoi calunniatori: una risposta che fu costretto a dare in alternativa alla “risposta giuridica” che i tribunali prussiani gli avevano impedito di formalizzare. 20 Così, la letteratura universale, con tutta la polifonia dei suoi autori e delle sue opere, diventa un’arma di autodifesa e di contrattacco non solo nei confronti della velenosa attività denigratoria e calunniatrice condotta da Carl Vogt, ma anche nei confronti dei variopinti ‘entourage’ in cui gli esponenti della democrazia borghese e piccolo-borghese si raccoglievano. Perciò, in considerazione della mole corpulenta del signor Vogt e delle grossolane menzogne che questi spacciava, i riferimenti alle imprese di Falstaff ricorrono con frequenza nel pamphlet di Marx: «Queste menzogne son simili al padre che le genera: / grosse come una montagna, evidenti, palpabili». 21

Sistematicamente, Marx si riallaccia in quest’opera a personaggi letterari per indicare, attraverso la figura retorica dell’antonomasia e la crasi fra differenti antonomasie, un insieme di qualità e difetti: Napoleone III vi figura talvolta come «il Pecknisff imperiale», 22 talaltra come «Quasimodo». 23 Anche qui personaggi letterari disparati sono evocati per delineare la fisionomia di qualche contemporaneo, talché Vogt risulta essere il prodotto di una crasi letteraria i cui ingredienti sono, oltre a Falstaff, il Gargantua di Rabelais, i pagliacci del circo, l’arcibugiardo barone di Münchhausen e il tirannico governatore Vogt del Guglielmo Tell di Schiller, laddove questo personaggio è chiaramente evocato in forza della omonimia con Karl Vogt. Questi giochi verbali incentrati sulle assonanze, sulle consonanze e sulle omofonie sono un motivo ricorrente di quest’opera di Marx. Un altro esempio significativo è la citazione da Calderón de la Barca che compare all’inizio del primo capitolo, motivata anch’essa da uno di questi giochi verbali: in questa citazione si parla infatti di zolfo (‘azufre’), poiché Marx era stato appunto accusato da Vogt di essere a capo di una società segreta denominata “Banda sulfurea” (‘Die Schwefelbande’). 24

I grandi scrittori sono chiamati in causa per essere contrapposti ai pennivendoli che Marx si trovava costretto a prendere in considerazione (Vogt, per esempio, viene bollato come “Tacito dell’anticamera”), 25 oppure per ridicolizzare i personaggi micromegasici oggetto della polemica; o ancora per evocare agli occhi dei lettori tutto un ‘demi-monde’ di corruzione, come quando Marx per descrivere il giornalismo contemporaneo indirizza i suoi lettori ad “una certa novella di Balzac” (è palese l’allusione a Illusioni perdute), oppure lo rappresenta con le parole, improntate al più crudo realismo, di un passo dell’Inferno dantesco: «tristo sacco / che merda fa di quel che si trangugia». 26 Del resto, gli strali più appuntiti della polemica di Marx sono scagliati contro il giornalismo popolar-borghese contemporaneo, come si può desumere dal seguente passo che merita di essere riportato un po’ più estesamente per il perfetto riscontro che trova anche ai nostri giorni nella stampa del nostro paese, senza sensibili differenze tra le espressioni più ricercate (il “Corriere della Sera” o “la Repubblica”) e le manifestazioni più sordide (“Libero”) di tale stampa:

«Tramite un’artistica canalizzazione sotterranea tutti i cessi di Londra scaricano i loro rifiuti nel Tamigi. Allo stesso modo, tutti i giorni, la capitale del mondo, attraverso un sistema di penne, scarica tutti i suoi rifiuti sociali in un’enorme cloaca centrale di carta, il «Daily Telegraph». Liebig critica a ragione questo spreco insensato che compromette la purezza delle acque del Tamigi e sottrae alle campagne dell’Inghilterra tutto quel concime. Levy, il proprietario della cloaca centrale di carta, non s’intende solo di chimica ma anche di alchimia. Dopo aver trasformato i rifiuti sociali in articoli di giornale, trasforma questi ultimi in rame e infine il rame in oro. Sul portone che conduce alla cloaca centrale di carta sono scritte di colore oscuro le seguenti parole: “hic... quisquam faxit oletum!”; oppure come lo ha tradotto in bella forma poetica Byron: “Wanderer, stop and – piss!”. 27

Ma l’Inferno offre un repertorio così generoso di insulti, che Marx non deve faticare troppo a ricavarne quelli più utili alle esigenze della sua polemica trasponendo la descrizione del demonio allo stesso Vogt (“egli è bugiardo e padre di menzogna”) 28 o fornendo un elenco di abitanti dell’inferno che possono servire a raffigurare il livello morale dell’‘entourage’ di Vogt (“onde nel cerchio secondo s’annida / ipocrisia, lusinghe e chi affattura, / falsità, ladroneccio e simonia, / ruffian, baratti, e simile lordura”). 29 Altrettanto fertili, come campionari particolarmente ricchi di insulti e di definizioni, sono i testi, anch’essi utilizzati in Herr Vogt, di Pope e di Heine. Sennonché sembra che in questo scritto, come si è già rilevato, Marx usi sistematicamente la letteratura occidentale come metalinguaggio, da un lato, per nobilitare una materia vile individuandone gli archetipi, per l’appunto, letterari: dall’altro, per investire in chiave parodistica i referenti reali della sua polemica.

Tipico è il modo in cui Marx rappresenta il parlamento di Francoforte: «Nel dramma spagnolo ogni eroe è accompagnato da due buffoni. Allo stesso san Cipriano, il Faust spagnolo, Calderón associa Moscon e Clarin. Similmente, al parlamento di Francoforte il generale della reazione von Radowitz era affiancato da due comici aiutanti, l’Arlecchino Lichnowski e il clown Vincke». 30 L’allusione letteraria costituisce, in questo caso, una raffica di insulti per i tre uomini politici, identificati con personaggi che non appaiono neanche originali nei loro aspetti grotteschi, ma sono stati anticipati, molto tempo prima, da scrittori che conoscevano a fondo le debolezze e le pazzie umane, sicché il parlamento di Francoforte del 1848, conforme a quanto si è detto sull’uso della letteratura quale metalinguaggio e alla classica analisi marx-engelsiana della “miseria tedesca”, è rappresentato come un’indegna parodia, una scadente imitazione della letteratura, oltre che della politica di altri paesi.

Le allusioni a Falstaff, che si sono finora citate, traggono origine dalla scena di una commedia, l’Enrico IV, parte prima, atto II, scena IV, nella quale Falstaff viene indotto dal principe Enrico a raccontare menzogne sempre più inverosimili e a contraddirsi continuamente. Con le ricorrenti allusioni a questa scena, in cui gli aggressori di Falstaff diventano sempre più numerosi e l’illuminazione muta a seconda del colore e della stoffa dei loro abiti, Marx si è proposto di far comprendere ai suoi lettori il meccanismo dell’inganno negli scritti di Vogt e di rivelare il gioco incrociato tra mistificazione, deformazione e falsificazione, in virtù del quale un’innocua associazione di emigrati politici come Die Schwefelbande possa tramutarsi, nella versione calunniosa di Vogt, in una pericolosa società segreta che minaccia la pace in Europa. In questo senso, Marx definisce Falstaff come “archetipo” di Karl Vogt e raffigura nel corpulento zoologo Karl Vogt la “reincarnazione zoologica” del personaggio di Shakespeare. 31

Sennonché la grande letteratura che riempie la cornucopia delle citazioni nell’Herr Vogt fornisce anche un criterio di giudizio stilistico, che costituisce un salutare contravveleno di fronte ai gravi difetti che Marx imputa ai suoi avversari: la forma scadente, la costruzione incerta e sgrammaticata e la mancanza di logica nelle formulazioni, che egli rileva impietosamente con analisi particolareggiate e puntuali annotazioni stilistiche. 32

 

  1. Il contributo degli studi classici alla formazione dello stile di Marx

L’incidenza della cultura classica nella formazione dello stile di Marx è indubbia. Per altro, quando questi studi servono realmente a qualcosa, la loro utilità non si riduce alla pura erudizione, né tanto meno ad una funzione esemplare quali presunti ‘modelli eterni’. Al contrario, assumono il loro vero valore in scrittori della statura di Marx, creando in essi una profonda coscienza dell’idioma vivo, un gusto spontaneo della perfezione espressiva, della rotondità della frase. In questo senso, esplicano un’importante funzione formativa sia la conoscenza del greco sia la conoscenza del latino. Il dominio di Marx sulla propria lingua, quale si appalesa nei suoi scritti giovanili (in particolare, quelli che fu in grado di rifinire prima di darli alle stampe, diversamente dagli altri che rimasero allo stato di abbozzi: dicotomia stilistica, questa, che caratterizzò tutta l’attività di Marx); tale dominio, si diceva, è dovuto in gran parte all’effetto formativo e linguistico dei suoi studi classici.

Sennonché, come è noto, esiste attualmente una tendenza svalutare questo tipo di cultura, tendenza che trova la sua espressione più comune non solo nell’ideologia volgare delle tre ‘I’ (informatica, inglese e impresa) di cui si nutre il ‘pensiero unico’, ma è largamente diffusa anche nelle file della sinistra, dove non manca di giustificazioni obiettive, in quanto la celebre ‘formazione classica’ è stata per vari secoli la punta di diamante della ‘cultura occidentale’, la quale mascherava dietro la sua splendida trama mostri come il razzismo, il colonialismo e l’imperialismo.

Questa cultura è stata, in realtà, una creazione, ad un tempo ingegnosa e geniale, del capitalismo. 33 Ingegnosa, perché con il sorgere del commercio mondiale e con il diffondersi, in base ad un modulo mercantile comune, di relazioni economiche universali, si affermarono altresì una cultura e certi ‘valori’ ideologici di carattere universalistico. Orbene, poiché il capitalismo, fin dalla sua nascita, si è sviluppato promuovendo un’immagine eternitaria di sé stesso – un’immagine naturalistica che tende costantemente a riproporre -, esso abbisognava di una cultura che, nonostante il suo carattere storico e concreto (derivante dall’essere una parte esigua della storia universale), fosse concepita e promossa come eterna, ossia come “la cultura” per eccellenza. Geniale, perché in verità essa ha prodotto opere geniali. Infatti, la schiavitù materiale non ha mai impedito il sorgere della bellezza ideale nel suo stesso grembo.

Naturalmente la ‘formazione classica’ possiede, come ogni formazione umana, i suoi aspetti positivi. Non vi è nulla di negativo o di perverso nello studio delle lingue classiche e della letteratura antica. Condannarle per il fatto che sono ‘investite’ da un’ideologia, è, per dirla con Gilbert Ryle, un errore categoriale: 34 è perfettamente concepibile, in una società socialista, dedicarsi a tale studio. Sopprimerlo o limitarlo, come si è fatto, durante gli ultimi decenni, nel nostro paese, è un deplorevole ‘quid pro quo’. In Marx, ad esempio, la formazione classica produsse eccellenti risultati, specie se si considera il suo stile letterario. Da questo punto di vista, è legittimo domandarsi in quale misura tale formazione possa influire sullo stile di uno scrittore.

Si deve allora rispondere a questa domanda osservando che chiunque abbia studiato una lingua morta – ad esempio, il greco, nel cui studio si distinse Marx – ha imparato a conoscere meglio i segreti delle lingue vive. In altri termini, uno studio siffatto ci permette, in quanto analisi microscopica di una struttura morta, di comprendere in modo più approfondito ciò che è vivo; ci serve, in definitiva, per ammirare presso uno scrittore il suo strumento espressivo e goderne. Del resto, senza questa ammirazione e questo godimento è impossibile apprezzare un pensiero che, come quello di Marx, è inscindibile dalla forma espressiva con cui viene comunicato, un pensiero in cui la solidità scientifica fa tutt’uno con la perfezione verbale e con una prosa euritmica costellata di immagini vivide e di metafore illuminanti. Herr Vogt, sotto questo profilo, è veramente una sintesi perfetta di stile scientifico, stile critico-polemico e stile ironico, realizzata attraverso il fattore connettivo della dialettica: tre costanti e un unico dinamismo, dai quali risulta lo stile letterario di Marx.


Note
1 Karl Marx, Herr Vogt, in Marx-Engels Opere, vol. XVII, Editori Riuniti, Roma 1986, p. 102.
2 Ivi, p. 222.
3 Anche se non riguarda direttamente il tema del presente articolo, è giusto ricordare che Carl Vogt occupa un posto significativo, assieme a Ludwig Büchner e a Jacob Moleschott, nella corrente filosofica di impronta darwiniana del materialismo positivistico, che Engels definì “volgare”: materialismo di cui Vogt rappresentò la versione più riduzionista e fisicalista, resa famosa dall’affermazione, contenuta nel suo libro Superstizione e scienza, secondo cui «il pensiero sta al cervello come la bile sta al fegato e l’orina ai reni».
4 Marx commentò la sentenza in questi termini: «Come quel turco che tagliò la testa a un greco, senza aver intenzione di fare del male» (Herr Vogt cit., p. 271).
5 Lettere di Marx ad Engels, del 25 settembre 1860 e del 2 ottobre 1860, in K. Marx – F. Engels, Opere complete, vol. XLI, Editori Riuniti, Roma 1973, rispettivamente alle pp. 106-108 e 112-113. Più di mezzo secolo dopo, alcuni artisti esuli a Zurigo adottarono lo stesso termine – ‘dada’ -, trovato in un dizionario francese, come parola-chiave del movimento culturale passato alla storia, per l’appunto, con il nome di dadaismo. Se per Marx Dâ-Dâ e Vogt erano soltanto due degli “innumerevoli portavoce con cui il grottesco ventriloquo delle Tuileries [Napoleone III] faceva sentire la sua voce in lingua straniera”, nondimeno ciò che accomunava Marx e i dadaisti protonovecenteschi era l’intento polemico della lotta al filisteismo borghese e piccolo-borghese.
6 Per la trattazione dell’aspetto artistico-letterario si è rivelato prezioso il bel libro di S.S. Prawer, La biblioteca di Marx, Garzanti, Milano 1978. Circa quell’“oceano senza fondo” che, a detta di Arnold Ruge, erano le letture di Marx, l’autore di questo libro arreca due differenti testimonianze. La prima è dello stesso Marx in una lettera alla figlia Laura, dell’11 aprile 1868: «Io sono una macchina, condannata a trangugiare i libri per buttarli fuori in forma diversa sul letamaio della storia». La seconda è di Michail Bakunin, capo del movimento anarchico e avversario irriducibile della corrente marx-engelsiana, il quale tuttavia riconosceva che «pochissimi uomini hanno letto tanto e, si deve aggiungere, con tanta intelligenza come il signor Marx» (entrambe le testimonianze sono riportate a p. 265 del libro citato).
7 Duole segnalare fra questi uno studioso come Marcello Musto, la cui probità intellettuale procede di pari passo con la subalternità al ‘topos’ testé denunciato. Si veda in Rete al seguente indirizzo: https://www.marcellomusto.org/bio/59-articles/marx-ai-tempi-de-il-signor-vogt-appunti-di-biografia-intellettuale-1860-1861/256.
8 K. Marx, Herr Vogt cit., p. 49.
9 Ibidem, pp. 49-50.
10 F. Mehring, Storia della socialdemocrazia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1961, vol. 1, p. 531.
11 F. Mehring, Vita di Marx, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 198.
12 Verbale delle sedute del Comitato Centrale della Lega dei comunisti, citato in O. Mänchen-Helfen e B. Nikolaevskij, Karl Marx, Einaudi, Torino1947, p. 244.
13 F. Mehring, Vita di Marx, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 135.
14 K. Marx – F. Engels, Opere complete, vol. XXXIX, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 85.
15 Iidem, Opere complete cit., vol. XL, Editori Riuniti, Roma 1973, p. 128.
16 K. Marx, Herr Vogt cit., p. 315.
17 K. Marx – F. Engels, Opere complete cit., vol. XL, p. 392.
18 È doveroso riconoscere ad uno studioso della storia del movimento operaio, quale Arrigo Cervetto, il merito di aver sottratto Herr Vogt alla “critica roditrice dei topi” e a quella, non sempre disinteressata, dei marxologi, ponendo in luce la differenza irriducibile che intercorre, dal punto di vista teorico e da quello tattico-strategico, tra il comunismo proletario e la democrazia borghese e piccolo-borghese. Si veda, a questo proposito, un articolo del 1978, Marx ed Engels sul terrorismo democratico tedesco, in A. Cervetto, Opere, vol. 1 – Scritti teorici, Appendice, Edizioni Lotta Comunista, Milano 2015, pp. 548-556.
19 Si vedano, a titolo orientativo, le seguenti biografie: Franz Mehring, Vita di Marx, Editori Riuniti, Roma 1969 (ed. or. 1919); Boris Nikolaevskij, Otto Mänchen-Helfen, Karl Marx. La vita e l'opera, Einaudi, Torino 1969; David McLellan, Karl Marx. La sua vita e il suo pensiero, CDE, Milano 1983; Francis Wheen, Karl Marx, Mondadori, Milano 2000; Maximilien Rubel, Karl Marx, saggio di biografia intellettuale, Colibrì Edizioni, Milano 2001; Isaiah Berlin, Karl Marx, La Nuova Italia, Firenze 1967 (ed. or. 1939)
20 Cfr. S.S. Prawer, op. cit., pp. 260-261.
21 W. Shakespeare, Enrico IV, atto II, scena III.
22 Personaggio del romanzo di Charles Dickens Martin Chuzzlewit, che rappresenta un tipo di ipocrita untuoso.
23 Personaggio del romanzo di Victor Hugo Nôtre Dame de Paris, il cui nome simboleggia una grottesca deformità fisica.
24 K. Marx, Herr Vogt cit., p. 28.
25 Ibidem, p. 154.
26 Dante, Inferno, c. XXVIII, vv. 26-27.
27 K. Marx, Herr Vogt cit., p. 242.
28 Dante, Inferno, c. XXIII, v. 144.
29 Ivi, c. XI, vv. 59-60.
30 K. Marx, Herr Vogt cit., p. 250.
31 Ibidem, p. 29.
32 Circa la struttura e il funzionamento della prosa marxiana un’indagine articolata, ricca di acute osservazioni attinenti al nesso dialettico tra forma e contenuto, significato ed espressione, pensiero e linguaggio, è quella che ha condotto lo studioso venezuelano Ludovico Silva nel saggio, Lo stile letterario di Marx, Bompiani, Milano 1973.
33 Su questo tema si veda il saggio di L. Canfora, Ideologie del classicismo, Einaudi, Torino 1980. Per una messa a punto di tale tema nella presente congiuntura politico-culturale mi sia consentito segnalare, in questa stessa sede, il seguente articolo: https://www.sinistrainrete.info/filosofia/13388-eros-barone-la-crisi-dei-saperi-socratici-una-sfida-per-l-humanitas.html.
34 G. Ryle, Lo spirito come comportamento, trad. it. e cura di F. Rossi-Landi, Einaudi, Torino 1955 (ed. or. 1949 con il titolo di The Concept of Mind).

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romke
Tuesday, 18 February 2020 01:07
Leggendo mi passavano davanti agli occhi tutti i diavoletti rivoluzionari che al giorno d'oggi, pur di avere una passata in tv o su qualche giornaletto, borghese o di parrocchietta, ne inventano di tutti i colori purchè, sia chiaro, lontano dagli operai. Ho trovato l'articolo istruttivo e di piacevole lettura. Grazie.
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Alfonso
Sunday, 16 February 2020 21:51
"l'attività cospirativa dei democratici costringeva alla clandestinità il partito che meno ne aveva bisogno, il partito proletario" : meno generico, quindi meglio. Generalizzando, e trattandosi, per il comunismo proletario (veramente, Engels parla di socialismo operaio, ma sono d'accordo sulla tensione all'oggi che ribadisci) di un movimento politico nascente, andiamo a vedere la differentia specifica in Inghilterra, come anche negli Stati Uniti, e vediamo che le attività dei democratici 'battono il passo' alle attività delle altre classi. Andrebbe aggiunto al quadro la tenuta del piano di Metternich, almeno fino alla caduta del gendarme russo. Ma forse, parlare della differentia specifica dei bolscevichi porterebbe...fuori tema. Grazie
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Eros Barone
Sunday, 16 February 2020 20:35
§ Alfonso

Come ho sottolineato nell'articolo, dopo il 1850 - data di inizio della cosiddetta "seconda Restaurazione" - Marx ed Engels erano arrivati alla conclusione che il capitalismo, grazie allo sfruttamento delle miniere californiane e australiane, fosse entrato in una nuova fase di sviluppo, che escludeva la possibilità di rivoluzioni a breve termine. Tuttavia, alcuni membri della Lega si dissociarono da queste conclusioni e si diedero ad architettare avventuristici piani di insurrezione armata in Germania, sicché Marx ed Engels ruppero con questa frazione e scrissero contro i suoi esponenti, Willich e Schapper, e i loro alleati democratici, Mazzini, Heizen Kinkel e Ruge, un pamphlet intitolato "I grandi uomini dell'emigrazione". Le precisazioni che ti interessano sono contenute in questo scritto e naturalmente in "Herr Vogt", testi ai quali ti rimando. Circa la natura degli Stati e dei relativi governi, verso i quali era diretta l'attività cospirativa del terrorismo democratico, è evidente che parlare di Stato borghese è una semplificazione, poiché, per citare alcuni esempi, si va da uno Stato monarchico semiassolutista ed interventista come lo Stato prussiano, a Stati assoluti come quello asburgico e buona parte degli Stati della Confederazione germanica, ad uno Stato monarchico liberale come quello sabaudo e ad uno Stato plebiscitario ed autoritario come quello bonapartista. In genere, si tratta di Stati che sono espressione di un'alleanza tra il potere monarchico e la nobiltà detentrice di grandi proprietà fondiarie, alleanza che può comprendere, in funzione subalterna, il ceto medio rurale (è il caso del bonapartismo) e, a seconda del grado di sviluppo dei processi di industrializzazione, anche frazioni più o meno estese della borghesia manifatturiera, finanziaria e commerciale. Comunque sia, le ragioni della polemica di Marx ed Engels contro la tattica del terrorismo democratico attingono la loro giustificazione, in primo luogo, dal grado di sviluppo dei rapporti di produzione, che imponeva, come fase propedeutica alla costituzione del partito proletario, la tattica della propaganda di massa e della organizzazione economica (sindacale e cooperativa), tattica che sarà poi portata avanti dai moderni movimenti operai e contadini; in secondo luogo, dalla necessità, quale che fosse la natura di classe dello Stato che occorreva combattere, di non offrire il fianco a provocazioni e repressioni le cui conseguenze si sarebbero scaricate sul partito proletario. In pratica, l'attività cospirativa dei democratici costringeva alla clandestinità il partito che meno ne aveva bisogno, il partito proletario. Infatti, la cospirazione teorizzata ed attuata dai democratici finisce con il cadere sulle spalle dei comunisti, i quali la rifiutavano in teoria e in pratica perché hanno da conquistare tutta una classe e non un piccolo gruppo di individui. Questa discriminante teorica, strategica, tattica ed organizzativa segnerà, da quel momento in poi, la storia dei rapporti conflittuali tra il terrorismo insurrezionale della corrente anarchica e populista e il socialismo scientifico della corrente marxista e leninista.
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Alfonso
Sunday, 16 February 2020 18:55
"le congiure, i conflitti e gli attentati, che i terroristi democratici, da Mazzini a Heizen, da Ruge a Kinkel, organizzavano - o almeno tentavano di organizzare - sul continente europeo, offrivano agli apparati repressivi dello Stato borghese il pretesto per colpire la nascente organizzazione proletaria" Non credi sia il caso di precisare di quale Stato parli, e per quale motivo la natura di tale Stato sia borghese? Grazie
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