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carmilla

L’anno degli anniversari. 1961 – 2021: Origine e funzione della forma partito

di Sandro Moiso

barricata Apparentemente è cosa da poco, un testo comparso su «Il Programma comunista» n° 13 del 1961, e molti si chiederanno perché dedicargli un anniversario. Il testo in questione, redatto da Jacques Camatte, militante francese della Sinistra Comunista, di cui si narra fu lo stesso Amadeo Bordiga a insistere per la sua pubblicazione sull’organo quindicinale del Partito Comunista Internazionale potrebbe, però, rivelarsi ancora utile per l’attuale disordinato, carente e, talvolta, asfittico dibattito sulle forme organizzative che molti militanti antagonisti da tempo cercano di sviluppare o perseguire intorno alle odierne realtà di lotta.

Si è ritenuto pertanto utile farne una sintesi commentata su queste pagine, pur tenendo conto della distanza temporale e di linguaggio che separa il presente dal tempo in cui Origine e funzione della forma partito fu concepito. La lettura che se ne darà non terrà conto dei riferimenti specifici alle controversie dell’epoca (sia sociali che interne al Partito Comunista Internazionale), né tanto meno ai numerosi riferimenti alle polemiche con il movimento anarchico dell’epoca in cui Marx scriveva e ancora di quella in cui il testo fu elaborato da Camatte.

Ma ora si aprano le danze, affermando fin da subito che l’ABC del partito rivoluzionario non inizia da Lenin.

Il testo, infatti, costringe il lettore a misurarsi con le formulazioni riguardanti il problema organizzativo espresse principalmente da Marx ed Engels nel corso della loro vita e della loro lunga militanza nelle file della lotta di classe per l’abolizione del modo di produzione vigente.

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machina

Politica e Destino

di Mario Tronti

Il 6 dicembre 2001 Mario Tronti teneva la lectio magistralis con cui lasciava l’Università di Siena. Un’ultima, straordinaria lezione, su un grande tema. Politica e Destino: «due maiuscole, due sostantivi, un rapporto alla pari, un conflitto sul campo, e non c’è soluzione, né definitiva né provvisoria». La lezione è stata successivamente rielaborata in forma scritta, pubblicata nel volume Politica e Destino (Luca Sossella, 2006), che raccoglie anche altri contributi. La riproponiamo per la sua inattualità, cioè per la sua capacità di un’azione sul tempo, contro il tempo e per un tempo a venire. Da qui, da questi problemi e riflessioni, bisogna passare per pensare e ripensare l’agire politico

0e99dc 362da89672f048d59159390f21d0902amv2Noi moderni preferiamo dire con Napoleone: il destino è la politica...
Johann Wolfgang Goethe

Il destino è solo il nemico e l’uomo gli sta ben di contro come forza che lo combatte.
il giovane Hegel

Hölderlin chiama «senza destino» gli dei beati.
Walter Benjamin

L’idea di destino richiede un’esperienza vissuta e non quella dello scienziato, richiede una forza di visione e non un calcolare, profondità non intellettualismo.
Oswald Spengler

[…] quello che noi chiamiamo destino esce dagli uomini, non entra in essi da fuori.
Rainer Maria Rilke

Chi esce dal proprio destino senza farvi ritorno vedrà morta la propria anima.
Chuang-tzû

Queste sono parole dette, che poi sono state scritte. Rimane come una esitazione nella forma, che si scioglie leggendo-ascoltando. Adoro scrivere quasi quanto odio parlare. E tuttavia la frase di Max Weber: io sono nato per la tribuna e per i giornali, mi ha sempre intrigato. Ogni pensatore politico è stretto dentro questo paradosso. Il suo scrivere è un parlare per l’agire. Due occhi aperti sul proprio tempo: uno che bada alla logica del discorso, l’altro attento alle conseguenze delle parole. Convinzione e responsabilità in divergente accordo.

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mondorosso

Cento miliardi di galassie

di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli

 

Per un realismo resiliente della praxis

Introduzione di Alessandro Testa

le stelle strane dell universo piu massiccia speciale v8 47477 900x900K. Marx, ottava tesi su Feuerbach: “La vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nell’attività pratica umana e nella comprensione di tale prassi”.

Una battaglia sotterranea infuria da secoli, una battaglia senza quartiere di cui però pochi sono consapevoli, e della quale persino quei pochi “iniziati” avvertono l’esiziale importanza: la battaglia tra idealismo e materialismo. Fanfaluche da filosofi, direte voi cari lettori, divertissements che possono permettersi solamente coloro che “hanno la pancia piena ed i piedi al caldo”, come maliziosamente insinuava Voltaire. Tutt’altro, lasciateci dire.

Se c’è una battaglia fondamentale, una battaglia degna di essere combattuta, è proprio questa. Se non si vincerà questa battaglia, se non si sconfiggerà la tabe sempiterna dell’idealismo, eradicandolo completamente non solo dal panorama filosofico ma, forse più radicalmente, dal comune pensare e soprattutto dalle categorie della scienza e della tecnica, non sarà mai possibile costruire una filosofia della scienza realmente materialista, non sarà mai possibile descrivere la realtà concreta con quei termini materialisti dialettici che, come Engels acutamente sottolineava, non sono altro che la filosofia di Hegel rimessa coi piedi  per terra.

Diceva Sun Tzu: “Conosci il tuo nemico”: da questo vorremmo partire, dall’inquadramento della natura profonda dell’idealismo nelle sue molteplici forme di presentazione, siano esse ontologiche, gnoseologiche, storiche, etiche o politiche, dalla sua sostanziale negazione della realtà materiale, dalla sua affermazione del dominio del pensiero dell’uomo, misura e metro della realtà, dell’idea astratta come dominus e criterio di verità cui la realtà e la materia debbono inevitabilmente sottomettersi.

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sebastianoisaia

La deriva antiscientifica…

di Sebastiano Isaia

dervOccorre contrastare la deriva antiscientifica
che si registra un po’ ovunque, anche nel
nostro Paese, sia pure in piccole dosi, per
fortuna. Una deriva antiscientifica che mira
a bloccare il futuro e porta a ricondurre tutto
al passato (Sergio Mattarella).

L’attenzione generale è tutta concentrata sulla questione vaccinale e sulle politiche pseudo sanitarie (vedi Green Pass) che ne discendono. Fin dall’inizio della crisi sociale che chiamiamo Pandemia chi scrive si è invece posto l’obiettivo di mettere in luce le cause strutturali più importanti di questa crisi, che possiamo riassumere come segue: sfruttamento capitalistico degli individui e della natura (*), distruzione degli ecosistemi, globalizzazione ed estrema velocizzazione dei traffici (spostamento di persone e di merci), fragilità dei sistemi sanitari incapaci di generare profitti (vedi la sanità pubblica finanziata con la fiscalità generale), natura profondamente e necessariamente irrazionale (e quindi ostile all’umanità e alla natura) della Società-Mondo che ci “ospita”, e altro ancora riconducibile più o meno direttamente alla natura capitalistica di questa società.

Oggi dire scienza significa dire Capitale, e difatti senza un grande investimento capitalistico la scienza non avrebbe potuto produrre vaccini in così poco tempo e in così grande quantità. Investimento che come sappiamo è stato ben remunerato, com’è necessario che sia in regime capitalistico. Come ha scritto l’apologeta del capitalismo Franco Debenedetti sulla scia di Milton Friedman, «la società assegna all’impresa una e una sola missione: produrre ricchezza», cioè Fare profitti (Marsilio, 2021), che poi è la sola etica che conosce l’impresa capitalistica.

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lafionda

“La logica interna delle tendenze in atto”

di Eugenio Pavarani

merkel1Il titolo di questo contributo è ripreso da una riflessione di Massimo Cacciari: “Si fatica a comprendere la nuova situazione culturale e politica in cui viviamo … La funzione del lavoro intellettuale, se mai ve n’è una, non consiste nel fotografare lo stato delle cose, tanto meno nel farne apologia o nel deprecarlo; essa consiste nell’individuare la logica interna delle tendenze in atto e a che cosa queste possano condurre. Spesso tale logica viene oscurata o mistificata da ragioni contingenti di convenienza politica, altrettanto spesso si evita di fare i conti con essa e viene ignorata. Il lavoro critico, senza alcuna presunzione anticipatrice, con sobrietà e freddezza, è chiamato a metterla in luce e a responsabilizzare nei suoi confronti”. (La Stampa, 07.10.2021)

E’ molto difficile e faticoso comprendere in presa diretta la situazione politica, sociale, economica e culturale in cui si vive. Ne dà un’autorevole testimonianza Hans Magnus Enzesberger: “Ai tempi del fascismo non sapevamo di vivere ai tempi del fascismo”.

E ai tempi di oggi? Sappiamo in quali tempi viviamo? Sappiamo “individuare la logica interna delle tendenze in atto e a che cosa queste possano condurre”? Oppure “tale logica – come indica Cacciari – è oscurata da ragioni contingenti di convenienza politica e si evita di fare i conti con essa e viene ignorata”?

* * * *

Nel corso di alcuni seminari ho invitato le persone che mi ascoltavano a porsi queste domande. Ho posto il problema in questo modo: avete davanti a voi il libro di storia del secondo dopoguerra che sarà scritto nel 2050; scorrete l’indice. Il capitolo sui primi tre decenni avrà probabilmente un titolo che è già diffusamente condiviso in letteratura: “I trenta anni gloriosi dello Stato sociale”. Quali titoli avranno i due periodi successivi? quello che termina con la crisi dei subprime e quello contemporaneo. Proviamo a mettere in luce le tendenze in atto che potrebbero dare i titoli ai due periodi.

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machina

La centralità della riproduzione

di Christian Marazzi

0e99dc 1cc32404741042e6818e0c818d0c25ddmv2Proseguiamo, con la trascrizione dell’intervento di Christian Marazzi, la pubblicazione dei contributi formativi del modulo «Crisi e riproduzione del capitale» della Summer School organizzata da «Machina» a inizio settembre 2021, promosso congiuntamente dai curatori delle sezioni «transuenze» e «vortex». 

Al centro di questo ciclo di lezioni il rapporto tra continuità e discontinuità del capitalismo nella crisi aperta dallo shock pandemico. Covid 19, questo uno degli assunti del modulo, ha fornito ulteriore evidenza alla centralità odierna della «questione della riproduzione». Ai relatori e alle relatrici (oltre a Marazzi il percorso ha coinvolto Alisa Del Re, Sandra Burchi, Leopoldina Fortunati, di cui saranno prossimamente pubblicati i contributi, oltre agli economisti Fumagalli, Del Prieto e Brancaccio, già pubblicati qui) si è richiesto preliminarmente un inquadramento concettuale, poiché con lo stesso termine (riproduzione) ci si riferisce sovente a livelli del discorso differenti. Tra riproduzione sistemica, sociale, degli individui e delle loro capacità (e aggiungiamo, della specie e degli equilibri ecologici), in una società interamente plasmata dai rapporti capitalistici ci sono evidenti reciproche funzionalità, però vi sono anche aspetti peculiari e specifici.

Qui si parla soprattutto di riproduzione delle persone e della loro capacità di lavorare e dare valore. Il richiamo alla centralità odierna della riproduzione nel circuito della valorizzazione capitalistica potrebbe in questo senso fuorviare. Non dobbiamo scoprirla oggi, dopo cinquant’anni di critica femminista. Si tratta però di leggerne le trasformazioni e le forse inedite prerogative, alla luce delle trasformazioni intervenute nella sfera del produrre, dell’accumulazione, della valorizzazione. Tra le suggestioni a monte del ciclo d’incontri si richiama anche l’ipotesi, formulata da Romano Alquati in un testo del 2002 recentemente pubblicato da DeriveApprodi (Sulla riproduzione della capacità umana vivente), in cui l’autore ipotizzava che la riproduzione della capacità-umana si stesse progressivamente ponendo, per la prima volta, come luogo diretto e principale della valorizzazione capitalistica. 

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coku

Fight the FIRE – in memoria di David Graeber

di Leo Essen

PUGNOI

Il 23 settembre, nel primo anniversario della morte di David Graeber, in un incontro promosso dalla Royal Society of Arts di Londra, gli economisti Michael Hudson e Thomas Piketty hanno discusso del debito, un tema caro a Graeber.

Secondo Piketty, in futuro ci sarà di nuovo un altro consolidamento del debito - un massiccio consolidamento del debito.

Come avverrà questo consolidamento?

Nella storia recente, dice Piketty, ci sono due episodi di azzeramento del debito, tutti e due davvero impressionanti.

Il primo si verificò durante la Rivoluzione francese. Il sistema politico (l’amministrazione) non riusciva a far pagare chi avrebbe dovuto pagare le tasse, allora esplose il debito. La rivoluzione fu la soluzione. Essa consolidò il debito, in parte attraverso l’inflazione, in parte attraverso la tassazione. Nello stesso tempo finirono i privilegi fiscali dell’aristocrazia.

Il secondo episodio si verificò dopo la seconda guerra mondiale, tra il 1945 e il 1950. La maggior parte delle economie dei paesi ricchi era gravata da un debito pubblico enorme, ancora più grande di quello di oggi. Alla fine, dice Piketty, si scelse, insieme, di non pagare il debito. Ciò accadde usando diverse strategie – inflazione, cancellazione, etc. La Germania, in particolare, vi riuscì, da una parte, promuovendo una riforma monetaria, e, dall’altra, attraverso una tassazione progressiva dei detentori di ricchezze molto alte. Non era un sistema perfetto, ma, rispetto ad altri modi adottati in passato, dice Piketty, era certamente uno dei modi più equi o, almeno, non iniqui.

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effimera

Il comune e il valore, ovvero il valore del comune: un nodo irrisolto

di Andrea Fumagalli

Proponiamo qui il saggio di Andrea Fumagalli pubblicato nel volume «Il senso (del) comune. La radicalità del presente e il suo concetto», a cura Pietro Maltese e Danilo Mariscalco, appena pubblicato dalla Palermo University Press nella collana Studi culturali, diretta da Michele Cometa (con interventi di: Danilo Mariscalco, Pietro Maltese, Andrea Fumagalli, Alice Pugliese, Yuri Di Liberto, Luca Cinquemani, Ubaldo Fadini, Nicolas Martino, Claire Fontaine, Laura Strack). Il volume e questo saggio prendono spunto dal convegno organizzato dal Laboratorio «Studi culturali. Vita, politica, rappresentazione» all’Università degli Studi di Palermo il 21 e 22 maggio del 2018.

Il volume verrà presentato domani, sabato 18 settembre alle 12.00 a Palermo (Villa Filippina), nell’ambito del Festival Una marina di libri. Nel ringraziare i curatori e l’editore, l’autore ricorda anche l’indispensabile supporto psichedelico dei The Grateful Dead, The Phish, Jimi Hendrix.

Claire Fontaine In God They Trust 2005 courtesy of the artist 1000x750Introduzione

In questo saggio cercheremo di approfondire il nesso tra valore e comune. Quando parliamo di valore, intendiamo il processo di creazione di valore di scambio all’interno di un’economia capitalistica. La creazione di valore – come ci ha insegnato Marx – non si presenta di per sé come valore di scambio: è in primo luogo valore d’uso. È necessario che una certa modalità di organizzazione economica si renda effettiva, grazie all’operare (tra gli altri) di due elementi decisivi: l’esistenza della proprietà privata e un rapporto di separazione tra il lavoro e la macchina, che definisce in continua metamorfosi il rapporto sociale capitale-lavoro. Il connubio tra questi due aspetti origina il sistema capitalistico di produzione, in grado di trasformare la produzione di valore d’uso (che è intrinseco nell’attività umana per soddisfare i propri sogni/bisogni) in valore di scambio. Da un sistema M-D-M si passa così a un sistema D-M-D’.

Se la problematica del valore, quindi dell’accumulazione, è uno dei temi che è stato al centro della critica dell’economia politica mainstream e del capitalismo, non altrettanto si può dire per la tematica del comune, che, solo recentemente, ha attirato l’interesse degli studiosi. In primis, crediamo che sia necessario specificare sin da subito che stiamo parlando del comune al singolare1: un concetto che non ha nulla a che fare con i beni comuni.

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fisicamente

La lotta contro l'ortodossia

di Giorgio Parisi

Questo scritto di Giorgio Parisi (caro amico, come del resto Ciccotti e De Maria, oggi Presidente dell’Accademia dei Lincei) compare, come nuovo contributo, su la riedizione de L’Ape e l’Archi tetto. Giorgio Parisi mostra, come sempre, la sua acutezza di analisi che unisce alla capacità di farsi capire. Credo sia molto utile una lettura di questo scritto che dovrebbe accompagnare l’altro, quello di Ciccotti e De Maria. Vi sono molte cose da capire e ripensare dopo tanti anni e tutti gli autori di questi scritti ci aiutano[Roberto Renzetti].

external content.duckducj9875rt3Quando mi fu chiesto di scrivere una presentazione per la ristampa, da tempo attesa, di L’Ape e l’architetto, pensai tra me e me: “Facile: è un libro che conosco perfettamente e che ho letto molte volte. Basta che gli dia uno sguardo veloce, trovo qualche citazione e so già che cosa dire”. Detto fatto: abbastanza velocemente scrissi una prima stesura che cominciava con: “Ricordo quando ho letto questo libro la prima volta: era il 1973 e mi trovavo nel mio ufficio a New York alla Columbia University…”. Tuttavia in un successivo sprazzo di lucidità mi venne lo scrupolo di controllare la data di pubblicazione e con mio grande stupore scoprii che L’Ape e l’architetto era stato stampato per la prima volta nel 1976. Mi domando ancora che cosa avessi letto a New York nel 1973: forse uno dei saggi degli autori che a quel tempo circolava come preprint in forma separata. In ogni caso buttai via quello che avevo scritto e rilessi il libro molto attentamente (come se fosse la prima volta), cercando di non sovrapporre i miei ricordi a quello che leggevo, cercando di capire quale fosse adesso il suo messaggio e quale impressione potesse lasciare al lettore.

Forse la prima sensazione che si ha adesso è di spaesamento. Quando un libro viene scritto – e questo è vero in particolar modo per una serie di saggi – gli autori hanno molto bene in mente il pubblico con cui cercano di comunicare. Una delle preoccupazioni che risultano molto chiare, specialmente nella prima parte di alcuni dei saggi che compongono L’Ape e l’architetto, è dimostrare che le tesi degli autori sono completamente in linea con i testi originali marxiani e ne sono la naturale conseguenza, e che se mostri sacri del marxismo (in un caso anche Lenin) affermano tesi contrarie, sono questi ultimi a uscire dalla corretta strada.

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cumpanis

Per un’estetica materialistica

Galvano Della Volpe, Banfi, Anceschi e altri

di Alberto Sgalla

amy mayfield untitledL’Estetica (dal gr. aisthesis, “sentire, percepire”, aisthetikòs, “sensibile”) indica a partire dal XVIII secolo l’indagine filosofica del bello, si occupa di arte, ma in generale di percezione, può essere considerata una teoria della sensibilità, del piacere del sentire, cioè il piacere provocato dal presentarsi sensibile di oggetti, corpi, eventi, paesaggi. Diciamo che un vestito ci piace, un brano musicale o un film ci commuovono, decidiamo di disporre i mobili in un certo modo, ecc., cioè i nostri comportamenti sono spesso determinati da giudizi estetici, preferenze di gusto, con cui esprimiamo il sentimento di piacere o dispiacere che proviamo per qualcosa che ci entra dentro, ci emoziona, ci fa pensare. Il giudizio estetico è un’esperienza di piacere, che sboccia dall’incontro con qualcosa di bello, senza alcun interesse (ad es. d’utilità per la salute).

La bellezza, che è una proprietà connessa a cose, persone, “è una promessa di felicità”, diceva Stendhal. Bello è ciò che si distacca dall’indistinto del mondo circostante, perché esprime una promessa di renderci felici, è un bene (magari solo per un momento). L’arte può redimere anche il male, le deformità, le sofferenze, facendoli uscire dalla loro bruttezza, può ricercare disarmonie, asimmetrie, eccessi, scendere a profondità non immediatamente visibili, che però non coincidono con l’abisso o il caos.

L’artista è un professionista della bellezza e l’esteta è chi, grazie ad una marcata sensibilità, alla capacità di percepire, di cogliere le sensazioni e i valori, è in grado di valutare la bellezza, in particolare quella artistica. Dunque le arti mettono in mostra (ad es. la complessità spesso dolorosa dei rapporti familiari) e il fruitore dell’opera avverte che l’esperienza estetica è qualcosa d’importante, in quanto lo turba, lo dota di nuove energie, gli dà una visione più profonda di un dato di realtà, lo fa pensare, avverte che I giudizi estetici sono positivi, consistono nell’affermare un valore. Il mondo estetico, scriveva De Sanctis, non è parvenza, ma anzi è esso la sostanza, il vivente.

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gyorgylukacs

"Lukács chi? Dicono di lui"

Introduzione di Lelio La Porta

In Lukács chi? Dicono di lui, Bordeaux, Roma 2021

FILIPPETTI Eretico futuro PIATTO 768x1195La vita di György Lukács (1885-1971), turbolenta e tempestosa, è stata una di quelle vite che hanno costretto il pensiero a sottomettersi quasi totalmente alle stesse svolte imposte dall’esistenza storica.

Nato da una ricca famiglia ebrea, laureatosi a Budapest nel 1906, Lukács approfondisce gli studi filosofici a Berlino e Heidelberg dove subisce l’influenza del neocriticismo e dello storicismo tedesco e stringe amicizia con Ernst Bloch. A questo periodo risalgono i suoi primi libri in ungherese (La forma drammatica, 1909; Metodologia della storia letteraria, 1910; Cultura estetica, 1911; Storia dell’evoluzione del dramma moderno, 2 voll., 1912) mentre la sua prima raccolta di saggi in tedesco (L’anima e le forme) era apparsa nel 1911. In questo stesso periodo prepara un libro sull’estetica (non portato a termine) e uno su Dostoevskij (non pubblicato, di cui rimangono gli appunti)1. Fra il 1914 e il 1915 scrive La teoria del romanzo. Lo scoppio della Prima guerra mondiale conduce Lukács a quella che sarà la scelta fondamentale della sua vita: l’adesione al marxismo e l’iscrizione al Partito comunista ungherese.

Nel 1919, nella breve esperienza della Repubblica ungherese dei Consigli, fu commissario del popolo all’istruzione e commissario politico della quinta divisione. Conclusasi l’esperienza consiliare, dovette fuggire a Vienna dove, arrestato, scampò all’estradizione richiesta dal governo ungherese grazie all’intervento di un gruppo di intellettuali fra cui Thomas Mann. Sono gli anni in cui vive fra Vienna e Berlino e produce, fra gli altri, una serie di saggi che, rielaborata, comparirà in volume nel 1923 con il titolo Storia e coscienza di classe. Fra il 1924 e il 1926 pubblica uno studio su Lenin2e uno su Moses Hess3. Sulle sue posizioni politiche di quel periodo così scriveva Lukács nella Prefazione del 1967 a Storia e coscienza di classe:

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la citta futura

Il paradosso del robot. Confutazione di una confutazione

di Ascanio Bernardeschi

Contrariamente a quanto affermato da “confutatori” che non hanno compreso la teoria di Marx, con l’introduzione dei robot si riduce il lavoro necessario e con ciò il valore delle merci. I limiti del progresso tecnologico nel modo di produzione capitalistico

ad8e2ce499ff18c5e13927b7d5449859 XLSta circolando in rete la descrizione di un paradosso, che chiameremo il paradosso del robot.

Si immagina che un’impresa licenzi tutti gli operai, tranne uno, sostituendoli con dei robot il cui costo è identico a quello degli operai. Pertanto l’imprenditore può portare il proprio prodotto sul mercato allo stesso prezzo del prodotto delle altre imprese che continuano a utilizzare lavoratori ricavandone un uguale profitto. Viene così meno la validità della teoria marxiana secondo cui solo il lavoro produce valore. E questa presunta confutazione è manna per i teorici della fine del lavoro.

Non che questo racconto sia completamente originale. Un suo stretto parente risale almeno al 1898, quando Vladimir Karpovič Dmitriev, un economista neoricardiano – a cui, secondo Gianfranco Pala [1], si era ispirato Sraffa – sempre per confutare la teoria del valore di Marx, aveva ipotizzato un’economia nella quale le macchine facevano tutto, senza l’intervento del lavoro umano, nel qual caso, sosteneva, sarebbe ugualmente esistito un enorme surplus prodotto.

Nel sistema di analisi dmitrieviano (e poi sraffiano) le cose stanno esattamente nel modo dal lui descritto: la produzione parte da input fisici e realizza output fisici in quantità maggiore. È chiaro che il sovrappiù fisico – si parla appunto di sovrappiù e non di plusvalore – è identico sia nel caso della produzione a mezzo di lavoratori sia in quello a mezzo di merci (usando l’espressione impiegata da Sraffa per intitolare il suo più noto lavoro [2]).

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illatocattivo

Legge economica e lotta di classe*

I limiti dell’economia di Mattick

di Ron Rothbart

external98ru3Introduzione redazionale

Sottraiamo all’oblio e proponiamo ai nostri lettori quest’articolo redatto una quarantina d'anni fa, e in apparenza slegato dalla più immediata attualità, per tre motivi essenziali:

♦ esso testimonia di un confronto fra posizioni che potremmo definire «operaiste» – la cui elaborazione e diffusione fu, nel contesto degli anni 1960-’70, ben più ampia del solo, e tanto celebrato operaismo italiano – e posizioni «ortodosse», lasciate in eredità da una parte delle Sinistre comuniste storiche, in merito alla dinamica dell’accumulazione del capitale e del ruolo che la lotta di classe svolge al suo interno;

♦ esso suggerisce non già la squalifica senza appello delle tesi operaiste in senso lato, accomunate dal postulato (implicito o esplicito) del salario come «variabile indipendente» e direttamente politica, ma la presa in conto della lotta salariale come lotta intorno al saggio di sfruttamento, e dunque come fattore che concorre in permanenza alla determinazione del saggio di profitto reale (è questa, a nostro avviso, la maniera corretta di impostare il problema);

♦ infine, esso evoca la questione, ancora oggi tutta da esplorare, del legame tra inflazione e rivendicazioni salariali.

In effetti, non solo il quasi-pieno impiego, ma anche l’inflazione galoppante – che, erodendo di volta in volta le conquiste salariali, rilanciava le rivendicazioni – si inscrive nella combinazione irripetibile che contraddistinse quel ciclo di accumulazione e di lotte che, nei paesi più industrializzati, raggiunse quasi ovunque il suo picco fra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70.

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ilrovescio

L’organizzazione scientifica della vita. Hitler ha vinto?

Sull’indissolubile rapporto tra scienza, guerra e potere

Riprendiamo questo articolo uscito sul numero 13 (luglio 2021) della rivista anarchica “i giorni e le notti”. La bomba che sta per esplodere – sotto forma di digitalizzazione della società, di conquista biomedica dei corpi e di soldati “geneticamente potenziati” – è stata innescata da tempo. Queste riflessioni sono un contributo «per chi sente il ticchettio».

unnamed9856tedL’ospite inatteso

Sembra che la bomba di un futuro disumano sia già stata innescata. Eppure per le strade e nelle piazze, nel brusìo dei nuovi non-luoghi digitali, mentre altrove altre ed altri si battono contro gli effetti della Transizione, suonano le trombe di chi il ticchettìo non lo sente affatto.

In una società sempre più digitalizzata e sempre meno umana nei suoi rapporti, nelle sue sensazioni e nel suo riconoscersi, non sorprende che le mobilitazioni eticamente inconsistenti siano uno dei suoi prodotti.

«Si capisce da sé – scriveva Anders – che sarà facile per quelle potenze che forniscono opinioni, atteggiamenti, emozioni en masse agli eremiti di massa, nei momenti in cui potrà sembrare loro più opportuno, per motivi politici, ritrasformare come per incanto la semplice “massificazione” in “massa” fisica: quella massa che, se ne avrà la necessità, si potrà sempre rifabbricare in una notte». Lo abbiamo visto a Capitol Hill e in diverse piazze del mondo digitalizzato. Ma se sono sempre state le masse reazionarie ad esigere uno Stato che “funzioni come dovrebbe”, pare che anche una certa critica antagonista viva dell’illusione che il funzionamento efficiente possa rendere giustizia in un mondo destinato a lasciar fuori ormai una classe degli esclusi sempre più numerosa. Tuttavia è quando subentrano le Certezze e Verità del mondo scientifico che le cose si fanno davvero allarmanti. Come per esempio nella distribuzione dei “nuovi vaccini”: «l’organizzazione sociale non è abbastanza veloce, non è abbastanza equa». Si affaccia una presunta neutralità che farebbe della scienza applicata una potenziale causa della libertà.

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frontiere

Scienza senza Ragione

di Rino Frescatta

uomini siate e non pecore matteAbbiamo visto come grazie alla reificazione di oggetti teorici e alla fondazione di una nuova filosofia naturale si è imboccato un percorso di trasformazione della scienza in religione.

L’elaborazione di teorie allo scopo di “salvare i fenomeni”, cioè per dare una spiegazione di ciò che appare ai nostri sensi, si è trasformato nella ricerca delle leggi che regolano la realtà. La nuova religione scientifica, avendo bisogno di fedeli e sacerdoti, ha fondato la propria capacità di persuasione sulla tecnologia, come elemento separatore dei secondi dai primi.

Grazie alla didattica e alla divulgazione scientifica si è propagandata una visione miracolistica della tecnologia atta a fondare la fede scientista.

Non dovendo più organizzare razionalmente i fenomeni osservati, la nuova scienza può prescindere da essi. Così osserviamo nascere teorie prive di fenomenologia da spiegare, come la teoria delle stringhe, oppure teorie che negano la fenomenologia osservata, come ad esempio teorie che prevedono la non esistenza del tempo.

Quest’ultimo caso è emblematico in quanto invita gli esseri umani a non fidarsi dei propri sensi nemmeno per la conoscenza del mondo fisico e anzi li sprona ad affidarsi agli esperti e ad assoggettarsi al principio di autorità.

 

Un passo ulteriore

La sedicente scienza moderna è andata oltre le teorie senza fenomenologia o le teorie che negano la fenomenologia: ormai le teorie scientifiche possono fare a meno della razionalità.