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cumpanis

Imperialismo USA: “Un nuovo paradigma per invadere i popoli con il pretesto del cambio climatico”

Geraldina Colotti intervista Ricardo Molina

In occasione del Secondo re-incontro con la Madre Terra, organizzato a Caracas, abbiamo conversato con il deputato Ricardo Molina, presidente della Commissione di eco-socialismo dell’Assemblea Nazionale

unnamed732hbdTu hai avuto importanti e ripetuti incarichi nella rivoluzione bolivariana. Qual è il tuo ruolo ora?

Dal 2010 sono stato ministro di Habitat y Vivienda, prima con il comandante Hugo Chávez, poi con il presidente Nicolas Maduro. Nel 2015 sono stato eletto deputato in Parlamento, poi il presidente mi ha nominato ministro del Trasporto e vicepresidente di governo per il settore Servizi. Poi, durante il periodo delle violenze di piazza, mi sono impegnato nel progetto dell’Assemblea Nazionale Costituente che, come sappiamo, è stata una misura necessaria e importantissima per riportare la pace e difenderci dalle aggressioni continuate degli Stati Uniti. Nel 2017, sono stato eletto come costituente. In seguito, nel 2020, ho partecipato alla campagna per il recupero dell’Assemblea Nazionale che ha assunto funzioni a gennaio di quest’anno e sono stato eletto deputato. Attualmente, presiedo la Commissione permanente di eco-socialismo dell’Assemblea Nazionale, che porta avanti il progetto e gli ideali eco-socialisti, in base alla visione bolivariana e umanista del comandante Chavez, in difesa della Madre Terra. Ho anche un altro incarico alla Scuola bolivariana di Pianificazione: per continuare a formare i quadri nei diversi livelli di governo nazionale, regionale e municipale, e in special modo – e ancora più importante – a livello comunale.

 

Com’è stato organizzato il Secondo re-incontro con la Madre Terra e con quali obiettivi?

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carmilla

Note di carattere militare sulla disfatta occidentale in Afghanistan

di Sandro Moiso

Nicole Gee holding a baby Il lettore non deve aspettarsi di trovare uno studio generale di «scienza militare» o l’esposizione sistematica di una teoria dell’arte militare. No, il problema di Engels era […] di aiutare il lettore ad orientarsi sul corso delle operazioni e anche di sollevare, di quando in quando, quello che si usa chiamare il velo dell’avvenire. (Lev Trotsky, Prefazione a Note sulla guerra del 1870-71 di F. Engels)

C’è una fotografia che in questi giorni ha fatto il giro del mondo. E’ quella di una giovane marine di 23 anni, Nicole Gee, mentre stringe tra le braccia un bambino afghano pochi giorni prima di rimanere uccisa nell’attentato all’aeroporto di Kabul del 26 agosto. Ma ciò che si vuole fare qui non è la solita cronaca, pietistica e inutilmente retorica, cui ci ha abituato la narrazione mediatica degli ultimi eventi afghani.

Quella foto e quella notizia devono farci riflettere, invece e soprattutto, sul piano storico e militare, poiché la soldatessa americana, a conti fatti, doveva avere all’incirca 3 anni quando gli USA invasero l’Afghanistan con la scusa di colpire gli organizzatori dell’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001.

Vent’anni dopo, Nicole Gee è morta nella stessa guerra, non a caso indicata come quella più lunga combattuta dagli Stati Uniti nel corso della loro storia.

Se si esclude la guerra dei Trent’anni, scatenatasi in Europa tra il 1618 e il 1648, forse in nessun’altra guerra degli ultimi quattrocento anni è capitato che chi fosse nato durante o all’inizio della stessa facesse in tempo a farsi ammazzare nel corso della medesima. Si intenda: come militare poiché, è chiaro, i civili di ogni genere ed età fanno sempre in tempo a cadere come vittime in qualunque istante di qualsiasi conflitto.

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cumpanis

Gli attacchi imperialistici alle monete nazionali

di Federico Fioranelli*

immagine articolo Fioranelli Sez.EconomiaLa situazione economica e sociale che il Venezuela vive ormai da diversi anni è molto pesante per il suo popolo. Gli ultimi dati rilevano, per i primi cinque mesi dell’anno in corso, un tasso di inflazione pari al 264,85% e prevedono, per il 2021, un crollo del Pil del 10%.

I media mainstream cercano in ogni modo di dimostrare che le cause dell’iperinflazione e della recessione nella Repubblica bolivariana sono le politiche economiche espansive messe in campo nel corso degli anni dai governi socialisti, ai loro occhi incapaci e populisti, che si sono succeduti.

In questa maniera, pensano di nascondere la vera ragione alla base della fortissima crescita dei prezzi e della contrazione economica, vale a dire l’attacco speculativo alla moneta nazionale, che il Venezuela subisce addirittura dal 2012.

Quando parliamo di “attacco speculativo alla moneta nazionale”, ci riferiamo ad un’importante arma di guerra economica, al pari dell’embargo commerciale o del blocco finanziario, utilizzata dall’imperialismo nella lotta condotta a livello globale per distruggere forme di governo socialista e colonizzare nazioni.

Le ragioni dell’ostilità delle oligarchie industriali e finanziarie nei confronti dell’esistenza del socialismo, dentro e fuori il proprio Paese di appartenenza, non le scopriamo certo oggi. Esse sono di natura economica, politica e ideologica perché un sistema economico che sostiene il “diritto sovrano di un Paese di disporre delle proprie risorse nell’interesse del proprio popolo” (Paul M. Sweezy) non è compatibile con gli interessi, i privilegi e l’ideologia delle oligarchie stesse.

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circolointernazionalista

Afghanistan, il lungo addio

di Prospettiva Marxista

afgPubblichiamo sul nostro sito una prima valutazione da parte dei compagni di Prospettiva Marxista riguardo la situazione in Afghanistan, articolo di cui condividiamo pienamente il solido impianto e del quale ci preme mettere in risalto la serietà metodologica. Troppe volte in questi giorni, nel bel mezzo della tempesta mediatica, abbiamo avuto modo di leggere articoli, post o dichiarazioni – soprattutto di certa sinistra – in cui si è dato fiato, tanto fiato, alle trombe di una retorica autoconsolatoria e mistificante, fatta di parole come “disfatta”, “catastrofe”, “cacciata”, “umiliazione”, “resistenza” e tutto quello che un lessico tanto povero quanto la capacità di interpretare lucidamente i fatti, e quanto quella di non fare del desiderio il padre del pensiero, è stato in grado di sfornare. C’è anche chi ha definito come vittoria “anti-imperialista” l’avanzata, conseguente al ritiro delle truppe imperialiste USA e alleate, di una realtà politico-ideologico-militare, i talebani, che degli ultimi quarant’anni di contesa imperialista in Afghanistan è prodotto diretto. Non abbiamo di queste illusioni e soprattutto abbiamo tanta considerazione e rispetto per la nostra classe da non propinargli la stanca riproposizione di schemi – buoni per tutte le stagioni e che non necessitano di un grande sforzo di analisi né della necessaria prudenza interpretativa – che la dinamica del capitalismo nell’ultimo secolo ha reso obsoleti. Di una cosa siamo certi, l’imperialismo ha orrore del vuoto e l’Afghanistan non si è certamente emancipato dal dominio imperialista con il ritiro dell’imperialismo americano e la conseguente ascesa talebana. L’imperialismo americano ha lasciato la presa, ma l’imperialismo continua a tenere ben saldi i suoi artigli – per ora per il tramite dei talebani – su un paese martoriato, la cui vera emancipazione è ormai nelle sole mani del proletariato internazionale. La sola classe anti-imperialista.

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effimera

Destino manifesto

di Franco Bifo Berardi

whatsapp image 2021 07 23 at 153640Recentemente, parlando della disfatta di Kabul, in un empito retorico mi è capitato di scrivere che gli USA sono finiti, perché il paese non ha un presidente, dato che Biden, se mai è esistito, è stato annichilito dalla gestione della ritirata. Perché non ha un popolo ma due e in guerra tra di loro. Perché gli alleati se la stanno squagliando, perché la Cina sta vincendo la battaglia diplomatica e anche la competizione economica.

Tutto vero, ma ho dimenticato una cosa non secondaria: l’America è anche un complesso tecno-militare che dispone di una potenza distruttiva capace di distruggere il pianeta e di eliminare il genere umano non una ma molte volte. E si sta anche rendendo capace di avviare l’evacuazione di una piccola minoranza di umani dal pianeta terra, per andare dove non si sa.

La disfatta afghana segna il punto di svolta di un processo di disgregazione dell’occidente i cui segnali si sono accumulati nei due decenni passati.

Uso qui la parola Occidente per intendere una entità geopolitica che corrisponde al mondo culturale giudeo-cristiano (e comprende quindi la stessa Russia).

Forse il capitalismo è eterno, (ipotesi da verificare se ne avremo il tempo ma non credo l’avremo). L’Occidente no. E purtroppo il complesso tecno-militare di cui l’Occidente dispone, e che continua ad alimentare nonostante la sua capacità di overkill, non risponde alla logica della politica, ma è un automatismo che risponde alla logica della deterrenza che un tempo aveva carattere bipolare e simmetrico mentre dopo il crollo dell’URSS ha carattere multipolare, asimmetrico e quindi interminabile. Inoltre il complesso tecno-militare è anche una potenza economica che deve produrre guerra per potersi riprodurre.

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sinistra

L’Afghanistan nella morsa dello “scontro di civiltà”

di Eros Barone

niviveNel profluvio di commenti generati dal ritiro delle forze militari degli USA e della NATO dall’Afghanistan e dalla conseguente vittoria dei talebani raramente è stato posto a tema, anche solo ai fini di un confronto, l'intervento militare sovietico che ebbe luogo nel 1979 e che durò fino al 1989. Tale intervento, a differenza dell’invasione dell’Afghanistan attuata nel 2001 dall’imperialismo statunitense e dai suoi alleati occidentali, non solo derivava legittimamente da uno specifico trattato di amicizia e di cooperazione stipulato dai due rispettivi governi, ma poggiava altresì su un movimento democratico e popolare autoctono, il cui rappresentante più autorevole, ancor oggi ricordato con rispetto dalla popolazione di Kabul, era Mohammed Najibullah, ultimo presidente progressista del paese. Membro del Partito democratico popolare dell’Afghanistan (People’s Democratic Party of Afghanistan, Pdpa) dalla fine degli anni ’60, egli aveva diretto a lungo la polizia segreta, prima di essere messo a capo dello Stato nel 1986. Dopo il ritiro delle forze sovietiche nel 1989, Najibullah resistette al potere ancora per tre anni.

Come è noto, durante la guerra fredda i sovietici sostenevano Kabul, mentre gli Stati Uniti e il Pakistan appoggiavano i ribelli. Oggi, altre preoccupazioni hanno portato gli Stati Uniti ad abbandonare l’Afghanistan consegnando ai talebani, che essi non hanno mai smesso di sostenere sotto banco, una classe dirigente formata per la maggior parte dalle stesse personalità che lavoravano per Najibullah.

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ilpungolorosso

Afghanistan: una disfatta storica degli Stati Uniti e dell’Italia. E ora?

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

afghanistan talebani vittoria1. Sconfitta, disastro, debacle, agghiacciante fallimento, vergognosa ritirata, una catastrofe dei nostri eserciti e dei nostri valori, una disfatta peggiore di quella subita da parte dei vietcong mezzo secolo fa: una volta tanto, la stampa dei regimi occidentali, detti comunemente democrazie, non ha indorato l’amarissima pillola che i signori della guerra di Washington&Co. hanno dovuto deglutire in questi giorni.

Molti commentatori sono sorpresi. Non riescono a spiegarsi come i sistemi militari, gli apparati di intelligence e la diplomazia di una coalizione così potente hanno fallito davanti ad un “gruppo insurrezionale” (i talebani) di qualche decina di migliaia di guerriglieri, che non aveva dietro di sé nessuna grande potenza né chi sa quale addestramento militare, dotato di un armamento in alcun modo paragonabile a quello dei volonterosi carnefici della Nato. È la sorpresa che colpisce metodicamente i guru della geopolitica, convinti come sono – per la loro ottusa ideologia – che la tecnologia bellica, il denaro e i servizi segreti decidano di tutto, e che nelle vicende della storia le masse sfruttate e oppresse contino zero.

Invece hanno vinto i talebani afghani. E l’impatto internazionale della loro vittoria è enorme. Perché, come ha osservato Mosés Naím, “incoraggerà tutti gli avventurieri [coloro che non si inginocchiano ai comandi statunitensi – n.] a sfidare il potere americano, intaccherà la fiducia degli alleati negli Usa, e rafforzerà la convinzione dei rivali autocratici come Cina e Russia di possedere un modello superiore alle democrazie”.

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cumpanis

Cuba e la guerra egemonica dell’Occidente contro gli “Stati canaglia”

di Gianni Fresu

001 1 800x540Il ritorno dei democratici alla Casa Bianca ha coinciso con una nuova durissima offensiva contro Cina, Russia e tutto il composito fronte dei cosiddetti “Stati canaglia”, la cui finalità è sbarrare il passo a qualsiasi ipotesi di sviluppo multipolare della politica internazionale e ripristinare l'incontrastato dominio degli Stati Uniti sul mondo, rimediando alla profonda crisi di immagine e di relazioni che Washington ha vissuto negli ultimi anni.

In tal senso vanno lette le preoccupazioni di UE e USA emerse nei recenti incontri tra i vertici delle rispettive istituzioni: il rischio che parte importante dei fondi del Recovery plan possa finire nei bilanci delle aziende cinesi, dato che, come abbiamo potuto leggere sui giornali, “sul mercato europeo praticamente non esistono capacità tecnologiche e dimensioni aziendali” adeguate ai progetti di riconversione ecologica del piano. Da tali preoccupazioni emergono due valutazioni di ordine generale utili a sviluppare il nostro discorso: 1) la Cina sta vincendo la sfida tecnologica con l'Occidente, a suo tempo persa dall'URSS; 2) UE e USA basano le proprie istituzioni sulla mistica ideologica del primato del mercato, ma, in concreto, il “laissez faire” è sacro solo quando soddisfa i nostri interessi. Se così non è, qualsiasi mezzo di contrasto protezionistico è ritenuto lecito, alla faccia di tanta retorica sulle capacità di autoregolamentazione del mercato. Tutto ciò dimostra il relativismo di valori e la mai risolta pretesa di supremazia coloniale delle società liberaldemocratiche occidentali sul resto del mondo.

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lantidiplomatico

Haiti, ecco perché è stato ucciso il presidente Jovenel Moïse

di Geraldina Colotti

720x410c50Un omicidio nato nelle stanze del potere, all’ombra degli interessi imperialisti che hanno deciso di cambiare cavallo? È il probabile scenario che inquadra l’assassinio di Jovenel Moïse, presidente de facto di Haiti. A compierlo materialmente, un piccolo esercito di mercenari che hanno fatto irruzione nella sua residenza super-controllata mercoledì all’alba spacciandosi per agenti della Dea, lo hanno ucciso e hanno ferito la moglie. Si parla di complicità interne con l’avallo del capo della polizia. Il commando è stato arrestato quasi al completo e mostrato alle telecamere.

Si tratta di 15 colombiani e due statunitensi, che sarebbero arrivati a giugno ad Haiti passando per la Repubblica dominicana. I due statunitensi hanno dichiarato di essere stati contrattati tramite internet come interpreti, per sequestrare e non per uccidere Jovenel Moïse, che avrebbe dovuto essere condotto davanti a un giudice in quanto colpito da un mandato di cattura. Uno di loro è un imprenditore della Florida che ha poi fondato un gruppo no-profit per fornire assistenza umanitaria a Port au Prince, la capitale di Haiti. Altri tre colombiani sono morti per mano della polizia e otto mercenari sono in fuga.

Bogotà ha confermato che 6 degli arrestati sono ex militari colombiani. Il giornale El Tiempo ha rivelato il curriculum di uno di loro, Manuel Antonio Grosso Guarn, fino al 2019 considerato uno dei più preparati dell'esercito colombiano. All'inizio della sua carriera ha ricevuto una formazione da commando speciale, e nel 2013 fu assegnato al Gruppo di Forze speciali antiterroriste urbane, quelle che sequestrano e uccidono i manifestanti che da mesi protestano contro il governo Duque. Quei reparti che, in questi giorni, hanno ricevuto ulteriori rinforzi dalla Cia.

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ist onoratodamen

Biden è come Trump: parla di libertà e diritti umani ma vuole solo soldi, tanti soldi

di Giorgio Paolucci

000571A7 biden e trumpL’America è semplicemente la capofila di un disastro più generale che sta già mettendo radici altrove e che si diffonderà ulteriormente in futuro. (Anne Case e Angus Deaton)

Hanno fatto molto scalpore le ultime previsioni del Fondo Monetario internazionale che danno nel 2021 il Pil statunitense in crescita del 6,5%, superiore anche a quello cinese che si attesterebbe al 6%. Ben ultima, invece, l’Unione Europea con il 3,9%. In considerazione di ciò, non pochi hanno dedotto come imminente il ritorno tout court degli Usa agli antichi fasti: «L’America di Biden –scrive per esempio F. Rampini- è pronta a sottrarre alla Cina il ruolo di locomotiva mondiale trainando anche la crescita degli altri»[1]. Il miracolo avverrebbe grazie ai «ristori dell’ordine di 1,9 trilioni di dollari (9% del Pil) [a cui - n.d.r.] si aggiungeranno gli investimenti pubblici in infrastrutture previsti dall’American Jobs Plan per 2,2 trilioni, da devolvere in otto anni (1,5% del Pil all’anno, in media) alla grave carenza nei trasporti, utilties, scuole, ospedali, ricerca. A fine aprile - ci informa Pier Luigi Ciocca- Biden prospettava un ulteriore piano di sostegni alle famiglie di 1,8 trilioni. Il complesso degli interventi si aggirerebbe nel tempo sui sette trilioni di dollari: una cifra smodata, pari a circa un terzo dell’attuale Pil».[2] E tutto ciò in aggiunta ai «900 mld di dollari (4% del Pil) di spesa pubblica deliberati dall’amministrazione Trump nel 2020 per sostenere l’economia messa in ginocchio dalla pandemia (-3,5% del pil nel 2020).»[3] Cifre davvero importanti, tanto che Biden, presentando la sua prima legge di Bilancio, ha potuto dichiarare: «La ripresa è già cominciata. L’America sta rinascendo. Ricostruiamo la nostra forza a partire dal ceto medio e dalle classi lavoratrici».[4]

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comuneinfo

Il terrore nel cuore della notte

di Jonathan Cook

raid hebronSi sfonda la porta tra mezzanotte e le cinque del mattino e si fa irruzione con le armi spianate e, generalmente, il volto coperto terrorizzando chiunque sia in casa anche se non è sospettato di aver commesso alcun reato: bambini, genitori, anziani. Poi li si fotografa, ognuno con il pigiama e il passaporto in mano. La sistematica pratica di Intel Mapping dei soldati israeliani è un elemento fondante della politica di sorveglianza, controllo e persecuzione dei palestinesi ed è assai nota e documentata (qui sotto trovate un paio di video). Secondo dati raccolti dall’Onu, l’esercito ha effettuato circa 6.400 “operazioni di ricerca o di arresto” solo nel 2017 e nel 2018. Nei giorni scorsi, pare su pressioni dei tribunali, è stato però annunciato che la “mappatura” cesserà, salvo non vi siano “circostanze eccezionali”, una scappatoia facilmente sfruttabile, tanto che Jonathan Cook, prestigioso giornalista britannico da vent’anni residente a Nazareth, sostiene, che le invasioni domestiche nel cuore della notte non cesseranno affatto ma diveranno più segrete. Servono ad addestrare i giovani soldati in un ambiente sicuro. Li abitua al crimine di guerra e azzera il loro senso di moralità, già scarso dopo anni di esposizione a un sistema scolastico improntato al razzismo anti-palestinese. Terrorizzare quella gente che li odia, anche i bambini, diventa routine. Una modalità di guerra psicologica che serve a incutere terrore: l’esercito è ovunque, opporsi è inutile, anzi controproducente. Le donne si sentiranno umiliate, violate e insicure perfino in casa, gli uomini soffriranno del trauma associato all’incapacità di proteggere mogli e figli.

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lantidiplomatico

Una nuova internazionale nera, dalla Spagna all’America Latina

di Geraldina Colotti

719x410c50L’attualità dell’America latina mette in primo piano le elezioni di domenica 6 giugno in Messico e in Perù, mentre continuano le proteste in Colombia, a cui il governo Duque risponde con massacri silenziati dai media occidentali.

Al riguardo, iniziamo col raccogliere l’invito del filosofo messicano Fernando Buen Abad che si occupa di semiotica radicale e combattiva e che, alle sue riflessioni sulle elezioni in Messico, ha premesso la vignetta di un cervello in gabbia come invito a non ottundere il pensiero critico seguendo le menzogne mediatiche. In Messico, che conta 129 milioni di abitanti, andrà alle urne un totale di 94 milioni di aventi diritto. Voteranno per il rinnovo della Camera dei Deputati, dove si eleggeranno 500 nuovi membri. A livello locale, si vota in 15 governazioni, 30 municipi e 30 congressi locali.

Morena, il partito del presidente Lopez Obrador, si presenta in una coalizione denominata Juntos Hacemos Historia, e composta anche dal Partido del Trabajo (PT), dal Partido Verde Ecologista de México. I due partiti di destra, il Pri e il Pan, vanno invece uniti nell’alleanza Va por Mexico. Un dato significativo per un paese nel quale le violenze patriarcali e omofobiche sono molto elevate, è il record di candidati alla Camera dei movimenti LGBTIQ+ , e il fatto che quasi il 2% degli oltre 5.300 candidati ai diversi incarichi ha dichiarato in un’inchiesta di identificarsi come parte della comunità. In queste elezioni, vi sono candidati che si definiscono transgender, omosessuali e muxe, un terzo genere riconosciuto all’interno della cultura degli zapotechi di Oaxaca, nel Messico meridionale, che indica una persona alla quale è stato assegnato individualmente il sesso maschile, ma che si veste e si comporta con modalità femminili.

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cumpanis

L’analisi concreta della situazione concreta

Appunti su “L’Imperialismo” di Lenin

di Alberto Lombardo*

Immagine per articolo di LombardoIl contributo di Lenin alla teoria marxista è stato inestimabile. Egli ha vissuto il trapasso definitivo dalla fase prevalentemente concorrenziale del capitalismo a quella imperialistica. Nel suo famoso L’imperialismo. Fase suprema del capitalismo, dell’aprile del 1917, egli delinea gli aspetti storici di questo trapasso.

Dice Lenin:

Ma, a mano a mano che le banche si sviluppano e si concentrano in poche istituzioni, si trasformano da modeste mediatrici in potenti monopoliste, che dispongono di quasi tutto il capitale liquido di tutti i capitalisti e piccoli industria, e così pure della massima parte dei mezzi di produzione e delle sorgenti di materie prime di un dato paese e di tutta una serie di paesi.

L'”unione personale” delle banche con l’industria è completata dall'”unione personale” di entrambe col governo.

Inoltre

Per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica l’esportazione di merci; per il più recente capitalismo, sotto il dominio dei monopoli è diventata caratteristica l’esportazione di capitale.

Lenin poi fornisce le celebri 5 caratteristiche che definiscono l’imperialismo.

«Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell’imperialismo, si dovrebbe dire che l’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo.

… i suoi cinque principali contrassegni [sono]:

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lantidiplomatico

Dalle ambasciate USA, un nuovo Plan Condor contro il socialismo latinoamericano

di Geraldina Colotti

720x410c50Il continente latinoamericano mostra con chiarezza i termini dello scontro a livello globale, nel quadro della nuova fase di resettaggio del capitalismo, che ha bisogno di formattare anche il conflitto di classe: schiacciandolo o cooptandolo a seconda dei rapporti di forza, storicamente determinati. E così, mentre nei paesi europei gli apparati ideologici di controllo acuiscono la perdita di memoria del passato conflitto per imporre la visione dei vincitori, la borghesia riadatta, al più alto livello, le tecniche di controllo e repressione messe a punto nei momenti più acuti dello scontro novecentesco, e diventati elementi strutturali della nuova economia di guerra.

Dalla Colombia, al Paraguay, al Cile, vediamo allora riapparire le sparizioni forzate, le torture, l’uso di paramilitari travestiti da civili, coperti dal medesimo silenzio con il quale le organizzazioni internazionali hanno permesso le torture ai baschi in Spagna, ai comunisti in Italia, in Francia, in Gran Bretagna, in Germania: sempre in nome, beninteso, della “lotta al terrorismo” e della difesa “pacifica” della democrazia borghese. Da Cuba al Venezuela, dalla Bolivia all’Ecuador, vediamo continuare le politiche messe in campo nel secolo scorso, tra intossicazione mediatica e arroganza imperialista, per far pesare l’argomento della “lotta al terrorismo” onde mantenere in piedi il circo perverso delle “sanzioni”.

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carmilla

Appunti palestinesi

di Jack Orlando

razzi1. Israele è uno Stato criminale. Fondato su basi teologiche e tenuto in piedi dal terrore, dal colonialismo e dalla segregazione. Ma questo è noto, sono note le violazioni dei diritti umani, le occupazioni illegali di terre e di case, gli arresti di bambini, le fucilate sui contadini e gli omicidi mirati all’estero. Come non è nuovo che il concetto di guerra sviluppato nelle stanze dell’esercito “di difesa” israeliano non presuppone il coinvolgimento di civili come perdite collaterali, bensì come obbiettivo esplicito per fiaccare, tramite paura e caos, la resistenza palestinese (ma possiamo immaginare che non si farebbe problemi a bombardare famiglie di innocenti anche all’estero).

Quando si guarda alla forma politica e militare sionista, si guarda all’avanguardia dell’Occidente, laboratorio di governo sociale securitario che combina produzione massiva di consenso con articolati dispositivi di contro-insorgenza e di mobilitazione militare talmente ampia da strabordare oltre ogni confine fino a non poter distinguere più ambito civile da ambito militare.

Bollarlo di nazismo o di barbarie fine a se stessa è solo fuorviante, poiché lo limita ad una situazione di eccezionalità apparentemente irriproducibile, oscurando invece il ruolo oltre che geopolitico, anche laboratoriale strategico: nella questione arabo-israeliana vengono messi a regime e verificati esperimenti di governo propri di un territorio in crisi permanente; che è proprio ciò che l’Occidente ha davanti a sé come prospettiva e da quel laboratorio trae (o meglio, compra) strumenti e lezioni per blindare la sua posizione. Quella che è stata definita più volte democrazia autoritaria ha frequentato parecchie lezioni in ebraico. La questione arabo-israeliana non è qualcosa di altro dall’Europa, è l’eccezione che può serenamente essere norma in un tempo venturo.