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aldous

Chi è assente ha sempre torto?

di Marta Mancini

Sullo sfondo degli avvenimenti internazionali e delle emergenze globali, reali o presunte, l'ultimo rapporto Censis descriveva l'Italia come un paese intrappolato in uno stato di "galleggiamento" riguardo ai consueti indicatori socio-economici (PIL, consumi delle famiglie, occupazione, investimenti, ecc.). Fedele alla proverbiale attitudine a navigare, la popolazione italica si mostrerebbe capace di riprendersi da ogni tempesta senza scosse e ammutinamenti. Nella dinamica sociale - si legge ancora nel documento - "la sequela di disincanto, risentimento, frustrazione, senso di impotenza, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole (...) non è sfociata in violente esplosioni di rabbia". Da altri comportamenti si coglie semmai il segnale dello scontento diffuso, visibile nell'indifferenza verso le forme di mobilitazione collettiva, considerate inefficaci; nella sfiducia nei sistemi democratici e nelle istituzioni europee, giudicate dannose; nel distacco dai valori un tempo aggreganti e nell'avversione verso l'egemonia dell'Occidente, ritenuto responsabile dei conflitti in corso. Queste tendenze si aggiungono a quelle rilevate l'anno precedente dove erano emersi il declassamento del lavoro nella gerarchia dei valori personali, il ripensamento del senso della vita e il reindirizzamento delle energie verso desideri individuali a bassa intensità. La metafora usata in questo caso paragona la condizione degli italiani allo stato di sonnambulismo (57° rapporto Censis).

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ilcomunista

Cosa non si fa per amore della libertà

di Andrea Zhok

Una rapida escursione sulle pagine dei principali giornali, telegiornali e talk show mostra come sia partito l’ordine di scuderia alle giumente da lavoro del giornalismo italiano: “È il momento del dissidente iraniano!” E così da ieri si fa a gara a intervistare fuoriusciti e dissidenti iraniani, a dare voce con sguardo compunto e addolorato alle loro sofferenze spirituali e materiali, nel sacro nome della Libertà.

Il pattern è sempre lo stesso dall’era dei dissidenti russi, agli esuli cubani, ai rifugiati libici, iracheni, siriani, ecc. ecc. È come andare in bicicletta, una volta imparato lo fai anche a occhi chiusi. Si alimenta e facilita economicamente, con permessi di soggiorno speciali, ecc. il costituirsi di reti di fuoriusciti, che devono alimentare la narrazione per cui il paese X, che vorremmo smantellare, altro non è che l’ennesima incarnazione del Male da espungere. Simultaneamente si esercitano tutte le pressioni sanzionatorie esterne per rendere la vita nel paese d’origine il più miserabile possibile, in modo da far crescere il numero degli scontenti. Se tutto funziona a dovere, prima o poi l’opinione pubblica è cotta abbastanza da giustificare qualunque porcata purché sia a detrimento di quell’incarnazione del Male, dalla Baia dei Porci al bombardamento di Baghdad.

(Per inciso, ogni tanto mi domando cosa accadrebbe se qualcuno facesse lo stesso gioco con i 100.000 giovani che lasciano l’Italia ogni anno. Dubito sarebbe difficile trovarne qualche centinaio che applaudirebbe a reti unificate la prospettiva di un “regime change” in Italia).

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contropiano2

L’Iran resiste

di Ali Abutalebi - Globetrotter

Dopo gli attacchi mirati contro alti comandanti militari e scienziati nucleari, insieme ai bombardamenti su strutture nucleari e militari, l’Iran ha ripreso il controllo operativo. Il Paese ha lanciato senza esitazione l’operazione “Promessa Vera 3”.

Dopo il caos iniziale delle prime ore, l’Iran ha nominato nuovi comandanti e potenziato l’efficacia dei suoi sistemi di difesa aerea. Le autorità iraniane hanno anche implementato misure di sicurezza per identificare infiltrati sospettati di aver utilizzato droni e altri velivoli leggeri per condurre operazioni clandestine nel territorio nazionale.

È probabile che le autorità statunitensi e israeliane non si aspettassero un crollo immediato del governo iraniano solo attraverso i bombardamenti. Sebbene entrambi i governi abbiano commesso errori strategici, sarebbe sorprendente se credessero davvero che uno Stato potesse essere abbattuto esclusivamente con attacchi aerei.

L’apparente strategia sembrava puntare a scatenare disordini civili tra i gruppi di opposizione dopo l’iniziale destabilizzazione del governo. Questo avrebbe potuto creare aperture per mercenari addestrati a iniziare una seconda fase di operazioni. Tuttavia, questo scenario non si è materializzato.

Invece, la maggior parte degli iraniani, soprattutto dopo le notizie di vittime civili, ha reagito con rabbia e solidarietà. Le perdite tra i civili sembrano aver risvegliato un senso di unità nazionale e patriottismo nella popolazione.

Le dichiarazioni contraddittorie di Trump possono essere comprese in questo contesto di errore strategico, insieme alle pressioni delle autorità sioniste, come evidenziato dai post sui social media e dai commenti pubblici.

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linterferenza

L’Europa degli Stati nazione e le guerre in corso

di Gerardo Lisco

Quanto sta succedendo a livello internazionale è possibile leggerlo alla luce del tentativo degli Stati nazione europei, per inciso: Francia, Regno Unito e Germania, di ritagliarsi uno spazio rispetto a Russia, Stati Uniti e Cina. Questa mia chiave di lettura scaturisce da una serie di indizi che espliciterò nel corso del ragionamento che mi appresto a fare.

Partirò dalle recenti dichiarazioni del Cancelliere tedesco Merz andando a ritroso rispetto a quanto è successo a partire dall’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump.

In merito al conflitto bellico in corso tra Israele e Iran il cancelliere tedesco ha dichiarato che Israele sta combattendo una guerra anche per l’ UE. Macron, giorni fa, di fronte alla richiesta di Trump a Putin di intervenire come mediatore nel conflitto tra Israele e Iran, ha bloccato il Presidente USA dichiarando che la Russia non può svolgere un tale compito. I ministri degli esteri di Francia, Regno Unito e Germania incontreranno a Ginevra l’equivalente iraniano. Dovrebbe essere presente anche il rappresentante UE. Ogni volta che sembra aprirsi un qualche spiraglio per la pace tra Ucraina e Russia ci pensa la Gran Bretagna a sabotare il tentativo. Mi riferisco all’attacco condotto, con droni, dalle forze armate ucraine in Siberia con la conseguente distruzione di 41 aerei russi. Qualche giornale nostrano, preso dall’euforia, ha parlato di una nuova Pearl Harbor. I media hanno riportato la notizia che l’attacco è stato programmato un anno e mezzo fa, cosa che lascia quanto meno dubbiosi.

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sollevazione

Come salvare l'Europa?

di Héctor Illueca / Augusto Zamora R. / Antonio Fernández / Manolo Monereo*

Volentieri pubblichiamo questo intervento di alcuni importanti intellettuali della sinistra spagnola. Essi avanzano l’idea di una Confederazione che rimpiazzi l’attuale Unione europea, ovvero nel perimetro della UE attuale, senza quindi la Russia.

Gli autori evocano lo “spirito di Bandung” e perorano il multipolarismo ma traspare l’idea di matrice globalista che si sarebbe chiusa definitivamente l’epoca westfaliana degli stati nazionali sovrani, che perciò il destino del mondo appartenga a grandi imperi-potenza. 

*   *   *  *

Ciò che sembrava impensabile solo pochi anni fa è ora una realtà tangibile: l’Europa è entrata in una nuova fase di riarmo. In termini di bilancio, il balzo è colossale e senza precedenti dalla Seconda Guerra Mondiale. I piani dell’UE prevedono una mobilitazione fino a 800 miliardi di euro a breve e medio termine, mentre il governo spagnolo ha annunciato l’intenzione di aumentare la spesa per la difesa al 2% del PIL entro il 2025, il che implica un ulteriore stanziamento di 10,471 miliardi di euro di spese militari.

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infoaut2

Ma quale “imperialismo iraniano”?

di Infoaut

Credevamo, evidentemente a torto, che di fronte allo scenario cristallino che si sta dando in Medio Oriente negli ultimi giorni il dibattito tra chi si oppone alla guerra non sarebbe stato solcato dai soliti posizionamenti ideologici

Per un attimo ci siamo illusi/e che di fronte a fatti di questa portata la priorità fosse quella di capire come opporsi, dal nostro lato di mondo, al caos sistemico che Israele, con l’appoggio degli Stati Uniti, sta portando sulla regione.

Invece ci tocca constatare che molti e molte nel mondo dei “movimenti” continuano ad avere priorità diverse. Sono diversi i comunicati e gli articoli che affollano l’infosfera negli ultimi giorni che suonano tutti più o meno nella stessa maniera: “condanniamo l’aggressione israeliana, siamo al fianco del popolo iraniano, ma non del regime”. Fino a qui tutto pienamente condivisibile, non nutriamo nessuna simpatia per la teocrazia iraniana e non siamo tra quelli che considerano ogni nemico dell’Occidente come un amico, ammesso che questo genere di categorie in politica valgano qualcosa. Ma la parte problematica di quasi tutti questi articoli e comunicati viene dopo questa presa di posizione quando si inizia a parlare di uno scontro tra opposti imperialismi.

Ci pare che questa lettura sia identica e speculare rispetto a quella dei “campisti” che chi sostiene queste posizioni dice di avversare. Entrambe queste visioni condividono lo stesso errore teorico: l’idea che siamo già in un mondo multipolare in cui diverse potenze più o meno equivalenti si combattono dentro un quadro di competizione tra capitalismi nazionali.

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mondocane

“Mondocane Video” --- Dal Knesset al Bilderberg --- GUERRE, BUGIE, SILENZI E MESSE NERE

di Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=L33-X2aVYeI

https://youtu.be/L33-X2aVYeI

Vi si narra, sullo sfondo del menzognificio col quale credono di convincerci che il terrorista è il terrorizzato, l’aggressore è l’aggredito, t’atomico è iraniano e non quello che ha 500 atomiche e vive di guerre, menzogne e aberrazioni morali esercitate con massacri di bimbi palestinesi e violenze su quelli propri (vedi scandalo Knesset, da tutti occultato), cosa sono i due capisaldi della fine del mondo.

Lo stato terrorista che da un quarto di secolo spazza via tutto ciò che ne ingombra la necrofollia e che manifesta le stesse aberrazioni morali esercitate nei sistematici infanticidi di palestinesi, nei confronti di piccole vittime della propria schiatta. Vedi alla voce “Messe nere al Knesset”

E l’accolita dei (im)moralmente, ideologicamente e apocalitticamente affini del club di Bilderberg. Vertice annuale, stavolta tra i Neo-NATO svedesi, per la prima volta non innocentemente ignorato da quelli cui spetta l’onere e l’onore di informare le plebi su cosa gli viene fatto dalla setta di super-ricchi oligarchi, che spolpato i popoli fino al parossismo della loro ricchezza e del loro potere, si apprestano alla soluzione finale.

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lafionda

Un commento sulle considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia

di Stefano Sylos Labini

Nelle sue considerazioni finali Fabio Panetta ha ricordato la lunga fase di stagnazione dell’economia italiana sottolineando, però, che negli ultimi cinque anni, nonostante le crisi pandemica ed energetica, il Paese ha mostrato segni di una ritrovata vitalità economica. La crescita ha superato quella dell’area dell’euro. Il PIL è aumentato di circa il 6 per cento, trainato da un incremento di quasi il 10 nel settore privato, in particolare nel settore delle costruzioni.

Il Governatore dunque ha riconosciuto che il settore delle costruzioni ha trainato la crescita dell’economia italiana in modo preminente nel triennio 2021/23, senza però spiegare come questo risultato positivo sia stato conseguito.

Ebbene ciò è stato possibile grazie all’introduzione dei crediti fiscali trasferibili nell’edilizia che hanno permesso di sfruttare lo sconto in fattura e di monetizzare immediatamente i crediti fiscali senza aspettare di usarli alla scadenza per scontare le tasse.

In questo modo le fasce meno abbienti hanno potuto ridurre l’esborso in euro per pagare i lavori di ristrutturazione e l’acquisto di impianti a elevata efficienza energetica poiché una parte dei pagamenti poteva essere effettuata con i crediti fiscali. Le imprese, avendo la possibilità di monetizzare i crediti a un tasso di sconto contenuto, potevano disporre immediatamente della liquidità per pagare operai e fornitori. Tutto ciò ha dato una spinta potente al Pil e alle entrate fiscali permettendo di ridurre il rapporto debito/Pil di circa 20 punti, dal 154,1 del 2020 al 134,6% del 2023. Si tratta della performance migliore tra i paesi dell’eurozona.

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barbaraspinelli.png

Difendi l’aggressore dall’aggredito

di Barbara Spinelli

Fin da quando nell’ottobre 2023 ha scatenato l’offensiva a Gaza – non una guerra ma lo sterminio dei Palestinesi, cui s’aggiungono le espulsioni mortifere in Cisgiordania occupata – Netanyahu ha indicato l’obiettivo desiderato: la “vittoria totale”.

Dal 13 giugno sappiamo che la vittoria totale, come la concepisce il premier in combutta da trent’anni con i neoconservatori Usa, è la sconfitta militare di quella che chiama “la testa della Piovra”: la Repubblica Islamica dell’Iran. Teheran è il fronte decisivo dell’“Asse della Maledizione” (dopo Gaza, Cisgiordania, Hezbollah in Libano e Iraq, Houthi nello Yemen, Siria).

Trascinare Washington nella guerra è la volontà di Netanyahu, che opera grazie ai soldi e ai servizi Usa, ma non può penetrare il sito nucleare di Fordow senza un diretto impegno americano. “I cieli sono sotto il nostro controllo”, ha detto martedì Trump, confermando che l’attacco è sempre più congiunto ed esigendo la resa incondizionata. In Europa il suo più acceso sostenitore è il cancelliere Merz, candidato a rappresentare il paese più armato dell’Ue: “Netanyahu fa il lavoro sporco per tutti noi. Da solo non può farlo se vogliamo eliminare del tutto il nucleare dei mullah”.

Una volta liquidati o espulsi i Palestinesi a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme Est, e se otterrà la vittoria sull’Iran che li proteggeva, Netanyahu e i suoi ministri si sentiranno più vicini che mai alla meta agognata dagli avversari di uno Stato palestinese: il progetto coloniale di un Grande Israele, esteso ai territori occupati nel 1967 e svuotati di gran parte dei Palestinesi, oltre che a pezzi del Libano e della Siria.

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seminaredomande

L’ambivalenza strategica di Trump

di Francesco Cappello

Trump vuole la pace ma non si esprime sui missili a lunga gittata degli europei contro la Russia. Trump vuole la pace ma non condanna il secondo attacco, gravissimo, al sistema della triade nucleare russa. Trump vuole la pace ma lancia avvertimenti mafiosi alla Russia: Quello che Vladimir Putin non capisce è che, se non fosse stato per me, molte cose davvero brutte sarebbero già accadute alla Russia. E intendo davvero brutte. Sta scherzando con il fuoco!

Non possiamo allo stato delle cose provare il coinvolgimento diretto di CIA, MI6, NATO e USA ma non possiamo ragionevolmente escluderlo. L’attacco nel cuore del territorio russo a 4000 km dal fronte ucraino è stato condotto se non con l’assistenza, almeno con la conoscenza dell’intelligence Nato ed USA.

È un messaggio mafioso alla Federazione Russa che dice: abbiamo i mezzi, siamo dentro la Russia possiamo colpirvi dove e quando vogliamo ed è successo proprio quando la Russia ha parlato di zona cuscinetto, di zona di sicurezza e si è mossa anche militarmente in questa direzione.

 

Vogliono una guerra senza esclusione di colpi

Ma si tratta ormai di una guerra senza esclusione di colpi, una guerra totale.
Il concetto di zona di separazione è stato vanificato. Sarebbe un modo per continuare indefinitamente…

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fuoricollana

Regime change, rischi letali per il Cremlino

di Vincent Ligorio

 

Nel panorama complesso delle relazioni internazionali post-2022, la Federazione Russa ha intrapreso un processo di ricalibratura delle proprie alleanze, proiettando una rete densa, ma spesso fragile, di cooperazione strategica con attori regionali ostili all’ordine occidentale. Tra questi, l’Iran si distingue non solo per la sua prossimità ideologica a Mosca in termini di antagonismo sistemico verso gli Stati Uniti e i loro alleati, ma per il suo ruolo di pivot nel garantire profondità logistica, flessibilità diplomatica e continuità nelle operazioni di influenza russa in Medio Oriente, Caucaso e Asia centrale. La possibile caduta del regime degli ayatollah, ipotesi tornata d’attualità nelle ultime ore, rappresenterebbe per il Cremlino non soltanto una perdita strategica, ma una cesura potenzialmente disgregativa nell’ architettura del potere russo.

 

L’Iran come Pivot Strategico nella Proiezione Russa

A differenza del caso siriano, dove il sostegno a Bashar al-Assad ha rappresentato per Mosca una dimostrazione muscolare più che una necessità strutturale, l’Iran costituisce per la Russia un elemento di equilibrio. Dalla logistica militare alla cooperazione energetica, fino al coordinamento tecnico-industriale nel settore della difesa, la Repubblica Islamica ha garantito al Cremlino un accesso stabile e scalabile a risorse e infrastrutture necessarie alla prosecuzione della sua narrativa internazionale post-imperiale.

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manifesto

L’imperatore non è pazzo, è indebitato

di Emiliano Brancaccio

Giravolte americane Tutti a interrogarsi sul Trump che sbraita ma tentenna, urla ma arretra, minaccia ma si nasconde, quindi sorride, morde all’improvviso, chiede scusa e poi punta la pistola in faccia, come in un infinito circo dell’orrore. Si diffonde l’idea, lo sostiene ad esempio il Nobel per l’economia Heckman, che sia solo un altro «pazzo al potere»

Tutti a interrogarsi sul Trump che sbraita ma tentenna, urla ma arretra, minaccia ma si nasconde, quindi sorride, morde all’improvviso, chiede scusa e poi punta la pistola in faccia, come in un infinito circo dell’orrore. Si diffonde l’idea, lo sostiene ad esempio il Nobel per l’economia Heckman, che sia solo un altro «pazzo al potere».

L’ultimo sintomo di instabilità mentale sarebbe l’andirivieni del presidente sulla dimensione effettiva dell’appoggio militare americano a Israele, nella guerra contro l’Iran.

Questa moda di scovare i moventi rapsodici del leader tra le pieghe nascoste di una mente disturbata non è una novità. Già Erich Fromm, in pieno revisionismo freudiano, teorizzava sulle possibili ossessioni sadiche di Stalin per disvelare le cause della sua violenza politica. Di recente il concetto è stato ribadito per Putin, Kim, Khamenei. E adesso, tocca al capo del fronte occidentale.

Per la loro estrema semplicità, queste interpretazioni psicanalitiche godono di ampio successo tra gli opinionisti di grido, più che mai disallenati al pensiero complesso. In fondo, «il capo è pazzo» è un’espressione al contempo abbastanza stupida e solenne da funzionare alla perfezione nel ritmato nulla degli odierni talk televisivi.

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laboratorio

La guerra, il dollaro e il debito USA

di Domenico Moro

C’è uno stretto legame tra la guerra, il dollaro e il debito Usa. L’aggressione di Israele ai danni dell’Iran è avvenuta in un’area, quella del Medio Oriente e del Golfo Persico, che ospita le maggiori riserve mondiali di petrolio e di gas. In particolare, l’Iran detiene le seconde riserve mondiali di gas e le terze riserve di petrolio. Inoltre, attraverso lo stretto di Hormuz, controllato dall’Iran, passa il 30% del petrolio mondiale, diretto verso l’Asia orientale e in particolare verso la Cina, che, a dispetto delle sanzioni statunitensi, acquista il 90% del petrolio esportato dall’Iran.

Pochi giorni dopo l’inizio dell’attacco israeliano, il Sole 24ore ha titolato in prima pagina “Commercio internazionale, meno dollari e più euro”[i]. Secondo l’autorevole quotidiano economico, la leadership valutaria del dollaro statunitense è messa sempre più in discussione nelle transazioni commerciali internazionali. Una crescente quota del commercio globale comincia a essere regolata in valute diverse dal dollaro, e cioè in euro, yuan renmimbi cinese, dollaro canadese e altre. Significativo, a questo proposito, è quanto affermato dal responsabile delle vendite di Us Bancorp: “Molti nostri clienti raccontano che i fornitori esteri non vogliono più essere pagati in dollari. Una volta era quasi un dogma. Ora dicono <<Dateci la nostra valuta, basta che paghiate>>”.

Questa tendenza a passare dal dollaro ad altre valute è determinata non solo dalla volatilità del dollaro, che è salito del 7% a fine 2024 ed è sceso dell’8% nei primi mesi del 2025, a causa delle politiche ondivaghe sui dazi di Trump. A pesare è anche l’effetto delle sanzioni che, per esempio, hanno condotto Cina, Russia e Iran a usare per le loro transazioni lo yuan renmimbi.

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contropiano2

Gli Usa bombardano e parlano di “pace”

di Redazione Contropiano

Il dado è stato tratto, la guerra mondiale è ormai innescata e nessuno sembra avere la forza o l’intelligenza necessaria a fermarla.

Stanotte gli Stati Uniti sono entrati direttamente nella guerra tra Israele e Iran, colpendo nella notte i tre siti nucleari strategici di Fordow, Natanz e Isfahan.

Donald “Tentenna” Trump ha subito definito l’operazione come “completamente riuscita“, ma anche aggiunto che “ora è il momento della pace”. Come al tavolo da gioco, “butto lì un carta e vediamo che succede“. Ma nel gioco della guerra ogni mossa diventa un precedente da cui non si torna indietro… Tanto più che il fatto stesso di dover intervenire direttamente come “massima potenza militare” certifica la debolezza di Israele, che non è in grado da sola di piegare l’Iran.

L’attacco è avvenuto con sei bombardieri B2 – due per sito, probabilmente – che hanno sganciato per la prima volta le bombe GBU-57, da 13.600 kg, definita “bunker buster”, progettata per penetrare nei siti sotterranei.

L’Iran ha confermato gli attacchi, ma ha assicurato che il proprio programma nucleare non si fermerà.

Capire l’entità dei danni è praticamente impossibile, dall’esterno, e il dubbio resterà nella testa anche degli irresponsabili che hanno voluto questa azione. Le bombe usate hanno infatti una capacità di penetrazione nel terreno di alcune decine di metri, ma molto dipende dalla struttura e composizione del terreno. In questo caso stiamo parlando di rocce di origine lavica, tra le più resistenti.

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lafionda

Trump il pacifondaio cede all’americana “Israel lobby”

di Alessio Mannino

Vedremo se il bombardamento dei siti nucleari iraniani, come sembrerebbe, anziché l’inizio di una guerra d’invasione è stata più una mossa alla Trump: tirare il sasso e nascondere la mano. Aver messo fin da ora le mani avanti, con quel riferimento in maiuscolo alla “pace” nel messaggio su Truth, potrebbe essere in questo senso un indizio. Inoltre, lo stabilimento di Fardow pare non abbia subìto danni, sempre che gli insediamenti atomici degli ayatollah non fossero stati spostati per tempo. Quel che è certo, è che a sfregarsi le mani per l’attacco deciso dal pacifondaio della Casa Bianca non è solo il criminale Bibi Netanyahu, o il suo pseudo-oppositore interno Yair Lapid (“Bisogna impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare”). Sono anche, ovviamente, le forze organizzate che negli Stati Uniti premono per dare soddisfazione alla politica guerrafondaia di Israele, e che possono essere riunite sotto un nome preciso: lobby israeliana.

Il tema è ancora quasi tabù, nel dibattito pubblico. La formula, infatti, evoca quella tristemente nota della lobby ebraica. Ma negli Stati Uniti il lobbismo non rappresenta il nome gentile di chissà quali agenti oscuri del Male che tramano nell’ombra: è una realtà alla luce del sole, legalmente codificata e registrata. Nel 2007, due accademici statunitensi rispettivamente dell’università di Chicago e di Harvard, John Mearsheimer e Stephen Walt, hanno delineato in un agile e aureo volume i contorni di quell’insieme di associazioni e fondazioni che oltreoceano formano dichiaratamente la “Israel lobby”, com’è stato intitolata anche qui in Italia l’ultima riedizione.

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Tanto tuonò che piovve

di Martino Dettori

Gli americani bombardano i siti nucleari iraniani, ma non fanno alcun danno. Trump si libera così dell'impegno preso con Netanyahu (che ora dovrà fare la pace) e può riprendere a trattare con l'Iran

Questa notte gli americani hanno dato il loro contentino a Netanyahu, bombardando i siti nucleari iraniani. Trump dirama il proprio comunicato affermando sostanzialmente che il bombardamento ha avuto successo. Dopo di che fa filtrare che non ci saranno (per ora) altre azioni militari americane in Iran.

 

La montagna ha partorito il topolino

Esattamente è questo il risultato: modesto se non proprio inconsistente. Un risultato che però permette a Trump di divincolarsi dall’abbraccio mortale di Netanyauh, senza troppi costi politici e militari (a parte la brutta figura).

Un attacco, dunque, solo simbolico, la cui natura peraltro verrebbe confermata dal fatto che le autorità americane avrebbero preavvisato le autorità iraniane dell’imminente bombardamento; bombardamento che peraltro — per alcuni analisti — non sembra essere stato fatto con le bombe “Bunker Buster”, ma con semplici missili Tomhawk (ma sulle analisi prettamente militari non mi addentro).

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italiaeilmondo

ReArm Iran 2…e anche Israele

di Fogliolax

Rimpolpiamo l’articolo precedente (qui) con le ultimissime notizie dal Medio Oriente.

· I fatti

I due contendenti non si sono certo risparmiati in questi giorni.

Israele ha privilegiato le azioni di sabotaggio (in stile ucraino) con l’uso di droni e missili azionati dagli agenti infiltrati in territorio iraniano, mentre i caccia solo questa notte sono tornati a martellare con forza. Gli aerei israeliani, sfruttando i cieli aperti (per loro) di Giordania, Siria, Iraq e Azerbaijan, riescono a colpire quasi ovunque da Teheran a Isfahan e persino nella città santa sciita di Mashhad, al confine col Turkmenistan.

L’Iran, invece, predilige gli attacchi notturni (in stile russo) con ondate di droni e missili che esauriscono le difese nemiche. Haifa e Tel Aviv sono quasi sempre nel mirino, ma anche la base aerea di Nevatim e le strutture dei servizi segreti sono state colpite.

In attacco i due nemici più o meno si equivalgono; gli obiettivi preferiti da Israele sono gli aeroporti, le infrastrutture energetiche, i siti militari, di ricerca, nucleari e le figure dirigenziali sia militari che civili.

L’Iran, adottando un’altra tattica russa, centra lo stesso tipo di bersagli.

In difesa assistiamo a qualche progresso per gli iraniani, mentre per gli israeliani non si mette benissimo (lo vedremo tra poco).

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linterferenza

L’Occidente si ricompatta contro l’Iran

di Fabrizio Marchi

Ci voleva Israele per ricompattare un Occidente spaccato tra liberal e trumpiani. E ci voleva la guerra, chiedo scusa, la proditoria aggressione contro uno stato sovrano, l’Iran, dipinto naturalmente da tutto l’apparato mediatico occidentale a reti unificate come l’incarnazione dell’oscurantismo e del Male Assoluto. I leader del G7, riuniti in Canada, hanno avuto addirittura l’impudenza di dichiarare che “l’Iran è la principale fonte di instabilità e terrore nella regione”.

Ci sarebbe da ridere, anzi da sghignazzare, se le cose non fossero purtroppo maledettamente serie. Israele sta perpetrando un genocidio a Gaza da quasi due anni, occupa le terre dei palestinesi fregandosene delle decine e decine se non centinaia di risoluzioni dell’Onu che le “intimano” di abbandonare i territori occupati, attacca e invade ripetutamente e impunemente altri stati sovrani in tutta l’area mediorientale, sostiene e manda al potere in Siria, insieme alla Turchia e agli USA, i terroristi dell’ex ISIS (contro i quali l’Iran ha sempre combattuto), manda i suoi sicari in giro per il mondo ad assassinare i suoi oppositori, e questa gente ha la faccia tosta di affermare che “l’Iran sarebbe la principale fonte di instabilità e di terrore nella regione”.

Chiariamo subito una cosa. Il fatto che l’aggressione in corso sia stata determinata dalla volontà di stoppare il programma nucleare iraniano è soltanto un alibi, né più e né meno delle famose armi di distruzione di massa che sarebbero state in possesso dell’Iraq di Saddam Hussein.

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contropiano2

Dire no al riarmo è dire no alla Nato. Perché saranno due i cortei a Roma

di Coordinamento "Disarmiamoli"

Quello che sta succedendo è sotto gli occhi di tutte e tutti: la “Terza guerra mondiale a pezzi” ha un’accelerazione senza precedenti con l’attacco diretto di Israele contro l’Iran, il genocidio a Gaza, l’investimento europeo nel conflitto ucraino, la guerra commerciale degli USA di Trump, la corsa folle al riarmo a cui assistiamo da mesi.

Tutto ciò non sta avvenendo per caso o per la “pazzia” di singoli leader politici, ma è il frutto del nostro sistema economico e politico. Ormai ce lo dicono senza alcuna ipocrisia: le classi dominanti degli Stati Uniti, e il blocco “occidentale” che hanno costruito intorno a loro, vogliono continuare a mantenere il predominio a livello mondiale, e per farlo devono impedire a nuovi attori, che siano la Cina o potenze regionali, di acquisire spazio e di crescere.

Questa rinnovata aggressività imperialista ovviamente va a danno di tutti i popoli e delle classi lavoratrici: innanzitutto di quelle del sud del mondo bombardate, affamate, sterminate, o costrette a intrupparsi dietro i loro leader quasi sempre tradizionalisti e autoritari, ma anche di quelle occidentali, che sempre più si vedono spinte verso l’economia di guerra e i sacrifici che questa comporta, mentre subiscono gli effetti della crescita dell’estrema destra, che negli USA e nella UE torna a essere lo strumento politico per gestire la crisi del capitalismo.

È in questo contesto che prende tutto il suo senso il vertice della NATO previsto a L’Aja dal 24 al 26 giugno. Si tratta di un momento estremamente importante perché in quest’occasione i leader della NATO dovranno decidere di quanto dovrà crescere la spesa militare dei membri dell’Alleanza.

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volerelaluna

Referendum: come disarmare l’astensione

di Alfonso Gianni

Le condizioni in cui una sconfitta può evitare di trasformarsi in un irreversibile disastro sono almeno due. La prima è quella di riconoscerla come tale senza cavillose giustificazioni. La seconda è analizzarne bene le cause, aprire un dibattito su queste, senza avere la fretta di giungere a improvvisate conclusioni. Solo così si può sperare di risalire la china. E non è detto che basti.

Ora proprio il netto insuccesso della prova referendaria di giugno su tematiche della massima importanza come il lavoro e la cittadinanza ci costringe – ed è indispensabile che ciò avvenga – a considerazioni di fondo sullo stato dell’orientamento democratico della società civile, dove è evidente l’azione corrosiva portata dalle destre. Questa risulta particolarmente sottolineata constatando la distanza considerevole che ha separato i Sì al primo dei quattro quesiti sul lavoro (quello relativo alla reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo anche per chi è stato assunto dopo il 7 marzo 2015) da quello sulla cittadinanza. I numeri parlano chiaro: il primo quesito, il più votato tra quelli sul lavoro, ha raggiunto 13.310.443 voti (comprendendo anche quelli provenienti dall’estero), mentre quello sulla cittadinanza (sempre con i voti esteri) si è fermato a 9.748.806. Nella provincia di Bolzano, ove si è votato di meno che nel resto d’Italia, il No al dimezzamento degli anni d’attesa per conseguire la cittadinanza ha addirittura superato i Sì con il 52% dei voti.

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operaviva

È morto il Papa, viva Jacques Camatte!

Coup de dés

di Donatello Fumarola

Nei giorni (pasquali) in cui se ne andava all’altro mondo il papa più a sinistra che si ricordi (almeno stando alle sue dichiarazioni pubbliche, alla vulgata di quella figura pop che ha saputo essere il gesuita Bergoglio) se ne andava anche una delle figure meno conosciute, più schive e più ostinate e originali della cultura politica europea, il francese Jacques Camatte1. Filosofo, attento e acuto interprete di Marx, sodale di Amedeo Bordiga (fondatore del PCI) col quale da giovanissimo (negli anni Cinquanta) intraprende uno scambio epistolare che porterà a un’amicizia e a un intenso dialogo (non privo di contrasti) che durerà fino alla morte di quest’ultimo. Membro del Partito Comunista Internazionale fino al 1966. Dal 1968 è fondatore e animatore della rivista «Invariance», ancora attiva on-line. Autore di svariati testi teorico politici che portano, tutti, la stessa dedica (alla moglie) e lo stesso esergo:

Il tempo è l’invenzione di uomini incapaci di amare.

L’amore quindi al centro, o almeno è così che mi piace leggere il senso persistente del pensiero complesso e stratificato di Camatte, della «Gemeinwesen» come comunità di affetti, comunità di amatori, di persone capaci di agire per smuovere «il sole e l’altre stelle» (il sol dell’avvenir!). Mi è capitato spesso di citare questa frase di Camatte, quasi ogni volta che qualcuno sottolineava la minaccia di un ritardo, insegnatami da un amico che viveva costantemente fuori orario e conosceva e mi ha fatto conoscere Camatte.

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comidad

L’Iran ora deve temere anche la mediazione di Putin

di comidad

Per dirla alla Marlon Brando/Kurtz, ci sono in giro dei fantasmi che hanno mandato il loro garzone a riscuotere i sospesi. Ci volevano una sfrenata fantasia ed una totale mancanza di lucidità per concedere credito a un cialtrone come Trump. Purtroppo anche un altro mito complementare che sembrava più verosimile, quello di Putin accreditato come grande “statista”, si sta sgretolando sotto i colpi dell’evidenza. In un recente articolo Giuseppe Gagliano si è soffermato sulle palesi analogie tra gli attacchi terroristici con droni da parte dell’Ucraina (o attribuiti all’Ucraina) in Russia, e di Israele (e forse non solo Israele) in Iran.

La definizione di terrorismo non ha una valenza morale ma tecnica; poiché, in entrambi i casi, dei mezzi di trasporto civile sono stati utilizzati come mascheramento per compiere attacchi nei confronti del nemico. Queste operazioni “sporche” sono sempre avvenute, ma chi le compiva, in caso di cattura, non poteva avvantaggiarsi dello status e dei diritti del prigioniero di guerra riconosciuti dalla Convenzione di Ginevra; questo però è l’aspetto meno interessante della questione. Nel suo recente articolo Gagliano non fa riferimento a un altro suo articolo dell’ottobre del 2023 sulla sempre più stretta e articolata collaborazione militare tra Israele e Azerbaigian. Tra l’altro, tale collaborazione non prevede solo la fornitura di armamenti da parte di Israele, ma anche la licenza di fabbricazione di droni. Se si considera che l’Azerbaigian ha centinaia di chilometri di confine con la Russia e con l’Iran, e che consistenti minoranze azere sono presenti in Russia e in Iran, non si può evitare di fare due più due.

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megachip

Iran, l’altra faccia della Repubblica islamica: oltre i miti, nella realtà

di Gabriele Repaci

Smontiamo i cliché sull’Iran, una realtà complessa: non solo repressione, ma partecipazione femminile, pluralismo religioso e dinamismo culturale. Modernità e tradizione convivono in un sistema unico. Superare le semplificazioni e capire davvero

Il recente attacco israeliano agli impianti nucleari iraniani ha riportato l’Iran al centro del dibattito internazionale, insieme ai soliti cliché che lo dipingono come un regime oppressivo, una prigione per donne e minoranze, un paese impermeabile alla modernità. È una narrazione comoda, netta, utile a sostenere lo scontro politico e ideologico. Ma, come spesso accade, è anche profondamente sbilanciata. Se si guarda con attenzione e senza pregiudizi, l’Iran rivela un’altra verità: una realtà complessa, piena di contraddizioni, dove coesistono spinte modernizzatrici e rigidità tradizionali, autorità religiose e forme di partecipazione popolare.

Il sistema istituzionale della Repubblica islamica non è facilmente classificabile. Non è una democrazia liberale, ma nemmeno una dittatura. È un ordinamento ibrido, unico nel suo genere, in cui poteri religiosi e meccanismi di legittimazione popolare si intrecciano in modo sofisticato. Al vertice si trova la Guida Suprema, figura che esercita un’influenza estesa, ma che non è del tutto sciolta da vincoli: viene nominata da un Consiglio degli Esperti, eletto a suffragio universale, che ha il potere – teorico ma esistente – di revocarla.

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piccolenote

Iran: i venti di guerra suscitano resistenze negli Usa

di Davide Malacaria

A quanto pare Trump si è consegnato ai neoconservatori che da decenni spingono per radere al suolo l’Iran, in combinato disposto con Netanyahu e soci. Questo nelle dichiarazioni roboanti e decisamente bellicose contro Teheran, anche se ancora non ha dato luce verde ai bombardieri americani, cosa che infastidisce non poco i suoi attuali fan, secondo i quali avrebbero dovuto farlo subito.

D’altronde, se Trump fosse del tutto organico a tali ambiti Israele non avrebbe mai attaccato in solitaria, ma si sarebbe coordinato con l’alleato fin dall’inizio. Né il presidente Usa continuerebbe a parlare di un possibile accordo con l’Iran, per fare il quale vorrebbe organizzare un incontro tra il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi e i due suoi uomini più fidati, il vicepresidente J.D. Vance e Steve Witkoff.

Anche se più che di accordo si dovrebbe parlare di una richiesta di resa incondizionata, dal momento che chiede lo smantellamento totale dell’apparato nucleare, rifiutato finora da Teheran.

Altro punto di distacco da Netanyahu e soci il fatto che non appare disposto ad assecondare un regime-change in Iran, dichiarato apertis verbis dal premier israeliano. Tale divergenza è sottolineata da un articolo di Bar’el pubblicato da Haaretz, in cui spiega che tale disposizione di Trump è evidenziata dal veto che ha posto sull’assassinio dell’ayatollah Khamenei.

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contropiano2

Il vero motivo per cui Israele ha attaccato l’Iran

di Ori Goldberg*

Mentre il conflitto tra Israele e Iran entra nel suo terzo giorno, le vittime da entrambe le parti aumentano. Almeno 80 persone sono state uccise in Iran e almeno 10 in Israele. Nonostante la risposta letale dell’Iran, i funzionari israeliani hanno continuato a insistere sulla necessità di attacchi contro diverse strutture nucleari e militari iraniane.

Sono state fornite numerose giustificazioni al pubblico israeliano, ma nessuna di esse spiega le vere ragioni per cui il governo israeliano ha deciso di portare a termine questo attacco unilaterale e immotivato.

Il governo israeliano sostiene che l’attacco fosse “preventivo”, volto a fronteggiare un’immediata e inevitabile minaccia da parte dell’Iran di costruire una bomba nucleare. Non sembrano esserci prove a sostegno di questa affermazione.

L’attacco israeliano è stato indubbiamente pianificato meticolosamente per un lungo periodo di tempo. Un attacco preventivo deve comportare un elemento di autodifesa, che a sua volta è generato da un’emergenza. Nessuna emergenza del genere sembra essersi verificata.

Inoltre, Israele ha suggerito che il rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), pubblicato il 12 giugno, che condannava l’Iran per violazioni sostanziali degli impegni assunti nel Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari (TNP) fino all’inizio degli anni 2000, costituisca tale emergenza. Ma persino l’AIEA sembra respingere tale affermazione. Non c’era nulla nel rapporto che non fosse già noto alle parti interessate.

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L’ombra di Sigonella sui bombardamenti israeliani all’Iran

di Antonio Mazzeo

Passa immancabilmente dalla base siciliana di Sigonella parte del sostegno delle forze armate USA alla guerra di Israele contro l’Iran. Secondo il sito specializzato ItaMilRadar che monitorizza il traffico aereo militare nel Mediterraneo, nei giorni 13, 15 e 16 giugno sono state documentate lunghe missioni nello spazio aereo prossimo a Israele, Libano e alla Striscia di Gaza di un velivolo-spia Boeing P-8 “Poseidon” di US Navy, decollato dalla stazione aeronavale di Sigonella.

“L’aereo ha svolto missioni di sorveglianza particolarmente inusuali a largo della costa israeliana”, scrivono gli analisti di ItaMilRadar. “Il Poseidon ha voltato a basse quote — a volte scendendo sotto gli 800 piedi (243 metri d’altitudine, nda) — suggerendo la possibile ricerca di qualcosa che navigasse sotto la superficie del mare”.

“Tuttavia, è preferibile mantenere una certa cautela su questi voli di riconoscimento”, aggiungono gli analisti. “Negli ultimi due giorni, i Poseidon sono tornati a volare a più alte altitudini, continuando a monitorare la regione — possibilmente tenendo un occhio puntato su navi di superficie sospette, incluse unità cargo che potrebbero potenzialmente trasportare armi per tentare di attaccare Israele”.

Se resta incerta la motivazione dell’escalation dei voli nel Mediterraneo orientale degli aerei-spia di stanza a Sigonella, il trasferimento in alcune basi aeree europee di numerosi aerei cisterna di US Air Force confermerebbe l’intenzione di Washington di intervenire direttamente nel conflitto israelo-iraniano.

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MAGA vs neocons: la coalizione trumpiana si spacca sulla guerra all’Iran

di Infoaut

Qualcosa di interessante sta accadendo all’interno della coalizione che ha portato alla vittoria Donald Trump: la tentazione di entrare in guerra direttamente contro l’Iran al fianco di Israele sta creando scompiglio

Alcune importanti figure del movimento MAGA che interpretano gli umori della basa si stanno esponendo per criticare l’atteggiamento che ha tenuto l’amministrazione USA nei confronti dell’attacco israeliano all’Iran e si stanno muovendo per impedire un intervento più diretto nella guerra.

Personaggi come Tucker Carlson, Steve Bannon, Marjorie Taylor Greene, Rand Paul hanno criticato o espresso dubbi sulla scelta di Trump di celebrare l’attacco all’Iran come un risultato congiunto di Israele e Stati Uniti. Alcune testate conservatrici si sono spinte inaspettatamente a definire Israele uno “stato canaglia” e a condannare integralmente anche il massacro di Gaza.

Che il consenso unanime verso Israele si stesse indebolendo dentro la coalizione trumpiana lo si era già iniziato a notare da tempo. Durante i giorni precedenti all’operazione “Carri di Gedeone” persino Trump aveva fatto trapelare irritazione per l’atteggiamento dell’alleato. Ora che l’attacco contro l’Iran fosse una mossa concordata o che si sia trattato di un colpo di mano israeliano con Trump che ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco cambia poco.

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volerelaluna

Bombardare Teheran, ovvero il suicidio dell’Occidente

di Sergio Labate

A Gaza si continua a morire. E mentre Gaza muore noi abbiamo altro per cui riempire le nostre pagine social: la bomba atomica dell’Iran, questa gigantesca “minaccia esistenziale” per Israele e per tutti noi. Che in effetti, come è a tutti noto, non esiste e si affianca – quanto a dispositivo di propaganda – alla “minaccia esistenziale” di Putin che sarebbe già pronto a invadere Lisbona. Un’arma di distruzione di massa trasformata in arma di distrazione di massa.

Ora anche qui conviene premettere ciò che è scontato: non ho alcuna simpatia per il regime iraniano e non ho alcuna intenzione di difenderlo. Però vorrei stare ai dati di fatto. Che sono molto semplici: l’Iran ha un programma nucleare che è in itinere, la cui fine – ammettendo le peggiori intenzioni – non solo è di là da venire ma è anche rallentata da controlli serrati da parte di organismi terzi e internazionali (ci torneremo). Israele ha un arsenale atomico esibito e accertato che però viene pubblicamente e sfrontatamente sottratto a ogni controllo eventuale.

Chi legge queste righe ed è indottrinato dai cani da guardia del potere (genitivo soggettivo) – i vari Bocchino, Mieli, Meloni, Crosetto, Picierno, Fassino – dirà che questo è un punto di vista ideologico. Ecco, è proprio questo il punto da rivendicare nell’epoca della post-verità. Questi dati di fatto non sono un punto di vista soggettivo delle cose, ma le cose per ciò che sono, niente di più o niente di meno.

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piccolenote

Dalle armi di distruzione di massa di Saddam a quelle iraniane

di Davide Malacaria

“La questione non è se il regime iracheno debba essere eliminato, ma quando; la questione non è se si desidera vedere un cambio di regime in Iran, ma come ottenerlo. Se eliminate Saddam, il regime di Saddam, vi garantisco che avrà enormi ripercussioni positive sulla regione. Penso che la gente che vive accanto a noi in Iran […] dirà che il tempo di tali regimi, di tali despoti, è finito”.

Era il 12 settembre del 2002 quando l’allora semplice deputato Benjamin Netanyahu faceva questo discorso al Congresso esortando gli Stati Uniti ad attaccare l’Iraq, cosa che avvenne nel 2003 dopo una intensa campagna propagandistica per convincere il mondo del pericolo delle armi di distruzione di massa di Saddam.

I guerrafondai consegnati al credo delle guerre infinite non hanno molta fantasia. Non serve: sanno che, come accadde allora, la politica e l’informazione si sarebbero prontamente adeguate, con eccezioni meritorie, creando un clima favorevole ai loro crimini nell’opinione pubblica.

Oggi non c’è stato neanche bisogno di inventare di sana pianta l’esistenza delle armi di distruzione di massa dell’Iran. È bastata la denuncia dell’Agenzia atomica internazionale (AIEA) su asserite violazioni di Teheran dell’accordo sul nucleare, che però non segnalavano la bomba in arrivo, per aprire il vaso di Pandora.

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circolointernazionalista

Roman Rosdolsky, «un bolscevico dell'anno 1920»

di Circolo internazionalista «coalizione operaia» -  Prospettiva Marxista

Nota editoriale a Roman Rosdolsky, Studi sulla tattica rivoluzionaria, Movimento Reale, Roma, 2025

In un quadro storico in cui il proletariato mondiale si ritrova pressoché privo di proprie, autonome organizzazioni di classe; privo di significative avanguardie politiche capaci di custodire e trasmettere l’esperienza delle guerre del capitale e la coscienza della loro radice sociale, si fa minacciosamente sempre più vicino il vortice di una vasta conflagrazione imperialistica nel quale masse enormi di proletari verranno trascinate dalle proprie borghesie come carne da cannone, come manodopera da sfruttare ancora più intensamente nello sforzo bellico, come “danni collaterali” nelle gigantesche operazioni di distruzione rese possibili dal livello di sviluppo delle forze produttive del capitalismo.

Le tensioni della spartizione mondiale tra potenze e blocchi dell’imperialismo stanno ribollendo con sempre maggiore virulenza, mentre prendono sempre più forma i meccanismi ideologici con cui rendere i proletari di tutto il mondo funzionali a questo scontro di interessi a essi estranei e ostili. Le narrazioni della guerra dell’imperialismo come scontro tra “democrazie” e “autocrazie”, come difesa del “diritto” e delle “nazioni oppresse”, come passaggio obbligato per l’affermazione di un “bene” variamente declinato ma sempre rigorosamente di matrice borghese, circolano indisturbate, infettando milioni e milioni di proletari.