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Conversazioni con Stalin, di Milovan Gilas
Consigli (o sconsigli) per gli acquisti
di Militant
Ovviamente scomparso dalle librerie, torna rieditato da Pgreco Conversazioni con Stalin, il libro di memorie del dirigente comunista jugoslavo Milovan Gilas, al tempo della pubblicazione (1962) già compromesso con l’anticomunismo e di lì a poco definitivamente venduto all’Occidente. Nonostante ciò, si tratta di un libro bellissimo, per chi lo sa leggere. In prima battuta è semplicemente lo sfogo dell’ex dirigente in rotta col suo partito. Grattata via la superficie del rancore emerge il punto di vista intimo di un capo comunista, per anni ai vertici del movimento comunista jugoslavo, posizione che gli ha permesso numerosi incontri con la dirigenza sovietica e in primo luogo con Stalin. Da questi incontri Gilas ne ricava un’antropologia del potere sovietico e un’essenza del comunismo. Ma andiamo con ordine.
C’è un fatto che caratterizza i rapporti tra Jugoslavia e Urss, e che difficilmente si ritroverà nelle relazioni tra Unione sovietica e gli altri paesi del glacis: nonostante l’ovvia “devozione” per Stalin e l’Urss, il gruppo dirigente jugoslavo cercò di mantenere sempre le relazioni politiche su di un piano di parità e di indipendenza. Fatto questo reso possibile dalla particolare evoluzione della Resistenza jugoslava che, come noto, si liberò autonomamente dell’invasore nazi-fascista, ma non solo: in Jugoslavia si sviluppò parallelamente alla guerra d’indipendenza una massacrante guerra civile contro le formazioni monarchico-nazionaliste cetniche. Una doppia guerra che portò sia alla Liberazione che alla nascita di un nuovo Stato. Questo fatto impresse al comunismo jugoslavo la sua originalità nonché la predisposizione a salvaguardare gelosamente le conquiste epocali prodotte dalla Resistenza-Rivoluzione del ’41-’45. Di questa indipendenza sono intrise le pagine di questo diario.
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Robert Kurz, Il collasso della modernizzazione
Introduzione di Samuele Cerea*
Pubblichiamo qui la bella introduzione di Samuele Cerea alla traduzione italiana del libro di Robert Kurz: Il collasso della modernizzazione, Mimesis 2017.
Il testo di Kurz, uscito in Germania nel 1991, a ridosso del crollo dei regimi a socialismo reale dell’est, mantiene ad oggi una sua vibrante attualità. La tesi di fondo, in estrema sintesi, è che questo crollo, contrariamente a quanto se ne è detto e si continua a dire, non ha rappresentato la vittoria di un blocco, quello occidentale, presunto “alternativo” e antagonista a quello orientale, che ne sarebbe uscito sconfitto e umiliato. Tantomeno, ha sancito la fine di ogni possibilità di “rivoluzione”, decretando quello capitalistico-occidentale non solo come il migliore dei mondi possibili, ma proprio l’unico, e affrettandosi a seppellire Marx e ogni istanza critica che abbia l’ardire di metterlo in discussione. Piuttosto, sarebbe la prima tappa di un crollo ben più importante e inevitabile, quello dello stesso sistema capitalistico, a cui anche i regimi dell’est hanno sempre appartenuto, sia pure nella forma di “modernizzazioni di ritardo”, quindi in modo raffazzonato e un po’ cialtrone, ma non meno devastante.
La crisi economica mondiale sembra aver confermato, a posteriori e in modo clamoroso, le tesi di Kurz e di tutti coloro che hanno partecipato ad elaborare la “critica del valore”, ovvero la teoria su cui poggia l’analisi che legge la fine del “socialismo da caserma” dei regimi dell’est come primo momento di una rottura, come detto, ben più ampia.
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L’ascesa cinese: “Adam Smith a Pechino” di Giovanni Arrighi
di Paolo Missiroli
Questo articolo, dedicato all’opera di Giovanni Arrighi Adam Smith a Pechino, prosegue l’approfondimento iniziato nell’articolo Giovanni Arrighi e la crisi dell’egemonia USA
Uno dei più bei capitoli di Operai e capitale, l’opera più nota di Mario Tronti, si intitola Marx a Detroit. In quei passaggi, tra i più fortunati di quelli di Tronti, l’operaista italiano sostiene che, a differenza che in Europa, dove la lettura delle lotte di classe era viziata dal marxismo, che diveniva così una griglia astratta di lettura del reale, negli Stati Uniti del primo dopoguerra, essa era del tutto de-ideologizzata: era Marx che veniva letto mediante le lotte di classe. Marx era “nelle cose”, anche se non nei libri, come in Europa. Marx era a Detroit come uno spettro, e continuava ad imparare e a vedere le sue teorie verificate anche dopo morto. Marx era, quindi, quasi fisicamente a Detroit. La classe operaia americana aveva fatto a meno di lui proprio perché lui aveva avuto ragione. Curioso destino: avere il massimo del successo (cioè di efficacia della propria lettura della realtà) proprio dove si ha il minimo assoluto di fama. E non solo: avere il massimo del successo proprio dove si viene traditi, dove non si è in sé stessi il punto di riferimento della realtà storica, ma dove è la realtà storica a essere il fulcro della lettura stessa che si dà del testo.
In questo senso Giovanni Arrighi parla di Adam Smith a Pechino.
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La norma e il karma della legge
Sulla miseria del soggetto produttivo
di Paolo Vernaglione Berardi
Giorgio Agamben, Karman. Breve trattato sull’azione, la colpa e il gesto - Bollati Boringhieri editore 2017 -pagine 140 – €. 14,00
Pierre Macherey, Il soggetto delle norme – Ombre Corte editore – pagine 215 – €.18,00
Il successo del diritto
Una ricerca sull’istituzione e la funzione della norma deve risalire all’origine semantica del termine. Emerge così la sequenza concettuale tipica della modernità per cui ciò che comunemente è definito legge risulta dall’identità della norma con il diritto positivo. Ma questa traslazione, che per un verso è arbitraria e per altro verso è la risultante di un’operazione giuridico-politica eminente, chiarisce indirettamente un’altra occorrenza del concetto di norma, che assume oggi per lo più il senso di un paradigma universale, considerato indiscutibile: la normalità. La normalità sembra essere il grande compito della modernità che l’assume come legge di comportamento.
Un’archeologia del diritto deve dunque risalire la differenza tra norma e legge per cercare di scoprire il luogo di insorgenza di ciò che è normativo. Per far questo vale la pena delimitare lo spazio di senso della norma cercando di fare luce sui rapporti tra legge norma e normalità.
Questi rapporti, che sono densi e si districano con difficoltà, si presentano in una doppia linea che all’apparenza disegna una continuità, ma che a guardar bene segna invece una genealogia spezzata, i cui punti di rottura corrispondono al progressivo scivolamento di senso della norma dall’antichità all’epoca moderna.
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Cosa fare dell’anniversario del 1917?
di Valerio Romitelli
A cent’anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, ci si trova di fronte a interrogativi e riflessioni sull’eredità di un evento che ha cambiato radicalmente il volto del XX secolo. Il crollo del socialismo reale si è portato appresso uno stigma che ha reso difficile un’analisi critica e possibilmente priva di pregiudizio sulla portata effettiva del 1917 e sul grande periodo di cambiamenti sociali e movimenti emancipatori che essa ha innescato.
Questo contributo, senza aspirare ad una esaustiva rassegna storiografica, vuole mettere in luce i principali nodi della riflessione sul 1917 e le sue conseguenze di lungo periodo prendendone in considerazione analisti e critici e cercando di trarre alcune conclusioni sulla pesante eredità della più importante rivoluzione della contemporaneità.
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Ci sono centenari dall’immensa portata simbolica. Caso clamoroso da tale punto di vista è quello della Rivoluzione Francese del 1789: che nell’Ottocento costituì un’importante occasione per il formarsi della socialdemocrazia in Europa e che invece nel Novecento registrò il disfarsi dell’Unione sovietica col conseguente crollo di credibilità di tutto il comunismo. Ben diversamente il centenario in corso della Rivoluzione dell’ottobre 1917 in Russia, fino a imprevedibili prove contrarie, non pare sancire alcunché di simbolicamente rilevante.
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Politica del limite e pensiero costituente
di Roberto Esposito e Toni Negri
Pubblichiamo qui, in versione ridotta, uno scambio tra Roberto Esposito e Toni Negri. Il dibattito si è tenuto in occasione del primo Festival di DeriveApprodi (25-27 novembre 2016) e si trova oggi raccolto, in versione integrale, nel volume Effetto Italian Thought (a cura di Enrica Lisciani-Petrini e Giusi Strummiello, Quodlibet, 2017). Il libro inaugura, insieme ad altri, la collana Materiali IT diretta da Dario Gentili ed Elettra Stimilli.
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Politica del limite
In dialogo con Toni Negri
di Roberto Esposito
In questo intervento – pronunciato al festival di DeriveApprodi1 – provo a interloquire con la relazione di Toni Negri sulla fine della sovranità. Ne riassumo rapidamente la tesi di fondo.
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La politica monetaria della BCE gonfia la finanza senza rilanciare l'economia reale
E la diseguaglianza aumenta
di Enrico Grazzini
Alla fine di ottobre la Banca Centrale Europea guidata dall'italiano Mario Draghi ha prolungato, con grande plauso dei commentatori, la manovra di espansione monetaria, il cosiddetto Quantitative Easing. Le politiche monetarie della BCE di Draghi si sono confermate espansive mentre quelle fiscali dettate dal trattato di Maastricht e dall'assurdo Fiscal Compact imposto da Berlino, sono invece restrittive. E allora tutti a ripetere ancora una volta che Draghi “è il salvatore dell'Europa”. Da quando Draghi, l'ex banchiere della Goldmann Sachs, ne è diventato presidente, la BCE è acclamata come salvatrice dell'Europa (e della patria Italia, l'anello debole tra le grandi economie continentali). Tutti riconoscono che la BCE è in effetti l'unica istituzione che è riuscita a difendere l'eurozona dalla speculazione finanziaria e a controbilanciare con la sua politica espansiva la brutale e stupida austerità teutonica. Senza il supporto della politica monetaria della BCE di Draghi l'euro non esisterebbe più da anni. E quindi la BCE è diventata un mito e un tabù.
Ma la politica della BCE non difende solo la moneta unica europea: aiuta soprattutto le banche e aumenta le diseguaglianze. La BCE affianca attivamente l'Unione Europea nelle sue politiche di contro-riforme strutturali, cioè di destrutturazione del mercato del lavoro e di riduzione selvaggia del welfare. Grazie alla politica monetaria della BCE che alimenta i mercati finanziari i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E non è detto che la sua azione alla fine sarà efficace.
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Bisogna sognare! E ieri il sogno è cominciato
di Je so' Pazzo
Grazie.
Avevamo detto: "bisogna sognare!", e ieri il sogno è cominciato.
Anche se i media, pure quelli di sinistra, non sembrano essersene accorti, ieri è successo qualcosa di straordinario. E non solo perché un centro sociale ha dichiarato di voler partecipare alle elezioni, o perché un'assemblea chiamata 3 giorni prima ha riempito un teatro di 800 posti senza sponsor mediatici, senza "grandi nomi", senza bisogno di truppe cammellate...
Ma per l'entusiasmo, la passione, l'emotività che ieri si sentiva nell'assemblea e che ha attraversato in questi giorni l'Italia come una scarica.
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Riunire la classe, costruire il blocco sociale, lanciare l’alternativa
di Autori vari*
Dopo il fallimento del Brancaccio, costruire un’alternativa delle classi popolari
1. Brancaccio: cronaca di un fallimento annunciato
Il fallimento del percorso del Brancaccio segna un punto di rottura nello scenario delle possibili prospettive per la lotta di classe del nostro Paese. Da svariati anni, a ogni turno elettorale, nazionale o non, siamo stati costretti ad assistere a dinamiche sempre meno convincenti. Partiti che portano nel loro nome riferimenti espliciti alla lotta di classe e al comunismo si sono piegati a processi elettoralistici lanciati da realtà e in contesti totalmente refrattari alle esperienze più conflittuali del Paese, senza nessun collegamento rispetto alle contraddizioni che i lavoratori, i disoccupati, gli studenti e tutti gli sfruttati vivono quotidianamente sulla propria pelle.
Ripensando alle esperienze di “Cambiare si può”, “Rivoluzione civile”, “L’altra Europa” e alla miriade di proposte regionali e comunali, non era difficile prevedere che l’Assemblea del Brancaccio sarebbe naufragata appena i nodi fossero venuti al pettine. Le aspettative suscitate sono state spezzate già durante le fasi della prima assemblea con l’estromissione dei compagni di “Je so’ pazzo” e l’allontanamento dei rappresentanti del PCI, per lasciare posto ai vari D’Alema e Bersani.
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Note sulla condizione globale
Bond vigilantes, banchieri centrali, crisi 2008-2017
di Adam Tooze
[Dallo storico inglese Adam Tooze, professore alla Columbia University e vincitore del Wolfson History Prize, un utilissimo e ampio riassunto di quanto accaduto sui mercati finanziari in questi anni e sul ruolo dei banchieri centrali. Alzare la testa dalla contingenza attuale, per porsi in una prospettiva più ampia dal punto di vista del tempo e dello spazio, consente di osservare meglio le forze devastanti che sono in opera nel contesto globale in cui viviamo. Dopo la liberalizzazione dei capitali, negli anni 70, la politica ha gradualmente perso ogni potere, lasciandolo a entità sciolte da qualsiasi vincolo elettorale: da una parte i mercati, lontanissimi dall’avere – neanche collettivamente – comportamenti razionali, dall’altro le banche centrali, di fatto diventate arbitre del destino di Paesi e governi. Nel gioco strategico che contrappone questi giganti, noi cittadini e i nostri diritti – per cui è stato versato sangue – come il diritto a un lavoro, a una vita dignitosa, alla salute, siamo sempre più deboli e a rischio].
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L’economia politica alla fine del ventesimo secolo era caratterizzata da un evidente parallelismo. A partire dalla metà degli anni 70, un aumento del debito pubblico senza precedenti in tempi di pace coincise con la liberalizzazione delle transazioni internazionali di capitali.
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Robotizzazione e alienazione dall’essere collettivo
di Karlo Raveli
Alcuni di noi si chiedono - e siamo ancora troppo pochi - se l’oggettività dell’attuale robotizzazione delle persone (a) non sia da annoverare tra i processi sociali più significanti, cumulativi (b) e logicamente negativi di questa ‘civiltà’ secolo XXI. Generata in modo sempre più intrinseco e profondo dallo sviluppo capitalistico (c) come un lineamento ben concreto e sostanziale (e forse conclusivo...) della crescente alienazione umana del Sistema.
Soprattutto per il fatto che incide in misura crescente e devastante sulla natura originariamente empatica ed essenzialmente collettiva (d) della nostra specie. Derivando pertanto in un individualismo (e) sempre meno invisibile e sostenibile. Cioè con apparenze, comportamenti e modi di vivere progressivamente condizionati e dissociati dall’intrinseca essenza ed esistenza comunitaria della persona (f). Quindi, tra l’altro, nell’inevitabile direzione di fenomeni via via più drammatici di solitudine, isolamento e abbandono in crescenti settori della società. Soprattutto metropolitana o cosiddetta “sviluppata”.
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Neoliberismo, biopolitica e schiavitù
Il capitale umano in tempo di crisi
di Silvia Vida
1. Lo ha affermato di recente Luciano Canfora (2017, 9): «Per ora, chi sfrutta ha vinto la partita su chi è sfruttato». La diagnosi del presente si aggrava se si pensa che «solo ora il capitalismo è davvero un sistema di dominio mondiale», reso più forte dall’avere di fronte a sé esclusivamente miseri spezzoni di organizzazioni di stampo sindacale o settoriale che gli oppongono una resistenza trascurabile; se è vero, com’è vero, che il capitale oggi è davvero “internazionalista”, avendo dalla sua parte la cultura e ogni possibile risorsa. Gli sfruttati, invece, «sono dispersi e divisi» dalle religioni, dal razzismo istintuale, dalle discriminazioni sociali non sanate ma approfondite dall’operato delle istituzioni, e dal fatto che, per funzionare, il capitale ha ripristinato forme di dipendenza di tipo servile creando sacche di lavoro neo-schiavile che non credevamo più possibili, soprattutto nelle aree del mondo più avanzate (ibidem, 11-12).
Di fronte a tutto questo, già nel 2003 Glenn Firebaugh scriveva a proposito di un’inversione di tendenza: il passaggio da una crescente diseguaglianza tra nazioni (accompagnata a livelli di diseguaglianza stabili o in calo all’interno delle nazioni) a una diminuzione della diseguaglianza tra nazioni, con conseguente aumento della diseguaglianza al loro interno.
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La via "reale" alla democrazia necessaria
Luxemburg, Gramsci, Basso e Caffè
di Quarantotto
1. Cerchiamo di definire se e come esistano condizioni di ripristino della democrazia sostanziale, cioè quella "necessaria" accolta dalla nostra Costituzione, perchè, in sua assenza, la democrazia semplicemente "non è", come di dice Mortati, qui, p.4.1.; e non paia che tale interpretazione dell'essenza della nostra Costituzione sia una suggestione storicamente datata, subìta dal massimo costituzionalista italiano (Basso ci testimonia tutt'altro, sulla dialettica del processo costituente, qui, p.4.2.), dato che, simmetricamente, sono gli stessi massimi pensatori "liberali", Pareto, Mosca, Einaudi, a teorizzare che, la democrazia, appunto "liberale", debba necessariamente ridurre la rappresentanza popolare a "finzione" (qui, p.3).
2. Nel tentare di porre ordine su questo argomento, comincerei, - in una rapida rassegna compiuta col necessario punto di vista divulgativo-, dal pensiero di Rosa Luxemburg, traendo da un buon lavoro politico-filosofico (e quindi avulso dal pur fondamentale pensiero economico anticipatore della Luxemburg stessa, per la verità riattualizzatosi per l'imponenza delle forme attuali di imperialismo economico - o globalismo istituzionalizzato, e comunque evolutosi nell'analisi keynesiana di Kalecky). Si veda come, ad esempio, la formula, sopra citata, del democristiano Mortati, sia allineata sull'origine concettuale, e persino lessicale, fornita a suo tempo dalla Luxemburg:
"Un altro punto interessante della riflessione luxemburghiana riguarda la democrazia.
Per la borghesia, scrive Luxemburg, la democrazia diventa superflua o addirittura di impaccio; al contrario per la classe operaia essa resta sempre «necessaria e imprescindibile». Necessaria: «perché sviluppa forme politiche che serviranno al proletariato come punti di partenza e di appoggio per la trasformazione della società»; imprescindibile: «perché solo in essa, nella lotta per la democrazia, nell’esercizio dei suoi diritti il proletariato può diventare cosciente dei propri interessi di classe e dei propri compiti storici».
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Capitalismo 2017
La Grande depressione e l’ascesa di Trump: ovvero la tragedia e la farsa
di Antonio Carlo
Questo lavoro riprende le ricerche degli anni passati pubblicate su Sinistrainrete ai seguenti link: 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, 2014, 2015, 2016
1) L’economia mondiale nel 2017, i mali di sempre senza soluzione
A) Scienza economica ed istituzioni davanti alla Grande depressione. Confusione ed impotenza
La Grande depressione in atto1 ha spinto la scienza economica in una situazione di incertezza estrema (alludo ovviamente a quegli studiosi che non sono struzzi per vocazione e convenienza). Due economisti italiani (entrambi conservatori) scrivono (relativamente ai “perché” della crisi”): “Alcuni economisti affermano di sapere perché: scarsa domanda (pubblica), diseguaglianze che riducono i consumi delle famiglie, calo della produttività, salari che non crescono: la verità è che non sappiamo se davvero vi sia una stagnazione secolare, e se ci fosse da che cosa dipenda. Sarebbe molto più utile se gli economisti riconoscessero la difficoltà di capire un periodo anomalo e di grande incertezza invece di pronunciare “verità”. L’incertezza è l’unico fulcro intorno al quale ruotiamo e l’incertezza non aiuta ad investire ed accrescere.
L’unica soluzione è diventare più innovativi, in modo da ridurre i nostri costi e rendere più difficile a Cina ed India di imitare i nostri prodotti”.2
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Il bilancio 2018: un quiz senza risposte
Roberto Romano
La “programmazione di corto respiro” della Legge di Bilancio presentata dal governo finisce per inficiare la trasparenza dei conti pubblici e anche gli obiettivi di riduzione del debito. Una analisi della manovra
La cornice della Legge di Bilancio per il 2018
Il Bilancio dello Stato per il 2018, presentato al Senato il 29 ottobre, ricalca le indicazioni generali della nota di aggiornamento del DEF1. I provvedimenti indicati nel DEF – aggiornato – hanno trovato una coerente applicazione nella Legge di Bilancio, ancorché non manchino delle sorprese relativamente ad alcune misure che non erano state preventivate. Per esempio lo stanziamento di 250 mln – a valere sul 2019 -per la formazione Industria 4.02, le misure per la famiglia (100 mln per il 2018-19-20), oppure gli interventi relativi al SUD (200 mln per il 2018) che, in realtà, appare più che altro una partita di giro.3
La cornice macroeconomica nazionale rimane inalterata. In particolare è confermata la crescita del PIL per il 2018 all’1,5% rispetto al quadro tendenziale indicato all’1,2%. La maggiore crescita di 0,3 punti percentuali è, sostanzialmente, imputabile alla parziale sterilizzazione delle clausole di salvaguardia – mancato aumento di IVA e accise – per quasi 15 mld per il 2018 e poco più di 6 mld di euro per il 2019.
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Recensione di Potenza ed eclissi di un sistema
Hegel e i fondamenti della trasformazione
di Edoardo Raimondi
Un libro di Emiliano Alessandroni, con introduzione di Remo Bodei
Potenza ed eclissi di un sistema. Hegel e i fondamenti della trasformazione (Mimesis, Milano-Udine 2016) è forse uno dei tentativi più audaci, apparso negli ultimi tempi, di restituire il pensiero di un Hegel ben distante da quelle interpretazioni canoniche, e dal sapore dogmatico, che nell’arco di decenni – a ben veder – non ne avrebbero saputo restituire il giusto significato ed il giusto valore. Ché ripercorrendo tutto il sistema hegeliano – attraversando anche gli scritti giovanili dell’autore tedesco – Emiliano Alessandroni, con un’analisi attenta dei testi, in primis della Wissenschaft der Logik e della Phänomenologie des Geistes, porta alla luce come la lezione hegeliana possa non solo essere considerata essenziale per la comprensione del nostro tempo, tornando così a farsi artefice di un discorso coerente su cosa possa andare a significare per noi la trasformazione nella storia, ma soprattutto contribuire al risveglio del concetto stesso di critica – questione a cui è dedicato l’intero capitolo III del libro. Tornando a rischiarare, questo è certo, il significato fondamentale della “contraddizione oggettiva”, motore e molla del divenire determinato che non farebbe altro che dispiegarsi in strutture processuali, materiali e culturali insieme, essenzialmente dialettiche e storiche, pur sempre sottese all’essere che si scopre prettamente sociale (ciò che non può far altro che manifestarsi, nella sua significatività e nella sua determinatezza, in e attraverso un linguaggio che sa comprendere se stesso).
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Solitudine della teoria comunista
di Bruno Astarian
Nel testo che segue, cercheremo di comprendere la situazione di grave isolamento in cui versa la teoria comunista nella nostra epoca. È difficile, per i teorici, non vedere a qual punto il linguaggio che usano – che devono usare – risulti incomprensibile alla grande maggioranza dei proletari, anche quelli di buona volontà. Questo è vero indipendentemente dalle differenti opzioni teoriche. Tra i gruppi o gli individui che riflettono teoricamente sulla situazione attuale della società capitalistica, e sul suo superamento possibile, nessuno ha trovato il linguaggio e/o il punto di vista che gli permettano di uscire da un piccolo milieu ripiegato su se stesso. Questa situazione rimette in questione la teoria comunista nella sua specificità storica? Oppure la rimette semplicemente al suo posto?
1. La teoria comunista e la lotta di classe
Cominciamo col dire che cosa la teoria comunista non è. La teoria comunista non è il resoconto scientifico della congiuntura economica, degli imprevisti dell’accumulazione del capitale.
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Questione omosessuale e capitalismo
di Eros Barone
La tesi che intendo sostenere è che il comportamento omosessuale è tanto più diffuso quanto più la società è contrassegnata dall’antagonismo tra i suoi membri, cioè quanto più essa è competitiva. La riprova è costituita, a mio avviso, dalla civiltà della Grecia antica, in cui, come è noto, il comportamento omosessuale si manifestava nella forma della pederastia e rispecchiava fedelmente la struttura di una società ove i maschi liberi vivevano immersi in una dimensione di agonismo permanente (lo studioso Giorgio Colli, ad esempio, fa risalire a questo dato socio-antropologico la stessa nascita della dialettica1 ), così come fortemente agonistici erano i rapporti tra le stesse città dell’Ellade. Non a caso l’istituzione delle Olimpiadi fu anche e soprattutto la valvola di sfogo per tenere sotto controllo questa energia potenzialmente distruttiva, i cui correlati mitologici sono rappresentati da figure come quelle di Eracle e di Achille. Non sorprendono pertanto né la diffusione del comportamento omosessuale in Grecia né la sua progressiva diffusione e legittimazione nella civiltà romana grazie alla progressiva ellenizzazione di quest’ultima, tappa finale del passaggio da una società di tipo patriarcale-solidaristico ad una società imperiale-cosmopolita con forti connotazioni individualistiche e competitive.
Per quanto concerne l’esistenza di un nesso inscindibile fra comportamento omosessuale e competitività nelle diverse epoche e nelle diverse società, mi limito solo ad alcuni esempi relativi al settore militare, in cui il modello competitivo trova la sua principale e radicale applicazione, anche se il discorso potrebbe essere più ampio.
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Sottoproletariato, “mafia” e crisi del radicalismo di sinistra
di Pietro Saitta
Questo intervento vede la luce all’indomani dell’arresto di Roberto Spada a Ostia, in conseguenza della sua aggressione nei confronti di un giornalista e in seguito a uno scambio sulla pagina Facebook dell’autore, che qui affronta alcuni dei temi che attraversano sottotraccia l’intera riflessione sulle “Criminalità immaginate” portata avanti negli ultimi anni su questo blog.
Questo articolo considera la vicenda ostiense – fatta di evocazioni della mafia, del malessere metropolitano, del neofascismo – come una vicenda densa sul piano simbolico. Una vicenda, in altri termini, che parla al cuore, alla storia e alla biografia dei militanti della sinistra radicale italiana, così come quello scambio sul social network suggerisce.
Il pretesto per la discussione è costituito da un articolo tratto da Gli Stati Generali, icasticamente intitolato: «Gli arresti a furor di popolo non ci piacciono: neanche per Spada». La tesi dell’intervento – perfettamente condivisibile nella prospettiva fredda dell’analista sociale, del quasi-giurista (sono un sociologo critico della devianza), oltre che del militante politico di sinistra – è che quel fermo ha probabilmente avuto luogo fuori dalla cornice dello stato di diritto, che, in casi del genere, di solito non prevede quella misura, se non in presenza di circostanze verosimilmente assenti e inattuali nella vicenda in questione (per esempio il pericolo di fuga, di inquinamento probatorio o di reiterazione del reato).
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Chi sorveglia i guardiani?
La sorveglianza globale e il diritto alla privacy nell’era del digitale
di Gian Piero Siroli e Domenico Bochicchio
L’invasione della privacy è un male forse necessario ed inevitabile, almeno entro certi limiti, per circoscrivere gli abusi che derivano inevitabilmente dall’anonimato completo. Ma questa concessione deve essere regolamentata in modo coerente ed efficace. Se ciò non avviene, come hanno dimostrato la vicenda Snowden e tanti altri casi emersi dopo, questa dinamica si può trasformare in un rischioso strumento di manipolazione e controllo politico, sociale ed economico, con derive molto preoccupanti
Giugno 2013: gli scoop pubblicati sul Washington Post1 e sul The Guardian2 rendono nota per la prima volta l’esistenza di un ampio programma di sorveglianza cibernetica statunitense di nome PRISM, grazie alle rivelazioni di un certo Edward Snowden, esperto di sicurezza informatica ed ex-consulente della National Security Agency (NSA) statunitense fino ad allora sconosciuto. Attività e procedure della NSA nel contesto dello spazio digitale sono così rese di pubblico dominio, evidenziando capacità di intercettazione e raccolta dati fino a quel momento insospettate e svelando un esteso sistema di intercettazione, massiva e prolungata nel tempo, di numerosi leader politici ed alte cariche statali in tutto il mondo, incluse quelle di paesi amici ed alleati; unico esempio per tutti, Angela Merkel, primo ministro tedesco, le cui comunicazioni erano già state messe sotto controllo fin dal 20023, quindi ancor prima che diventasse cancelliere, e che in seguito mostrerà decisamente di non apprezzare questa particolare attenzione nei suoi confronti. Secondo successivi articoli di Der Spiegel4 la vastità delle intercettazioni si estende ad organizzazioni internazionali come l’ONU e l’Unione Europea, a grandi reti di telecomunicazione e network protetti e sensibili, con una attitudine estremamente aggressiva di penetrazione su numerosissimi obiettivi in svariate dozzine di nazioni in tutto il mondo.
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Fuori dall’Unione Europea o fuori dal Capitale?
di Centro Popolare Autogestito Fi-Sud
Questo contributo di analisi si inquadra nel contesto del ciclo di incontri, dibattiti, iniziative e proiezioni che abbiamo organizzato in occasione del Centenario della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e che vedrà il prossimo appuntamento sabato 25 novembre, alle 18.00 al Cpa fi-sud, con Ferdinando Dubla assieme al quale affronteremo la questione della pedagogia sovietica.
Quando abbiamo iniziato a discutere del programma di queste iniziative abbiamo pensato che fosse importante farlo fuori da ogni retorica cercando di organizzare momenti in cui si potesse valorizzare quell’esperienza storica agli occhi di chi ancora oggi lotta per cambiare il sistema di cose presenti e di modo che questo bagaglio e lo stimolo politico andasse nella direzione di rimettere qualche attrezzo nella cassetta.
Noi riteniamo che ancora oggi il socialismo rappresenti una necessità e l’unica possibilità di riscatto per il proletariato: le condizioni e il contesto che portò i contadini, i soldati e gli operai russi a prendere il potere nelle proprie mani non ha fatto altro che procedere nella direzione che i comunisti avevano indicato con sempre maggiori discriminazioni e disuguaglianza, un sempre più forte sfruttamento della forza lavora e sempre più efferate guerre e crisi.
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“Il concetto di Sinistra non ha più alcun senso”
Giovanni Zimisce intervista Guido Viale
Nel suo ultimo libro, l'ex leader di Lotta Continua tenta di redigere il vocabolario del tempo presente. Intervista su: lavoro (precario), sinistra (che non c'è), democrazia (in bilico), ecologia. "Ha stravinto la politica dei grandi interessi, basta vedere Trump..."
In rete gira ancora un video che s’intitola “Manifestazione per la liberazione di Guido Viale”. Siamo nel 1968. Università di Torino. A ‘fare il 68’, a Torino, davanti a tutti, c’è lui, Guido Viale. Classe 1943, nato a Tokyo, compleanno fra qualche giorno – il 20 novembre – “Guido Viale è stato – ed è, e rimane – l’autore di una delle cose più belle scritte in quell’anno. L’‘anno mirabile’. Cioè il ’68. L’articolo si intitolava Contro l’Università ed apparve nel numero 33 (febbraio 1968) della rivista Quaderni Piacentini. Contro l’Università – scriveva Viale dall’interno della Università di Torino occupata – che conferma e consolida i rapporti autoritari di classe: baroni contro studenti, studenti benestanti contro studenti nullatenenti. Contro quell’Università che contribuiva, sempre secondo Guido Viale, ad una cultura fatua e compiaciuta”. Questo è Beniamino Placido, su la Repubblica, parecchi anni fa, era il 1994. Quell’anno Viale aveva pubblicato per Feltrinelli Un mondo usa e getta. La civiltà dei rifiuti che lo aveva eletto a “filosofo ambientalista” (ancora Placido). Nel mezzo, Viale, insieme a Sofri, Pietrostefani, Rostagno, Deaglio, Boato, è stato tra i leader di Lotta Continua. “Nel Sessantotto il tentativo è stato quello di costruire una cultura alternativa dal basso.
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Il prevedibile fallimento del Brancaccio e le conseguenze da trarre
di Domenico Moro*
Il percorso partito dal teatro Bancaccio e che avrebbe dovuto dar luogo a una lista di sinistra alternativa al Pd, mettendo insieme la società civile e un ampio spettro di forze da Mdp a Sinistra italiana, Possibile e Partito della rifondazione comunista, è fallito. Mdp, Si e Possibile si sono riuniti per elaborare un loro documento escludendo Rifondazione, la quale ha valutato i contenuti del suddetto documento non coerenti con la formazione di una lista alternativa al Pd. A questo punto, Anna Falcone e Tomaso Montanari, i due promotori della assemblea del Brancaccio, hanno annullato l’assemblea prevista per il 18 novembre.
L’impasse era tutt’altro che imprevedibile. Ma quali ne sono le ragioni? Tomaso Montanari le rintraccia nella contrapposizione tra la forma partito e la società civile. In pratica i partiti, tutti i partiti che hanno partecipato al Brancaccio, avrebbero schiacciato le esigenze e la spontaneità della società civile. Si tratta di una posizione tutt’altro che nuova. Sono più di due decenni che si contrappongono i partiti alla società civile. In modo alquanto schematico, i primi sono identificati con il male, la seconda con il bene. I primi sono il vecchio, la “casta”, sempre corrotta e da rottamare, la seconda il nuovo da far emergere. Tuttavia, in questi anni, abbiamo visto come sono andate le cose e quale prova di sé abbiano dato la società civile e il nuovo (di solito rapidamente divenuto obsoleto) allorché si siano trasformati in classe politica.
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La fine del capitalismo, dieci scenari
Un libro di Giordano Sivini
di Rezens
Giordano Sivini, già professore di sociologia politica nella facoltà di economia dell’università della Calabria, pubblica con l’Editore Asterios La fine del capitalismo, dieci scenari. Vengono presentate le posizioni di studiosi che negli anni recenti hanno affrontato il problema, non di rado sostenendone l’inevitabilità. Si tratta di Arrighi, Wallerstein, Streeck, Harvey,Postone, Kurz, Gorz, Mason e Rifkin. Questa che segue è la Presentazione del libro.
C’è stata una parentesi nella storia del capitalismo in cui il sociale è riuscito ad emergere dall’economico. Aveva rilevanza, in quanto sociale, per il riconoscimento giuridico che lo stato gli attribuiva in forza della sua esistenza come popolazione disciplinata dal lavoro salariato. In funzione della mediazione con l’economico, lo stato aveva ricevuto legittimazione dal sociale. La democrazia, che come parvenza funzionava fin dall’800, era stata giuridicamente ridefinita in senso sostanziale con una articolazione istituzionale orientata a garantire il benessere del sociale. Le politiche economiche e fiscali, pur racchiuse in uno spazio definito dall’economico, realizzavano questo obiettivo attraverso la crescita e lo sviluppo. Agenti dello sviluppo erano le imprese regolate dallo stato, che interveniva sui processi economici stabilendo vincoli per il mercato, e sosteneva la domanda creando quel reddito aggiuntivo che il capitale non poteva o non voleva assicurare, permettendo la riproduzione delle condizioni di crescita e di sviluppo.
Questa parentesi è ormai chiusa, e se ne è aperta un’altra. Il sostegno dello stato alla domanda, come condizione di crescita e sviluppo, è venuto meno, e il sistema cerca di garantire l’offerta spingendo all’indebitamento e abbassando i prezzi mediante una infaticabile ristrutturazione del sistema produttivo.
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Caffè, la costituzione del lavoro, l'efficienza del mercato e la fabbrica di formaggio di Keynes
di Quarantotto
1. Come sappiamo, per via della interpretazione "autentica" di Caffè e Ruini (il cui contributo al modello economico accolto in Costituzione è fondamentale) la Costituzione italiana, del 1948, è coscientemente keynesiana: questa scelta non è senza conseguenze, poiché il modello economico, e dunque l'assetto socio-politico, conformato in Costituzione ha valore normativo supremo, cioè intangibile (il che, in termini, normativi significa "non suscettibile di revisione neppure costituzionale"), e quindi ineludibilmente vincolante per il plesso Governo-Parlamento.
Per questo ci pare interessante richiamare il pensiero di Caffè (maestro dai troppi allievi che "prendono le distanze", con pensieri, parole opere ed...omissioni), in questi tempi oscuri, in cui le elites "cosmopolite" (finanziarie e grande-industriali) che dominano il mercato (internazionalizzato), e che sotto la sua facciata nominalistica, "governano" (qui, p.8.1.), cioè decidono per tutta la comunità nazionale, sostituendosi alla sovranità popolare, con il fine inevitabile e strutturale di proteggere e massimizzare le rendite oligopolistiche di cui sono beneficiarie.
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