Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 3024
La questione dell’aristocrazia operaia in Lenin e nella congiuntura attuale
di Eros Barone
«1. Economicamente la differenza è che una parte della classe operaia dei paesi oppressori fruisce delle briciole di sovrapprofitti che i borghesi di queste nazioni ricavano sfruttando sempre fino all’osso gli operai delle nazioni oppresse. I dati economici attestano inoltre che tra gli operai dei paesi oppressori la percentuale di quelli “molto qualificati” è maggiore che nelle nazioni oppresse; è inoltre maggiore la percentuale di quelli che entrano a far parte della aristocrazia della classe operaia. È un fatto. Gli operai del paese oppressore cooperano, entro certi limiti, con la propria borghesia a depredare gli operai (e le masse della popolazione) della nazione oppressa. 2. Politicamente la differenza è che gli operai dei paesi oppressori assumono una posizione privilegiata, rispetto agli operai della nazione oppressa, in vari campi della vita politica. 3. Idealmente o spiritualmente la differenza è che gli operai dei paesi oppressori sono sempre educati, dalla scuola e dalla vita, al disprezzo o al disdegno delle nazioni oppresse».
V. I. Lenin, Intorno a una caricatura del marxismo e all’ «economismo imperialistico» (1916). 1
-
Genesi storica di una categoria teorica
Il tema dell’aristocrazia operaia diventa una questione centrale ed una chiave interpretativa importante della complessa e difficile attività politica e ideologica di Lenin nel periodo in cui il grande rivoluzionario russo si trova a dover motivare con un’analisi approfondita e differenziata della realtà i suoi orientamenti di lotta contro la guerra imperialistica e, insieme con essi e alla loro luce, la sua critica ai partiti della Seconda Internazionale. I primi accenni specifici alla questione si situano infatti tra il 1912 e il 1913, ossia in anni fondamentali per la maturazione dell’internazionalismo di Lenin su scala mondiale e per la genesi della sua concezione dell’età dell’imperialismo.
- Details
- Hits: 3841
La via dell'Italexit
di Leonardo Mazzei
Alcuni lettori, per niente convinti dell'ITALEXIT, ovvero dell'uscita dall'euro, hanno mosso delle obiezioni alle tesi di MPL-P101 pubblicate giorni addietro. "L'Italia è troppo piccola per reggere l'urto della reazione dei mercati", "col debito che abbiamo ci strangolerebbero", "i capitali fuggirebbero a gambe levate", "avremmo inflazione e... svalutazione". Volentieri entriamo nel dettaglio con questo articolo
Quelli che... ormai è troppo tardi
Che l'euro sia un grave problema per l'economia italiana viene ormai riconosciuto con sempre maggior frequenza. Ma mentre la platea degli ultras della moneta unica si va pian piano svuotando, viene invece a riempiersi quella di chi, pur ammettendo i danni prodotti, sa solo concludere che ormai è troppo tardi per uscirne.
Insomma, se fino a qualche tempo fa si doveva assolutamente restare nell'eurozona per i presunti benefici di questa collocazione - moneta "forte", aggancio a sistemi produttivi considerati più avanzati, tutela del risparmio, eccetera - oggi si tende ad evidenziare i problemi connessi all'uscita. Segno dei tempi, senza dubbio, ma anche della manifesta impossibilità di continuare a sostenere la bontà di una scelta che ha fatto sprofondare l'Italia nella crisi più grave degli ultimi ottant'anni.
Certo, la recessione scoppiata nel 2008 ha avuto una dimensione non solo europea, ma il fatto che si sia rivelata più profonda e prolungata proprio nell'Unione, ed ancor più nell'eurozona, qualcosa dovrà pur dirci. Tanto più che tra i benefici dell'euro doveva esserci pure quello di attenuare i cosiddetti shock esterni. E' avvenuto invece il contrario, come dimostrato da tutti gli indicatori economici: da un lato l'Unione Europea è l'area dove la crisi ha picchiato più duro, dall'altro l'euro ha aumentato le asimmetrie tra le varie economie nazionali che la compongono.
- Details
- Hits: 1030
Plusvalore e autocrazia di fabbrica
di Marco Beccari e Domenico Laise
È trascorso circa un secolo e mezzo dal Capitale di Marx, ma la natura della fabbrica capitalistica è rimasta, nella sostanza, la stessa: un'organizzazione gerarchica dispotica. L’articolo trae spunto dal seminario “L’organizzazione del lavoro nella fabbrica capitalistica” tenuto da Domenico Laise per l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2018-2019 [1]
Nel celebre capitolo tredicesimo del Primo Libro del Capitale− dal titolo Macchine e Grande Industria − Marx descrive quelle che sono le principali caratteristiche organizzative del lavoro di fabbrica. Tra le tante, Marx sottolinea e si sofferma sulla natura "autocratica" (dispotica) della gerarchia organizzativa di fabbrica. Egli osserva che nella "fabbrica il capitale formula come privato legislatore e arbitrariamente la sua autocrazia" [2]. Il potere autocratico del capitalista è fatto osservare dai sorveglianti, che, per conto dei capitalisti, somministrano le multe e le ritenute sul salario, quando gli operai non osservano il "codice della fabbrica".
Oggi, come ai tempi di Marx, i sorveglianti si chiamano "foreman (caporeparto)" o "controller (controllore)". La sostanza delle cose non è cambiata: la fabbrica non è il luogo dove si afferma e si respira la "democrazia industriale". Il nucleo operativo della fabbrica (operai) è escluso, infatti, dall'ambito delle decisioni strategiche, che competono solo ai top-manager, nominati ed eletti dagli azionisti, che sono i proprietari della fabbrica e dei mezzi di produzione. In sintesi, in fabbrica vige, tuttora, la "dittatura degli shareholder" (azionisti-proprietari) [3]. Dall'epoca in cui scriveva Marx ad oggi non ci sono state modifiche di rilievo. La fabbrica è, ancora, un "Panottico", in cui aleggia quello che, un competente come Taiichi Ohno, ha definito "lo Spirito della Toyota". Come osserva Marx, "La direzione capitalistica ... allo stesso modo di un esercito ha bisogno di ufficiali superiori (manager) e sottufficiali (foremen) i quali comandano in nome del capitale" [4].
- Details
- Hits: 1622
Davos di fronte all’abisso
di Claudio Conti
Con un intervento di Guido Salerno Aletta da Milano Finanza
Seguire il vertice di Davos a grande distanza, senza neanche potercisi avvicinare, è complicato. I media mainstream ne danno un quadro sicuramente fasullo, ma qualche informazione utile trapela lo stesso. Guarda caso, come sempre, da quelle testate specializzate, lette da imprenditori e operatori finanziari, che non possono permettersi di fornire informazioni sbagliate come base per le decisioni di investimento.
Al di là della cronaca, l’analisi di Guido Salerno Aletta, su Milano Finanza, stavolta centra il punto di crisi vera cui è giunto il modo di produzione capitalistico nel suo complesso – l’eccesso di capacità produttiva installata, che marxianamente inquadriamo come un aspetto della crisi di sovrapproduzione – e le due diverse ipotesi di “soluzione” che dividono il campo capitalista.
L’America di Trump ha scelto sicuramente una strada retrograda, che facilita una gestione ideologica reazionaria sul piano politico e culturale. Il resto del “mondo che conta” invece punta sul green deal per uscire dalla stessa impasse.
Entrambe le soluzioni, conviene dirlo subito chiaramente, presuppongono che non ci sia alternativa al capitalismo più brutale, al neoliberismo più sfrenato. Entrambe le soluzioni,insomma, prevedono morte e distruzione, profitti inimmaginabili e povertà sempre più diffusa. E una crisi ambientale inarrestabile.
La differenza sta fondamentalmente nel fregarsene della crisi ambientale oppure usarla come occasione di ulteriore business. Il che comporta un corollario politicamente importante: difendere soprattutto gli interessi e la struttura produttiva degli Stati Uniti (America first) oppure provare a disegnare una “globalizzazione di riserva”, con tanta vernice verde a nascondere sangue e povertà.
- Details
- Hits: 1705
Di Maio se ne va. Il MoVimento ritorna?
Decisione opportuna, ma tardiva e nel momento sbagliato
di Fulvio Grimaldi
Era ora, sospira una gran moltitudine dei 5Stelle, dopo aver dovuto assistere, nell’impotenza della mancanza di proposte alternative dichiarate, al precipitare nella quasi irrilevanza della più grande forza politica e sociale del paese, anche l’unica morale nel quadro depravato delle realtà partitiche dei tempi. Nel titolo esprimo impazienza per l’abbandono di uno che valeva tutti, cui non ho risparmiato critiche dure fino allo sberleffo. Sberleffo commisurato alla sua supponenza, alla spropositata ambizione, fonte di irrimediabili cantonate, poi sofferte da tutto il Movimento.
Ritiro “tattico”, secondo il garante
Va però visto anche il pericolo, per il futuro del movimento sopravvissuto alla cura Di Maio e sodali, che l’uscita di scena, per quanto probabilmente strumentale e parziale (in vista, magari, di un richiamo “per acclamazione” agli Stati Generali, o al Congresso), sia in questo momento, nell’immediata imminenza delle elezioni in Emilia-Romagna e Calabria, l’ennesima botta micidiale che l’improvvido capo politico infligge alla sua gente. Che, già disorientata prima, ora, in pieno marasma elettorale, si trova addirittura priva del riferimento a quel paparino-padroncino. La sua, da questo punto di vista, è una fuga. Altro che dare la colpa a “chi critica in modo distruttivo anziché costruttivo”. Distinzione falsa e tendenziosa di chi le critiche non le vuole in alcun modo. Come s’è visto con Paragone, esempio di fedeltà all’impegno. Dunque “costruttivo”.
- Details
- Hits: 863
Considerazioni intorno alla nuova legge francese di bioetica1
di Silvia Guerini
È aperta la strada alla riproduzione artificiale dell’umano. Contro l’eugenetica e l’antropocidio riaffermiamo con forza l’indisponibilità dei corpi e del vivente
«Il “diritto di avere un bambino” delle persone con una sterilità organica o dovuta all’avvelenamento chimico e industriale dell’ambiente, delle donne sole e delle coppie dello stesso sesso serve oggi come pretesto alla generalizzazione della riproduzione artificiale, asservita ai piani e processi degli scienziati eugenisti e transumanisti e diventata la nuova norma».2
Il 21 gennaio 2020 in Francia è stato approvato definitivamente al senato l’Art. 1 del progetto di legge sulla bioetica3 che riguarda le nuove norme per l’accesso alle tecniche di riproduzione artificiale. Tutto il mondo della sinistra, a parte rare eccezioni4 criticate e tacciate di essere omotransfobiche, lesbofobiche, fasciste e reazionarie, ha accolto questa legge con entusiasmo sotto il segno della libertà, ma la “PMA per tutti e tutte” non è un grido di libertà e autodeterminazione, è un futuro a cui potremmo essere tutti e tutte condannate. Siamo di fronte a dei passaggi epocali che vanno compresi nel loro pieno significato e per le loro conseguenze sull’intera umanità.
La retorica dell’uguaglianza per aver esteso le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) alle coppie di lesbiche e alle donne sole maschera il reale significato di questa legge: la nuova legge apre il diritto alle tecniche di PMA, tra cui la fecondazione in vitro (FIV) con iniezione introcitoplasmatica (ICSI) dello spermatozoo, a tutte le donne aprendo definitivamente alla riproduzione artificiale dell’umano attraverso un processo che inizia con il tubo di plastica dell’inseminazione per terminare con la selezione genetica degli embrioni. “Tutte le donne” significa che qualsiasi coppia eterosessuale, comprese le coppie fertili, può avere libero accesso alle tecniche di riproduzione artificiale.
- Details
- Hits: 2047
Quelo, Greta e la dottrina neoliberale della verità multipla
di Pier Paolo Dal Monte
«C’è grossa crisi», direbbe Quelo, quella sorta di parodistica crasi di santone e telepredicatore che fu interpretato da Corrado Guzzanti.
La crisi, è l’«ospite inquietante» dei nostri tempi, accompagna sempre qualunque presente, con un montante subentrare di tante crisi: Leconomia, Lecologia, Lademografia, Lemigrazioni, Lapovertà, Lepidemie, Linflazione, Ladeflazione... un incalzare di crisi che riduce i poveri esseri umani come tanti pugili suonati che, incapaci di reagire, ricevono tutti i colpi che i mezzi di informazione riversano sulle loro povere menti.
Ovviamente, ora non possiamo parlare di tutte le crisi portate alla ribalta dall'inesauribile cornucopia dei mezzi di comunicazione; ci concentreremo, pertanto, su una sola di esse che, periodicamente (e ora, anche, prepotentemente), viene portata all'attenzione dell’opinione pubblica, ovvero quella che viene definita «crisi climatica» o «riscaldamento globale» che dir si voglia.
Questa volta, per creare sgomento nelle vittime della mitologia mediatica su questo «fantasma che si aggira per il mondo», non è stato utilizzato uno scienziato dal linguaggio algido e un po’ astruso, non un politicante imbolsito alla Al Gore, o un attore Hollywoodiano al guinzaglio (che, non si sa mai, avrebbe potuto essere fotografato alla guida di una Lamborghini o a bordo di un jet privato). No, niente di tutto questo.
- Details
- Hits: 844
Regionali: trionfo delle sardine, prima sconfitta per Salvini
di nique la police
Cominciamo dalle elezioni calabresi: alla fine un partito in declino irreversibile come Forza Italia ha piazzato un presidente di regione e può accreditare la sconfitta in Emilia ai due partiti alleati e alle loro strategie. Il voto emiliano invece emette verdetti piuttosto chiari: si tratta di una vittoria delle sardine, intese come main sponsor del centrosinistra, e della prima vera sconfitta della Lega di Salvini. Basta ripercorrere la situazione di inizio autunno per rendersene conto: Salvini aveva radunato per le regionali una coalizione che partiva, dati delle europee alla mano, con almeno cinque punti di vantaggio sul centrosinistra e che si stava attrezzando per una campagna elettorale aggressiva sui social e sul campo. Con l’esplosione del movimento delle sardine – in piazza, sui social e sui media alleati – l’elettorato di centrosinistra si è prima compattato al proprio interno e poi ha recuperato punti, consenso, posizioni.
E’ evidente che questo movimentismo a fianco del centrosinistra – basato su una strategia di comunicazione adeguata, banale quanto semplice, low cost e diretta -era quello che mancava agli antagonisti di Salvini fino ad oggi politicamente ingessati e incomprensibili dal punto di vista comunicativo.
- Details
- Hits: 2070
Torna il “bipolarismo obbligato” fondato sulla paura
di Dante Barontini
La mattina dopo, a schede quasi tutte scrutinate, tirare le somme è un dovere. L’Emilia Romagna è rimasta al Pd e Stefano Bonaccini, rovesciando le previsioni della vigilia, ossia dei sondaggi che davano Salvini e la deriva fascioleghista trionfante.
La “marea nera” – o più banalmente la solita destra conservatrice italica, immutabile da sempre sotto il frenetico susseguirsi di liste dai nomi più diversi (c’era persino un “Popolo delle libertà” ad affiancare “Forza Italia”, come nemmeno negli sketch migliori dei fratelli Guzzanti…), ha invece prevalso in Calabria, sostituendo un’amministrazione targata Pd travolta dalle inchieste sulla ‘ndrangheta (che deve aver perciò velocissimamente cambiato cavallo…).
Il “voto nazionale” era però concentrato in Emilia Romagna, ed è su questo risultato che si deve concentrare l’attenzione per ricavarne indicazioni generali.
Intanto i numeri.
Stefano Bonaccini ha preso il 51,4%, Lucia Borgonzoni il 43,68. Il candidato grillino, Simone Benini, il 3,46.
Dietro, tutti molto sotto l’1%.
Torna il “bipolarismo obbligato”
La prima considerazione è matematica: finisce qui la breve stagione del “tripolarismo”, segnata dalla presenza dei Cinque Stelle. Si torna allo schema bipolare, fondato sulla paura. In questo la separazione ridicola dei due schieramenti in una destra e una “sinistra” è totalmente funzionale all’imprigionamento del voto popolare. Esattamente come il “poliziotto cattivo” e quello “buono” in questura: entrambi “lavorano” per mandarti in galera, ma si dividono le parti perché tu ti dimentichi che prendono lo stipendio dallo stesso ufficio.
- Details
- Hits: 1241
Il "voto utile" di utili idioti al sistema
di Gianpasquale Santomassimo
Non avevo dubbi sul risultato del ballottaggio emiliano tra le due destre separatiste. Per la straordinaria mobilitazione dell'establishment, per l'invenzione e il sostegno assicurato in forme invadenti a un movimento di giovani moderati e decerebrati, per i toni da crociata contro infedeli, renitenti e scettici, additati come potenziali traditori della civiltà. Ma il fatto stesso che si fosse arrivati a una sorta di ballottaggio non può essere rassicurante per i vincitori, che si ritroveranno tra qualche mese ad asserragliarsi nel ridotto emiliano e toscano nel quadro di un'Italia compattamente di destra.
Ma dal mio punto di vista il dato più importante è che questo risultato segna la fine della sinistra in Italia, la pietra tombale su ogni velleità di ricostruire una prospettiva che nel resto d'Europa è usuale e scontata.
Da ora in poi è evidente che il destino della sinistra è unicamente quello di portare acqua (con le orecchie, il più delle volte) alle battaglie dell'establishment, alle scelte della minoranza di benpensanti e benestanti che da tempo si è intestata la rappresentanza di ciò che chiama "centrosinistra".
- Details
- Hits: 878
Alcuni spunti di riflessione sul voto
di Riccardo Achilli
Per i cultori della materia, ci sarà più tempo per una analisi su matrici territoriali e sociali. Alcune cose sono però evidenti:
- Salvini ha perso e anche male. In Emilia-Romagna Bonaccini ha succhiato circa due punti percentuali al centro destra con il voto disgiunto, tutto voto di destra moderata e forzista che si trovava a disagio con gli estremismi verbali del capitano, ed apprezzava la buona gestione amministrativa di questi anni; un altro punto di voto disgiunto è arrivato dal M5s (differenza voto di lista - voto al candidato) ma Bonaccini avrebbe vinto anche senza il voto disgiunto. Di fatto, la Borgonzoni è avanti solo in provincia di Piacenza, che però è proiettata sulla Lombardia, in alcune zone della Romagna, dove è più forte il radicamento leghista ed in montagna, ponendo un tema di riequilibrio territoriale. Ma il cuore emiliano, la rete di città medie e piccole di pianura, ha retto;
- non è mai corretto fare paragoni fra elezioni diverse, ma la Lega perde voti rispetto alle europee, non è più il primo partito in Emilia-Romagna, la sua candidata arranca a sette punti e passa dal vincitore e persino nella trionfale cavalcata calabrese deve cedere lo scettro di partito leader a Forza Italia.
- Details
- Hits: 2109
Passare tra Scilla e Cariddi, il nostro compito
di Alessandro Visalli
“Navigavamo gemendo attraverso lo stretto: da una parte era Scilla, dall’altra la chiara Cariddi cominciò orridamente a succhiare l’acqua salsa del mare. Quando la vomitava, gorgogliava tutta fremente, come su un gran fuoco un lebete: dall’alto la schiuma cadeva sulla cima di entrambi gli scogli. Ma quando succhiava l’acqua salsa del mare, tutta fremente appariva sul fondo, la roccia intorno mugghiava orridamente, di sotto appariva la terra nera di sabbia. Li prese una pallida angoscia. Noi volgemmo ad essa lo sguardo, temendo la fine, ed ecco Scilla mi prese dalla nave ben cava i sei compagni migliori per le braccia e la forza”.
Odissea, canto XII
Per passare indenni tra Scilla e Cariddi servono alcune cose: una nave, quindi un collettivo che abbia in sé il senso del viaggio, e una rotta. Ma bisogna anche capire bene cosa sia Scilla, il mostro con dodici zampe e sei teste che ci può prendere uno per uno, e nello stesso modo cosa sia Cariddi, il gorgo nel quale possiamo esser inghiottiti tutti. Dobbiamo sapere da dove veniamo, come siamo giunti qui, cosa abbiamo perso e cosa guadagnato.
La crisi
Tutto è partito con la crisi del modello fordista e, in modo indissolubile, della prima fase del dominio geopolitico statunitense. Una fase che si chiude con la sconfitta in Vietnam e con la crisi del dollaro-oro[1]. È in queste circostanze che tramonta il keynesismo, per quanto ‘bastardo’, e sorge l’egemonia neoliberale. Si tratta di processi lunghi e largamente interconnessi, e che si sviluppano sul piano geopolitico, economico e socio-culturale con sovrapposizioni e slittamenti[2]. La crisi egemonica si compie come intreccio di più ragioni:
- Details
- Hits: 1606
Fine di “un’era” molto breve, Cinque Stelle al big bang
di Dante Barontini
Luigi Di Maio annuncia le sue formali dimissioni da capo politico dei 5 stelle e, dice lui stesso, “è la fine di un’epoca”.
Al di là dell’auto-sopravvalutazione individuale, sempre presente in questi casi, la sua rinuncia alla guida solitaria di ciò che resta del movimento Cinque Stelle certifica una crisi che si trascinava dal momento stesso in cui il “capo politico” – definizione resa obbligatoria dalla legge elettorale in vigore, parto delle “menti sottili” di Renzi e Rosato – aveva deciso di fare un governo insieme alla Lega, nel giugno 2018. Data da allora, infatti, la corsa verso il baratro nei sondaggi e soprattutto nei risultati elettorali.
Visto che non ci interessano più di tanto i gossip politici (“si dimette, ma per tornare”, “ora si va alla leadership collettiva”, “Di Battista si scalda in panchina” e via dicendo), preferiamo concentrare l’attenzione sulla fine di una stagione e di una cultura politica che ha avuto un forte successo pur essendo palesemente inconsistente.
E’ questo il piano su cui, ci sembra, si può provare a capire quali strade seguire in futuro per costruire effettivamente un’alternativa politica al tempo stesso radicale ed efficace.
Malessere sociale e rappresentanza politica
Da quasi 30 anni – da quando si è introdotta una “logica del maggioritario” nelle leggi elettorali, in curiosa coincidenza con l’entrata in vigore dei trattati di Maastricht e dei “vincoli” lì indicati – il malessere sociale è andato crescendo.
- Details
- Hits: 2644
Un po' di storia recente per gli ignari
di Gianfranco La Grassa
1. Da qualche punto debbo cominciare questa mia breve (e fin troppo succinta) memoria della storia che abbiamo attraversato da molti decenni a questa parte. Intanto partirò da una premessa di tipo personale. Ho aderito al comunismo nel 1953. Mi trovai subito immerso nei dubbi e perplessità, direi perfino in opposizione, quando uscì l’articolo di Togliatti su Nuovi Argomenti nel 1956 con la trovata della “via italiana al socialismo”. In quell’anno fui contrario al XX Congresso del PCUS (tenutosi a febbraio) e poi ammirai l’intervento di Concetto Marchesi all’VIII Congresso del PCI (verso la fine del ’56), in cui svillaneggiò Chruščëv, il meschino ricostruttore delle vicende dello stalinismo in chiave puramente personalistica e come si trattasse del frutto di una psiche disturbata e tendenzialmente criminale; con metodo insomma del tutto simile a quello, criticato dai comunisti (almeno da quelli che conoscevano un po’ il marxismo), quando si parla di Hitler folle e “mostro”, ricostruendo la storia in base a simili fatue categorie interpretative. Ricordo che Togliatti andò a stringere la mano a Marchesi dopo l’intervento e ciò rinsaldò il mio atteggiamento critico di fronte a quello che ho sempre considerato l’opportunismo dell’allora segretario piciista. Nell’ottobre del ’56 fui senza esitazioni per l’intervento in Ungheria, non approvando però l’atteggiamento incerto dei sovietici (una prima mossa aggressiva frettolosa e poco giustificata, poi l’arresto dell’operazione, infine la repressione troppo brutale).
Accettai inoltre quel fatto per ragioni che oggi si direbbero geopolitiche. Ritenevo un disastro che si sbriciolasse il campo avverso a quello atlantico (guidato e comandato dagli Usa). Cominciai tuttavia a chiedermi quale coincidenza ci fosse tra il “socialismo” imparato sui testi marxisti e quello in atto.
- Details
- Hits: 1531
Mitologie contemporanee: Craxi e la classe politica della prima repubblica
di Franco Romanò
Parte prima
Gli anniversari sono dei passaggi importanti e anche obbligati: non stupisce quindi che il nome di Bettino Craxi sia di questi tempi uno dei più citati fra coloro che prima o poi ritornano. Il problema è come se ne parla e se ne discute e può essere molto utile farlo perché su quella drammatica stagione politica prima si torna a riflettere e meglio è. Pensando al dibattito in corso, non c’è da stupirsi che le sirene della riabilitazione abbiamo preso a suonare, in modo prima flebile poi più deciso, ma non mi sembra questa l’operazione più pericolosa in corso. Ancor più subdole, infatti, sono le sirene più alte che intonano dei peana alla Prima Repubblica, contrapponendola al degrado attuale della cosiddetta classe dirigente; infondo la totale o parziale riabilitazione di Craxi invocata da molti è un problema minore dentro quest’altro. L’argomentazione fondamentale di chi eleva peana alla Prima Repubblica è che quella classe politica era ben superiore a questa di oggi. Che tale pensiero si formi anche in ambienti che dovrebbero sentirsi imbarazzati a proporlo e che il pretesto sia il ventennale della morte di Bettino Craxi assume anche dei tratti involontariamente comici perché quella stagione segnò la fine della Prima Repubblica ed è difficile per definizione che un organismo politico in fase terminale possa essere scelto in qualche modo come esempio, seppure per contrapporlo a quella odierna. L’obiezione, in questo caso, sarebbe che c’è di mezzo la Seconda Repubblica, causa di tutti i mali: ma come è nata quest’ultima? Silenzio. Ripartiamo dunque dal problema più grande: la Prima Repubblica.
- Details
- Hits: 1433
“Bambin* del neoliberismo”
di Elisabetta Teghil
“Nella grande fucina dove, attraverso processi sempre più complessi si sta forgiando il nuovo individuo, la <creatura> del capitale, nemmeno la condizione dei bambini sfugge a quest’opera di ingegneria sociale. Anzi, è il capitale, in un certo senso, ad inventare l’infanzia, almeno come la viviamo noi.”
S.Federici e L. Fortunati, Il grande Calibano, Storia del corpo sociale ribelle nella prima fase del capitale, Franco Angeli, 1984
C’è un’attenzione spropositata in questa società e in questo periodo storico nei confronti dei bambini e degli adolescenti. Ma facciamo un passo indietro. Nei periodi storici precedenti al capitalismo, attuando chiaramente una semplificazione necessaria, l’adultizzazione dei bambini avveniva precocemente. Nel medioevo adulti e bambini non erano poi così diversi fra loro e il passaggio del bambino dal mondo dei piccoli a quello dei grandi era molto precoce. Lo confermano, ad esempio, varie leggi riguardanti l’età minima per il matrimonio e per l’entrata nel mondo del lavoro. I bambini venivano inseriti nel mondo degli adulti appena potevano fare a meno della madre, cioè verso i sette anni circa e a dieci anni aiutavano già gli adulti in qualsiasi tipo di attività. Praticamente, a questa età, i bambini dovevano guadagnarsi il pane, ma non nel senso di sfruttamento del lavoro minorile come lo intendiamo noi, nel senso proprio che ormai facevano parte della comunità degli adulti. D’altra parte anche il modo di pensare di adulti e bambini non era molto distante, cioè l’infanzia non aveva prerogative particolari né tra i servi né tra i padroni.
- Details
- Hits: 1171
Pensioni: muleta e controfuoco
di Louis Colmar
«Chi non lavora non mangia. Ecco qual è l'imperativo demagogico che pretende di risolvere la questione, limitandosi semplicemente a mettere in relazione il diritto di mangiare con l'obbligo di lavorare. Quella che dev'essere posta, invece, è la questione della relazione tra il diritto di mangiare e quello di non lavorare (ammesso e non concesso che sia lecito fare uso della vuota ed astratta concezione di «diritto»). Mentre la natura carnale dell'uomo esige che egli si nutra, la sua natura spirituale gli impone, forse in maniera ancora più imperiosa, di non lavorare in modo da potere così giocare e dedicarsi alla contemplazione. Bisognerebbe parlare di un diritto al non lavoro piuttosto che di un "diritto al lavoro"». (Giuseppe Rensi, 1923).
Ovviamente, il senso dell'attuale progetto [di Macron, in Francia] relativo alle pensioni non è certo quello di porre in atto un «diritto al non lavoro», ma piuttosto quello di perfezionare la ricostruzione e l'adattamento del vincolo politico del lavoro finalizzandolo alle nuove condizioni economiche della crisi della globalità capitalistica. Nel corso della presentazione del contenuto di questo progetto di riforma, il mondo dei media, all'unanimità, ha sottolineato un presunto errore strategico commesso dal Primo Ministro, che, alzando di due anni l'età minima pensionabile, per poter andare in pensione senza decurtazioni, avrebbe accidentalmente contrariato il suo principale sostegno sindacale. Al contrario, però, si tratta di una strategia deliberata: la cosiddetta tecnica della "muleta", che consiste nel distogliere l'attenzione del toro della protesta sociale agitando un'enorme drappo rosso, in modo da focalizzare l'attenzione sull'età del pensionamento, e permettere così che possa passare quello che è il cuore della riforma, vale a dire la riduzione globale dell'erogazione dell'importo monetario delle pensioni per mezzo di un sistema per così dire a punti.
- Details
- Hits: 2750
Gli ultimi bagliori del neoliberismo ovvero “lo struzzismo economico” al tramonto (si spera)
di Antonio Carlo
ALBERTO MINGARDI, La verità vi prego sul neoliberismo, Marsilio, Venezia, 2019, pp. 398
ALBERTO ALESINA, CARLO FAVERO, FRANCESCO GIAVAZZI, Austerità quando funziona e quando no, Rizzoli, Milano, 2019, pp. 343
Entrambi i volumi qui analizzati sono l’espressione più chiara di quello che chiamo “lo struzzismo economico” o accademico, che consiste nel nascondere la testa davanti ad una realtà inguardabile. Tale fenomeno concerne non solo larga parte delle teorie economiche, ma anche la statistica: così fingiamo di credere che in USA i disoccupati siano solo 5-6 milioni, mentre i 24-40 milioni di scoraggiati che lavoro non lo cercano più perché sono disperati, non vengono considerati disoccupati ma inattivi o uomini persi, e cioè scomparsi dalle statistiche della forza lavoro; inoltre accettiamo tranquillamente che venga considerato occupato chi il lavora anche un’ora alla settimana, come l’operaio a tempo pieno dell’industria o il pubblico dipendente1. Inoltre dal 2010 parliamo di ripresa nei paesi avanzati (che detengono la gran parte della ricchezza mondiale) anche se assai spesso l’incremento del PIL non basta neanche a pagare il peso degli interessi sul debito pubblico , un debito pubblico nel quale non conteggiamo spessissimo il debito del settore della previdenza, dell’assistenza e della sanità2.
Quando i problemi che la realtà pone appaiono irresolubili il contegno del sistema consiste nel nascondere la testa sotto la sabbia.
Il primo dei volumi qui analizzato difende il neoliberismo che non è responsabile di tutti i mali del mondo; ovviamente il vero responsabile è il capitalismo nel suo complesso, nell’ambito del quale il neoliberismo è solo una pessima teoria economica i cui difensori hanno legittimato anche le dittature di Pinochet e di Videla.
- Details
- Hits: 979
Franco Fortini e le negazioni a basso prezzo
di Emiliano Alessandroni
Intervento presentato al convegno «…un intellettuale, un letterato, dunque un niente». Eredità di Franco Fortini, a cura di Salvatore Ritrovato, Antonio Tricomi e Riccardo Donati, Urbino, 21 novembre 2017
I. Intellettualismo e Negativo astratto
In tutte le sue battaglie di ordine filosofico e teorico/letterario, Franco Fortini non si è mai stancato di mettere in risalto la disposizione al negativo, dunque al conflitto, che contraddistingue le avanguardie artistiche: «nel termine stesso di avanguardia», sottolineava, vi è una «analogia di carattere militare». Si trattava, in sintesi, di riconoscere un nemico, «stabilire due fronti, cioè suscitare l’avversario, determinarlo, e così bloccarlo».1
Tali correnti estetiche tendono quindi a irrompere dentro il dibattito pubblico assumendo le vesti di una negazione radicale. Ma «una negazione», aggiungeva, di carattere tutto spirituale, concepita interamente «nell’ordine della volontà e della persuasione»,2 confinata, pertanto, entro i tracciati che delimitano la dimensione del soggetto.
La prospettiva e il linguaggio qui adottati sembrano rinviare direttamente a Hegel. Questi, invero, tanto nella piccola quanto nella grande Logica, aveva denunciato l’illusorietà di quel «Negativo astratto (Abstrakt-Negativ)»3 che, frutto di arbitri individuali, non possiede alcuna relazione con l’oggettività e le forze immanenti del processo storico reale:
Nel fatto, quando il negativo non esprima altro che l’astrazione di un arbitrio soggettivo, oppure una determinazione di un confronto estrinseco, certamente esso non esiste per l’oggettivo positivo, vale a dire che questo non è in lui stesso riferito a una tal vuota astrazione; ma allora la determinazione di essere un positivo gli è parimenti soltanto estrinseca.4
- Details
- Hits: 1674
Cinquant’anni di storia di classe
Sergio Bologna
Francesco Massimo
Niccolò Serri
Dall'Autunno caldo del 1969 alle lotte contemporanee nei settori della logistica, passando per la parabola del lavoro autonomo nella società postfordista. Un filo rosso di ricerca militante che Sergio Bologna ripercorre in questa intervista
Sergio Bologna (Trieste, 1937), militante, storico di formazione, fondatore di riviste importanti come Classe Operaia e Primo Maggio, dipendente alla Olivetti, esperto di sistemi portuali e logistici in Germania, Francia e Italia, e poi ancora fra gli animatori di Acta, la più importante associazione italiana di freelance, è una figura atipica nel mondo intellettuale italiano ed europeo. Lungo la sua traiettoria politica e biografica si dipana un filo rosso: lo studio del lavoro, delle sue trasformazioni e del suo posto nella società. Il suo incessante lavoro di ricerca può essere ricondotto a tre grandi direttrici: lo studio del movimento operaio, da quello tedesco a quello italiano, vissuto in prima persona da militante e da storico e su cui è tornato a riflettere in tempi più recenti; l’intuizione, negli anni Settanta, dell’importanza crescente della logistica nello sviluppo del capitalismo contemporaneo, vista anch’essa da una prospettiva militante (si veda in particolare il Dossier Trasporti di Primo Maggio, 1978) e più tardi con lo sguardo dell’esperto e del tecnico; infine la scoperta, a partire dagli anni Novanta, del lavoro autonomo nella società postfordista, parallelamente a un attivismo che negli ultimi anni lo ha portato a studiare e a intervenire direttamente sulle problematiche del lavoro freelance. In questa intervista ripercorriamo la sua traiettoria, esplorando i possibili prolungamenti.
* * * *
Si è appena concluso il cinquantennale dell’«Autunno caldo», la grande ondata di scioperi che nel 1969, in coincidenza con le mobilitazioni per il rinnovo contrattuale degli operai metalmeccanici, ha aperto un ciclo di lotte sociali che ha radicalmente mutato la faccia dell’Italia che usciva dal miracolo economico.
- Details
- Hits: 1901
Iran sotto attacco tra imperialismo e dinamiche sociali
di Nicola Casale, Raffaele Sciortino
La recente, nuova crisi delle relazioni tra Stati Uniti e Iran - innescata dall’omicidio preventivo di Soleimani e tutt’altro che conclusa nonostante la de-escalation in corso - permette di aggiornare lo stato di tre questioni cruciali. Innanzitutto, che cosa ci dice dello scontro dentro gli apparati di potere statunitensi in relazione alla direzione da dare alla politica estera? Secondo, le tensioni in Medio Oriente sono arrivate a un punto di rottura, e in che modo esse rispecchiano quelle globali? Infine, in che rapporto stanno lo scontro geopolitico e le dinamiche sociali, non solo in quel quadrante ma in termini più generali laddove le mobilitazioni sociali si confrontano con la realtà della pressione/intromissione imperialista? Di seguito alcuni spunti per una prima, parziale risposta.
Incontri ravvicinati in Medio Oriente
Ovviamente non sappiamo come siano andate effettivamente le cose nel momento in cui Trump ha “deciso” di alzare il livello dello scontro infliggendo un colpo duro quanto inaspettato alla dirigenza iraniana. Si possono comunque avanzare due ipotesi plausibili, rispettivamente sul perché della specifica decisione e sulla dinamica interna agli alti livelli dell’apparato statale yankee.
Sul primo versante, è plausibile che l’attacco statunitense abbia mirato a interrompere i canali di comunicazione apertisi tra Teheran e Riyadh, mediati dal governo dell’ex primo ministro irakeno Abdul-Mahdi, eliminando fisicamente lo stratega di parte iraniana di un rapprochement che, se realizzato, sconvolgerebbe letteralmente i rapporti di forza nell’area mediorientale a tutto svantaggio di Washington (qui e qui)1.
- Details
- Hits: 955
Francia, a che punto è la protesta contro la riforma delle pensioni
di Giulia Giogli
Cinque settimane di sciopero e nessuna prospettiva di porre fine alla crisi a breve termine. Descrizione dettagliata della riforma e delle posizioni delle diverse organizzazioni in lotta
Mentre il movimento sociale contro la riforma delle pensioni entra nel suo 46 ° giorno di manifestazioni, il testo “due in uno” - un disegno di legge ordinario e un disegno di legge organico – sarà presentato al Consiglio dei ministri il 24 gennaio prima di essere esaminato dall'Assemblea nazionale dal 17 febbraio.
La riforma
Mercoledì 11 dicembre Edouard Philippe, il Ministro degli Interni, ha illustrato le linee generali della futura riforma delle pensioni. Nel complesso ha confermato l'architettura del futuro piano pensionistico "universale" che rappresenta la misura di punta del programma presidenziale di Emmanuel Macron durante la campagna presidenziale del 2017 e delineato nel rapporto Delevoye pubblicato a luglio.
Nel corso delle ultime settimane, il Ministro degli Interni si è concentrato sul fornire risposte a domande che finora sono state lasciate a grandi incognite e che hanno sollevato enormi malumori nella società civile, riversandosi nei più lunghi scioperi che la Francia abbia mai conosciuto, facendo anche chiarezza su alcune aree della riforma, compreso il suo calendario per l'attuazione. Ma quali sono i principali punti della riforma?
Creare un unico piano pensionistico "universale"
Attualmente esistono quarantadue piani pensionistici, ciascuno con le proprie regole. Emmanuel Macron si è impegnato durante la campagna presidenziale del 2017 a creare un “sistema pensionistico universale in cui un euro conferito dia gli stessi diritti” a tutti.
- Details
- Hits: 1503
Su Craxi
di Gianpasquale Santomassimo
Mi pare di capire che il film di Amelio, per le sue caratteristiche, non è in grado di suscitare una riflessione di carattere storico su personalità e ruolo di Bettino Craxi.
Vedo ribaditi in rete giudizi consolidati, che appartengono al tempo della battaglia politica dell’epoca che sancì la sua eliminazione dalla vita politica.
La riduzione della sua vicenda a pura cronaca criminale di corruzione e malversazione, da un lato, e dall’altro la difesa acritica del suo operato, in nome di un malinteso “orgoglio socialista” che non sa interrogarsi a fondo sulla distruzione di una grande tradizione politica e ideale, che non avvenne esclusivamente ad opera di agenti esterni.
Eppure il tempo trascorso dovrebbe favorire almeno lo sforzo di un giudizio equanime su una figura che ebbe un enorme rilievo nella vita politica italiana.
Premetto che detestavo Craxi, per molte ragioni, politiche, culturali, addirittura antropologiche (non tanto lui, su questo piano, quanto il mondo che attorno a lui si era creato). Però sono passati vent’anni dalla sua morte, e chi si occupa di storia deve cercare di distaccarsi, pur ricordandoli, dai giudizi del tempo.
E inoltre - fatto non secondario - perché abbiamo visto all’opera i suoi nemici, che conquistarono il potere anche attraverso le forme della sua eliminazione.
Più che altro vorrei suggerire, ripromettendomi di tornarci sopra in maniera più distesa, alcuni filoni di discussione e di ragionamento.
- Details
- Hits: 2836
Monete complementari: una critica
di Leonardo Mazzei
Commentando un mio articolo sui CCF (Certificati di Credito Fiscale), un nostro lettore — Dianade — così scriveva il 6 gennaio scorso:
«Lo so che c'é tanta informazione in rete su minibot e CCF, però che io sappia non c'é nessuno studio che faccia dei raffronti e spieghi le differenze tra l'uno e l'altro e tutte le implicazioni.
E non solo tra questi due, c'é anche la proposta di Mazzei dei BTP famiglia, c'é quella di Conditi, di Zibordi, la moneta parallela, etc. Io non mi ci raccapezzo. Credo che anche molti altri».
Senza nessuna pretesa di completezza, tantomeno dal punto di vista tecnico, proverò a dare una risposta a questa giusta domanda di Dianade.
Prima di entrare nel merito voglio però ricordare due cose. In primo luogo, la mia critica ai sostenitori dei CCF nasce dalla loro recente, ma rivelatrice proposta di mandare Mario Draghi a Palazzo Chigi, incoronandolo come Re Salvatore del Paese. In secondo luogo, chi scrive non è affatto contrario all'idea di una moneta complementare, ma non pensa proprio che la si possa realizzare senza infrangere le regole europee e senza scontrarsi con l'oligarchia eurista al gran completo. Rimando dunque a quanto ho scritto nell'articolo della settimana scorsa:
«Senza dubbio — non entrando qui nel merito delle sue possibili forme — essa (la moneta complementare) potrebbe rivelarsi utile e per certi aspetti addirittura necessaria. Ma utile e necessaria solo nel quadro di un percorso che ci porti alla vera sovranità monetaria, cioè all'uscita dall'euro».
- Details
- Hits: 945
Austerity sfruttamento alienazione suicidio
di Stefano Lucarelli
“Colpisci il passato al cuore, le illusioni di sempre …
Abbatti il futuro, se non ti appartiene”[1]
0. Ci sono parole che richiamano dei precisi stati d’animo estremamente duri da sopportare. Parole che investono l’esistenza sebbene la nostra mente sia propensa a metterle in disparte, abile come è a imporsi compiti apparentemente più urgenti, guidata dall’esigenza della razionalità, dalle necessità del momento o assuefatta dalla stanchezza. Eppure quegli stati d’animo stanno là, inamovibili, come inamovibili sono le condizioni che li determinano e che ci spingono verso un futuro che tendiamo ad accettare in modo inesorabile. I contenuti di alcuni libri usciti negli ultimi tempi, tra l’agosto 2018 e il gennaio 2020, offrono l’opportunità di una riflessione attorno a quattro parole pesanti – austerity, sfruttamento, alienazione, suicidio. Parole che possono gettare una luce sui nostri stati d’animo più reconditi.
1. Why auserity persists? Questa domanda sfiancante, che può suscitare noia o disperazione, a seconda della condizione delle nostre esistenze, è il titolo di un recente libro di Jon Shefner e Cory Blad (Polity Press, 2020). Shefner e Blad, sociologi impegnati rispettivamente nella University of Tennessee e al Manhattan College, analizzano diversi casi studio nel corso degli ultimi 45 anni, proponendoci una storia dell’austerity, intendendola – qui sta il punto di massimo interesse – come vero e proprio modo di regolazione, un insieme di politiche volte a governare diverse tipologie di crisi realizzando, o meglio imponendo, delle nuove strutture istituzionali.
Page 249 of 612