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sollevazione2

Agamben o la fuga dal mondo

di Moreno Pasquinelli

Stelios Faitakis12«Vano è il desiderio di prevalere sugli uomini della perdizione prima del giorno della vendetta […] Occorre separarsi dai malvagi e attendere che scenda su di loro il giudizio di Dio»

Rotoli di Qumrȃn. Regola della Comunità, x, 17-20

Ogni vero movimento di massa è, non fosse che per le sue dimensioni, collettore di disparati bisogni e pulsioni sociali. Questo dato, sebbene fosse camuffato dalla preponderanza egemonica della componente socialista e anticapitalista, era vero anche nel ‘900. Nel nuovo secolo, venuta meno quella preponderanza egemonica, i movimenti di massa sono caratterizzati anche dalla più complessa pluralità ideologica. Essi sono dunque doppiamente eterogenei.

 

Le filosofie politiche dei “no-vax”

Prendiamo ad esempio il movimento contro il green pass. Fenomeno tipicamente italiano — conseguenza del fatto che l’Italia è assurto a principale banco di prova del great reset —, esso è fuoco di resistenza al regime change e moto di rifiuto della dittatura tecno-sanitaria, ergo un movimento politico di massa. Una composizione sociale quanto mai poliedrica — esso mobilita infatti cittadini appartenenti alle più diverse classi e categorie sociali —, si specchia con una composizione ideologica altrettanto frammentata.

Il Rapporto CENSIS 2021 volendo catturare gli aspetti ideologico-culturali salienti del movimento è giunto a conclusioni caustiche: esso sarebbe anzitutto caratterizzato da “irrazionalità, pensiero magico, superstizioni antimoderne, speculazioni complottiste” e via contumeliando.

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machina

Pensare con il martello

di Gigi Roggero

0e99dc 0723636dedf64e0080e754348c8c88b4mv2È fresco di stampa La rivoluzione in esilio. Scritti su Mario Tronti, a cura di Andrea Cerutti e Giulia Dettori (Quodlibet). Il volume è costituito da una raccolta di saggi da parte di figure di differente formazione che analizzano degli aspetti particolari dello straordinario percorso teorico-politico dell’autore di Operai e capitale. Proponiamo qui lo scritto di Gigi Roggero, dall’esemplificativo titolo Pensare con il martello, e dall’esemplificativa conclusione: «Abbiamo l’impressione di non vederla, eppure la tigre è lì, sempre pronta a balzare. Non in un imprecisato futuro, ma contro un presente determinato. Scommettiamo su una profezia, la forza di vedere quello che gli altri non vedono, la volontà di dire quello che gli altri rifiutano di ascoltare, il progetto di scomporre il tutto del capitale per ricomporre e dunque trasformare radicalmente i frammenti della nostra parte. In questa notte apparentemente senza stelle, il nostro noi si forma riconquistando la capacità di afferrare le tracce dell’aurora». 

* * * *

«As a first objection, we might ask who said that human civilisation is indeed capital’s dearest concern». Tradurre significa tradire, si dice. Questo non è un tradimento linguistico per rendere comprensibile il pensiero. Questo è un tradimento del pensiero per rendere malleabile il linguaggio. Invece no, il pensiero è proprio quello: «Ma prima di tutto, chi vi dice che ci sta a cuore la civiltà dell’uomo?». La liquidazione definitiva del lessico umanitario universalista viene qui ritradotta in quel lessico. Per essere chiari: la responsabilità non è del lavoratore che ha tradotto Operai e capitale. La responsabilità è dell’industria che quel lavoro comanda. Quando Lenin arriva in Inghilterra, l’Inghilterra tenta di edulcorare Lenin, di depoliticizzarlo, di svuotarlo. Il pensiero debole è sempre uno strumento al servizio del pensiero dominante.

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lavocedellelotte

Egemonia: un asse della politica rivoluzionaria

di Giacomo Turci e Mattia Giampaolo

Il concetto di egemonia è tutt’oggi ben presente nel discorso pubblico, in vari contesti, nelle letture dei conflitti fra Stati o classi sociali, nelle analisi che riguardano i rapporti di potere. Esso ha avuto un certo “rinascimento” anche grazie al rinnovato riferimento ad Antonio Gramsci nelle analisi delle dinamiche politiche di questo primo scorcio di secolo. I marxisti di oggi hanno tutto il diritto e l’interesse a fare proprio ed utilizzare questo concetto come uno degli assi di una politica rivoluzionaria nel XXI secolo, riprendendo il filo della lotta per una egemonia proletaria, condotta da Gramsci e altri importanti marxisti. Il seguente articolo, a partire da questa ottica, offre una breve introduzione al tema e alla sua elaborazione nell’ambito del marxismo, in particolare del pensiero di Gramsci.

gramsci87454Il “rinascimento” dell’egemonia. Sì, ma quale?

Gli effetti della crisi del consenso neoliberale su scala globale, intaccato dalla colossale crisi del 2008, dall’indebolimento del ruolo degli USA come “poliziotto del mondo” e dall’evidente fallimento generale della promessa di un’epoca di pace e benessere, hanno incluso anche una riemersione e un recupero di concetti e pensatori “antagonisti” del passato che si davano perlopiù per sorpassati, o che erano stati neutralizzati politicamente con successo, facendone delle icone inoffensive per l’equilibrio della società borghese nel nostro secolo.

Tra questi c’è stato sicuramente Antonio Gramsci, il cui “ritorno”, non solo in Italia, nelle analisi intorno alle dinamiche politiche che si sono succedute in questo primo ventennio del ventunesimo secolo è stato significativo. Analisi che hanno visto una quantità notevole di processi di lotta di classe, ribellione, nuova soggettivazione della classe operaia e dei ceti popolari, addirittura processi rivoluzionari in un quadro ben diverso da quello della “fine della storia” descritta da Francis Fukuyama nel 1992, quando il crollo dell’URSS incoraggiava i difensori del capitalismo a teorizzare la fine definitiva di una qualsiasi alternativa ad esso.

Nonostante il ‘ritorno di Gramsci’ in epoca recente abbia gettato le sue basi proprio dalla crisi della finanza globale e alla crisi di consenso post-2008, tuttavia, già a partire dagli anni Settanta, Gramsci veniva ripreso per spiegare, e a volte giustificare, le svolte riformiste dei vari PC o, in ambito accademico per applicarlo, in molti casi meccanicamente, in diversi ambiti del sapere.

In epoca più recente, soprattutto lo studioso Peter Thomas (2009), nel suo tentativo di riportare il pensiero di Gramsci all’interno del dibattito accademico, parlava di ‘Gramscian Moment’.

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quodlibet

La costituzione e lo stato di eccezione

di Giorgio Agamben

Intervento al convegno degli studenti veneziani contro il greenpass l’11 novembre 2021 a Ca’ Sagredo

voltairenet.org 1 1 26 0d81bVorrei riprendere, per cominciare, alcuni punti che avevo provato a fissare qualche giorno fa per cercare di definire la trasformazione surrettizia, ma non per questo meno radicale, che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Credo che dobbiamo innanzitutto renderci conto che l’ordine giuridico e politico in cui credevamo di vivere è completamente mutato. L’operatore di questa trasformazione è stato, com’è evidente, quella zona di indifferenza fra il diritto e la politica che è lo stato di emergenza.

Quasi vent’anni fa, in un libro che cercava di fornire una teoria dello stato di eccezione, avevo costatato che lo stato di eccezione stava diventando il sistema normale di governo. Come sapete, lo stato di eccezione è uno spazio di sospensione della legge, quindi uno spazio anomico, che si pretende però incluso nell’ordinamento giuridico.

Ma guardiamo meglio che cosa avviene nello stato di eccezione. Dal punto di vista tecnico, si ha una separazione della forza-di-legge dalla legge in senso formale. Lo stato di eccezione definisce, cioè, uno “stato della legge” in cui da una parte la legge teoricamente vige, ma non ha forza, non si applica, è sospesa e dall’altra provvedimenti e misure che non hanno valore di legge ne acquistano la forza. Si potrebbe dire che, al limite, la posta in gioco nello stato di eccezione è una forza-di-legge fluttuante senza la legge. Comunque si definisca questa situazione – sia che si considera lo stato di eccezione come interno o che lo si qualifichi invece come esterno all’ordine giuridico – in ogni caso essa si traduce in una sorta di eclissi della legge, in cui, come in un’eclissi astronomica, essa permane, ma non emana più la sua luce.

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economiaepolitica

Critica della (s)ragione strumentale/calcolante-industriale

di Lelio Demichelis

unnameds64s“Ormai solo un Dio ci può salvare”: è una delle risposte – forse la più famosa (e dalle molte interpretazioni possibili) – date da Martin Heidegger nella sua intervista del 1966 a Der Spiegel e pubblicata nel 1976 solo dopo la sua morte per volontà dello stesso filosofo (Heidegger, 1987: 140). Qui invece, da laici e da illuministi diciamo che solo un’altra ragione – umanistica, riflessiva e sostenibile, quindi non solo diversa ma radicalmente opposta alla razionalità strumentale/calcolante-industriale-capitalista dominante da tre secoli – ci può salvare.

 

Uscire dalla razionalità strumentale/calcolante-industriale

E per salvarci (dalla crisi ambientale e da quella sociale), questa nuova ragione deve permetterci soprattutto di riprovare a immaginare – sono passati giusto vent’anni dalla oscena macelleria messicana che lo stato italiano praticò deliberatamente e scientemente a Genova nel 2001 contro i no-global e le loro idee – che un altro mondo sia davvero possibile: un mondo altro dal tecno-capitalismo, altro dall’accumulazione tecno-capitalista, altro dallo sfruttamento dell’uomo permesso dalle nuove tecnologie, altro dallo sfruttamento della biosfera per profitto privato. Con un’economia altra rispetto a quella anch’essa dominante.

Un tornare a immaginare/pensare ancora più necessario quando, come accade da tempo in una sorta di crescendo rossiniano, troppi scienziati (in questo forse non casualmente alleati/allineati con l’ideologia neoliberale e soprattutto con quella tecnologica che ci porta a delegare la nostra vita a un algoritmo e a percepirci come non responsabili di ciò che facciamo), troppi scienziati vogliono farci credere che il libero arbitrio non esiste e che siamo governati da forze deterministiche cieche (cfr., Internazionale nr.1416), alle quali possiamo/dobbiamo solo adattarci senza avanzare critiche e progetti alternativi – e che anche questa economia e questa tecnica sono quindi il nostro destino.

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La Polemologia di Potere Operaio. Bifo Contro il lavoro

di Leo Essen

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«Contro il lavoro», pubblicato da Franco Berardi (Bifo) nel 1970, è un’ottima sistematizzazione delle idee di Potere Operaio (operaismo). Si tratta di idee che hanno preso piede per la prima volta nelle riflessioni di Tronti pubblicate a partire del 1962 sui Quaderni Rossi.

Sono trascorsi 60 anni, per una corretta comprensione dei temi trattati è importante collocare queste idee nel loro periodo. Inoltre, bisogna tenere conto di due importanti temi che si imposero con forza negli anni Cinquanta: 1) il capitalismo monopolistico come forma di proto-socialismo, e 2) l’automazione come elemento dinamico del neo-capitalismo.

Nel 1942, in un libro che, qualche anno dopo negli USA, sarebbe diventato un best seller, Schumpeter dice, in primo luogo, che il Big Business, anche dal punto di vista della borghesia, è più efficiente della libera concorrenza. Agendo nelle condizioni proprie dello sviluppo capitalistico il regime della concorrenza perfetta crea sperperi (distruzione creatrice). L’azienda compatibile con la concorrenza perfetta è in molti casi inferiore come efficienza interna, specialmente come efficienza tecnica. La concorrenza perfetta, dice, è non soltanto impossibile, ma inferiore, e non ha nessun titolo per esser elevata a modello di efficienza.

Il Big Business è superiore, permette quelle economie di scala in grado di finanziare volumi di capitale costante necessari per implementare sistemi integrati di automazione.

In secondo luogo, dice Schumpeter, la moderna società per azioni (il big business), pur essendo un prodotto del processo capitalistico, socializza la mentalità borghese; riduce sempre più il campo d’azione del movente borghese; non solo, ma tende a intaccarne le basi.

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Il pensiero critico e la rana di Chomsky

di Alba Vastano

“Ragionare significa tacitare le emozioni e gli impulsi per fare spazio alle idee, soprattutto,a una discussione ordinata che le analizzi e ne determini il valore, aprendo nuove strade alla nostra convivenza “ (Ermanno Bencivenga)

immagine 10Stiamo attraversando l’era delle catastrofi, alcune annunciate, altre imprevedibili. Dai cambiamenti climatici causa inquinamento da emissioni, alle migrazioni sempre più frequenti, provocate da guerre infinite, soprusi, terrore e violenze che stritolano la vita di poveri esseri umani, costretti a tentare l’incognito, anche a rischio di perderla la vita, ma con un barlume di speranza di viverne una migliore di là dal mare. La xenofobia radicata come un germe velenoso, ostile e cinico ad accogliere chi riesce a salvarsi dal mare. E poi la fame, solo in alcuni luoghi della Terra, mentre in altri luoghi il cibo sovrasta le nostre pinguedini. Nel 2050 si prevedono nove miliardi di persone sul Pianeta, ma le risorse naturali, aria acqua e cibo si avviano verso l’estinzione. E per chiudere questo triste elenco di catastrofi attempate è piombata sulla nostra vita una pandemia causata da un virus che ha stroncato milioni di persone.

Sulle cause di tutte queste catastrofi possiamo proclamarci incolpevoli? Non lo siamo. Le catastrofi accennate ce le siamo procurate tutte e gli effetti più devastanti avremmo potuto evitarle. Se non è possibile evitare uno tsunami, un terremoto, un’esondazione, sebbene se ne possano attutire per tempo gli effetti devastanti mettendo in sicurezza i territori, le altre catastrofi come: inquinamento, razzismo e disuguaglianze sì, possiamo evitarle. Abbiamo ancora qualche chance per allungare i tempi della fine delle risorse del Pianeta, ma dovremmo provare ad attivare sin da oggi una risorsa che appartiene ad ogni umano. Una risorsa che ci connota come privilegiati nella vita sul Pianeta, ma una risorsa che abbiamo da troppo tempo accantonato.

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sinistra

Pashukanis e l'estinzione del diritto

di Carlo Di Mascio

unnamiuobuo567edE’ da come viene affrontato il tema dell’estinzione del diritto che si può comprendere fino a che punto un giurista è veramente vicino al marxismo e al leninismo.

E. B. Pashukanis, Economia e regolamentazione giuridica (1929)

1. Premessa1

E’ più o meno nota la drammatica vicenda filosofica ed esistenziale di Evgeny Pashukanis2, il quale, nella Russia sovietica tra gli anni 20 e 30 del Novecento - in perfetta sintonia con l’impianto marxista-leninista, e in distonia con quello stalinista mirato, dopo la seconda metà degli anni 30, al massimo rafforzamento del diritto e dello Stato - tenta di spiegare attraverso la sua opera più significativa, La Teoria generale del diritto e il marxismo del 1924, la correlazione esistente fra lo Stato, il moderno diritto formale astratto ed i rapporti sociali capitalistici, e ciò partendo dal presupposto fondamentale secondo cui la forma specifica della regolamentazione giuridica capitalistica ha origine dalla forma-merce, nonché dalla conflittualità degli interessi privati. Pashukanis, in netta antitesi con un certo marxismo ortodosso, ribadisce che Stato e diritto non sono la stessa cosa, né tantomeno possono più essere collegati o dedotti dalla proprietà privata, bensì dalla merce che, in quanto rapporto sociale, intende privilegiare solo valori di scambio per il mercato e non valori d’uso per i bisogni sociali e che, conseguentemente, nel capitalismo può esistere solo un diritto, quello “privato”, rispetto al quale quello “pubblico” rappresenta solo un’abile finzione borghese. Esiste dunque una concatenazione indissolubile tra la forma-merce e la forma giuridica, nel senso che la prima non fa che materializzare la seconda, dato che il capitalismo, universalizzando tutto quanto è legato alla merce, ne impone la sua forma al lavoro salariato, e ciò in particolare perché giunge a concepire ogni individuo come soggetto giuridico, un soggetto cioè uguale ad altri e libero di operare come meglio crede nel mercato, ma di fatto ridotto dal rapporto di produzione capitalistico a mera funzione nella produzione, e quindi nello sfruttamento.

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Dalle distopie dell’Antropocene alle utopie della cura

di Gaia Giuliani

Pubblichiamo il presente articolo che riassume l’introduzione al volume Monsters, Catastrophes and the Anthropocene. A Postcolonial Critique pubblicato da Gaia Giuliani nel 2021 per i tipi di Routledge e uscito nel numero 5/2021 della nostra rivista

Schermata 2021 12 02 alle 17.36.14Il tempo in cui viviamo[1] 

Viviamo in un’epoca di mostri e catastrofi, sospinti in un ciclo distopico senza fine. Il finis mundi si avvicina sempre di più e diventa gradualmente l’unica lente attraverso la quale l’Europa e l’Occidente danno un senso al ‘nostro’ tempo. ‘Noi’ temiamo le invasioni, uno stato permanente di terrore e la catastrofe ambientale finale – il ‘nostro mondo’ trabocca di caos e minaccia l’ordine che garantisce la nostra sicurezza, il benessere, la sostenibilità e il Progresso. Come nell’Apocalisse di San Giovanni, la fine del mondo come ‘noi’ lo conosciamo cancellerà il Tempo e lo Spazio, danneggerà irrimediabilmente il corpo umano, riportando la violenza selvaggia che era stata espulsa dallo spazio della ragione. Ciò che è in pericolo è l’essenza stessa degli umani, lasciati senza protezione ed esposti alla barbarie, alle epidemie e ai disastri naturali contro i quali occorre mettere confini, muri, colonie, spazi segregati, identità più spesse e leggi marziali: faremo di tutto per fermare la diffusione del caos e tenerlo ‘fuori’, anche se questo significa sacrificare alcuni per il bene dei molti. Alcuni stanno già pagando il prezzo più alto, ma non possono essere aiutati – la loro stessa mancanza di conoscenza li rende vulnerabili al disastro. Se riusciamo a tenerci a distanza di sicurezza da rifiuti tossici, virus, inquinamento ambientale, guerre e altri effetti nocivi dello stesso capitalismo neoliberale di cui beneficiamo, la parte migliore dell’umanità sarà al sicuro.

La mobilità indisciplinata dal Sud al Nord del mondo, il terrorismo organizzato dopo l’11 settembre e la crisi ambientale in continua evoluzione hanno scatenato un complesso insieme di ansie, paure e discorsi apocalittici.

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paroleecose2

Pluriverso

di Sergio Messina

Ecologie della trasformazione, rubrica a cura di Emanuele Leonardi

pluriversoUna delle sfide più importanti dell’umanità contemporanea è quella di sapersi orientare in un mondo a crescente complessità. Ancor più difficoltoso risulta definire linee di azione e di trasformazione comuni che facciano capo a differenti contesti geografici ed esistenziali, i quali tuttavia condividono o possono condividere orizzonti di ricerca-azione trasversali.

Uno degli strumenti basilari che consente di porre in essere tale impegnativo percorso (che investe tanto il piano individuale, quanto quello collettivo) è l’individuazione di parole-chiave sia per il presente, sia per l’avvenire. Parole-chiave che sono state spesso dispiegate attraverso la costruzione di un dizionario, il quale si differenza dalle enciclopedie perché mentre queste ultime assumono una funzione teorica e conoscitiva per una determinata branca del sapere o dello stesso sapere universalmente inteso, il primo costituisce una cassetta degli attrezzi immediatamente operativa.

Ciò che di primo acchito balza agli occhi è che Pluriverso (Orthotes Editrice) è un dizionario elaborato sulla falsariga di precedenti lavori (ad esempio il Dizionario dello sviluppo, curato da Wolfgang Sachs, Staying Alive: Women, Ecology and Development di Vandana Shiva, sulla decrescita progettato da Giacomo D’Alisa, Federico Demaria e Giorgio Kallis, ecc.) ma con la differenza che esso rappresenta ancor più marcatamente un quadro non solo di concetti in senso lato ma anche di realtà viventi, di azioni e strategie collettive, di risorse valoriali e politiche che si pongono in alternativa allo spazio-tempo liscio e atonale del neoliberismo.

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La società del gioco lavorativo. A proposito del libro di Alquati sulla riproduzione

di Veronica Marchio

0e99dc b4a0cc9d4316432a820d9eb005624543mv2Sulla riproduzione della capacità umana vivente. L’industrializzazione della soggettività (DeriveApprodi 2021) non è certo un libro facile da recensire, si tratta più che altro di una mappa di ragionamenti, legati a doppio filo con le riflessioni che l’autore, Romano Alquati, ha prodotto negli anni precedenti alla scrittura di questo testo, rimasto per lungo tempo inedito. Scritto ormai vent’anni fa, ciò che maggiormente va messa in evidenza è la grande capacità anticipatoria delle analisi della tendenza capitalistica e quindi anche delle possibilità di modificare quella tendenza. Veronica Marchio ci offre qui una sua lettura del modello alquatiano e un’indispensabile guida per orientarsi nella complessità del libro. 

* * * *

Sulla riproduzione della capacità umana vivente. L’industrializzazione della soggettività (DeriveApprodi 2021) non è certo un libro facile da recensire, si tratta più che altro di una mappa di ragionamenti, legati a doppio filo con le riflessioni che l’autore, Romano Alquati, ha prodotto negli anni precedenti alla scrittura di questo testo, rimasto per lungo tempo inedito. È stato scritto ormai vent’anni fa e ciò che maggiormente va messa in evidenza è la grande capacità anticipatoria delle analisi della tendenza capitalistica e quindi anche delle possibilità di modificare quella tendenza oggi.

Non è un libro facile da recensire, dicevamo, perché la difficoltà non sta solo nel capire e seguire i discorsi, intricati e spesso incompleti o solo abbozzati, ma soprattutto nel rielaborarli e nell’ipotizzare delle domande politiche, oltre che teoriche. Il tema è quello della messa a valore capitalistica della riproduzione delle capacità umane, un processo «baricentrico» del capitalismo dei nostri giorni che è necessario interrogare politicamente per abbozzare delle potenzialità di produzione di soggettività antagonista.

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bollettinoculturale

La lettura negriana della rivoluzione keynesiana

di Bollettino Culturale

negri keynesNel modo di produzione capitalistico il fordismo si è combinato con il taylorismo, sebbene non siano la stessa cosa. Quest'ultimo può essere definito come una tecnica per razionalizzare il processo lavorativo con un effettivo guadagno di produttività attraverso la scomposizione e massificazione della forza lavoro. Utilizza la semplificazione dei compiti del lavoratore e la loro esecuzione sotto forma di gesti e movimenti ripetuti. Associato al taylorismo, il fordismo si affermò dando origine a quello che Antonio Gramsci definì “un nuovo tipo di lavoratore”.

Con il consolidamento del fordismo, il proletario divenne l'operaio senza attributi, con la funzione di integrarsi nel movimento della macchina, incapace di riconoscersi nel risultato del suo lavoro e con pochissima capacità di intervenire nel processo produttivo. D'altra parte, è stato catturato da un'intera rete di relazioni sociali volte a tenerlo assoggettato al nuovo metodo di produzione non solo per coercizione, ma attraverso il suo consenso.

In “Americanismo e fordismo” Gramsci ha affrontato riccamente il tema, cogliendo l'ampiezza della trasformazione sociale operata dal fordismo. Ha analizzato un insieme di fattori esistenti per l'emergere dell'allora nuovo metodo di produzione e il suo momento di implementazione in America, che rivisiteremo qui in alcuni punti.

In primo luogo, ha evidenziato l'importanza della composizione della popolazione americana che ha messo a disposizione del sistema fordista un grande esercito industriale di riserva.

L'introduzione del fordismo in America è stata facilitata, secondo il pensatore italiano, dall'assenza di una maggiore complessità nella divisione in classi.

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materialismostorico

Un viaggio nell’ “autocoscienza” del pensiero critico

Recensione di Giorgio Bellucci

Riccardo Bellofiore, Smith Ricardo Marx Sraffa. Il lavoro nella riflessione economico-politica, Rosenberg & Sellier, Torino 2020, pp. 398, € 22.80, ISBN 9788878858442

arimg.ashxLa pubblicazione di Smith Ricardo Marx Sraffa va senz’altro considerata un atto di coraggio. Ciò va detto pure per la casa editrice Rosemberg & Sellier e per la collana diretta da Rino Genovese. In generale si può dire che il saggio di Riccardo Bellofiore risponde alla necessità di contrastare la scomparsa del pensiero critico in economia.

«L’egemonia del mainstream neoclassico-liberista, tende sempre più a marginalizzare la tradi- zione di studi marxisti (ma anche neoricardiani, istituzionalisti, post-keynesiani) che sono stati prodotti da economisti italiani nella seconda metà del novecento… mentre da un po’ d’anni l’Italia è un importatore netto di teorie economiche» (Forges Davanzati, La scomparsa del marxi- smo nella didattica e nella ricerca scientifica in economia politica in Italia, “Materialismo Storico”, n° 1-2 2016).

Forges Davanzati ha mille ragioni. Ritengo, tuttavia, che l’avanzata del mainstream a livello generale abbia ancora, in parte, a che fare con quell’aristocraticismo elitario che ha impedito ai post-keynesiani di contrastare efficacemente l’egemonia del monetarismo friedmaniano. A parte gli indubbi meriti di fondo, pare a me che anche il saggio in questione non sfugga del tutto a questo limite. Possiamo dire che l’articolazione del testo di Bellofiore ne fa una spacie di viaggio nell’ “autocoscienza” dell’economia critica italiana e non solo. C’è un filo rosso che percorre il libro: il rapporto Sraffa–Marx e il tentativo di inserire (attraverso gli Sraffa Paper) l’economista di Cambridge in un certo tipo di interpretazione di Marx.

Il fiume carsico di questa riflessione, che a tratti si inabissa e a tratti riemerge, si svolge in parallelo con i classici premarxisti (Smith e Ricardo). E’ su questo crinale che si sviluppa la parte più cospicua dell’approccio di Bellofiore ai temi in oggetto.

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circolointernazionalista

La necessità come spettro del possibile

di levboban

Dal saggio La scienza probabilistica della rivoluzione, in appendice al testo di Roman Rosdolsky. Il ruolo del caso e dei «grandi uomini» nella storia

mouigy4dCome scriveva Robert Havemann, al di là delle interpretazioni idealistiche che se ne danno

la meccanica quantistica non contesta che tutti i fatti, anche se il loro attuarsi non è completamente determinato da fatti precedenti, hanno pur sempre una causa dimostrabile. Nulla avviene in mancanza assoluta di cause. Nei fatti si può sempre dimostrare una catena causale. Non si tratta di chiedersi se questa catena può essere dimostrata, ma se la catena causale già accertata sia l’unico nesso possibile. [1]

Havemann, sulla scorta di Hegel, ci fornisce una interessantissima spiegazione del concetto di necessità, che crediamo trovi conferma nelle moderne scoperte della fisica

Ciò che è reale deve essere possibile. La cosa sembra ovvia. Ma Hegel [dice]: se un fatto è possibile, possiamo definirlo possibile solo se può accadere o può anche non accadere. La parola “possibile” ha in sé un singolare grado d’incertezza, dovendo significare che questa cosa può bene accadere, ma non deve accadere. Hegel conclude: i fatti reali sono caratterizzati dal fatto che, in quanto possibili, essi sono solamente fatti che possono accadere o anche non accadere, e al loro posto possono subentrare altri fatti, ugualmente possibili. Hegel dice poi: le possibilità realmente esistenti nella natura non sono casuali. Ciò che è possibile, è determinato per necessità. Le leggi del mondo e dei fenomeni stanno nel possibile. L’impossibile è distinto dal possibile per necessità assoluta, senza alcuna casualità. [2]

Ciò significa che il necessario è lo spettro del possibile; e il caso? Qual è il suo ruolo?

Havemann prosegue:

Hegel dice: il possibile è determinato per necessità. Esso è stabilito secondo leggi. Scoprire le leggi che determinano il reale significa conoscere ciò che è possibile. Hegel ne conclude: ma se una cosa è determinata secondo legge e per necessità soltanto come una cosa possibile, allora essa nella realtà può apparire solo casualmente. Poiché, come semplice possibile, può accadere o non accadere, essa, se accade, non accade per necessità ma solo casualmente. [3]

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tempofertile

Circa “La questione comunista”, inedito di Domenico Losurdo

di Alessandro Visalli

la questione comunistaA giugno 2018 Domenico Losurdo ci lasciava. Sulla sua scrivania, racconta Giorgio Grimaldi, riposava un testo uscito dalla stampante ed in corso di preparazione. Nelle diverse versioni in esso troviamo due indici e le tracce di un progetto ambizioso. Si trattava nel suo complesso di una trilogia sul comunismo della quale la prima parte era uscita nel 2017, per Laterza, sotto il nome di “Il marxismo occidentale[1], la seconda era appunto “La questione comunista[2], e la terza, ancora nella mente dell’autore e quindi persa per sempre, doveva trovare forma in un testo sul comunismo cinese.

I sottotitoli recitavano, rispettivamente, “Come nacque, come morì, come può rinascere” (il marxismo occidentale), nel libro del 2017, e “Storia e futuro di un’idea” (comunista), in questo. I contenuti del terzo libro, indispensabile per comprendere la parabola dell’impresa tentata da Losurdo, si potrebbero intuire dal progetto del capitolo 4, presente nell’Indice 1 del secondo libro, che ne trattava[3]. Leggendolo troviamo, all’avvio del progetto di capitolo, una frase di enorme peso: niente di meno che “Pensare la Cina [significa] pensare il postcapitalismo”. Proseguendo, scopriamo che questo implica ragionare sulle nozioni di ‘capitalismo autoritario’, anziché ‘democratico’ (quale è l’uno e quale l’altro? Potrebbe non essere scontato[4]); ma anche individuare la differenza cruciale tra la ‘espropriazione politica’, e quella ‘economica’; quindi di ‘economia di mercato non capitalistica’, o di ‘socialismo riformato’; infine comprendere se si è davanti una forma di ‘capitalismo di Stato’ o dello ‘stadio iniziale del socialismo’. Ancora, ragionare sui sindacati (dei padroni i dei lavoratori); l’eguaglianza (‘più perfetta’, o ‘rozza’, anziché ‘radicale’). Infine, nei capitoli finali progettati nell’Indice 1, vediamo che pensare la Cina ed il postcapitalismo significa anche trarre conclusioni su ‘politica ed economia’ guardando a ‘la Cina e il mondo’; ovvero che si tratta di inquadrare il tema in una cornice geopolitica realista, cara al nostro.