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sinistra

Marx "populista''

Costruzione di un giallo fantapolitico

di Alessandro Mantovani

S. V. Ivanov. Yuris Day. 1908Nel fantapolitico di Diego Gabutti Un'avventura di Amadeo Bordiga (Milano, Longanesi, 1982), ambientato nel primo dopoguerra, il rinvenimento di una lettera comprovante mercanteggiamenti tra Marx e Bismarck getta sbalordimento e scompiglio nell'ambiente dell'appena nata Internazionale Comunista: la lettera deve rimanere segreta, altrimenti tutta la narrazione su cui i comunisti fondano la loro costruzione crollerebbe come un castello di carte. La satira di Gabutti sbeffeggia così, d'un sol colpo, tanto il vezzo dei marxologi per gli inediti che ribalterebbero, di tempo in tempo, l'interpretazione di Marx, quanto il filisteismo dell' ''ortodossia marxista'', alla quale, come noto, lo stesso Marx, di fronte alle dilettantistiche semplificazioni con cui alcuni suoi zelanti discepoli avevano schematizzato il suo pensiero, si era sempre ironicamente sottratto, giungendo sarcasticamente ad affermare: «io non sono marxista».

Ho il sospetto che per immaginare la sua esilarante storia, Gabutti si sia ispirato, oltre che al ritrovamento, dopo la rivoluzione russa, della famosa Confessione di Bakunin allo zar, anche alla scoperta, nel 1923, di una lettera di Marx a Vera Zasulič sul destino della comune rurale russa. Il giallo consisterebbe, in questo caso, nel fatto che la missiva sarebbe stata niente po' po' di meno che occultata dai cosiddetti fondatori del marxismo russo, Georgi Plechanov, Vera Zasulič e Pavel Axelrod, per i motivi che vedremo appresso.

La storia è già nota da tempo1, ma ogni tanto alcuni marxologi la ripropongono, secondo la sequenza: Marx distante dal ''marxismo'', Engels dogmatizzatore dello stesso, Plechanov discepolo di Engels e maestro di Lenin, Lenin allievo di Plechanov e padre di Stalin; ed ogni volta che succede, qualche sprovveduto critico del bolscevismo, ignaro fino a quel momento, si mette a far grancassa2.

La questione, come si vedrà, non è meramente storiografica, anzi, ha un preciso valore politico. Ma torniamo alla storia della lettera scomparsa. Per narrarla, dobbiamo fare un passo indietro.

 

1) Gli antefatti

Fino alla riforma del 1861, che ufficialmente (ma non di fatto), ''emancipava'' il contadino dalla servitù, le campagne russe - immerse in un immobilismo apparentemente senza storia, organizzate in comuni rurali che periodicamente redistribuivano la terra tra i loro membri, che poi individualmente la coltivavano - avevano costituito la solida base dello zarismo, sorta di dispotismo orientale. Naturalmente non bisogna intendere questa staticità in modo assoluto, ma in effetti le possibilità di evoluzione di un tale sistema, di origini antiche, erano molto limitate. Dunque, benché le campagne fossero attraversate, di tempo in tempo, da cruente rivolte agrarie (epoca fecero quelle di Stenka Razin nel 1668 e di Pugacev nel 1773)3, l'ingenua fiducia dei contadini per lo zar, l'immobilismo e l'isolamento delle comuni, denunciate perfino da chi, come Bakunin4, ne esaltava il potenziale rivoluzionario, fecero per decenni della Russia il bastione della reazione europea, contro cui si infransero gli eserciti di Napoleone e le rivoluzioni del 1848.

In quel contesto, Marx ed Engels (ripetiamo cose note) vedevano nella Russia soprattutto la riserva della controrivoluzione, augurandosene in tutti i modi la sconfitta militare (ad esempio durante la guerra di Crimea). Le cose cominciarono a cambiare dopo la metà dell'ottocento, ed in specie dopo l' ''emancipazione'' del 1861, già preceduta da sommovimenti contadini: la riforma finì per creare un'ondata di malcontento nelle campagne, mentre d'altra parte la società urbana russa, più progredita, soprattutto a Pietroburgo, era agitata da istanze riformatrici e da una crescente opposizione all'assolutismo monarchico da parte della cosiddetta intelligencija (studenti, intellettuali, professionisti, sovente d'origine nobiliare). Da quel momento in poi Marx ed Engels cominciarono a sperare in un imminente rivoluzione russa, ed a guardare con simpatia e partecipazione ai movimenti sociali che vi si sviluppavano.

La corrente più decisa nella lotta contro l'assolutismo era quella ''populista'' (il narodnivchesto), nella quale si potevano distinguere varie tendenze (al punto che alcuni autori hanno messo in dubbio si possa parlare di una corrente unica5): da quella tendenzialmente slavofila di Herzen a quella anarchica di Bakunin, a quella razionalistica e più incline a guardare all'Occidente di Černyševskji; da quella nichilista di Nečaev a quella culturalista di Lavrov, fino a quella blanquista di Tkačëv, per non citare che i più noti. Come ben spiega Venturi nella sua splendida e appassionata ricostruzione, fu quello un movimento in cui le diverse personalità, anche dei populisti meno noti, e le diverse sfumature delle sue tendenze, ebbero un ruolo speciale e insopprimibile. In tutte, comunque, ritroviamo l'idea che, malgrado i limiti del suo isolamento, e malgrado i colpi già infertigli dallo sviluppo capitalistico dopo la riforma del 1861, la comune rurale avrebbe evitato (o potuto evitare) al popolo russo il cammino del Golgota dello sviluppo capitalistico, e avrebbe costituito (o avrebbe potuto costituire) la leva per un percorso storico diverso da quello seguito dall'Europa occidentale, nonché la base per la rapida (o più rapida) affermazione di una società socialista6.

 

2) I personaggi ed il reato.

La storia dunque, per chi non la sapesse, è la seguente: il 16 febbraio 1881 la rivoluzionaria russa Vera Zasulič, interrogando Marx sul destino dell' obščina, gli scriveva quanto segue:

«Lei sa meglio di chiunque altro quanto tale questione sia urgente in Russia. Lei sa cosa ne pensava Černyševskij. La nostra pubblicistica progressista, come per esempio le «Otečestvennye Zapiski», continua a sviluppare le sue idee. Ma questa è una questione di vita o di morte, a mio avviso, soprattutto per il nostro partito socialista [la Zasulič si riferisce alla tendenza populista, i cui esponenti si definivano socialisti]. In un modo o nell’altro, dipende da Lei perfino il destino personale dei nostri socialisti rivoluzionari. Delle due l’una: o questa comune rurale, affrancata dalle smodate esazioni del fisco, dai tributi ai signori e dagli arbìtri dell’amministrazione, è capace di svilupparsi in senso socialista, vale a dire di organizzare gradualmente la produzione e la distribuzione dei prodotti su basi collettivistiche. In tal caso, il socialista rivoluzionario deve dedicare tutte le proprie forze all’affrancamento della comune e al suo sviluppo. Se, al contrario, la comune è destinata a perire, al socialista in quanto tale non resta che abbandonarsi a calcoli più o meno malcerti per appurare tra quante decine d’anni la terra del contadino russo passerà dalle sue mani in quelle della borghesia, tra quante centinaia d’anni, forse, il capitalismo raggiungerà in Russia uno sviluppo simile a quello dell’Europa occidentale. I socialisti, allora, dovranno condurre la propaganda unicamente tra i lavoratori urbani, i quali saranno in continuazione dispersi tra la massa dei contadini, ormai gettati dalla dissoluzione della comune sul lastrico delle grandi città in cerca di salario»7.

La Zasulič - la quale poneva la questione con un aut aut che, come vedremo, non apparteneva al metodo di Marx - chiedeva a questi una risposta il più possibile completa o quanto meno una lettera pubblicabile. Il Moro, dopo molte esitazioni e dopo aver steso quattro tormentati abbozzi preparatori, di cui il primo in particolare lungo ed articolato, rispose con una breve missiva, di cui riportiamo la parte essenziale. Eccola:

«L’analisi esposta nel Capitale non fornisce ragioni né a favore né contro la vitalità della comune rurale, ma lo studio speciale che ne ho fatto, e per il quale ho cercato i materiali nelle fonti originali, mi ha convinto che questa comune è il fulcro della rigenerazione sociale in Russia, ma affinché essa possa funzionare come tale, occorrerebbe prima eliminare tutte le influenze deleterie che l’assalgono da ogni lato e, poi, assicurarle le condizioni normali per uno sviluppo naturale.»8

Marx si astiene, in questa sede, dal precisare quali sarebbero le condizioni per liberare l' obščina dalle influenze disgregatrici ma, nel primo abbozzo, aveva scritto: «Per salvare la comune russa occorre una rivoluzione russa»9. Marx non dice, si badi, a quale rivoluzione pensasse. È vero che Engels, nel 1878, aveva parlato di «un 1789 russo, seguito per necessità da un 1793»10, ossia di una rivoluzione russa democratico-borghese, ma per chi contrappone un Engels dogmatico ad un Marx critico ovviamente ciò non può essere preso in considerazione garantisce che Marx la pensasse allo stesso modo. Torneremo più tardi su questo punto cruciale. Continuiamo il nostro ''giallo''.

La lettera, dicevamo, rimase ignota fino al 1923, quando Rjazanov la trovò tra le carte di Axelrod. Precedentemente, nel 1911, lo stesso Rjazanov aveva scovato nell'archivio di Paul Lafargue le bozze preparatorie, e interpellato Plechanov e la Zasulič per sapere se avessero ricevuto da Marx qualcosa in merito. Entrambi dissero di non ricordare nulla.

Ecco dunque il giallo: un corpo del reato (la lettera), i rei (i ''fondatori'' del marxismo russo), la vittima (Marx, o addirittura, come vedremo più avanti, la rivoluzione russa). Ma il movente? Nel fanta-romanzo di Gabutti, Amadeo Bordiga, fondatore del Partito Comunista d'Italia, si ritiene più marxista di Marx. Secondo certa marxologia, o anche secondo alcuni storici anti-comunisti, i tre russi avrebbero considerato la lettera di Marx … antimarxista e l'avrebbero tenuta nascosta perché il loro orientamento politico era radicalmente diverso. Ed invero lascia perplessi che Plechanov e Vera Zasulič abbiano potuto, come dichiararono a distanza di anni, averla dimenticata, visto il pathos con cui la seconda aveva esortato Marx a rispondere ad un quesito tanto sentito. È dunque verosimile che la lettera abbia imbarazzato gli entusiasti neofiti del primo collettivo marxista russo. Ma qual è la portata politica di questa ''dimenticanza''? Ebbene, a mio avviso essa è stata scientemente esagerata.

Come abbiamo detto, Marx non dichiara nella lettera inviata a quali condizioni la comune rurale avrebbe potuto essere salvata; inoltre, se è vero che nel primo abbozzo preparatorio precisa che il requisito principale sarebbe stata una rivoluzione in Russia, nondimeno egli non specifica a quale rivoluzione si riferisse. La cosa non è priva d'importanza dal momento che i populisti russi - benché nella Narodnaja Volja si fosse recentemente fatta faticosamente strada una tendenza ad accettare il ''programma minimo'' di una conquista delle libertà politiche e costituzionali11 – si dichiaravano ''socialisti'' ed erano tradizionalmente convinti che la rivoluzione russa sarebbe stata ''socialista'' a base contadina, e non a base proletaria come ci si poteva attendere nell'Europa capitalista. Partendo dall'ambiguità di Marx, sui probabili motivi della quale diremo poi, Cinnella scioglie le briglie della fantasia:

«Leggendo la risposta di Marx, la Zasulič e il suo compagno di partito Lev Grigor’evič Dejč non credettero ai loro occhi. Essi non riuscirono a spiegarsi perché mai l’autore del Capitale si fosse pronunciato in maniera così netta a favore della comune contadina [...]. Il 10 marzo, ricopiata la lettera ''parola per parola'', perché non sorgessero dubbi su quel che Marx aveva detto, la spedirono a Parigi ai coniugi Plechanov. Da allora, e per parecchi anni, dell’importantissimo documento non si ebbe più notizia. […] Con tutta probabilità, come dirò meglio più avanti, a decidere di nascondere la dirompente lettera fu Georgij Valentinovič Plechanov, il quale si stava allora distaccando dal movimento populistico e, di lì a poco, avrebbe pubblicato i suoi primi scritti polemici contro l’ideologia dominante nel movimento rivoluzionario russo. Il ''padre del marxismo russo'', fino allora fervente narodnik, cominciò dunque la sua nuova vita intellettuale e politica censurando Marx, il quale si era dichiarato aperto sostenitore della prospettiva populistica [sic]. Certo è che né lui né la Zasulič, negli anni seguenti, rivelarono e pubblicarono la risposta dell’autore del Capitale, pur da loro sollecitato a pronunciarsi sul destino dell’obščina […] La lettera di Marx fu dunque occultata dagli uomini che nel 1883 avrebbero dato vita, in polemica con il movimento populistico, al gruppo socialdemocratico denominato Emancipazione del lavoro (Osvoboždenie truda). I membri della prima organizzazione politica russa, che si richiamava apertamente alla dottrina di Marx, nascosero gelosamente all’opinione pubblica un testo marxiano pervaso, dalla prima all’ultima riga, di idee populistiche [sic].»

"L’adesione al populismo [sic], l’elaborazione di una nuova teoria della storia [sic!] e l’abbandono della concezione eurocentrica, dunque, sono i tratti fondamentali della metamorfosi intellettuale dell’ultimo Marx. […] Nelle minute della lettera a Vera Zasulič non troviamo nessun accenno alla rivoluzione proletaria in occidente. L’Europa e gli Stati Uniti vi compaiono, ma la loro presenza serve solo a ricordare le conquiste materiali della società moderna o a mostrare che il capitalismo è ormai ''in lotta con la scienza, con le masse popolari e con le stesse forze produttive da esso generate''. Vi si dice anche che l’attuale crisi del mondo capitalistico dovrà finire ''con il ritorno delle società moderne al tipo 'arcaico' della proprietà comunitaria'', ma non viene specificato per quale via. La classe operaia organizzata è dunque assente dagli abbozzi del 1881. Dalla fine degli anni Settanta, nelle lettere e nelle interviste di Marx non troviamo più, se non in maniera vaghissima, riferimenti alla rivoluzione socialista nei paesi industriali avanzati. Leggendole, si ha la netta impressione che egli vi credesse e sperasse sempre meno [sic]."12

Siamo in pieno romanzo fantapolitico à la Gabutti.

Uno dei precursori di questa vulgata13 è stato in Italia Pier Paolo Poggio14. Nell'introdurre la recente nuova edizione del suo volume del 1978, ricama a suo modo il giallo: Marx, egli suggerisce , «era titubante nel prendere apertamente e nettamente posizione [sulla comune rurale], perché avrebbe significato mettere in difficoltà i suoi seguaci ed entrare apertamente in contrasto con Engels [sic]. […], il Marx degli anni '70 e '80 stava convergendo con i populisti e prendendo le distanze dai primi marxisti russi (tipo Plechanov)»15 (come vedremo, Plechanov all'epoca non era ancora affatto marxista, bensì bakuninista, ma che importa? Il romanzo ne risentirebbe). A partire dagli anni '70 «Marx non sembra più convinto che la classe operaia di fabbrica, prodotto del generalizzarsi del modo di produzione capitalistico, sia il soggetto rivoluzionario predestinato e capace di porre fine al dominio del capitale»16.

«Se si pongono a confronto le tesi di Marx e Lenin sulla rivoluzione russa risulta evidente l'inconsistenza di ogni preteso marxismo-leninismo. Marx si era schierato apertamente con il populismo rivoluzionario, inclusa la difesa e la rigenerazione delle comuni contadine, ritenendo possibile il passaggio al socialismo senza la necessità dell'ulteriore sviluppo del capitalismo. Lenin aveva costruito il suo marxismo nella lotta contro il populismo […].»17

Secondo il romanzo che a partire da questo ''occultamento'' si costruisce, insomma:

  1. Marx, negli ultimi anni della sua vita messo da parte il materialismo storico (deterministico) da lui stesso forgiato in precedenza, immaginando altre vie per giungere al socialismo al posto del passaggio attraverso l'inferno capitalista e la rivoluzione proletaria;

  2. avrebbe abbracciato per la Russia la dottrina populista;

  3. avrebbe perso fiducia nella missione storica del proletariato;

  4. Engels, pretendendo di continuare l'opera del suo sodale, avrebbe invece proposto una versione univoca della storia universale, emettendo un prematuro verdetto di morte per l'obščina, escludendo che la Russia potesse saltare la fase capitalistica;

  5. il gruppo ''Emancipazione del lavoro'' avrebbe, contro il pensiero dell' ''ultimo Marx'', adottato una visione dogmatica e piattamente deterministica, accentuando le posizioni dell'ultimo Engels sul destino della Russia;

  6. in nome di tale visione deterministica essi avrebbero escluso la possibilità per la Russia di saltare la fase capitalistica e di passare immediatamente al socialismo;

  7. applicando questa dottrina il bolscevismo avrebbe ignorato i problemi e le potenzialità del mondo rurale russo, preparando il terreno all'industrialismo forzato a scapito del contadiname, aprendo così la via allo stalinismo.

Ecco come la racconta Poggio:

«Per Marx e per i populisti si trattava di togliere gli ostacoli che si frapponevano alla realizzazione dello Stato-Comune, liberare le energie ad un tempo distruttive e creatrici dei contadini russi, fondere l'intelligencija nel popolo. Per Lenin e Plechanov si trattava di costruire o sostenere il MPC [modo di produzione capitalistico]. Dirigerlo, dirigere le masse russe semi-asiatiche, realizzare l'egemonia dell''intelligencija socialista, Stalin portavoce dell'esistente ha portato a compimento logico le posizioni dei socialdemocratici russi teorizzando la possibilità di ''costruire'' il socialismo.»18

Mi propongo, qui di seguito, di smontare questo romanzo. Per poter dimostrare che si tratta di una ''montatura'', tuttavia, dovrò ricapitolare, sia pur brevemente, gli elementi di investigazione che possano dimostrarne l'arbitrarietà. Ossia allargare il campo dell'indagine, abbracciando con lo sguardo un periodo più lungo, sia prima che dopo il ''reato'', e prendendo in considerazione un maggior numero di personaggi e di accadimenti.

Ma si tranquillizzi il lettore: non sono fra i sostenitori dell' ''ortodossia'', malattia insieme infantile e senile del comunismo che contrassi anch'io, e non per breve tempo. Non sostengo affatto dunque che il Marx del Manifesto sia lo stesso Marx del Capitale e che quest'ultimo sia rimasto fermo lì fino agli ultimi anni della sua vita. Né che Engels e Marx siano la stessa cosa, né che il bolscevismo sia una meccanica applicazione del lascito dei fondatori del socialismo scientifico. Ciò significherebbe fare del marxismo un dogma, il che è in stridente contraddizione con la sua epistemologia, con il perenne sforzo di ricerca che è la sua essenza, con la critica che è il suo metodo, con la problematicità che è nella sua natura. Come scrisse Engels a Florence Kelley-Wischnewetsky nel 1887, «la nostra teoria è una teoria che si sviluppa. Non è un dogma che si impara a memoria e si ripete meccanicamente.»19

 

3) Marx e la Russia

Non si può negare che – nella perenne ricerca di perfezionare il suo metodo e di ampliare le sue conoscenze – Marx abbia costantemente, nel corso della sua vita e dei suoi studi, rimodellato ed articolato in foggia sempre più complessa la teoria materialistica storico-dialettica di cui può essere considerato, col concorso di Engels, il fondatore. Che abbia insomma sempre sottoposto a verifica, critica e ripensamento anche e soprattutto quanto egli stesso era andato via via elaborando. Giungere tuttavia a pretendere, come un Cinnella, che Marx abbia abbandonato il determinismo, o che sia … diventato populista, significa non solo non aver compreso nulla del suo metodo, ma – ammesso e non concesso che sempre lo si faccia in buona fede – ignorare ciò che egli ha scritto espressamente.

Circa il determinismo, è Marx stesso a spiegarci come solo degli interpreti superficiali del suo metodo possano aver pensato che egli abbia sostenuto l'inevitabilità per tutto il mondo di seguire la lunga strada dello sviluppo capitalistico. Nella sua famosa lettera alla redazione dell' ''Otečestvennye Zapiski'' (novembre 1877) leggiamo:

«Il capitolo [de Il capitale] sull'accumulazione primitiva vuole solo descrivere il percorso seguito nell'Europa occidentale, dall'ordine economico capitalistico per uscire dal grembo dell'ordine economico feudale [...Ma il mio critico] deve ad ogni costo trasformare il mio schizzo storico in una teoria storico-filosofica del percorso universale fatalmente imposto a tutti i popoli, indipendentemente dalle circostanze storiche in cui essi si trovino posti […]. (È farmi al tempo stesso troppo onore e troppo torto) […] Eventi di un'analogia sorprendente, ma verificatisi in ambienti storici diversi, producono dunque risultati del tutto disparati. Studiando ognuna di queste evoluzioni separatamente e poi confrontandole, si troverà facilmente la chiave di questo fenomeno, ma non ci si arriverà mai con la chiave universale di una teoria storico-filosofica generale la cui verità suprema consiste nell'essere soprastorica»20.

Si obietterà che queste parole sono del Marx maturo, e costituiscono in realtà una rettifica rispetto a quanto in precedenza sostenuto. Ora, per quanto la conoscenza sempre più vasta ed approfondita dei modi di produzione extra-europei ed arcaici abbia sicuramente contribuito a rendere più completa (e complessa) l'articolazione del materialismo storico, fin dal Manifesto, dunque fin dal 1847, Marx ed Engels avevano formulato una visione dialettica della storia, materiata non in un percorso univoco, uniforme, costante, ma in una serie di balzi ed accelerazioni rivoluzionarie. Parlando della Germania essi dicevano infatti allora le classiche parole:

«I comunisti rivolgono la loro attenzione soprattutto alla Germania, perché la Germania è alla vigilia d'una rivoluzione borghese, e perché essa compie questo rivolgimento in condizioni di civiltà generale europea molto più progredite, e con un proletariato molto più evoluto che non l'Inghilterra nel decimosettimo e la Francia nel decimottavo secolo; perché dunque la rivoluzione borghese tedesca può essere soltanto l'immediato preludio d'una rivoluzione proletaria.»21

Marx ritorna sul questo concetto nel 1867, dichiarando che gli operai tedeschi avrebbero potuto fare la propria rivoluzione senza bisogno di passare «attraverso il lungo periodo di sviluppo borghese»22. Fin d'allora, nell'ambito della stessa Europa occidentale, è dunque espressamente esclusa la necessità di seguire lo stesso cammino per giungere al socialismo.

Solo chi non ha capito la natura dialettica del determinismo marxista può infatti ritenere che il pensiero di Marx sulla Russia sia un abbandono della sua concezione precedente, quando invece ne costituisce un approfondimento ed allargamento geografico, storico e politico, inglobante forme, tale quella russa, che in precedenza non erano ancora state studiate, non solo perché il Marx giovane non aveva ancora potuto affrontarle, ma ancor più perché solo i movimenti tellurici che ormai si trasmettevano dalle viscere dell'impero zarista all'Europa, e la ricchezza di pensiero radicale che i russi stessi stavano facendo conoscere in Occidente, stimolavano improrogabilmente a farlo.

Quanto al fatto che Marx avrebbe abbracciato la dottrina populista, questo travisamento del suo pensiero si basa su tre sgarri metodologici abbastanza grossolani:

  1. l'isolamento della lettera alla Zasulič dagli altri scritti di Marx;

  2. il voluto fraintendimento della sua presa di distanza dai ''marxisti'' russi, contenuto nel secondo abbozzo di lettera alla Zasulič23 facendo pensare (senza che Marx l'abbia mai detto) che si tratti di Plechanov, Axelrod e della stessa Zasulič.

  3. Una distorta interpretazione di una lettera del novembre 1880 a Sorge in cui Marx avanza sprezzanti critiche nei confronti dell'organizzazione populista russa Cernj Peredel (Ripartizione nera) fondata da Plechanov.

Per quanto riguarda il primo sgarro, i narratori del nostro giallo fantapolitico incontrano un grave ostacolo in particolare nella Prefazione all'edizione russa del 1882 del Manifesto dei comunisti, curata da Plechanov (dopo la prima, molto ''libera'', dovuta a Bakunin). In questo testo, che Marx firma assieme ad Engels, la questione postagli dalla Zasulič l'anno precedente è affrontata in modo ben più preciso:

«La sola risposta oggi possibile è questa: se la rivoluzione russa servirà di segnale ad una rivoluzione operaia in occidente, in modo che entrambe si completino, allora l'odierna proprietà comune russa potrà servire di punto di partenza per una evoluzione comunista.»24

Checché ne dicano Cinnella e Poggio, a sentire i quali ''l'ultimo Marx'' non avrebbe più creduto nella missione emancipatrice del proletariato, in questa prefazione si parla nettamente di ''rivoluzione operaia''. Per quanto concerne le caratteristiche e le probabili fasi della rivoluzione attesa in Russia anche in questa sede esse non sono specificate, ma un punto fermo viene messo sull'eventualità che essa possa attingere al socialismo: la rivoluzione socialista nei paesi progrediti d'Europa. A questa sola condizione, per i due autori, si sarebbe potuto realizzare il sogno di Černyševskji (per il quale Marx denota simpatia nel Poscritto alla seconda edizione tedesca del Capitale) di coniugare i caratteri comunitari dell' obščina con la tecnica dell'avanzato Occidente.

Una presa di posizione pubblica ed ufficiale assai ingombrante per tutti coloro che fantasticano di un Marx ''populista''. Al punto che, per potersene sbarazzare, si è fatto ricorso ad un giallo nel giallo: la Prefazione sarebbe stata scritta dal solo Engels (Cinnella) e Marx non se la sarebbe sentita (Pier Paolo Poggio) di rifiutarla. È difficile immaginare qualcosa di più puerile, dal momento che Marx non era certo persona da nutrire soggezione per chicchesia o da apporre la propria firma su qualcosa su cui potesse nutrire dubbi.

Del resto, già cinque anni prima, rispondendo al populista N. K. Michajlovskij, Marx, di sua propria penna, riecheggiando quanto dallo stesso Engels scritto (si badi, su invito di Marx) in Le condizioni sociali in Russia (1875), aveva recisamente affermato che «se la Russia continua a battere il sentiero sul quale dal 1861 ha camminato, perderà la più bella occasione che la storia abbia mai offerta a un popolo, e subirà tutte le peripezie del sistema capitalistico»25. In modo ancor più forte, proprio apprestandosi a scrivere alla Zasulič la famosa lettera ''occultata'', Marx annotava: «da un lato la ''comune rurale'' è quasi ridotta all'estremo e dall'altro una potente congiura è in agguato per assestarle il colpo di grazia»26, e questa situazione «a meno che non venga spezzata da una potente reazione, sfocerà naturalmente nella morte della comune rurale»27 . Come riconosce Marcello Musto, malgrado alcuni elementi di novità, qui «non si palesa alcuno strappo drammatico [di Marx] rispetto alle convinzioni da lui precedentemente nutrite»28. Bene ha scritto in proposito Marian Sawer:

«Ciò che accadde, in particolare nel corso degli anni settanta, non fu che Marx cambiò la sua opinione sul carattere delle comuni di villaggio, né decise che esse avrebbero potuto diventare la base del socialismo così com'erano; piuttosto egli prese a considerare la possibilità che le comuni avrebbero potuto essere rivoluzionate non dal capitalismo, ma dal socialismo. […] Con l'intensificazione della comunicazione sociale e la modernizzazione dei metodi di produzione, il sistema di villaggio avrebbe potuto essere incorporato in una società socialista. Nel 1882, questo appariva a Marx ancora come una genuina alternativa alla completa disintegrazione dell'obščina sotto l'impatto del capitalismo.»29

Come s'è visto, la condizione di questa ipotesi era una rivoluzione alla scala europea. «Se la Russia si trovasse isolata dal mondo – dice Marx nel secondo abbozzo alla Zasulič -, se dovesse elaborare da sola le conquiste economiche che l'Europa occidentale ha acquisito […] non vi sarebbe alcun dubbio che le sue comunità sarebbero fatalmente condannate a perire»30. Si può ritenere soddisfacente da questo punto di vista la spiegazione avanzata da Kevin Anderson:

«[...] una rivoluzione russa basata sulle proprie forme comunitarie agrarie sarebbe una condizione necessaria, ma non sufficiente allo sviluppo d'un comunismo moderno. A tal fine è ugualmente necessario il concorso di un fattore soggettivo esterno, una rivoluzione condotta dalle classi lavoratrici occidentali. […] Ma i fattori soggettivi potrebbero funzionare in senso opposto: una rivoluzione russa […] sarebbe il ''punto di partenza'' d'una tale sollevazione.»31

Non interpreta fedelmente il pensiero marxiano, invece, Bordiga, quando, in uno dei suoi numerosi e importantissimi scritti sul ciclo della rivoluzione e contro-rivoluzione (stalinista) in Russia, sostiene che «ben presto Marx dichiara che una tale occasione storica [di saltare la fase capitalistica] è perduta per la Russia»32. Marx non lo affermò mai e a tanto non giunse, come illustreremo, nemmeno Engels dopo la morte del suo amico e compagno di lotta.

Per quanto riguarda il secondo svarione (ossia che Marx avesse preso le distanze dai ''marxisti'' russi Plechanov, Zasulič e Axelrod gioverà ricordare che il gruppo formato da loro insieme a Leo Deutsch ed Ignatov, abbraccerà definitivamente il marxismo soltanto nell'ultimo anno della vita di Marx, e si costituirà ufficialmente come ''Emancipazione del lavoro'' solo dopo la sua morte. Di ciò Engels sarà edotto soltanto alla fine del 1883, da parte di Vera Zasulič, e dal carteggio emerge chiaramente che le posizioni del gruppo erano sconosciute ai due fondatori del materialismo storico33 (solo nel 1895 Engels leggerà, e forse solo parzialmente, il testo di Plechanov Le nostre divergenze)34.

In realtà, parlando con ironia, dei ''marxisti'' russi, Marx si riferisce piuttosto a quegli accademici, come Ziber o M. M. Kovalevski, che vedevano nella sua teoria economica una giustificazione al loro atteggiamento politico fondamentalmente liberal-borghese di appoggio allo sviluppo capitalistico35. Se egli non polemizza direttamente con loro, ciò è dovuto ai rapporti di amicizia e di collaborazione scientifica che lo legavano ai due suoi estimatori russi, i quali stavano contribuendo in modo decisivo a diffondere in Russia la conoscenza delle sue opere, prima fra tutte Il capitale.

Veniamo ora alla citatissima lettera a Sorge del 5/11/188036. Vediamo come la ricostruisce Musto; attenzione alle parole di Marx fra virgolette piccole (''...'') e a miei corsivi:

«[...] Marx continuò ad analizzare, con vivo interesse, i mutamenti in corso nel contesto russo. I nuovi studi intrapresi sulla Russia gli fornirono anche l'occasione per esprimere le sue valutazioni sulle varie tendenze rivoluzionarie di quel paese. Marx rivolse il suo apprezzamento verso i populisti di Narodnaja volja (Volontà del popolo), dei quali aveva letto il programma politico e ammirato la concretezza del loro agire. Nella lettera indirizzata a Sorge, illustrò la composizione del movimento rivoluzionario russo che si era diviso in due raggruppamenti: i populisti e i militanti di Cernyj Peredel (Ripartizione nera), formazione politica della quale facevano parte anche Vera Zasulič e Georgij Plekhanov, uno dei primi ''marxisti'' russi. Marx criticò aspramente questo gruppo. Composto per lo più da persone che avevano lasciato la Russia per scelta personale, egli commentò che, ''al contrario dei terroristi che rischia[va]no la pelle, [… essi erano] contrari ad ogni azione politica-rivoluzionaria''. Riguardo ai rappresentanti di questo ''partito della propaganda'' – che, come fece notare sarcasticamente, per fare proselitismo in Russia si erano volontariamente trasferiti a Ginevra – Marx espresse un giudizio ironico: ''[per loro] la Russia dovrebbe balzare nel millennio anarchico-comunista-ateista con un salto mortale! Nel frattempo, preparano questo balzo con un noioso dottrinarismo.''»37.

Da quanto abbiamo svolto dianzi, appare evidente che persino Musto, in genere accorto, si lascia trascinare qui dalla vulgata. Si noti infatti che dopo aver citato il Cernyj Peredel egli - aggiungendo la frase « formazione politica della quale facevano parte anche Vera Zasulič e Georgij Plekhanov, uno dei primi ''marxisti'' russi » - induce (involontariamente?) il lettore non ferrato a credere (benché non lo dica espressamente) che si tratti di un'organizzazione ''marxista'' o quanto meno marxista in fieri. In verità il gruppo Cernyj Peredel, come si desume dalle stesse parole di Marx che seguono, era un'organizzazione anarco-populista ispirantesi a Bakunin. Ed è in questo senso che Marx la disprezza, ironizzando sul fatto, guarda un po', che i suoi membri vorrebbero far fare alla Russia un «salto mortale» direttamente verso il socialismo, il che, mi scuso con il lettore per sottolinearlo di nuovo, è la quintessenza stessa del pensiero populista38. È dagli ambienti bakuninisti dell'emigrazione russa, non dal ''marxismo'', che Marx prende qui le distanze39. L'avversione di Marx, in questo caso, non riguardava affatto i ''marxisti'' russi, che ancora non esistevano, bensì la frazione staccatasi dalla Narodnaja Volja, la quale respingeva l'accettazione, maturata in quest'ultima, della lotta politica per l'abbattimento dello zarismo e per la conquista delle libertà politiche e civili («questi signori sono contrari a qualsiasi azione politico-rivoluzionaria»40, dice Marx).

Il populismo che Marx appoggia è dunque quello che, dopo la crisi della Zemlja i Volja, pur non rinunciando all'idea che la Russia potesse, attraverso le sue istituzioni popolari, battere verso il socialismo una strada diversa da quella europea occidentale, decide di mettere in primo piano, per così dire, un ''programma minimo'' democratico borghese. La questione è molto diversa, quindi, da come viene posta da quegli autori (non è il caso di Musto), che vorrebbero far credere ad un ''ultimo Marx'' che aveva accettato l'idea d'un destino socialista immediato per la Russia, da realizzare grazie alle istituzioni comunitarie ivi sopravvissute. Quello che a Marx piaceva della Narodnaja Volja era insomma il quantum di realismo politico che essa aveva innestato sul tronco utopico del populismo, a cui invece il Cernji Peredel non aveva ancora rinunciato, anche se di lì a poco i suoi membri più eminenti, riconoscendo il proprio errore di indifferentismo politico, faranno propria la dottrina marxista, legando i propri destini a quelli della socialdemocrazia europea.

Sia detto per inciso: benché Marx considerasse pienamente giustificato, nella specifica situazione russa, il ricorso al terrorismo politico, ritenendo che in quel particolare frangente potesse davvero contribuire a dare la spallata iniziale che avrebbe consentito la caduta dell'autocrazia41, la simpatia di Marx per la Narodnaja Volja non dipendeva specialmente da quella tattica, sulla quale, peraltro, le divergenze tra la Narodnaja Volja ed il Cernji Peredel erano profonde, ma non inconciliabili: nessuno tra i rivoluzionari russi negava per principio l'uso del terrore; prova ne sia che perfino il programma dell' ''Emancipazione del lavoro'', ossia, come s'è detto, del primo gruppo russo dichiaratamente marxista, ammetteva in Russia l'uso del terrorismo.

Ricapitolando, la simpatia dimostrata da Marx per la Narodnaja Volja non verteva tanto su ciò che questa organizzazione manteneva della tradizione populista precedente, quanto piuttosto su ciò che da quest'ultima la distingueva, ovvero - specie dopo la scissione con il Cernj Peredel, che invece la tradizione dell' ''andata verso il popolo'' espressamente manteneva - l'accettazione della necessità della lotta politica, dell'abbattimento dello zarismo, della conquista delle libertà politiche e civili. In quel momento cioè, la Narodnaja Volja, o perlomeno taluni suoi esponenti, gli apparivano i segni più promettenti di una possibile evoluzione del populismo verso un democratismo radicale e conseguente. Il fatto che siano stati poi proprio i militanti del Cernj Peredel ad abbracciare il marxismo, e non ciò che rimaneva della Narodnaja Volja, dimostra che i tempi erano ormai maturi per questo passaggio, e, ancora una volta, che la storia non ha un andamento lineare, e Marx non poteva certo prevederlo, né in quel momento gli sembrava la cosa più importante, che per lui rimaneva la caduta dell'assolutismo russo.

Non siamo affatto qui di fronte ad un Marx sognatore e utopico-libertario à la Rubel bensì, al contrario, ad un Marx estremamente realista e politico che ha un obiettivo chiaro (la caduta dello zarismo, riserva della reazione europea) per aprire la strada (vedi prefazione all'edizione russa del 1882 del Manifesto) ad una rivoluzione socialista in Occidente. Di qui il suo sostegno alla frazione ''politica'' del populismo.

 

4) Engels e la Russia

Molto si è speculato sulle differenze di opinione che avrebbero diviso Marx ed Engels nella valutazione delle prospettive sociali russe, dove Marx ricoprirebbe il ruolo dell'eterodosso che avrebbe finito per accarezzare la possibilità di un socialismo russo scaturente dalla comune rurale, mentre Engels vestirebbe i panni del ''marxista'' incline a ritenere che la Russia dovesse fatalmente percorrere lo stesso cammino dell'Occidente, passando attraverso lo sviluppo del capitalismo prima di poter aspirare alla rivoluzione socialista.

Non sarò io a voler negare che tra i due fondatori del socialismo scientifico vi fossero differenze di opinione, ma che esse fossero di portata sostanziale è pura fantasia. Per sostenerlo, è necessario mettere la sordina su alcuni dati di fatto. Il più importante è che entrambi firmarono, lo si è visto, la prefazione alla seconda edizione russa del Manifesto, dove la loro visione delle prospettive russe è tracciata in modo netto ed inequivocabile. Ma anche uno degli scritti di Engels sulla base del quale i detrattori sogliono trarre l'indicazione di una differenza radicale tra il suo pensiero e quello di Marx sulla Russia (Le condizioni sociali in Russia42, del 1875, in polemica con Tkačëv) fu in realtà caldeggiato e mai criticato da Marx. E lì si diceva:

«Esiste […] innegabilmente la possibilità di sollevarla [la comune rurale russa] su un piano più alto, se questa forma sociale si mantiene abbastanza a lungo perché le condizioni necessarie a tal fine maturino, e se si dimostra capace di evolvere in modo che i contadini coltivino la terra non più singolarmente [come ormai avveniva da lungo tempo], ma in comune; di sollevarla su questo piano più alto senza che i contadini russi debbano attraversare lo stadio intermedio della proprietà particellare borghese. Ma ciò può avvenire unicamente se, prima della decomposizione della proprietà comunale russa, nell'occidente europeo trionfi una rivoluzione proletaria che fornisca al mužik le condizioni preliminari indispensabili di questo trapasso, e quindi anche i presupposti materiali che gli sono necessari non foss'altro che per la trasformazione completa dei metodi di coltura ad esso indissolubilmente legata.»43

E non è certo privo d'importanza, per tagliare le unghie a quanti attribuiscono ad Engels una concezione ''unilineare'', che egli qui allarghi la possibilità di abbreviare le doglie verso il socialismo a tutti i paesi precapitalistici.

«È […] non soltanto possibile, ma certo che, dopo la vittoria del proletariato e il passaggio in possesso comune dei mezzi di produzione nei popoli dell'Europa occidentale, i paesi in cui il regime capitalistico ha appena cominciato ad imporsi, e che hanno salvato dalla sua offensiva istituzioni gentilizie o loro sopravvivenze, trovino in queste vestigia di possesso collettivo e nelle abitudini popolari che vi corrispondono un mezzo poderoso per abbreviare di gran lunga il processo di evoluzione verso la società socialista, e risparmiare a se stessi la maggior parte delle sofferenze e delle lotte attraverso le quali noi dell'occidente europeo dobbiamo aprirci faticosamente una via. Ma, per questo, è condizione imprescindibile l'esempio e l'aiuto fattivo dell'occidente finora capitalistico»44.

Se le differenze di accento tra Marx ed Engels, al riguardo, sembrano non di meno rilevanti, ciò è dovuto al fatto, per nulla indifferente, che non pochi anni separavano i giudizi dell'ultimo Marx da quelli dell'ultimo Engels sulla situazione dei mugik, anni nei quali, dopo la riforma, la disgregazione della comune rurale aveva fatto ulteriori passi avanti, anche se, probabilmente, come diremo in seguito, meno eclatanti di quello che Engels, e ancor più di lui Lenin, nello stesso periodo, ritenevano.

È certo possibile riscontrare, nel corso della stretta collaborazione tra Marx ed Engels, un maggior scetticismo del secondo – che peraltro molto meno del primo aveva studiato la questione – sulla possibilità della comune rurale russa di sopravvivere all'urto del capitalismo. Ma di questo stiamo parlando, non certo della possibilità della Russia di giungere al socialismo con le sue sole forze, come i populisti ritenevano. Nessuna differenza di principio è riscontrabile in questo ambito tra le sue opinioni e quelle di Marx: per entrambi è il legame tra rivoluzione russa e rivoluzione socialista in Occidente l'unica base percorribile per una rigenerazione della comune rurale.

Se ciò non fosse accaduto, in Russia si sarebbe affermato il capitalismo, non già perché questo fosse il destino tracciato da una storia universale nella quale tutti i paesi dovrebbero percorrere lo stesso cammino, né in virtù di una legge secondo cui per giungere al socialismo ogni angolo della terra debba necessariamente passare per un periodo di sviluppo capitalistico, bensì perché proprio la Russia, in concreto, aveva già compiuto i primi passi in quella direzione, specialmente a partire dall' ''emancipazione'' del 1861, gettando i germi della dissoluzione del comunismo rurale da una parte, dello sviluppo industriale dall'altro.

Su questo terreno l'accordo tra Engels e Marx, malgrado le differenze tra i due, era sostanziale. A questa posizione Engels - benché peccando di un certo schematismo, e pur ritenendo ormai verosimile una disgregazione della comune rurale - si mantenne sempre fedele, mai osando affermare che le possibilità della comune rurale di costituire la base del socialismo russo fossero totalmente venute meno. Si noti infatti come fino al 1894, poco prima della sua morte, egli – pur essendo in proposito pessimista - non escluda che l'obščina possa ancora rigenerarsi ed abbreviare la via russa al socialismo. Ciò quando ormai all'interno dello stesso movimento populista v'erano già voci che ritenevano impossibile un socialismo russo se non dopo l'affermarsi della produzione capitalistica45.

«Se di queste comunità si possa ancora salvare quanto occorre perché, come Marx ed io speravamo nel 1882 [Engels si riferisce alla prefazione alla seconda edizione russa del Manifesto], esse divengano – parallelamente ad una svolta rivoluzionaria nell'Europa occidentale – il punto di partenza di uno sviluppo comunista, rispondere a questa domanda io non oso. Ma una cosa è certa: perché almeno un resto delle comuni agricole possa sopravvivere, è necessario l'abbattimento del dispotismo zarista, la rivoluzione in Russia.»46

In ciò egli si dimostra molto più possibilista di Plechanov, le cui posizioni esamineremo tra breve. Benché negli ultimissimi anni della sua vita fosse in corrispondenza con il ''padre del marxismo russo'' manifestando amicizia (giunse a dare del ''tu'' al suo giovane allievo) e apprezzamento generico per i suoi scritti filosofici47, non abbiamo giudizi diretti di Engels sulle posizioni politiche del gruppo ''Emancipazione del lavoro''48: parlandone nel 1885 a Vera Zasulič, con la quale era da più lungo tempo in contatto epistolare, Engels, adducendo la sua lacunosa conoscenza del russo, si astiene dal commentare Le nostre divergenze di Plechanov, che gli era stato inviato dalla rivoluzionaria russa49. All'epoca Engels, pur complimentandosi con la sua corrispondente per la nascita di un gruppo dichiaratamente marxista in Russia, sembra nutrire ancora una certa diffidenza, evitando di prendere apertamente le difese di Plechanov nella polemica che quest'ultimo sta conducendo contro i suoi ex compagni populisti. Engels riteneva ancora, infatti, che la Russia fosse alla vigilia di una rivoluzione borghese analoga a quella francese del 1879, a scatenare la quale persino la tattica del terrore adottata dalla Narodnaja Volja poteva concorrere, mentre egli ancor non vedeva posto, in sostanza, per un partito operaio degno di questo nome50. Ecco le sue parole:

«[...] per quanto mi riguarda conosco troppo poco la situazione attuale della Russia per arrogarmi la competenza di giudicare i dettagli della tattica che occorre seguire lì in un determinato momento. Inoltre mi è quasi del tutto sconosciuta la storia interna e segreta del partito rivoluzionario russo, soprattutto degli ultimi anni. I miei amici della Narodnaja Volja non ne hanno mai parlato con me. E questa è una condizione indispensabile per formarsi un'opinione. Ciò che so, o credo di sapere, sulla situazione in Russia mi induce a pensare che questo paese si stia avvicinando al proprio 1879. La rivoluzione deve scoppiare a un dato momento; essa può scoppiare da un giorno all'altro. In queste condizioni il paese è come una mina innescata a cui bisogna accendere la miccia. […] È uno dei casi eccezionali in cui a un gruppetto di persone è possibile fare una rivoluzione, cioè abbattere con una debole spinta un intero sistema il cui equilibrio è più che instabile […] e liberare, con un atto di per sé insignificante, delle forze esplosive che poi non possono più essere domate. Bene, se mai il blanquismo – l'idea fantasiosa di capovolgere tutta una società per mezzo dell'azione di un piccolo gruppo di congiurati – ha avuto una certa ragion d'essere, è sicuramente a Pietroburgo. […] La cosa principale, secondo me, è che l'impulso venga dato in Russia, che scoppi la rivoluzione. Non mi interessa se è questa o quella frazione a dare il segnale, se ciò avviene sotto questa o quella bandiera51

La tesi di una vera e propria identità Engels-Plechanov, tanto leggermente affermata da molti orecchianti, non può quindi, in realtà, essere ravvisata.

 

5) Originalità ed ambiguità di Plechanov

Nel 1879, ancora populista, ma già studioso di Marx, Plechanov condivide l'opinione di questi che in Occidente l'instaurazione del socialismo passi attraverso lo sviluppo del capitalismo, ma ritiene che la Russia, grazie alla struttura comunitaria delle sue campagne, contenga «in sé tutte le premesse per un immediato passaggio al socialismo»52. D'altra parte, nel suo Socialismo e lotta politica, del 1883, in un momento in cui ancora si rivolge ai membri della Narodnaja Volja come a dei compagni, troviamo questo interessantissimo ed importantissimo passo:

«Si attribuisce a Marx – scrive Plechanov prima di citare la prefazione del 1882 all'edizione russa del Manifesto - l'idea comica che la Russia dovrebbe passare esattamente per le stesse fasi di evoluzione storica ed economica dell'Occidente. Influenzato da questa deduzione che s'immagina ineluttabile, più d'un filosofo russo, tanto poco al corrente del marxismo quanto della storia dell'Europa occidentale, ha creduto di dover prendere le armi contro l'autore del Capitale e tacciare le sue concezioni di ottuso schematismo. Va da sé che si tratta d'una lotta contro i mulini a vento. I nostri Don Chisciotte non comprendono che Marx si serve della storia dei rapporti economici in Europa occidentale al solo fine di chiarire la storia della produzione capitalistica che è nata e si è sviluppata in questa parte del mondo. […] né l'autore del Capitale, né il suo illustre amico e collaboratore perdono di vista le particolarità economiche di ciascun paese […]. L'importanza della nostra comune agraria non sfugge loro.»53

Le parole con cui Plechanov rigetta l'interpretazione ''unilineare'' sono tanto più notevoli in quanto egli non ancora conosceva la lettera all' ''Otečestvennye Zapiski'' scritta da Marx nel 1877, ma che l'autore non aveva inviato, e che rimarrà tra le sue carte fino al marzo 1884, quando Engels ne manderà copia alla Zasulič54. All'epoca egli poteva basarsi dunque solo sugli scritti di Marx e sulla '' occultata'' lettera di Marx a Vera Zasulič dell'otto marzo 1881. Ciò, ça va sans dire, taglia parecchio l'erba sotto i piedi ai ricami imbastiti sull' ''occultamento'', per non dire alla storiella del rigido schematismo deterministico di Plechanov, che tanti danno per buona per sentito dire senza darsi la pena di verificare.

È vero invece che egli si dimostra propenso, fin da allora, dunque ancor prima di Engels, a restringere alquanto le chance storiche dell' obščina, che ritiene ormai in gran misura disgregata, limitandole alla possibilità di opporre meno resistenza della piccola proprietà contadina alla socializzazione delle campagne. Cinnella, per dimostrare come, a suo dire, Plechanov tradisca il lascito di Marx, riporta questo passaggio di uno dei testi fondativi della socialdemocrazia russa, Le nostre divergenze, del 1844:

«La rivoluzione comunista [si noti che Plechanov preferisce l'aggettivo ''comunista'' a ''socialista''] della classe operaia in nessun modo può scaturire da quel socialismo contadino piccolo-borghese, predicato oggi da quasi tutti i nostri rivoluzionari. 2) Per la sua struttura interna, la comune rurale tende anzitutto a cedere il posto a forme borghesi, e non comuniste, di convivenza sociale. 3) Nella transizione a queste ultime, ad essa spetta un ruolo non attivo, bensì passivo; essa non è in grado di spingere la Russia sulla via del comunismo, ma può soltanto opporre a tale processo una resistenza minore di quella opposta dalla piccola proprietà contadina. 4) Soltanto la classe operaia dei nostri centri industriali può assumere l’iniziativa del movimento comunista. 5) La classe operaia può conseguire la propria emancipazione solo con i suoi stessi sforzi coscienti.»55

Nondimeno, alcuni anni dopo, e precisamente nel 1887, il Progetto di programma dei social-democratici russi, da Plechanov redatto, dopo aver indicato una serie di rivendicazioni volte ad istituire un legame tra il proletariato ed i contadini nella lotta per la ''libertà politica'', conclude:

«Scacciato dalla campagna in quanto esponente sradicato dalla comune [agricola], il proletario vi farà farà ritorno in quanto agitatore socialdemocratico. Il suo arrivo in questo ruolo cambierà le sorti, oggi senza speranza, della comune. La decomposizione di quest'ultima non è senza rimedio che fino al giorno in cui questa stessa decomposizione creerà una nuova forza popolare, capace di mettere fine al regno del capitalismo. Questa forza sarà il partito operaio, e gli elementi poveri del contadiname che questa partito trascinerà con sé»56.

Cinnella, sorvolando su questo scritto, particolarmente importante in quanto progetto di programma, ci dà una visione distorta del pensiero del fondatore del marxismo russo, il quale, come ben si vede, non era indifferente al destino della comune rurale. Da questo punto di vista non può essere riscontrata alcune divergenza di principio con quanto sostenuto da Marx.

Una differenza tuttavia c'è, e notevole: mai Marx ed Engels avevano ancora ipotizzato per la Russia non diciamo una rivoluzione proletaria, ma nemmeno un'egemonia del proletariato nella rivoluzione democratica. Su questa via si pone invece Plechanov: alla rivoluzione russa socialista contadina immaginata dai populisti, l'ex populista, ispirandosi alla tattica indicata dal Manifesto di Marx ed Engels per la Germania del 1848, oppone un avvicinamento tra la tappa democratico-borghese e quella socialista, grazie al ruolo di avanguardia che il proletariato, appoggiato dai contadini, poteva in essa giocare; ruolo che scaturiva dall'inanità politica dell'esangue liberalismo, frutto a sua volta del debole sviluppo della classe borghese in Russia, d'un lato, e del carattere forzato dell'introduzione del capitalismo da parte della stessa autocrazia, dall'altro. Questo legame viene espresso in modo suggestivo fin dal 1883:

«La lotta per la libertà politica da una parte, e, dall'altra, la preparazione della classe operaia in vista da un'offensiva nella quale essa giocherà un ruolo indipendente, ecco, a nostro avviso, la sola ''posizione di partito'' che sia attualmente possibile. Voler combinare due azioni essenzialmente distinte quali il rovesciamento dell'assolutismo e la rivoluzione socialista, intraprendere la lotta rivoluzionaria immaginandosi che questi due momenti dello sviluppo sociale coincideranno nella storia del nostro paese, significa ritardare l'uno e l'altro. Ora, sta a noi riavvicinarli. Dobbiamo seguire il magnifico esempio dei comunisti tedeschi che, come dice il Manifesto, lottavano ''d'accordo con la borghesia, ogni volta che la borghesia agisce in modo rivoluzionario contro la monarchia assoluta'' e, al tempo stesso, non dimenticare nemmeno per un momento ''di risvegliare presso gli operai una coscienza chiara e netta del violento antagonismo che esiste tra la borghesia ed il proletariato'', perché così agendo, essi volevano che la rivoluzione tedesca fosse solamente ''il preludio d'una rivoluzione proletaria''. La situazione attuale delle società borghesi e l'influenza della situazione internazionale sull'evoluzione sociale di ciascun paese civilizzato ci danno il diritto di sperare che la liberazione sociale della classe operaia russa seguirà da presso la caduta dell'assolutismo [corsivo mio]. Se la borghesia tedesca ''è arrivata troppo tardi'', la borghesia russa ha un ritardo ancor maggiore ed il suo regno non potrà durare a lungo. Bisogna solamente che i rivoluzionari russi, da parte loro, non comincino ''troppo tardi'' a preparare la classe operaia, dal momento che si tratta di un compito assolutamente attuale, dell'oggi. Precisiamo per evitare malintesi. Non crediamo affatto […] che il movimento socialista non possa avere l'appoggio del nostro contadiname fin tanto che non si sarà trasformato in proletariato rurale e la comune [rurale] non sarà stata distrutta dal capitalismo. Noi pensiamo che i contadini russi, nel loro insieme, esprimeranno molta simpatia per ogni misura tendente a ciò che si chiama ''nazionalizzazione della terra''. Dal momento in cui sarà possibile fare più liberamente dell'agitazione in questo ambiente, essi simpatizzeranno anche con i socialisti, i quali, beninteso, non tarderanno ad introdurre questo punto nel loro programma.»57

Non può non colpire, in questo passo, la prefigurazione della rapida successione tra la rivoluzione del febbraio 1917, tappa borghese – ma incompiuta ed irrisolta – della rivoluzione in Russia, e l'Ottobre, sua tappa proletaria. E, forse ancor più, la prefigurazione della ''nazionalizzazione'' come contenuto della rivoluzione agraria in Russia, che Plechanov, divenuto menscevico, finirà per dimenticare dopo il 1905. A posteriori, certo, si possono notare nel Plechanov di allora ambiguità ed incertezze teoriche che potrebbero in parte spiegare la sua successiva adesione al menscevismo, cioè ad una visione in cui, al contrario di quanto affermato qui sopra, la rivoluzione borghese e quella proletaria sono nettamente distinte e persino separate da tutto un periodo storico; ad esempio nel programma del gruppo ''Emancipazione del lavoro'' (1884), allorquando si afferma che «il compito principale» dell'attuale «movimento d'emancipazione […] consiste nell'introduzione delle libertà politiche nel nostro paese, dovendo i socialisti sforzarsi di permettere alla classe operaia di partecipare attivamente e fruttuosamente alla futura vita politica della Russia»58. Oppure, ancora, nel già più volte citato Socialismo e lotta politica, laddove si dice:

« […] il solo compito veramente realistico che i socialisti russi possano darsi oggigiorno è, da una parte, conquistare la libertà politica e, dall'altra, gettare le basi per la formazione del futuro partito socialista operaio russo. Essi devono rivendicare una costituzione democratica che, accanto ai ''diritti dell'uomo'', assicurerà all'operaio quelli ''del cittadino'', e gli darà, grazie al suffragio universale, la facoltà di avere una parte attiva nella vita politica del paese. Senza spaventare nessuno con uno ''spettro rosso'' per il momento lontano, questo programma politico attirerà al nostro partito rivoluzionario la simpatia di tutto coloro che non sono degli avversari sistematici della democrazia; a fianco dei socialisti, molti dei nostri liberali dovranno poterlo sottoscrivere.»59

Le posizioni che Plechanov stava sviluppando rimanevano cioè aperte a due possibili linee evolutive: quella che i menscevichi imboccheranno e quella che il bolscevismo, non senza incertezze e contraddizioni, andrà elaborando nel corso degli anni successivi.

Non è il caso dunque di parlare di identità di vedute tra Plechanov ed Engels, molto più cauto e affine alla posizione espressa da Marx. Rispetto ad Engels, senza peraltro giungere a negare che esista ancora la possibilità di una rigenerazione della comune agricola, Plechanov – il quale si basa anche sulla personale conoscenza del mondo rurale acquisita durante la militanza populista e sull'esperienza del fallimento dell' ''andata al popolo'', nonché sulla sua lunga pratica di lavoro tra gli operai urbani – ritiene ormai che il partito rivoluzionario in Russia debba concentrare la sua azione, in quella fase, soprattutto tra i proletari delle città, e che a quest'ultimi spetti il ruolo di avanguardia dei rivolgimenti che si annunciano.

«L'esigenza di una revisione critica del populismo cominciò a divenire particolarmente attuale dopo il 1° marzo 1881, quando sorse il dubbio che […] le mancate conseguenze rivoluzionarie che l'attentato [allo zar Alessandro II] avrebbe dovuto provocare […] fosse imputabile ad un'erronea impostazione programmatica […]. Le rigorose misure repressive adottate durante il regno di Alessandro III portarono ad una stasi quasi completa delle attività propriamente rivoluzionarie. […] Questo ripensamento non portò […] ad un'immediata e totale rottura con il passato, perché la Narodanja Volja – e la tradizione che culminava e s'identificava con tale nome – restava un simbolo sacro di un'età eroica […] costituiva altresì una preziosa arra per il futuro. […] Infatti il decennio che va dall'attentato del 1° marzo 1881 alla carestia del 1891fu ''un periodi di transizione, in cui i vecchi sistemi di lotta vengono sottoposti ad una revisione critica e si cercano nuove soluzioni, nuove impostazioni. La classe operaia acquista un posto sempre più importante nei programmi dei gruppi. L'ideologia populista non viene del tutto abbandonata, ma nello stesso tempo la nuova ideologia marxista si fa sempre più strada''. A questa revisione critica contribuirono i circoli sorti un po' dappertutto in Russia intorno ai superstiti del movimento rivoluzionario.»60

Il populismo, sconfitto sul piano militare, e non potendo più negare lo sviluppo del capitalismo, entra in crisi.

 

6) Il ''concretismo'' di Lenin

In questa atmosfera di transizione il giovane Vladimir Ilič Ulianov compie le sue prime esperienze politiche (anche biograficamente: suo fratello Aleksandr, narodniko, fu giustiziato nel 1887). Ciò spiega l'apparente aporia tra i suoi frequenti richiami alla tradizione dei narodniki (il titolo del suo Che fare? è preso di peso dalla celebre opera di Cernyscevski) quanto l'asprezza polemica contro gli epigoni del populismo.

Per quanto riguarda il primo aspetto ci limiteremo a citare due passi. Nel primo Lenin esprime un apprezzamento, in tutto collimante con quello di Marx, per il populismo ''politico'' della Narodnaja Volja rispetto a quello anarchicheggiante che lo precede.

«Il vecchio populismo rivoluzionario russo si basava su una concezione utopistica, semianarchica. Il contadino era considerato un socialista bell'e pronto- […] Si respingeva la libertà politica in quanto lotta per istituti vantaggiosi alla borghesia. I sostenitori della ''Libertà del popolo'' fecero un passo avanti, passando alla lotta politica»61.

Nel secondo egli esprime il debito della sua generazione per l'insieme della tradizione rivoluzionaria russa:

«[...] solo un partito guidato da una teoria di avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia. Ma per raffigurarsi un po' più concretamente che cosa questo significhi, ricordi il lettore quei precursori della socialdemocrazia russa, che si chiamano Herzen, Belinski, Cernyscevski e la brillante pleiade dei rivoluzionari degli anni settanta; rifletta sull'importanza mondiale che la letteratura russa acquista presentemente [...]»62.

Un atteggiamento, questo, non solo suo, se si pensa che il Manifesto del primo congresso del POSDR (1898), redatto dal ''marxista legale'' Struve, affermava che «la socialdemocrazia persegue il fine già chiaramente indicato dai gloriosi militanti della vecchia Narodnaja Volja»63; o che il Načalo, rivista marxista legale fondata nel 1899 - che contava tra i suoi collaboratori, oltre a noti esponenti del ''marxismo legale'' come Struve, socialdemocratici come Plechanov, V. Zasulič, Lenin, Martov, Potresov - rivendicava apertamente l'eredità rivoluzionaria degli anni '70, affermando che solo i marxisti, pronti a lottare per la libertà politica, ne erano i veri eredi64. Non basta. A differenza di altri marxisti russi, Lenin sa anche riconoscere il carattere progressivo e rivoluzionario dei populisti a lui contemporanei:

«L'errore di alcuni marxisti sta nel fatto che, criticando la teoria dei populisti, non ne scorgono il contenuto storicamente reale e conforme alle leggi storiche della lotta contro la servitù della gleba. Criticano, e criticano giustamente, il ''principio del lavoro'' e l' ''egualitarismo'' come un socialismo arretrato, reazionario, piccolo-borghese e dimenticano che queste teorie esprimono un democratismo piccolo-borghese d'avanguardia, rivoluzionario, che queste teorie servono di bandiera alla lotta più risoluta contro la vecchia Russia della servitù della gleba. L'idea dell'uguaglianza è l'idea più rivoluzionaria contro il vecchio ordinamento dell'assolutismo in generale, e contro il latifondo fondato sulla servitù in particolare. […] E nell'attuale momento storico […] essa spinge a una rivoluzione borghese coerente, pur rivestendo erroneamente tutto ciò di una fraseologia nebulosa, pseudosocialista65

Si vede dunque quanto artefatta sia la contrapposizione tra un Marx ''populista'' ed un Lenin ''anti-populista''. Tanto più che, senza preoccuparsi dell'incongruenza, gli stessi che rimproverano a Lenin l'aver tradito il lascito di Marx per le sue feroci polemiche contro i populisti (di cui parleremo appresso), lo biasimano poi proprio per la sua rivendicazione del lato rivoluzionario e cospirativo del narodnicevsto, che sarebbe la prova, a detta loro, del ''giacobinismo'' o peggio del ''blanquismo'' del leader bolscevico66.

Quando, nei suoi primi interventi politici, il giovane Lenin interviene nella battaglia in corso tra marxismo e i populismo, conosce già, a differenza di Plechanov, la lettera di Marx all' ''Otečestvennye Zapiski''. Polemizzando a sua volta con Mikhailovski, egli dice nel 1894:

«Nessun marxista, mai e in nessun posto, ha sostenuto che in Russia vi ''deve essere'' il capitalismo ''perché'' c'è stato in Occidente, ecc. Nessun marxista ha mai visto nella teoria di Marx uno schema storico-filosofico obbligatorio per tutti, qualcosa di più che la spiegazione di una data formazione economico-sociale. […] Nessun marxista ha mai fondato le sue concezioni socialdemocratiche se non sulla loro corrispondenza con la realtà e con la storia di rapporti economico-sociali determinati, cioè russi, e non poteva fondarle su altro, perché questa esigenza verso la teoria è affermata e posta in modo assolutamente netto e preciso, come pietra angolare di tutta la dottrina, dal fondatore stesso del ''marxismo'', da Marx.»67

In modo ancor più netto di Plechanov, dunque, ma non sostanzialmente diverso, Lenin respinge ogni deformazione ''unilineare'' del pensiero di Marx. Non si tratta di una dichiarazione formale: lungo tutto il corso della sua attività pubblicistica, Lenin insisterà sempre sul fatto, per lui assolutamente fondamentale, che il metodo marxista si basa ''sull'analisi concreta della situazione concreta''. È vero che nel Che fare? tesse le lodi del ''dogmatismo'' (fra virgolette) e vitupera la ''libertà di critica'', ma si tratta in tal caso solo di verve polemica, di gusto del paradosso. Decine sono, nei suoi scritti, i passaggi in cui chiarisce che il marxismo non è un dogma,e decine quelli in cui polemizza con l'applicazione di schemi preconcetti. La cosa è talmente nota68 che mi pare giusto risparmiare al lettore - in un lavoro come questo, che per forza di cose deve riportare lunghi brani dei vari autori - l'amaro calice di ampie citazioni in merito. Mi limito a farne una brevissima, collocando poi in appendice altri passi sul tema per chi non se ne sentisse soddisfatto.

“Il marxismo esige da noi una considerazione esatta e oggettivamente controllabile dei rapporti tra le classi e delle particolarità specifiche di ogni momento storico.»69

Se c'è una caratteristica fondamentale in Lenin, essa è proprio l'anti-dogmatismo, l'anti-schematismo: non si contano nel corso della sua vita politica i momenti in cui, per lo più in anticipo sui suoi contemporanei, egli coglie le cesure ed i mutamenti di fase, compiendo audaci conversioni tattiche destinate talvolta a sbalordire gli stessi bolscevichi (l'esempio delle Tesi di aprile del 1917 valga per tutti). Le accuse contrarie a lui mosse possono derivare soltanto, o dalla più crassa ignoranza (e purtroppo non sono pochi coloro che pretendono di liquidarlo senza conoscerlo) o da semplice malafede.

Detto questo l'autentica vexata quaestio è però un'altra. Il vero punto dirimente è infatti se ed in che misura l'approccio non dottrinario da Lenin precocemente adottato possa, nello specifico del giudizio sulla situazione della società russa, essere stato disatteso. In essa infatti, fin dalla fine del secolo XIX , egli individua le caratteristiche del capitalismo. Nelle sue osservazioni sul secondo progetto di programma presentato da Plechanov in vista del II Congresso del POSDR, egli avanza questa critica:

«Il paragrafo XVIII [del progetto di Plechanov] dice: ''In Russia il capitalismo diventa sempre più il modo di produzione predominante...''. Questo indubbiamente è poco. È già diventato predominante (se dico che 60 presomina su 40, ciò non significa affatto che 40 non esista o che si riduca a un'inezia). Abbiamo un così gran numero di populisti, di liberali populisteggianti e di ''critici'' che retrocedono rapidamente verso il populismo, che non è possibile permettere che questo punto non sia assolutamente preciso. Se il capitalismo non fosse ancora diventato ''predominante'', allora, forse, anche la socialdemocrazia potrebbe aspettare.»70

Un'affermazione alquanto decisa, come ben si vede. Approfondirò questa opinione di Lenin in articoli successivi. Mi limito ad anticipare fin d'ora che egli fu costretto a rivederla più volte a partire dalla rivoluzione russa del 1905.

Al momento mi fermo qui. Il mio scopo era quello di illustrare tutta l'arbitrarietà di una ricostruzione che vorrebbe individuare in Engels, Plechanov e Lenin una comune posizione ''unilineare'', facendone i corifei di un dogmatismo estraneo a un Marx ''populista'', quando non addirittura i padri putativi dello stalinismo. La realtà, lo si è visto, è meno sciocca.

Come ho detto in apertura, la questione non è puramente storiografica ma squisitamente politica, e per due ordini di fattori:

1) Sostenere che Marx, negli ultimi anni della sua vita, ha abbandonato il materialismo storico, è ovviamente un espediente alla moda per attaccare il materialismo storico stesso; radicalizzare le innegabili differenze tra Marx ed Engels, e tracciare una presunta linea continua tra Plechanov e Lenin (e magari Stalin) equivale evidentemente a svalutare a priori e in blocco ogni elaborazione che dopo Marx sia stata compiuta – certo non senza contraddizioni – in seno movimento operaio.

2) Al di fuori del mondo occidentale iper-sviluppato esistono a tutt'oggi aree (specie in Africa ed Asia, ma anche in America Latina) dove lo sviluppo capitalistico è deficitario e dove la questione agraria è tuttora al centro dei movimenti sociali. In Africa, in particolare, sopravvivono ancora forme comunitarie rurali di rilievo71.

Non è quindi inutile la lezione che viene dal dibattito di fine '800 sulla Russia.

* * * * 

APPENDICE 

IL METODO MARXISTA SECONDO LENIN

«[...] il marxismo esige categoricamente un esame storico del problema delle forme di lotta. Porre questo problema al di fuori della situazione storica concreta significa non capire l’abbiccì del materialismo dialettico. In momenti diversi dell’evoluzione economica, a seconda delle diverse condizioni politiche, culturali-nazionali, sociali, ecc., differenti sono le forme di lotta che si pongono in primo piano divenendo fondamentali, e in relazione a ciò si modificano, a loro volta, anche le forme di lotta secondarie, marginali. Tentar di dare una risposta affermativa o negativa alla richiesta di indicare l’idoneità di un certo mezzo di lotta senza esaminare nei particolari la situazione concreta di un determinato movimento in una data fase del suo sviluppo, significa abbandonare completamente il terreno del marxismo» (V. I. Lenin, La guerra partigiana, OOCC vol. 11, p. 195).

« […] la tendenza […] a cercare le risposte a domande concrete nel semplice sviluppo logico di una verità generale sul carattere fondamentale della nostra rivoluzione – altro non è che un avvilimento del marxismo e una derisione del materialismo dialettico. Di gente simile, che deduce, per esempio, la funzione dirigente della ''borghesia'' nella rivoluzione o la necessità che i socialisti appoggino i liberali da una verità generale circa il carattere [borghese] di questa rivoluzione, Marx direbbe probabilmente, ripetendo la frase di Heine da lui già citata una volta: '' Ho seminato draghi e ho raccolto pulci'' » (V. I. Lenin, Prefazione seconda edizione de ''Lo sviluppo del capitalismo in Russia», OOCC, vol. 3, p. 9).

“La nostra dottrina, diceva Engels parlando di se stesso e del suo celebre amico, non è un dogma, ma una guida per l’azione. Questa classica formula sottolinea con forza e concisione meravigliose quell’aspetto del marxismo che a ogni istante viene perso di vista. E perdendolo di vista, noi facciamo del marxismo una cosa unilaterale, deforme e morta; lo svuotiamo del suo vivo contenuto, scalziamo le sue basi teoriche fondamentali: la dialettica, la dottrina dell’evoluzione storica multiforme e piena di contraddizioni, indeboliamo il suo legame con i precisi compiti pratici dell’epoca, che possono cambiare a ogni nuova svolta della storia. […] Appunto perché il marxismo non è un dogma morto, non è una dottrina compiuta, bell’e pronta, immutabile, ma una guida viva per l’azione, esso doveva necessariamente riflettere il cambiamento eccezionalmente brusco avvenuto nelle condizioni della vita sociale. La disgregazione profonda, la confusione, i tentennamenti di ogni genere, in una parola, una gravissima crisi interna del marxismo è stato il riflesso di questo cambiamento. […] Strati estremamente larghi delle classi che non potevano evitare il marxismo nel formulare i loro obiettivi, l’avevano assimilato, nel precedente periodo, in modo estremamente unilaterale, deformato; si erano impressi in mente questa o quella ‘parola d’ordine’, questa o quella risposta alle questioni tattiche, senza comprendere i criteri marxisti di queste risposte” (V.I. Lenin, Alcune particolarità dello sviluppo storico del marxismo, Opere complete, vol. 17, pp. 29-33).

“A quali fondamentali esigenze deve attenersi ogni marxista nell’esaminare il problema delle forme di lotta? Innanzitutto, il marxismo si distingue da tutte le forme primitive di socialismo perché non lega il movimento a una qualsiasi forma di lotta determinata. Esso ne ammette le più diverse forme, e non le ‘inventa’, ma si limita a generalizzarle e organizzarle. E introduce la consapevolezza in quelle forme di lotta delle classi rivoluzionarie che nascono spontaneamente nel corso del movimento: irriducibilmente ostile a ogni formula astratta, a ogni ricetta dottrinaria, il marxismo esige un attento esame della lotta di massa in atto, che, con lo sviluppo del movimento, con l’elevarsi della coscienza delle masse, con l’inasprirsi delle crisi economiche e politiche, suscita sempre nuovi e più svariati metodi di difesa e di attacco. Non rinuncia quindi assolutamente a nessuna forma di lotta e non si limita in nessun caso a quelle possibili ed esistenti solo in un determinato momento, riconoscendo che inevitabilmente, in seguito al modificarsi di una determinata congiuntura sociale, ne sorgono delle nuove, ancora ignote agli uomini politici di un dato periodo. Sotto questo aspetto il marxismo impara, per così dire, dall’esperienza pratica delle masse, ed è alieno dal pretendere di insegnare alle masse forme di lotta escogitate a tavolino dai ‘sistematici’. Noi sappiamo – ha detto, per esempio, Kautsky, esaminando le varie forme di rivoluzione sociale – che la crisi imminente ci arrecherà nuove forme di lotta, che adesso non possiamo prevedere. In secondo luogo, il marxismo esige categoricamente un esame storico del problema delle forme di lotta. Porre questo problema al di fuori della situazione storica concreta significa non capire l’abbiccì del materialismo dialettico. In momenti diversi dell’evoluzione economica, a seconda delle diverse condizioni politiche, culturali-nazionali, sociali, ecc. differenti sono le forme di lotta che si pongono in primo piano divenendo fondamentali, e in relazione a ciò si modificano, a loro volta, anche le forme di lotta secondarie, marginali. Tentare di dare una risposta affermativa o negativa alla richiesta di indicare l’idoneità di un certo mezzo di lotta senza esaminare nei particolari la situazione concreta di un determinato movimento in una data fase del suo sviluppo, significa abbandonare completamente il terreno del marxismo” (V.I. Lenin, La guerra partigiana, Opere complete, vol. 11, pp. 194-195).


Note
1La divulgava già M. Rubel nel 1947: vedi Karl Marx et le socialisme populiste russe, ''Revue socialiste'', n. 11, 1947. Un anno dopo ne dava una breve narrazione Isaac Deutscher, Marx and Russia, BBC Third Programme talk, November 1948, ripubblicato in Isaac Deutscher, Heretics and Renegades and Other Essays (Hamish and Hamilton, London, 1955), risorsa internet https://www.marxists.org/archive/deutscher/1948/marx-russia.htm. In Italia esce nel 1960 l'antologia K. Marx, F. Engels, India Cina Russia (a cura di B. Maffi), Milano, Il saggiatore (notevole la Prefazione del curatore per la parte che riguarda la Russia. Senza dimenticare, come invece sistematicamente fanno i ''marxologi'', quanto scrisse Amadeo Bordiga sul quindicinale del Partito comunista internazionale, ''Il programma comunista'', a partire dal 1954, e ripubblicato in A. Bordiga, Russia e rivoluzione nella teoria marxista, Milano, Il Formichiere, 1975, studio precorritore che ho costantemente tenuto presente, ma dal quale le pagine che seguono si distinguono soprattutto laddove Bordiga crede di ravvisare una identità, ancor più che una continuità, fra Marx, Engels, Plechanov e Lenin, secondo uno schema di ''ortodossia'' che a mio parere impoverisce il rispettivo lascito teorico. Di altri dissensi con Bordiga diremo poi.
2Tra chi si è cimentato di recente A. Visalli, Karl Marx, la comune rurale e la questione russa, https://sinistrainrete.info/marxismo/10966-alessandro-visalli-karl-marx-la-comune-rurale-e-la-questione-russa.html
3Accanto alle rivolte, esisteva una costante resistenza al servaggio: cfr. L. Volin, A Century of Russian Agriculture: From Alexander II to Khrushchev , Russian Research Center Studies of Harvard University, 1970, pp. 23-29. Cfr. anche L. Goldner, La question agraire dans la Révolution Russe: un aller-retour de la communauté matérielle au productivisme, risorsa internet http://spartacus1918.canalblog.com/archives/2017/10/25/35803144.html
4«Abbiamo indicato tre infelici tratti che più di ogni altro rendono oscuro l'ideale del popolo russo. Diciamo ora che gli ultimi due: l'assorbimento dell'individuo nel "mir" ed il culto dello zar, sono per così dire gli effetti naturali del primo, cioè della condizione patriarcale del popolo e, quindi, questa condizione è un male storico, il più grande di tutti, disgraziatamente -un male che proviene dal popolo e che noi dobbiamo combattere con tutta la nostra energia. Questo male ha deformato tutta la vita russa, le ha dato quel carattere di immobilismo ottuso, di pesante putredine familiare, di profonda menzogna, di avida ipocrisia ed infine, di servilismo che la rende insopportabile. […] La comunità rurale è [per il contadino] tutto il suo universo. Essa non è niente altro che la sua famiglia e, su un piano più vasto, il suo clan. Ciò indica che, nel "mir", prevale il principio patriarcale, una tirannia odiosa come anche una vile sottomissione e, pertanto, come nella famiglia, una negazione assoluta di ogni diritto dell'individuo. Le decisioni del "mir", qualunque esse siano, fanno legge. [...] Nel "mir", il diritto al voto è riservato agli anziani, ai capo famiglia. Celibi o anche maritati, ma non separati dai genitori, i giovani devono eseguire gli ordini ed obbedire. Ma al di sopra della comunità, di ogni comunità rurale, vi è lo zar, patriarca universale e fondatore del clan, padre di tutte le Russie. Il suo potere senza limiti viene da qui. Ogni comunità forma un tutto conchiuso, ciò che fa — ed è qui una delle grandi disgrazie della Russia — che una comunità non abbia, né provi, il bisogno di avere il minimo legame organico autonomo con le altre comunità. Esse non si collegano le une con le altre che con l'intermediario del "piccolo padre lo, zar", e soltanto attraverso il potere supremo, patriarcale, che egli esercita. Affermiamo che questa è una grande disgrazia. E' evidente che la disunione paralizza il popolo, condanna le sue rivolte quasi sempre locali e disperate ad una disfatta certa e con ciò stesso consolida la vittoria del dispotismo». (M. Bakunin, Stato e anarchia, in Opere Complete, vol. IV, pp. 230-231).
5Ad es. A. Walicki, Marxisti e populisti: il dibattito sul capitalismo, Milano, Jaka Book, 1973.
6Una diversa interpretazione in A. Kimball, The First International and the Russian Obshchina, ''Slavic Review'', vol. 32, sep. 1973, pp. 491-514, risorsa internet https.//jstor.org/stable/2495406
7Cit. in E. Cinnella, L'altro Marx, Pisa, Della Porta Editori, 2014; ebook kindle edition 2019, cap. XII.
8K. Marx e Vera Zasulič, 8/3/1881, in Lettere 1880-1883 (marzo), OOCC, p. 58. Corsivi miei.
9K. Marx, Primo progetto di lettera a Vera Zasulič, ibid., p. 391.
10F. Engels, La situazione del movimento operaio in Germania, Francia, Stati Uniti e Russia, in K. Marx, F. Engels, India Cina Russia, op. cit., 1970, p. 298).
11Si vedano in proposito: il cap. XXI del sempre attualissimo studio di F. Venturi, Il populismo russo (Torino, Einaudi, 1952). Si vedano anche in proposito e i bei capp. IV e V del volume di V. A. Tvardovskaja, Il populismo russo, Roma, Editori Riuniti, 1975.
12E. Cinnella, op. cit., cap. XII.
13A cui, duole moltissimo dirlo, indulse lo stesso grande storico del populismo F. Venturi nella sua Introduzione alla seconda edizione del suo bellissimo studio Il populismo, Torino, Einaudi, 1972, pp. XL-XLIII.
14P. P. Poggio, Comune contadina e rivoluzione in Russia, Milano, Jaka book, 1978. Si noti, en passant, che Cinnella, che ama citare fonti quasi esclusivamente russe, ignora o finge di ignorare il lavoro di Poggio. Cortesia che quest'ultimo gli ricambia non citandolo nella nuova edizione del 2017 della sua opera. D'altronde Cinnella sembra godere di assai poco credito se anche Marcello Musto ne tace nelle sue biografie politiche di Marx (M. Musto, L'ultimo Marx 1881-1883, Roma, Donzelli, 2016); K. Marx. Biografia intellettuale e politica. 1857-1883, Torino, Einaudi, 2018).
15P. P. Poggio, Introduzione a La rivoluzione russa e i contadini, Milano, Jaka book, 2017, pp. XX-XXIII.
16Ibid. p. XXXI. Corsivi miei
17Ibid, pp. XXXIV-XXXV. Corsivi miei.
18P. Poggio, op. cit., pp. 185-186, corsivi miei. Uno ''sviluppo'' così ''logico'' da aver obbligato Stalin – ma questo Poggio non lo dice – a massacrare tutta la vecchia guardia bolscevica, recalcitrante – come mai? - a questo ''logico sviluppo''.
19F. Engels, Lettere aprile 1883- dicembre 1887, Opere complete (OOCC), Edizioni Lotta Comunista, 2009, Milano, p. 431, corsivo nostro.
20K. Marx, F. Engels, Lettere 1874-1879, OOCC, pp. 234-235.
21K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito comunista, Torino, Einaudi, 1962, p. 244.
22K. Marx, Discorso per l'anniversario dell'Associazione operaia tedesca di cultura di Londra. Abbiamo ripreso il passo da M. Musto, Karl Marx..., op. cit., p. 222, e non dalle OOCC, vol. XX, p. 398, dove suona più confuso ed ambiguo.
23«I ''marxisti'' russi di cui mi parla mi sono del tutto sconosciuti» (K. Marx, F. Engels, Lettere 1880-1883, op. cit., p. 393).
24K. Marx, F. Engels, Prefazione all'edizione russa del 1882, in K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, Torino, Einaudi, p. 311, corsivi miei.
25K. Marx, Lettera alla redazione dell' ''Otečestvennye Zapiski'', in K. Marx, F. Engels, India Cina Russia, op. cit., p. 301.
26K. Marx, F. Engels, Lettere 1880-1883 …,op. cit., p. 390. Corsivi miei
27Ibid. p. 388. Corsivi miei.
28M. Musto, L'ultimo Marx...op. cit., p. 68.
29M. Sawer, Marx and the Question of the Asiatic Mode of Production, Martinus Nijhoff, The Hague, 1977, p. 67, cit. in ibid. p. 68, nota.
30K. Marx, F. Engels, Lettere 1880-1883 …,op. cit., p. 393.
31Kevin B. Anderson, Marx aux antipodes, Nations, ethnicité et societés non occidentales, Paris, Syllepse, Quebec, M Éditeur, 2015, p. 355. Anderson nota giustamente come questa conclusione del 1882 era già adombrata nel primo abbozzo alla Zasulič. Ecco le parole di Marx: «una circostanza molto favorevole per la conservazione della ''comune agricola'' attraverso la via di un ulteriore sviluppo è quella che non è soltanto contemporanea alla produzione capitalistica occidentale e può quindi appropriarsi dei suoi frutti senza sottomettersi al suo modus operandi, bensì è sopravvissuta all'epoca in cui il capitalismo si presentava ancora intatto e lo trova oggi nell'Europa occidentale come pure negli Stati Uniti in lotta con le masse lavoratrici e con la scienza e con le forze produttive che la produzione capitalistica ha generato; in poche parole in una crisi che si risolverà con la sua eliminazione, con un ritorno delle società moderne a una forma superiore di un tipo ''arcaico'' di proprietà e di produzione collettiva» (K. Marx, F. Engels, Lettere 1880-1883, op. cit., p. 387.
32A. Bordiga, Le grandi questioni storiche della rivoluzione in Russia, saggio apparso anonimo sui nn. 15 e 16/1955 di ''Il programma comunista'', ripubblicato in A, Bordiga, Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, Milano, Edizioni Il programma comunista, 1976, p. 15. Si tratta di lavori indispensabili per chiunque voglia comprendere la parabola della Russia tra rivoluzione e contro-rivoluzione.
33Cfr. la lettera di Engels a Bernstein del 13/11/1983, in F. Engels, Lettere aprile 1883-dicembre 1887, p. 54.
34Engels a V. I. Zasulič, 23/4/1885. ibid., pp. 219-220.
35La questione è ricostruita in J. D. White, Marx and Russia:The Fate of a Doctrine, London, Bloomsbury Publishing PLC, 2018, pp. 45-81. Cfr. anche H. Eaton, Marx and the russians, ''Journal of the History of Ideas, vol. 41, n. 1 (Jan. - Mar. 1980), pp. 89-112. Sull'influenza di Ziber in Russia cfr. la sempre utile opera di V. Zilli, La rivoluzione russa del 1905 – La formazione dei partiti politici (1881-1904), Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli, pp. 198-200.
36Cfr. K. Marx, F. Engels, Lettere 1880-1883..., op. cit. p. 32.
37M. Musto, Karl Marx... op. cit. p. 188.
38Lenin commenta correttamente questa lettera di Marx in V. I. Lenin, Prefazione all'edizione russa del ''Carteggio di J. Ph. Becker, J. Dietzgen, F. Engels, K. Marx con F. A, Sorge ed altri'', OOCC, vol. 12, p. 344.
39Cfr. G. H. Gamblin, Russian Populism and its relations with Anarchism 1870-1881, Centre of Russian and East European Studies, University of Birmingham, 1999.
40Marx a Sorge, 5/11/1880, in K. Marx, F. Engels, Lettere 1880-1883..., op. cit. p. 35.
41Cfr. la lettera di Marx alla figlia Jenny del 11/4/1881, in Lettere 1880-1883 (marzo), op. cit., p. 68.
42In K. Marx, F. Engels, India Cina Russia, op. cit., pp. 277-295. corsivi miei.
43Ibid. p. 292.Corsivi miei.
44F. Engels, Poscritto a Le condizioni sociali in Russia, in ibid. p. 357. Corsivi miei.
45È quanto già alcuni anni prima pensavano ad esempio Aleksandr Ilič Uljanov (fratello maggiore di Vladimir Ilič, il futuro Lenin), ed il suo compagno di lotta O. M. Govoruchin; cfr. V. Zilli, op. cit, 1963, p. 77.
46F. Engels, Poscritto a Le condizioni sociali in Russia, op. cit., p. 365.
47Cfr. le lettere di Engels a Plechanov e Zasulič contenute nelle Lettere gennaio 1893-luglio 1895, OOCC vol. L.
48Engels solo una volta si riferisce a Socialismo e lotta politica, per lamentare di non averlo ricevuto (Engels a Bernstein 13/11/1893, F. Engels, Lettere aprile 1883 – dicembre 1887, OOCC , p. 54).
49Engels a V. I. Zasulič, 23/4/1885, in ibid. p. 219.
50Questa interpretazione sembrerebbe corroborata dalla cosiddetta ''intervista'' di Engels a K. Kautzky, di cui quest'ultimo riferisce in una lettera a Bernstein del 30/6/1885. Secondo Kautzky, Engels avrebbe espresso riserve sulla veemenza polemica di Plechanov contro i suoi ex compagni narodniki, (cfr. K. Marx, F. Engels, India Cina Russia, op. cit., nota 58, pp. 383-384).
51Engels a V. Zasulič, op. cit.. pp. 219-220. Corsivo mio.
52V. Zilli, op. cit., p. 84.
53 G. Plechanov, Socialisme et lutte politique, in Ouvres Phliosophiques, vol. 1, p. 13.
54Engels a V. Zasulič, in F. Engels, Lettere aprile 1883-dicembre 1887, OOCC, p. 90.
55G. Plechanov, Nos controverses, in ibid. , p. 296.
56G. Plechanov, Projet de programme des Social-Démocrates russes, in ibid. p. 332; corsivi nostri.
57G. Plechanov, Socialisme et lutte politique, op. cit., in ibid. pp. 63-64.
58G. Plechanov, Programme du Groupe ''Libération du travail'', in ibid. p. 325.
59G. Plechanov, Socialisme et lutte politique, op. cit., in ibid., p. 60.
60V. Zilli, op. cit., pp. 203-204.
61V. I. Lenin, Democrazia operaia e democrazia borghese, OOCC, vol. 8, p. 60.
62V. I. Lenin, Che fare? OOCC, vol. 5, p. 341, corsivi miei.
63Il manifesto può essere letto in appendice a G. E. Zinoviev, La formazione del partito bolscevico 1898-1917, a cura di A. Mantovani, Genova, Graphos, 1996, p. 162.
64V. Zilli, op. cit., p. 233.
65V. I. Lenin, Il programma agrario della socialdemocrazia nella prima rivoluzione russa del 1905-1907, OOCC, vol. 13, pp. 223-224.
66Si veda ad es. l'Introduzione di V. Strada a V. I. Lenin, Che fare?, Torino, Einaudi, 1971.
67V. I. Lenin, Che cosa sono gli ''amici del popolo'' e come lottano contro i socialdemocratici?, OOCC, vol. 1, p. 191.
68Ne parla ad es. diffusamente G. Lukács nel suo saggio del 2018: Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero, risorsa internet:
https://gyorgylukacs.wordpress.com/2018/10/29/lenin-unita-e-coerenza-del-suo-pensiero/#more-2795
69V. I. Lenin, Lettere sulla tattica, OOCC, vol. 24, pp. 36.
70V. I. Lenin, Osservazioni al secondo progetto di programma di Plekhanov, OOCC, vol. 6, p. 45.
71Cfr. in proposito Guy Belloncle, La question paysanne en Afrique noire, Paris, Karthala, 1982.
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