- Details
- Hits: 709
Ancora su specialismo e competenze. Una replica opportuna
di Francesco Coniglione
Questo articolo replica a quello pubblicato ieri di Di Remigio e Di Biase, Il primato della teoresi
Ringrazio innanzi tutto Paolo Di Remigio e Fauste Di Biase per il loro intervento, che pone in modo intelligente alcune questioni che nel mio articolo erano rimaste sottintese e che non avevo avuto modo di approfondire visto la sua destinazione primaria (ricordo che era nato come un post su Facebook, poi ripubblicato come tale su Roars). E devo anche dire che se per un aspetto l’articolo citato richiede delle precisazioni da parte mia, per il resto non posso che essere d’accordo con i due autori nella critica che loro fanno alla “barbarie pedagogica” e alla necessità di rivendicare il ruolo della “teoresi”. E in merito potrei citare diversi miei articoli (pubblicati anche su Roars – basta scorrerne l’indice), in cui ho rivendicato le stesse cose.
Ma veniamo al merito del principale rimprovero fattomi: io avrei confuso competenza e specializzazione scientifica, sicché ho trattato “il rapporto tra conoscenza e competenza come se coincidesse con il rapporto tra conoscenza universale e conoscenza particolare”. L’impressione che io abbia confuso questi due aspetti potrebbe derivare dal fatto che non li ho esplicitamente distinti, ritenendo tale opportuna differenziazione implicitamente data. Pertanto non ritengo tale omissione particolarmente grave: in fondo la conoscenza specialistica è la condizione necessaria per avere delle competenze, anche se da sola non è sufficiente.
- Details
- Hits: 977
"Managerial capitalism. Ownership, management and the coming new mode of production" di Gerard Dumenil e Dominique Levy: una recensione critica
di Bollettino Culturale
Capitalisti e manager sono termini ricorrenti nel linguaggio popolare e accademico. Chiunque fosse mosso dalla nozione di classi sociali, non sotto forma di classi funzionali, definite dalla sociologia in ragione delle attività che i loro membri esercitano, ma attraverso grandi forze sociali che spiegano il movimento storico della società mondiale, sarebbe incuriosito dalla affermazione che nella società odierna prevalga il capitalismo manageriale.
Il libro Managerial capitalism rende lo scenario più complesso utilizzando anche l'espressione “modo di produzione”. Classi e modi di produzione sono termini della teoria marxiana. Se scrivere un libro ha il ruolo di provocare stupore, il libro di Gérard Duménil e Dominique Lévy svolge questa funzione.
Gli autori affermano che la società contemporanea è organizzata nella forma di un nuovo modo di produzione, il capitalismo manageriale, vittorioso nella lotta sul comunismo. Non è il capitalismo come siamo abituati a riconoscerlo, ma un capitalismo ibrido, composto da una combinazione di proprietari dei mezzi di produzione con manager privati e amministratori statali. Da qui l'espressione, facilmente traducibile dall’inglese, di capitalismo manageriale.
Le principali questioni sollevate dal libro sono: 1. se la società mondiale è entrata in un nuovo modo di produzione e 2. se le classi sociali che ne farebbero parte sarebbero i manager, oltre alle organizzazioni della borghesia e del proletariato.
- Details
- Hits: 775
Sulla transitorietà delle forme e delle decisioni politiche nella stagione delle emergenze
di Sandro Moiso
Andrea Salvatore, Carl Schmitt. Eccezione / Decisione / Politico / Ordine concreto / Nomos, DeriveApprodi, Roma 2020, pp. 88, 9,00 euro
«Temo i lettori superficiali» (Carl Schmitt, Interrogatorio n. 2161, Norimberga 29 aprile 1947)
Il pensiero di Carl Schmitt (1888-1985), comunque lo si voglia considerare, continua ancora oggi a porre questioni di estremo interesse. La lettura di queste riflessioni intorno all’opera del filosofo, giurista e politologo, offerte da Andrea Salvatore, docente di Filosofia politica presso il dipartimento di Filosofia dell’Università di Roma Sapienza, permette di coglierne i motivi di attualità, sdoganandolo di fatto dall’ambito quasi esclusivamente giuridico e dall’area del pensiero politico conservatore o fascista in cui a lungo è stato relegato.
Certo la sua adesione al regime nazista fin dal maggio del 1933 e il fatto che egli abbia mantenuto la sua carica di docente presso l’Università Humboldt di Berlino, da quello stesso anno fino al 1945, non hanno certo contribuito a suscitare a “sinistra” l’attenzione nei confronti del suo pensiero. Eppure, eppure… le sue riflessioni sulle dinamiche politico-giuridiche che rendono attuative e condivise le norme che regolano lo Stato e la società moderna rimangono tutt’ora decisamente interessanti, proprio per la spregiudicatezza delle sue formulazioni.
Va detto subito, piaccia o meno, che il pensiero di Carl Schmitt non ammette alcuna possibilità di cambiamento sostanziale di un sistema politico-giuridico dato in assenza di un suo rovesciamento.
- Details
- Hits: 1081
L’imprinting come nuova logica dello sfruttamento
Oltre la dissoluzione del rapporto salariale*
di Federico Chicchi, Emanuele Leonardi, Stefano Lucarelli(1)
L’oggetto analitico di questo libro è lo sfruttamento contemporaneo, o meglio la sua indagine a partire dall’armamentario concettuale della critica dell’economia politica marxiana – e in particolare dalla nozione chiave di sussunzione – per poi metterlo alla prova della contemporaneità ed eventualmente aggiornarlo. In questo senso, il nostro lavoro affonda le radici in un dibattito tutt’altro che recente, almeno per quanto riguarda la galassia del neo-operaismo italiano. Infatti, già alla fine degli anni Settanta dalle preziose colonne della rivista «Primo Maggio», Christian Marazzi dava una lettura delle trasformazioni qualitative che avevano colpito la composizione di classe, e al contempo metteva in luce alcuni limiti che caratterizzavano l’armamentario teorico dell’operaismo degli anni Sessanta:
«assumendo come “prius” la classe operaia come misura del capitale e dei suoi movimenti ci si incolla di fatto ad una dimensione quantitativa dello scontro fra capitale e operai. Manca completamente la valutazione qualitativa, soggettiva delle trasformazioni che questo rapporto genera sulla dinamica complessiva della società. Questa dimensione qualitativa viene recuperata con la “crisi della legge del valore”, crisi che ci permette di “comportarci” soggettivamente al di fuori del vincolo capitalistico, al di fuori del “produttivismo” delle lotte operaie. La crisi della legge del valore è il coronamento coerente di questo primo operaismo, ma purtroppo è una analisi impotente di fronte alle trasformazioni indotte dallo stesso rapporto capitale-operai sul resto della società (come, ad esempio, la riarticolazione del processo produttivo sul territorio, il decentramento, le runaway industries, ecc). Sia chiaro, qui non si tratta di negare la crisi della legge del valore, ma di scavare nell’articolazione del suo processo di crisi, e quindi di evitare di assumerla come fatto lineare, teleologico» (2).
- Details
- Hits: 855
Militanza: ancora su rivolta e rivoluzione
di Franco Milanesi
Questo testo, tratto da: Franco Milanesi, Militanti. Un’antropologia politica del Novecento, Edizioni Punto Rosso, Milano 2010, si coniuga a testi precedentemente pubblicati in occasione dell’inaugurazione della rivista, lo scorso settembre, sul tema «rivolta e rivoluzione»: Benedetto Vecchi, Una rivolta senza rivoluzione; Serge Quadruppani, L’incendio rivoluzionario contro la carbonizzazione del pianeta. (La seconda onda mondiale delle sollevazioni e ciò che essa combatte); Mimmo Sersante, Il tempo della rivolta
Il flusso della ribellione, le mete della rivoluzione
Il «fare» della militanza non è il passaggio all’atto di una teoria (come se ne fosse l’«applicazione») ma è la sua trasfigurazione nell’agire di un soggetto che si impegna per sovrapporre ideale e pratica politica. Questo nesso sconvolge alcune della categorie del politico, evidenziando i margini angusti di un linguaggio che transita quasi immutato dal XV al XX secolo. Osservate dall’angolazione del soggetto politico militante (fenomeno tipicamente novecentesco) alcuni concetti come rivolta, potere, ideologia – mostrano una slabbratura dei margini che obbliga ad un ripensamento che li adegui alla specificità del tempo della politica totale.
Questa critica alla tradizione concettuale occidentale è necessaria se si vogliono comprendere a fondo i due termini che hanno storicamente turbato e scosso la presenza borghese: rivolta e rivoluzione. La teoresi si è affannata attorno ad essi distinguendoli, unificandoli, contrapponendoli e soprattutto prendendo parte per l’uno o per l’altro. Ricostruire alcune curvature di questo percorso (così tipicamente novecentesco) serve a far chiarezza attorno al nucleo significativo della militanza.
- Details
- Hits: 859
Piano contro mercato
di Carlo Formenti
Pensieri a margine di un libro di Pasquale Cicalese e di un post di Alessandro Visalli
Per uno studioso di economia che si ispira esplicitamente al marxismo e che – “difetto” ancora più grave – non appartiene alla corporazione degli economisti accademici, trovare una collocazione editoriale per i propri scritti è impresa al limite dell’impossibile. Pasquale Cicalese ci è riuscito grazie alla coraggiosa iniziativa degli amici del sito Lantidiplomatico https://www.lantidiplomatico.it/ i quali, dall’agosto 2020, hanno lanciato la L. A. D. Gruppo editoriale, una casa editrice che pubblica e.book e libri acquistabili online. Il suo libro Piano contro mercato. Per un salario sociale di classe raccoglie una serie di articoli pubblicati su diversi siti (Marx 21, Contropiano, Lantidiplomatico, Carmillaonline e La Contraddizione) in un arco temporale che va dal 2012 al 2020.
Nella “Prefazione” Guido Salerno Aletta – nome noto ai lettori di Milano Finanza - anticipa le ragioni di un titolo che evoca lo scontro fra i due modelli di sviluppo che oggi si fronteggiano a livello globale: da un lato, il dominio del Mercato che caratterizza il mondo occidentale, dall’altro il dominio della Politica che caratterizza la Cina, ovvero centralità dell’accumulazione finanziaria versus centralità del salario sociale. Mentre nelle prime righe della “Postfazione” Vladimiro Giacché dichiara senza mezzi termini di considerare Pasquale Cicalese “uno dei pochi economisti italiani che valga la pena di leggere”, e questo non tanto e non solo perché non è un economista accademico, quanto perché “poche categorie professionali sono uscite screditate come questa dalla Grande Recessione e, più in generale, dalle vicende economiche dell’ultimo decennio”. Provo a spiegare perché condivido questo giudizio.
- Details
- Hits: 1164
Fine del lavoro, Universal Basic Income e teoria del valore-lavoro
di Bollettino Culturale
Tra correnti di pensiero diverse ed eterogenee, l'argomento basato sulla tesi della fine del lavoro è sempre più diffuso e accettato. Una delle tesi più note e generalizzate nel tessuto di questo pensiero è l'idea che l'economia mondiale stia attraversando una fase di automazione generalizzata che a un ritmo accelerato sostituisce il lavoro vivo con le macchine. Da questo punto di vista, il progresso tecnico ha preso una velocità che fa a meno del lavoro come generatore di valore, tanto che i robot avranno una possibilità sempre maggiore di produrre i beni necessari per soddisfare i bisogni umani.
Questo approccio, basato sull'idea della fine del lavoro, prese il largo dagli anni '80 con l'offensiva che il capitale ha portato avanti contro il lavoro durante le fasi iniziali del neoliberismo. Da allora, l'ideologia dominante ha difeso l'eternità del capitalismo attraverso il suo slogan della "fine del lavoro-fine della storia" che non significa altro che denigrare la teoria del valore-lavoro negando lo sfruttamento e negando il lavoro come fonte di valore e plusvalore. Non solo, ma fondamentalmente la negazione della centralità del lavoro da parte degli apologeti del capitale implica negare, come dice Mészáros nella prefazione al libro di Antunes “Il lavoro e i suoi sensi”, “l’effettiva esistenza d’una forza sociale in grado di istituire un’alternativa egemonica all’ordine costituito”.
André Gorz è uno dei massimi esponenti di questa corrente di pensiero e il suo approccio centrale ruota intorno all'idea che il lavoro sia la creazione del capitalismo nella sua fase industriale.
- Details
- Hits: 913
Alcuni punti essenziali della critica del valore
di Anselm Jappe
Il sistema capitalista è entrato in una grave crisi. Questa crisi non è solamente ciclica, bensì finale: non stiamo parlando di un collasso imminente, ma della disintegrazione di un sistema plurisecolare. Non si tratta della profezia di un evento futuro, ma della constatazione di un processo divenuto visibile alla fine degli anni '70 e le cui radici affondano nell'origine stessa del capitalismo. Ciò a cui stiamo assistendo, non è il passaggio ad un altro regime di accumulazione (come è avvenuto con il fordismo), e non si stratta neppure dell'avvento di nuove tecnologie (come nel caso dell'automobile), né ci troviamo di fronte al dislocamento del centro di gravità verso altre regioni del mondo; ma siamo a fare i conti con l'esaurimento di quella che è la sorgente stessa del capitalismo: la trasformazione del lavoro vivente in valore.
Le categorie fondamentali del capitalismo – così come sono state analizzate da Marx nella sua critica dell'economia politica - sono il lavoro astratto e il valore, la merce e il denaro, le quali si riassumono nel concetto di «feticismo della merce». Una critica morale, che si dovesse basare sulla denuncia dell'«avidità», non coglierebbe qual è l'essenziale della questione.
Non si tratta di essere marxisti o post-marxisti, o di interpretare l'opera di Marx, oppure di completarla con nuovi contributi teorici. È necessario ammettere che esiste una differenza tra il Marx «esoterico» e il Marx «essoterico», tra il nucleo concettuale e lo sviluppo storico, tra l'essenza e il fenomeno.
- Details
- Hits: 1274
La «seconda vita politica» di Amadeo Bordiga
Capitalismo e crisi ambientali
di Yurii Colombo
Per la storiografia il Bordiga «che conta» è quello «politico», è la traiettoria che lo porta dalla milizia nella gioventù socialista napoletana a diventare il pivot della scissione comunista nel 1921 a Livorno, a dirigere il Partito comunista d’Italia negli anni dell’ascesa del fascismo e infine a entrare in contrasto con la nuova direzione gramsciano-togliattiana della «bolscevizzazione» fino all’epico scontro con Stalin al VI Esecutivo allargato dell’Internazionale comunista a Mosca nel 1926. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso questo percorso – che non può essere ovviamente slegato dalla storia della sinistra socialista intransigente prima e della sinistra comunista poi – destò un certo interesse della storiografia italiana «ufficiale» (Cortesi, De Clementi, Livorsi, De Felice[1]) prima di tornare ad appannaggio sostanzialmente degli storici simpatetici al comunista napoletano (Peregalli, Saggioro, Gerosa[2]), al defluire dei movimenti che avevano accesso per qualche tempo l’interesse per ogni tipo di eresia del movimento operaio. Tuttavia se si esclude il pioneristico In attesa della grande crisi. Storia del Partito Comunista Internazionale (1952-1982) del già citato Sandro Saggioro, pubblicato qualche anno fa per i tipi di Colibrì e la meritoria opera di ripubblicazione sistematica dei suoi scritti da parte delle organizzazioni bordighiste, l’elaborazione del Bordiga sconfitto e isolato dall’Italia della ricostruzione e del boom rimane ancora ampiamente un territorio inesplorato. Recuperarla sarebbe invece importante perché probabilmente rappresenta il periodo più fecondo dal punto di vista teorico del comunista napoletano.
- Details
- Hits: 1482
L’annichilimento dell’essere sociale e l’ontologia fantasma
di Pier Paolo Dal Monte
Scrisse l’imperatore Artaserse nel suo testamento al figliolo Shapur:
La popolazione deve sempre essere occupata. Quando non ha lavoro, quando langue nell’inazione, inizia a criticare l’operato dell’autorità. Questo porta alla formazione di gruppi e conventicole che, con agende diverse, si oppongono al Re […] Pertanto il Re deve vigilare sulle conventicole¹.
Questo è ancora oggi uno degli arcana imperii cruciali: è necessario scongiurare il pericolo che si formino le conventicole per impedire che si possa affermare un sensus communis diverso da quello che scaturisce dai mezzi di manipolazione di massa e dagli onnipresenti dispositivi elettronici che fabbricano la realtà fantasma. Perché non deve poter esistere altra realtà all’infuori della verità auto-veritativa che impone chi controlla il mondo fantasma.
È indispensabile evitare che le persone interagiscano tra loro, scongiurare il pericolo ch’esse possano confidarsi reciprocamente, magari esprimendo dubbi sulla realtà fantasma, della quale vengono continuamente nutrite, che possano coltivare lo scetticismo nei confronti della fiaba dei nostri tempi. E, per fugare questo pericolo, occorre cancellare il mondo reale, perché, si sa, la gente mormora e potrebbe farsi sfuggire non solo che “i fatti hanno la testa dura” ma, soprattutto, che “pancia vuota non vuole consigli”.
Questo mormorio incontrollato potrebbe scoperchiare il vaso di Pandora e far trapelare ciò che gli arcana imperii tengono gelosamente celato: se non è possibile riempire le pance vuote², o ammorbidire la testa dei fatti, allora occorre abolire i fatti. Se la realtà contraddice il racconto, allora è necessario cancellare la realtà e tessere un velo di fattoidi che ricopra interamente il reale, sostituendone l’immagine.
- Details
- Hits: 860
La democrazia sociale novecentesca come forma politica della parità relativa tra capitale e lavoro
di Mattia Gambilonghi*
L’obiettivo del saggio in questione è quello di chiarire l’accezione del termine che dà il titolo al volume, quello, cioè, di “democrazia sociale”, e, in secondo luogo, di mettere in luce il legame che questa particolare forma politica viene ad instaurare, da un lato, con il cosiddetto costituzionalismo democratico-sociale (o “della seconda ondata”), e, dall’altro, con le forme di interventismo e di governo dei processi economici e sociali affermatesi a partire dall’entre-deux-guerres.
Inizieremo col dire che l’idea e il concetto di “democrazia sociale” ci sembra in larga parte coincidente e sovrapponibile con quello di “Stato sociale”, a patto però di concepire quest’ultimo non, à la Fortshoff, semplicemente come un segmento o una sezione dell’ordinamento politico e della sua organizzazione, ovvero come l’insieme delle erogazioni e delle prestazioni che attraverso le politiche economiche e di bilancio sono assicurate dallo Stato per tutelare e garantire i soggetti più deboli o in condizioni di difficoltà. Al contrario, secondo uno sguardo ed un approccio improntati alla globalità, lungi dall’essere un qualcosa di non-strutturale e di estremamente contingente e congiunturale – legato cioè ai programmi e alle deliberazioni politiche e in ragione di ciò inevitabilmente destinato ad espandersi o a contrarsi in base agli orientamenti del momento – lo Stato sociale va qui inteso nella sua accezione più larga e specificamente giuridica, sarebbe a dire, come una vera e propria forma di Stato dotata di una propria specifica razionalità interna e proprio per questo capace di distinguersi e di differenziarsi dal punto di vista qualitativo sia dai suoi predecessori, come ad esempio le varianti e diverse declinazioni dell’ottocentesco Stato liberale di diritto (Rechtsstaat, rule of law, ecc.), che dalle forme politiche caratterizzanti invece il ciclo neoliberale inauguratosi nel corso degli anni Ottanta.
- Details
- Hits: 1211
Capitale senza rivoluzione?
di Riccardo Bellofiore
Pubblichiamo la relazione di Riccardo Bellofiore alla conferenza sul centenario della rivoluzione d’ottobre tenuta a Roma il 18-22 gennaio 2017 e organizzata dall’associazione e rete C17. L’intervento è stato trascritto e pubblicato in Comunismo necessario – Manifesto a più voci per il XXI secolo, a cura di C17 (Mimesis, 2019).
L’intervento è strutturato in due parti. Nella prima troverete le domande poste da C17. La seconda parte è dedicata alle risposte di Riccardo Bellofiore
Domande di C17:
Cos’è diventato il Capitale nel XXI secolo? Come intendere la “singolarità” del capitalismo neoliberale? Si tratterà per un verso di qualificare – su scala globale – la nuova composizione del lavoro e dello sfruttamento. Ma anche, chiaramente, la composizione del Capitale stesso, tra estrazione del valore e finanza. Per l’altro di percorrere gli antagonismi e la produzione di soggettività (ambivalente) che segnano das Kapital contemporaneo.
1. Aggiornare la critica
Condizione e finalità della critica dell’economia politica borghese è, per Marx, l’esistenza delle classi e la loro incessante lotta: attraverso la «scoperta» dello sfruttamento, la critica marxiana rende visibile la società divisa in luogo dell’individuo isolato e la storia in luogo dell’eternità delle categorie dell’economia politica. Tuttavia, il nuovo paradigma economico-politico «borghese» oggi dominante ha radicalmente modificato il suo oggetto e le forme attraverso cui mistifica il conflitto di classe: alle classi sociali è stato sostituito l’individuo proprietario, alla legge del valore-lavoro quella del valore-utilità, fondando l’origine dell’economia sullo scambio di mercato anziché sulla produzione. In che modo una critica dell’economia politica adeguata al tempo presente deve confrontarsi con queste modifiche nell’oggetto della scienza economica?
- Details
- Hits: 1237
Il canto del cigno dell’economia di mercato
di Robert Kurz
Proponiamo qui una breve quanto densa intervista rilasciata al giornale politico TERZ1 da Robert Kurz nell’aprile 2000, poco dopo l’uscita del suo libro più famoso, lo Schwarzbuch Kapitalismus, cioè Libro nero del capitalismo (Eichborn Verlag, 1999).2 Un titolo, ad onor del vero, che non era quello che l‘autore aveva pensato per quest’opera, come dice anche nell’intervista. Il titolo che aveva prescelto (die Mühlen des Teufels, in italiano I mulini del diavolo) non indica, infatti, una semplice replica ai vari “libri neri” sul comunismo, in voga all’epoca. Piuttosto, richiama una critica feroce e sostanziale al sistema del capitale all’interno del quale Kurz pone anche il modello del socialismo reale, “vittima” soltanto presunta della potenza capitalistica, la quale – secondo la vulgata – avrebbe vinto questa lotta fra titani, solo apparentemente opposti.
In questa intervista Kurz tocca, di passata, alcuni dei temi salienti del suo pensiero, presenti anche nel libro in questione:
1) lo sguardo critico, già accennato, ai regimi dell’est, letti come modernizzazione forzata di recupero; tutt’al più, cioè, come immaturo succedaneo, anche parecchio difettoso, del modello capitalistico, quindi tutt’altro che sua presunta alternativa;
2) la crisi del lavoro astratto come crisi (non recuperabile) del capitalismo, dovuta al contradditorio modo di funzionamento del sistema stesso;
3) la barbarie come esito “naturale” della crisi di questo sistema, già fondamentalmente barbaro. La crisi definitiva del capitalismo, dunque, come una sorta di “ritorno alle origini”, solo senza più spazi reali di crescita;
- Details
- Hits: 1147
Per il comunismo. Il concetto di classe
di Roberto Fineschi
La crisi del Pci è dipesa anche da un’inadeguata definizione del concetto di classe. A tal fine è determinante il ruolo dei soggetti nell’attività lavorativa e le modalità del suo svolgimento. Accanto alla classe operaia dell’industria devono essere prese in considerazione oggi molte altre figure alle dipendenze di fatto del capitale per la sua valorizzazione e gli esclusi dal lavoro
Premessa
In un precedente articolo sulla crisi del Pci individuavo, tra gli altri, due punti fondamentali che credo abbiano minato le sue capacità interpretative e di reazione ai cambiamenti di fase del modo di produzione capitalistico. Il primo è una inadeguata definizione del concetto di classe, il secondo un’incapacità di individuare le dinamiche concrete di trasformazione materiale dei processi economico-sociali e del loro connesso riverbero ideologico. In questa sede vorrei riprendere la prima delle due questioni.
Nella storia del Pci la declinazione fondamentale del concetto di “classe” è consistita nell’identificazione privilegiata del soggetto antagonista nella “classe operaia”. Nella dinamica storico-politica e poi nell’evoluzione della teoria dell’egemonia, essa si è estesa a includere nel “blocco storico” i contadini, al punto che sulle bandiere rosse sventolavano la falce e il martello. Il grande valore di questa alleanza e la sua centralità in una fase determinata della storia contemporanea dettero, da una parte, grande forza a quel movimento nella fase in cui essa sembrava effettivamente incarnare la soggettualità preponderante. È invece sembrato che il declino di quelle istanze reali sancisse una crisi definitiva anche del partito che se ne dichiarava portavoce, almeno nel cosiddetto mondo occidentale avanzato. I mutamenti storici che hanno ridefinito decisamente le configurazioni determinate della lotta di classe hanno lasciato spiazzati un po’ tutti.
- Details
- Hits: 1489
Il problema del valore d'uso in Toni Negri
di Bollettino Culturale
Il valore d'uso è un concetto che appare formulato da Karl Marx come uno dei due fattori della merce nella sua critica dell'economia politica classica e dell'uso che ne fece Hegel nella sua famosa “Filosofia del diritto”.
Il concetto ha avuto un destino sfortunato in tutta la storia della corrente politica che ha rivendicato l'eredità di Marx. Sebbene come concetto sembri in via di sviluppo nei Grundrisse, un testo scritto nel 1857, sarà nel Capitale, in particolare nel suo primo volume, quello che Marx vide pubblicato ancora in vita, dove ci fornirà la linea tracciata della dicotomia valore/valore d'uso da sviluppare.
La tradizione politica del marxismo che seguì alla morte del fondatore non prestò molta attenzione al concetto in questione. La prima grande generazione di marxisti come Lenin, Rosa Luxemburg o Gramsci, aveva una preoccupazione che possiamo definire di natura politica, centrata sui problemi dello Stato, della rivoluzione o della costruzione del partito politico come soggetto collettivo. Il Capitale appariva piuttosto come un testo di "economia" che doveva essere aggiornato secondo le nuove tendenze che si osservavano. Questa è la fonte della riformulazione luxemburghiana dei cosiddetti schemi di riproduzione del capitale, del lavoro di Lenin sul capitale finanziario / imperialismo e del tentativo di Gramsci di comprendere il significato politico, culturale ed egemonico dell'americanismo come nuova concezione della vita.
Alcune delle correnti del marxismo che hanno raggiunto una maggiore diffusione erano apertamente contrarie allo studio del problema del valore d'uso. Forse il caso più emblematico è rappresentato dal marxista americano Paul Sweezy, per il quale:
Page 18 of 59