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sinistra

Russia: dalle sanzioni al crollo?

di Michael Roberts

art 377La guerra economica tra il gruppo di paesi della NATO guidato dagli Stati Uniti e la Russia si sta intensificando insieme alla vera guerra nella stessa Ucraina. In risposta all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, gli Stati Uniti e l'Europa hanno alzato la posta imponendo sanzioni economiche, in primo luogo la sospensione di qualsiasi relazione con le diverse importanti banche russe, comprese le due maggiori, Sberbank e VTB. Tuttavia, è significativo che le sanzioni escludano la Gazprombank, il principale finanziatore russo alle società che esportano energia. Chiaramente, l'Occidente non vuole interrompere le esportazioni di petrolio e gas a causa delle sanzioni, quando la sola Germania fa affidamento sul 40% della sua energia dalle importazioni russe.

Di conseguenza, il pacchetto di sanzioni della NATO prevede sostanziali eccezioni. In particolare, mentre sanziona le maggiori istituzioni finanziarie russe, esclude alcune transazioni con quelle istituzioni legate all'energia e alle materie prime agricole, che rappresentano quasi i due terzi delle esportazioni totali. Significativamente, l'Italia ha fatto pressioni con successo per esentare dal divieto di esportazione la vendita delle borse di Gucci ai ricchi russi! Pertanto ora la leader dell'UE Von der Leyen e Biden alla Casa Bianca hanno annunciato che "lavoreremo per vietare agli oligarchi russi di utilizzare le loro risorse finanziarie sui nostri mercati". Biden dichiara che gli Stati Uniti "limiteranno la vendita della cittadinanza - i cosiddetti passaporti d'oro - che consentiranno ai ricchi russi legati al governo di Mosca di diventare cittadini dei nostri paesi e di accedere ai nostri sistemi finanziari". L'UE e gli Stati Uniti stanno lanciando una task force per "identificare, dare la caccia e congelare i beni delle società e degli oligarchi russi sanzionati, i loro yacht, le loro ville e qualsiasi guadagno illecito che possiamo trovare e congelare".

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linterferenza

L’Ucraina e i Russi (per non parlare dei Rus’)

di Norberto Fragiacomo

4400 Nikolai GogolDello storico discorso pronunciato lunedì 21 febbraio dal Presidente Putin (storico perché infarcito di riferimenti alla Storia, ma anche perché il leader russo è, piaccia o non piaccia, uno dei rari statisti in una contemporaneità popolata da gnomi politici) mi hanno colpito in particolare le critiche mosse al “predecessore” Lenin, cui viene addebitata la colpa di aver creato dal nulla un’entità statale – l’Ucraina – prima mai esistita. Molti giornalisti nostrani hanno definito “surreali” toni e contenuti dell’arringa: a mio avviso perché l’occidente ha ormai rimosso il passato (persino quello prossimo), vive in un presente bidimensionale e non riesce neppure a concepire scelte e azioni di governanti che non trovino la loro esclusiva giustificazione in un gretto interesse immediato. Avvezzi a scrivere pagine di cronaca, i nostri opinionisti (e gli stessi governanti) blaterano di mission e vision, ma hanno smarrito qualsiasi attitudine ad elaborare una visione a medio-lungo termine, che può fondarsi solamente sull’analisi di ciò che è stato. Il dialogo a distanza con Vladimir Lenin, morto quasi cent’anni fa, risulta perciò incomprensibile, anche se può far sorridere il fatto che le stesse accuse mosse “da destra” dall’omonimo Putin riecheggino quelle all’epoca avanzate al grande rivoluzionario da settori del partito bolscevico (quasi) di liberalismo borghese per aver sostenuto il diritto all’autodeterminazione dei popoli soggetti all’influenza russa. Gli attacchi “da sinistra” di allora erano in realtà espressione di un certo sciovinismo grande russo che coerentemente Lenin avversava, reputando necessario alla costruzione del Socialismo l’instaurarsi di un clima di concordia e volontaria collaborazione fra genti diverse che non può nascere né da un’omologazione decisa a tavolino (auspicata oggidì da settori della sinistra c.d. radicale) né – a maggior ragione – dal predominio imposto da un proletariato nazionale sugli altri.

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vocidallestero

In Ucraina Putin si avvicina alla vittoria e controlla la catena di approvvigionamento della tecnologia occidentale. Di chi è il bluff?

di Ambrose Evans Pritchard

putin close to winningAmbrose Evans Pritchard pubblica sul Telegraph due articoli in stretta successione che offrono una visione approfondita e chiarificatrice sulla vicenda Ucraina e il contesto economico in cui si muovono le parti in causa.

Nel primo articolo, intitolato In Ucraina Putin è vicino alla vittoria, pubblicato il 15 febbraio, Pritchard mostra come la Russia in realtà non abbia motivo di temere le sanzioni occidentali. Nel secondo, pubblicato il 22 febbraio e intitolato Putin controlla la catena di approvvigionamento della tecnologia occidentale, quindi di chi è il bluff?, focalizza l'attenzione su un aspetto meno noto: la capacità della Russia di ostacolare gli approvvigionamenti di materie prime indispensabili alle industrie del mondo occidentale.

Partiamo dal primo, In Ucraina Putin è vicino alla vittoria.

Per cominciare Pritchard descrive l'economia russa come un sistema ordinato, dotata di un ingente ammontare di riserve valutarie, un debito estero tra i più bassi al mondo, un sistema bancario solido e una valuta dal cambio flessibile che consente all'economia di adattarsi bene alle vicende degli scambi internazionali, oltre ad una finanza pubblica in avanzo che non dipende dagli investitori stranieri per la copertura della spesa pubblica.

In contrasto con i sistemi economici dell'occidente, che si reggono sull' helicopter money delle banche centrali e sui grandi debiti pubblici, come afferma Christpher Granville, di TS Lombard, questo si può definire 'il paradosso del mandato di Vladimir Putin, che dirige uno dei regimi politici più ortodossi del pianeta, con un team macroeconomico, presso la banca centrale e il tesoro, decisamente esemplare'.

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sinistrach

Ucraina: Mosca inizia l’operazione di smilitarizzazione

Zjuganov: “imperativo è contenere l’aggressività della NATO”

di Nil Malyguine

russia tankOggi 24 febbraio 2022, di prima mattina, le forze armate russe hanno iniziato un’offensiva su vasta scala contro l’esercito ucraino. È iniziata con massicci bombardamenti di obbiettivi militari su tutto il territorio dell’Ucraina. Successivamente le truppe russe hanno varcato il confine da diverse direzioni, e si stanno dirigendo verso i principali centri di potere del paese. È l’inizio dell’“invasione russa” tanto paventata dai media occidentali? Niente affatto: è l’inizio della liberazione dell’Ucraina dal regime fascista e filo atlantico che ha illegalmente conquistato il potere nel 2014. Come ha annunciato Putin, è iniziata la “denazificazione” dell’Ucraina.

 

Non chiamatela invasione: l’obiettivo è la demilitarizzazione

Perché i termini “invasione” e “occupazione” non sono applicabili alla situazione odierna? Perché essi sottintendono un obbiettivo espansionista, che però è estraneo alle intenzioni di Mosca. Putin, nel discorso infuocato con cui ha annunciato l’inizio dell’intervento, ne ha definito chiaramente gli obbiettivi: la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina. Non la conquista. In altre parole, gli obbiettivi che si prefigge il Cremlino sono:

1) Liquidare il governo golpista salito al potere a Kiev nel 2014, in seguito al colpo di Stato di piazza Maidan. Un governo-marionetta completamente succube della NATO, sponsor del golpe. Un governo che dal primo giorno del suo insediamento ha attuato una politica di assimilazione culturale (se non proprio pulizia etnica) nei confronti della popolazione russofona del paese (ma anche di minoranze come quella romena e quella ungherese). Un governo che ha conquistato il potere con le armi dei neonazisti, e che dei neonazisti è rimasto ostaggio, assecondandone ogni delirio sciovinista.

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lantidiplomatico

Ma non è un'invasione

di Fosco Giannini

Pubblichiamo in anteprima questo editoriale di Fosco Giannini, direttore di Cumpanis e lo ringraziamo per l'opportunità

720x410c50wesfScriviamo dopo che questo numero di “Cumpanis” era già stato chiuso e stava per essere messo on-line. Scriviamo mentre i mille “media” occidentali e italiani – disgustosamente, paurosamente, organicamente asserviti, genuflessi agli USA e alla NATO – parlano di “invasione della Russia in Ucraina”, di “Inizio della guerra di Putin”.

Torna prepotentemente in auge la storica russofobia occidentale che sempre ha visto, prima l'Unione Sovietica e ora la Russia di Putin, come il male assoluto. Un'inclinazione ideologica reazionaria, razzista, anticomunista che è stata alla base dell'attacco di Hitler all'URSS, alla costruzione della lunga e micidiale Guerra Fredda successiva alla Seconda Guerra Mondiale e alla costruzione dell'improvvido e maledetto Patto Atlantico, la NATO, (a cui, anni dopo, solo anni dopo, l'URSS e il campo socialista dovettero rispondere con il Patto di Varsavia) ed ora, di nuovo, del disegno imperialista USA e NATO volto distruggere la Russia di Putin. Distruggerla per avanzare ulteriormente, come blocco imperialista militarizzato USA-NATO-UE, verso la Cina.

L'arrivo di Biden alla presidenza degli USA ha accelerato i piani militari americani volti ad uscire dalla profondissima crisi dell'impero a stelle strisce attraverso la guerra. Guerra vera, non solo “fredda”.

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lantidiplomatico

Rischi bellici in Ucraina? In Donbass la guerra c’è già da 8 anni nell’indifferenza generale dell’occidente!

di Enrico Vigna*

rischioguerraucraina2022Da due mesi i “distrazionisti” professionali hanno concentrato luci e attenzioni mediatiche su una presunta e ipotetica invasione russa dell’Ucraina, sapendo bene che la Russia, non ha nessuna progettualità di guerra, semplicemente perché non è un suo interesse strategico, uno scontro militare con USA, NATO e Unione Europea. Salvo naturalmente qualche inaccettabile provocazione degli “ucro” neonazisti, pretoriani del governo golpista di Kiev e della NATO. Mentre la realtà tragica è la guerra che, da otto anni è in atto contro la popolazione del Donbass, di cui solo pochi organi informativi e realtà occidentali hanno finora documentato. Ora che c’è il rischio di un dispiegamento a domino di questo conflitto…fa notizia.

I media occidentali sono una forza che può favorire una guerra, sono un'arma potente, il loro lavoro è un segnale di azione che deve arrivare, che essi preparano in anticipo.

Gli ululati di guerra occidentali, da mesi hanno decretato che Putin intende invadere l'Ucraina. Ma per quale motivo dovrebbe farlo, nessuno sa dirlo. L'ex ufficiale dell'intelligence statunitense e membro di un'associazione di ex professionisti dell'intelligence e dell’utilizzazione dell'intelligence USA (VIP), Raymond Mcgovern, considera un'invasione russa dell'Ucraina, tanto probabile quanto l'arrivo tanto annunciato del sinistro "Godot" nell'opera teatrale di Beckett “Aspettando Godot ”.

In ogni caso…nella dichiarazione congiunta all'inaugurazione delle Olimpiadi invernali del 2022, i presidenti Xi Jin-ping e VladimirPutin hanno sottolineato che "Russia e Cina si opporranno a qualsiasi tentativo di forze esterne, di minare la sicurezza e la stabilità in regioni confinanti e "un ulteriore espansione della NATO “!

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sinistra

Ucraina: intrappolata in una zona di guerra

di Michael Roberts

6516253 20123919 ukraine russia guerra cosa succedeMentre per l'Ucraina stanno suonando i tamburi di guerra, quale sarà l'impatto che avrà tutto questo sull'economia del paese e sugli standard di vita dei suoi 44 milioni di abitanti, sia che la guerra venga evitata o meno?
Ho già scritto diverse volte sull'Ucraina, durante la grave crisi economica che il paese ha vissuto nel 2013-14, culminata poi con il crollo del governo in carica, con la rivolta di Maidan e infine con l'annessione alla Russia della Crimea e delle province orientali prevalentemente russofone. Per la gente, la situazione allora era terribile. È migliorata un po' in seguito, ma la crescita economica rimane piuttosto modesta e nel migliore dei casi gli standard di vita continuano a rimanere stagnanti. In 12 anni, il salario reale medio non è aumentato, ed è crollato pesantemente dopo la crisi del 2014.

L'Ucraina è stata la regione più colpita dal crollo dell'Unione Sovietica e dalla "shock therapy" della restaurazione capitalista nell'Europa orientale e nella stessa Russia. Tutti gli ex satelliti sovietici hanno impiegato molto tempo per recuperare il PIL pro capite e i livelli di reddito, ma nel caso dell'Ucraina non sono mai tornati al livello del 1990. La performance dell'Ucraina tra il 1990 e il 2017, non è stata solo la peggiore tra quelle dei suoi vicini europei, ma è stata la quinta peggiore in tutto il mondo. Tra il 1990 e il 2017 ci sono stati solo 18 paesi con una crescita cumulativa negativa, e perfino in quel gruppo selezionato, la performance dell'Ucraina la colloca come il terzo paese peggiore insieme alla Repubblica Democratica del Congo, al Burundi e allo Yemen.

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cumpanis

Ucraina: la guerra americana

di Fosco Giannini

Dal “golpe” imperialista-fascista di Piazza Maidan al progetto di guerra Usa-Nato-Ue

IMMAGINE PRIMO EDITORIALE GianniniIl mondo intero, l’Europa, l’Italia, nell’indifferenza generale e nella totale accidia delle forze “di sinistra”, pacifiste e a volte persino comuniste, sono sul baratro della guerra.

Di una guerra che da “regionale” (Russia-Ucraina) avrebbe tutte le carte in regola per divenire mondiale. Poiché un conflitto militare Ucraina, Usa, Nato, Ue da un lato e Russia dall’altro, difficilmente potrebbe vedere neutrale la Repubblica Popolare Cinese. L’incontro tra Putin e Xi Jinping di questi primi giorni di febbraio 2022, in occasione delle Olimpiadi cinesi sulla neve, incontro sfociato in un rafforzamento del patto – politico, economico, militare – tra Mosca e Pechino, dice chiaramente che la Russia non è sola e una guerra imperialista contro di essa non potrebbe lasciare indifferente la Cina.

Un immenso arsenale militare nordamericano è già stato inviato, in queste ultime settimane, in Ucraina. Migliaia di soldati americani sono già partiti verso l’Europa e l’Ucraina a sostegno della possibile guerra. E altre migliaia sono già stati allertati negli Usa per partire verso la Polonia e la Germania con destinazione finale Ucraina. Lunghe file di carri armati americani sono stati avvistati anche in Austria.

Il governo svedese, in funzione anti russa, ha minacciosamente collocato su Gotland, l’isola del Mar Baltico a 90 chilometri dalle sue coste orientali, il proprio esercito in assetto da guerra e mezzi corazzati da combattimento. Col Ministro della Difesa svedese che ha motivato tale spostamento militare con l’“esigenza di difendere la Svezia dal pericolo delle navi da sbarco russe che incrociano nel Mar Baltico”. Ha ragione Putin: l’isteria Usa si allarga a tutto l’Occidente.

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ilpungolorosso

Rosa Luxemburg e il debito come strumento imperialista

di Eric Toussaint

0 17107Il 2022 sarà un anno molto difficile per i paesi dominati e controllati del Sud del mondo, specie per quelli più indebitati con l’estero. Per almeno due ragioni: i 42 paesi che avevano aderito alla sospensione del pagamento delle rate per il 2020 e il 2021, dovranno ricominciare a pagare; molti di questi paesi vengono colpiti duramente dall’aumento del prezzo del petrolio e del gas. Nel complesso i 74 paesi più poveri del mondo dovranno versare ai loro creditori (i sanguisuga di sempre, ossia le vecchie potenze coloniali, a cui si è aggiunta la Cina) 35 miliardi di dollari – secondo la Banca mondiale si tratta di un aumento del 45% sul 2020. Un onere pressoché insostenibile, per cui più della metà di questi paesi sarà costretto a chiedere la ristrutturazione del debito estero – che comporta sempre, come ha mostrato Chossudovsky, l’appesantimento del debito e della dipendenza economica e politica. Tra i paesi più a rischio insolvenza Sri Lanka, Ghana, Tunisia, Salvador, ma altri – come il Libano – sono già alla bancarotta.

Ecco perché ci è sembrato utile riprendere (e tradurre) dal sito del CADTM (Committee for the Abolition of Illegitimate Debt) questo articolo di E. Toussaint che espone in modo piano l’analisi della funzione imperialista dei prestiti internazionali compiuta da Rosa Luxemburg nel suo L’accumulazione del capitale. E’ utile precisare che, per noi, da cancellare è l’intero debito estero dei paesi dominati e controllati dalle potenze imperialiste, non una sua parte.

* * * *

Nel suo libro intitolato L’accumulazione del capitale, pubblicato nel 1913, Rosa Luxemburg dedicò un intero capitolo ai prestiti internazionali per mostrare come le grandi potenze capitaliste dell’epoca utilizzassero i crediti concessi dai loro banchieri ai paesi collocati alla periferia [del mercato mondiale] al fine di esercitare il proprio dominio economico, militare e politico su di essi.

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effimera

Il modello cinese e lo spazio del conflitto

di Sandro Mezzadra

Una lettura importante, sotto la lente dell’attualità, del libro di Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino, Mimesis, 2021. Si tratta di una nuova edizione del volume dopo la prima pubblicazione italiana, da tempo esaurita, uscita per Feltrinelli nel 2008 (la prima edizione in inglese è del 2007)

511bfRls3SL. SX329 BO1204203200 Adam Smith a Pechino, di Giovanni Arrighi (2007), è un libro ormai classico. La scomparsa del suo autore solo due anni dopo la pubblicazione mette ancora più in risalto la creatività e l’apertura delle analisi presentate in questo volume, che si muovevano certo all’interno della cornice della “teoria del sistema mondo” e del lavoro dello stesso Arrighi nei decenni precedenti, ma con elementi di significativa innovazione. È dunque meritoria l’iniziativa della casa editrice Mimesis, che propone una nuova edizione del libro, arricchita di una prefazione di Salvo Torre e di una postfazione di Andrea Fumagalli. Rileggere Adam Smith a Pechino nel tempo della pandemia, e mentre tensioni crescenti segnano i mutamenti dell’ordine e del disordine mondiale, getta nuova luce su alcune delle tesi di fondo di Arrighi. Ne proporrò naturalmente una lettura selettiva, isolando alcune questioni che mi sembrano particolarmente importanti.

Adam Smith appare qui un pensatore lontano dall’immagine abituale di apologeta di un capitalismo in pieno sviluppo. Certamente teorico di una società di mercato, Smith considera tuttavia “lo sviluppo economico come processo inserito (embedded) in uno specifico ambito geografico, sociale e istituzionale e che in tale ambito trova anche i propri limiti”. Il capitalismo, definito da Arrighi a partire dallo stretto nesso tra capitale e Stato (tra accumulazione illimitata di capitale e accumulazione illimitata di potere) assume nella prospettiva di Smith caratteri profondamente “innaturali”. E si dispiega storicamente attraverso un “ciclo delle egemonie” che, nel passaggio di testimone dalla Repubblica di Genova ai Paesi Bassi, dall’Inghilterra agli USA, ne articola e garantisce l’estensione globale. Marx e Braudel, Schumpeter e Wallerstein sono i principali riferimenti teorici di Arrighi, che propone qui in forma sintetica i lineamenti di un’analisi sviluppata altrove in modo più ampio (in particolare in Il lungo ventesimo secolo, del 1994).

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cumpanis

Cuba al bivio

di Carlo Formenti

A proposito del libro Cuba 11J. Protestas, respuestas, desafíos, curato da Julio Carranza Valdés, Manuel Monereo Pérez e Francisco Lopez Segrera ed editato dalla ELAG (Escuela de Estudios Latinoamericanos y Globales) e dalla rivista argentina Pagina 12

IMMAGINE SECONDO PEZZO SEZIONE SCUOLA QUADRI. Cuba FormentiCuba 11J. Protestas, respuestas, desafíos, curato da Julio Carranza Valdés, Manuel Monereo Pérez e Francisco Lopez Segrera ed editato dalla ELAG (Escuela de Estudios Latinoamericanos y Globales) e dalla rivista argentina Pagina 12 è un libro (uscito nel dicembre scorso) che prende spunto dalle manifestazioni di protesta che si sono svolte in alcuni quartieri dell’Avana e in altre città cubane l’estate scorsa, per analizzare le difficoltà che il Paese socialista caraibico si trova a fronteggiare a causa della crisi pandemica e del concomitante inasprimento del bloqueo imposto dall’amministrazione degli Stati Uniti (voluto da Donald Trump e confermato dal neopresidente democratico Joe Biden). Il libro si articola in 16 capitoletti firmati da altrettanti autori (economisti, sociologi, politologi ed esponenti di altre discipline) ed è dedicato ad uno di essi, il sociologo e storico della Rivoluzione cubana Juan Valdés Paz, venuto a mancare lo scorso ottobre. In appendice il testo di un discorso tenuto dal Presidente Miguel Diaz Canel il 18 luglio 2021 e alcune interviste a intellettuali ed artisti, nonché a giovani studenti che hanno partecipato alle proteste.

I punti di vista espressi dagli autori nei sedici testi raccolti nel volume sono articolati e differenziati, per cui è praticamente impossibile riassumere il contenuto del libro. Ho quindi deciso di non stendere un banale elenco delle varie posizioni, bensì di concentrare l’attenzione sui sei contributi che mi sono parsi più stimolanti, raggruppando i temi che vi sono trattati in tre aree: (1) ricostruzione degli adempimenti del regime nei primi trent’anni di vita e delle cause che, a partire dagli anni Novanta, rischiano di metterli a rischio; e valutazione di quali riforme economiche (2) e politiche (3) potrebbero consentire di superare la crisi.

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laboratorio

L’integrazione continentale dell'industria bellica e l'imperialismo europeo

di Domenico Moro

Complesso militare industrialeLa crisi è sempre una spinta a centralizzare i capitali, cioè a unire capitali diversi sotto una medesima direzione, attraverso processi di fusione e acquisizione di imprese. Infatti, mettere insieme più imprese comporta un risparmio di costi, grazie alla realizzazione di migliori economie di scala, e permette alle imprese di allargare e meglio presidiare il proprio mercato di sbocco, creando oligopoli. In questo modo, il capitale combatte la caduta tendenziale dal saggio di profitto. Dal momento che oggi, in un’epoca di globalizzazione, le imprese operano su scala mondiale o almeno continentale, le fusioni e le acquisizioni avvengono soprattutto attraverso le operazioni cosiddette cross-border, cioè oltre i confini nazionali, con la creazione di oligopoli su scala europea e mondiale. Per quanto riguarda il capitale italiano si sta assistendo a un ulteriore salto di qualità del suo livello di internazionalizzazione, che passa attraverso un processo di integrazione con altri capitali, in primo luogo quello francese e quello tedesco. Questo è particolarmente evidente anche nel settore dell’industria della difesa, che, a causa della sua natura strategica per lo Stato, è di particolare importanza per i risvolti politici e geostrategici e per le implicazioni riguardo al processo di integrazione politica europea, nonché per definire il ruolo e le caratteristiche della formazione economico-sociale italiana a partire dalla struttura del capitale industriale italiano.

Cominciamo dal quadro generale. Le attività di fusione e acquisizione (M&A, Merger and Acquisition), che hanno visto protagoniste le imprese italiane, hanno raggiunto nel 2021 un nuovo record.

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lantidiplomatico

I tentacoli della Nato dall’Europa all’America Latina

di Geraldina Colotti

720x410c50Spesso, e comprensibilmente, si domanda agli analisti internazionali se vi sarà un cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti a seconda che alla Casa Bianca governi un presidente repubblicano o uno democratico. Premesso che, per un marxista, è sempre buona norma sfuggire i manicheismi e guardare alla situazione concreta nei suoi rapporti di classe, determinati storicamente, rilevare che, a livello internazionale, l’essenza della politica estera nordamericana non presenta discontinuità effettive, non è una presa di posizione ideologica.

“Tutto cambia perché niente cambi” è uno schema che ben si attaglia alla strategia Usa nel mondo. Sia esso ammantato da una ruspante retorica trumpista o da un più persuasivo “multilateralismo” alla Biden, alla base del modello politico nordamericano nel mondo resta l’idea fondante della supremazia armata. Un paradigma che si alimenta e alimenta gli interessi del complesso militare industriale, supportato, rilanciato e attualizzato dai suoi motori ideologici, scuole di pensiero e media.

Su questa base, gli Usa si credono i gendarmi del mondo, legittimati a una corsa agli armamenti per proteggersi da un sempiterno pericolo, sia all’interno che nelle proprie zone di influenza, che perciò brulicano di basi militari a stelle e strisce. Un apparato che necessita, di tanto in tanto, di mettersi alla prova, per dimostrare agli alleati-sudditi che vale la pena pagare per garantirsi la pace mediante il prestigio vicario di quella supremazia armata.

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perunsocialismodelXXI

La rabbia americana e la pazienza cinese

di Carlo Formenti

Giacomo Gabellini: Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell'ordine economico statunitense, Mimesis , 2021

gettyimages 1233929294Per chi voglia approfondire i motivi che hanno innescato la Guerra Fredda fra Stati Uniti e Cina, un recente saggio di Giacomo Gabellini (Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense, Editore Mimesis) è una lettura a dir poco preziosa. Si tratta di un lavoro corposo, corredato da un’ampia mole di analisi, informazioni e notizie di carattere storico, economico e geopolitico che attraversa un secolo abbondante di storia – dalla seconda metà del secolo XIX a oggi – per descrivere ascesa, consolidamento e crisi dell’egemonia americana. Ricostruirne tutti i contenuti sarebbe impossibile senza scrivere decine di pagine, per cui mi accontento qui di illustrarne alcuni passaggi. Il testo che segue è organizzato in due sezioni: la prima dedicata al percorso evolutivo dell’imperialismo Usa, la seconda alla sfida lanciatagli dall’emergere della Cina come potenza globale. Le due sezioni non rispecchiano il peso reciproco che l’autore attribuisce agli argomenti in questione, nel senso che al secondo ho dedicato più spazio rispetto a quello concessogli dall’autore: la metà della recensione a fronte di un’ottantina di pagine sulle 400 del libro.

 

I. Storia di un ciclo egemonico

Il paradigma teorico che inspira il saggio di Gabellini è quello tracciato dallo storico Fernand Braudel (e arricchito dall’economista Giovanni Arrighi). Braudel, ricorda Gabellini, riteneva che le fasi di espansione finanziaria siano il sintomo che preannuncia la fine di un ciclo egemonico e la conseguente riconfigurazione del quadro geopolitico mondiale.

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euronomade

Cile, tra paura e speranza

di Diego Ortolani Delfino

Cile“Oggi in Cile la speranza ha vinto sulla paura”, ha detto la sera di domenica 19 dicembre Gabriel Boric nel suo primo discorso da presidente eletto, davanti a una gigantesca moltitudine di circa 500mila persone che riempiva l’Alameda, dal palco montato per l’occasione fino a Piazza Dignità, così ribattezzata dal popolo a partire dalla ribellione dell’ottobre 2019, a dieci isolati da lì. Si lasciava alle spalle, segnato anch’esso dalla paura, quasi un mese di campagna elettorale per il ballottaggio contro l’ultadestrista José Antonio Kast, una figura politica caratterizzata dalla rivendicazione di pinochetismo, neoliberalismo, xenofobia, patriarcato e omofobia: il Bolsonaro cileno.

Figlio di un militare nazista, Kast aveva riunito per la sua candidatura al secondo turno tutte le destre, dalla più reazionaria fino alle sedicenti “moderna”, liberale o “sociale”, che non hanno esitato, avendo perso il proprio candidato al primo turno, a cadere tra le sue braccia praticamente senza condizioni, di fronte alla minaccia “del comunismo” che secondo lui rappresentava Boric. Kast aveva fatto campagna elettorale, fin dall’inizio, agitando questo spauracchio e tutti i soliti atavismi reazionari, oltre a sventolare la bandiera della “libertà”, nome che danno all’anarcocapitalismo fondamentalista di mercato che invocano le nuove ultradestre, in questa nostra era di crisi permanente e impazzita dell’accumulazione del capitale.

Per questa contesa finale, come era logico, Kast ha cercato di trasmettere la “moderazione” e lo spostamento verso il “centro” tipici dei ballottaggi delle democrazie neoliberali occidentali (e in generale, di tutto il loro sistema politico in un qualsiasi momento dei loro rituali sempre più vuoti, fino all’irruzione ora di queste novità).