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Appunti e risposte ad alcune FAQ sulle manifestazioni “NO GREEN PASS” di Trieste
di Andrea Muni
Lunedì e sabato erano tra le cinque (e poi otto) mila persone che sono scese in piazza nella città di Trieste per protestare contro il Green Pass e contro la dittattura neoliberale a volto scoperto in cui siamo scivolati. Chi scrive è un privato cittadino che non fa parte di alcun partito o associazione (charta sporca a parte), non ha convinzioni esoteriche riguardo a farmaci, salute e cure alternative, né è una persona che ha mai avuto simpatie nazi-fasciste – tutt’altro. Non sono assolutamente contro i vaccini, sarei anzi addirittura favorevole a discutere dell’obbligo per certe fasce d’età (voi avete capito perché non lo fanno l’obbligo? Io no), sono marxista, credo nella ricerca e nell’informazione libera.
Non so se mi fanno più paura quelli che negano il covid o quelli che negano la dittatura neoliberale a volto scoperto in cui siamo scivolati
Scrivo per colmare la totale assenza di informazioni autorevoli su quella che è stata – a detta degli stessi giornali che poi non ne dicono praticamente nulla (fa eccezione l’ottimo pezzo, eccettuati titolo e conclusione, dell’amico Daniele Lettig su “Domani”) – la manifestazione più grande dall’inizio della pandemia. Una manifestazione eguagliata forse solo da quella svoltasi nei giorni precedenti a Firenze in supporto dei lavoratori della GKN. Queste due imponenti e diverse manifestazioni, è lecito sperarlo, sono forse il primo vagito di una lotta globale e su più fronti per i diritti dei lavoratori che vedrà verosimilmente il proprio culmine il 15 ottobre – data dell’annunciata entrate in vigore del Green Pass per tutti i lavoratori.
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Dialogo sulla pandemia e sul giusto modo di combatterla
di Guglielmo Donniaquio ed Eros Barone
Gli errori volano come uccelli, ma la verità giace in fondo al pozzo.
Democrito di Abdera
Il dialogo che qui viene riportato si è svolto a Genova, durante un bel pomeriggio di settembre, in un giardino pubblico, dove si sono incontrati per uno scambio di idee tre dotti amici non più giovanissimi, che indicherò con i nomi convenzionali di Tizio, Caio e Mevio, i quali hanno espresso sulla questione della pandemia e sul giusto modo di combatterla posizioni divergenti. È poi opportuno aggiungere quanto segue: Tizio possiede una preparazione specifica sul tema oggetto della discussione, essendo un ricercatore in campo biomedico; Caio insegna filosofia, quindi non è un addetto ai lavori ma, come spesso capita ai filosofi, solo un interessato ai lavori; Mevio, dal canto suo, è un medico di base, ad un tempo pragmatico e dialettico.
Tizio: salve, Caio e Mevio, non ci si vedeva da un bel po’ di tempo! Fa sempre piacere incontrare, nel periodo difficile e tormentoso che stiamo vivendo, i vecchi amici. Vedo però che Caio non indossa la mascherina e, conoscendo la sua assennatezza, ne deduco che la mancanza non è dovuta alla distrazione, ma ad una scelta ben precisa.
Caio: ben trovato, Tizio! Sì, è proprio come tu dici. Sono convinto infatti che della mascherina non vi sia alcun bisogno e che, in generale, la gestione della pandemia da parte dei vari governi italiani sia sempre stata discutibile. All’inizio, scusabile con la sorpresa e l’impreparazione, è divenuta progressivamente, con l’accumularsi di crescenti manchevolezze, sempre meno tollerabile, fino al punto terminale dell’adozione del “green pass”, che ribadisce tutti gli errori fatti prima, li santifica e si avvia ad esiti potenzialmente catastrofici.
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Cari lettori del sito, abbiamo ricevuto un paio di email del sig. Menichella che ci intimavano di rimuovere immediatamente l'articolo "Tutto quello che non vi dicono sulle cure domiciliari precoci per il Covid-19 (e perché lo fanno)" minacciando denunce per violazione del copyright e anche denunce per diffamazione, visto che alcuni dei commenti (che non siamo soliti censurare) erano critici nei suoi confronti. Siamo senza parole e lasciamo il giudizio ai nostri lettori.
tg
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La cognizione del terrore. Ritrovarci tra noi, ritrovare la fiducia che l’Emergenza pandemica ha distrutto
di Stefania Consigliere e Cristina Zavaroni *
Qualcosa si muove. Forse perché a scuole aperte la violenza del lasciapassare è più evidente; o perché le piazze del sabato stanno proseguendo e, pian piano, orientandosi; o per l’effetto epistemologico dell’appello dei docenti universitari; o perché i sindacati di base hanno qualcosa da eccepire; o, ancora, perché i collettivi più lucidi hanno unito i puntini e trovato spaventosa la figura che ne esce.
Ai margini dei parchi e delle piazze dove si ci si ritrova per elaborare collettivamente una critica al presente e scambiarsi strategie di resistenza, si avverte anche altro: l’urgenza di fare i conti con una varietà di esperienze intime che molte e molti – e di certo chi scrive – hanno sperimentato negli scorsi mesi e che ora, finalmente, sono dicibili. Spesso sono le donne a parlarne e, riandando al femminismo degli anni Settanta, la cosa non sorprende. In omaggio a quella stagione, proviamo allora a prendere sul serio quel che ci travaglia e leggerlo in termini politici con l’aiuto di una manciata di autori.
1. Sentimenti del presente
Ecco un elenco, erratico e ovviamente incompleto, di queste esperienza:
Paralisi cognitiva. Il lasciapassare è una misura sanitaria o una misura repressiva? Come si calcolano i benefici del vaccino sulle diverse fasce di popolazione? Quali costi ha avuto la didattica a distanza? Cosa dicono, esattamente, i numeri e come vengono raccolti? Perché in alcune regioni la pericolosità del virus è (stata) più alta che altrove? Esistono cure primarie efficaci? Cosa rischio a vaccinarmi, cosa a non vaccinarmi? Qual è l’incidenza del long covid? Cos’è successo alla sanità territoriale nella primavera del 2020? E via dicendo. La continua incertezza epistemologica induce in chi l’affronta un senso di inadeguatezza, un sospetto di asinina ignoranza.
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PNRR: una, nessuna o cinquecentoventotto condizioni
di coniarerivolta
Il cosiddetto Recovery Fund, noto anche come Next Generation EU, attribuisce all’Italia 191 miliardi di euro che saranno trasferiti al Paese tra il 2021 e il 2026, suddivisi in 69 miliardi di euro a fondo perduto e 122 miliardi di euro di prestiti, da rimborsare alle istituzioni europee. Queste risorse vanno a finanziare gli interventi raccolti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
In un mondo dominato dal denaro si sente spesso dire che seguendo i soldi – focalizzando l’attenzione sui soli flussi finanziari – si possono svelare le dinamiche fondamentali della società. Seguire la traccia dei soldi porterebbe dritti al cuore delle meccaniche del sistema. Nel caso del PNRR questa massima perde buona parte della sua credibilità: i soldi del PNRR sono forse la parte meno rilevante del Piano, e proveremo a dimostrarlo concentrando la nostra attenzione sulle centinaia di condizioni a cui è stata subordinata l’erogazione dei fondi. I soldi, insomma, sono solo l’esca, mentre il contenuto politico del PNRR è racchiuso nelle clausole che vanno rispettate per ottenere quelle risorse.
Abbiamo già avuto modo di sottolineare l’assoluta inadeguatezza del finanziamento messo a disposizione dalla Commissione Europea: quei soldi, nonostante le apparenze, sono insufficienti a garantire qualsiasi ripresa. Nel dibattito pubblico, però, si è fatta strada un’idea di apparente buon senso: fossero anche pochi, sono comunque un contributo alla crescita del Paese, ed un contributo finalmente libero dalle condizioni capestro che, nel decennio passato, hanno messo in ginocchio la Grecia e tutti gli altri Paesi che si sono imbattuti nei fatidici “aiuti” europei. Insomma, si dice, il Recovery Fund fornisce finanziamenti incondizionati: niente austerità, solo soldi, perché avremmo dovuto rifiutarli?
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Il passaporto vaccinale e l’incognita dei conflitti
Alcune note polemiche a partire da uno scritto di Valérie Gérard
di Michele Garau
Intervenire sulle recenti mobilitazioni contro il passaporto sanitario, e di rimando sulla questione della campagna vaccinale, è un’incombenza davvero ingrata. Il rischio di trovarsi catturati nella morsa schiacciante di un dispositivo binario, dove le posizioni risultano polarizzate in una secca alternativa senza uscita, è molto alto. La recente pubblicazione, su Qui e ora1, di alcune note scritte da Valérie Gérard, in cui si denuncia l’impianto intrinsecamente reazionario e la base antropologica «ultraliberale» del movimento di protesta che si è dato in Francia, mi ha spinto a cercare di elaborare un parziale punto di vista. La lettura di queste righe mi ha un po’ forzato a formulare delle impressioni che non avevo intenzione di mettere per iscritto, sia per il loro grado di confusione e lacunosità, sia perché mi pare che l’intero dibattito in seno al mondo «antagonista» – nonostante alcuni scritti dall’indubbio interesse teorico – sia pesantemente viziato da questa ansia di posizionarsi unilateralmente su un piano di discorso in cui i livelli più diversi (sanitario, tecnico, politico ed epistemologico) collassano l’uno sull’altro. A questi livelli si interseca inoltre l’approccio, perfettamente legittimo, della valutazione strategica sulle potenzialità conflittuali delle proteste in corso.
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Guerra di classe
di Graziella Molonia*
Esiste una guerra che non è combattuta con armi più o meno convenzionali, che non prevede droni né missili intelligenti, che non ricorre a bombardamenti mirati, che uccide nella legalità entro il quadro dell’ordine democratico. E’ la guerra di classe, a cui i lavoratori sono chiamati a partecipare non da una libera scelta ma dal bisogno e dalla necessità che impongono al lavoratore di doversi scegliere il proprio aguzzino.
Nessuno ha scelto di vivere come schiavo del lavoro salariato, né di dedicare la propria esistenza all’arricchimento di parassiti sociali.
“La fame da lupi mannari di pluslavoro”,1 come la chiama Marx, ha bisogno di sacrificare sempre più lavoratori per saziare il bisogno di realizzare profitti.
“L’economizzazione dei mezzi sociali di produzione, che giunge a maturazione come in una serra soltanto nel sistema di fabbrica, diviene allo stesso tempo, nelle mani del capitale, depredazione sistematica delle condizioni di vita dell’operaio durante il lavoro, dello spazio, dell’aria, della luce e dei mezzi personali di difesa contro le circostanze implicanti il pericolo di morte o antiigieniche del processo di produzione, per non parlare dei provvedimenti miranti alla comodità dell’operaio” 2
Ecco perché, dietro i veli delle garanzie dello stato di diritto, e delle costituzioni democratiche che proliferano nei paesi a capitalismo avanzato, resta, nuda e cruda, la guerra a cui proletari sono costretti nel momento stesso in cui diventano parte, tramite il loro lavoro, del ciclo produttivo.
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Abbiamo sconfitto l’estrema destra fascista, guidata dall’imperialismo
Intervista esclusiva per "Cumpanis" al dirigente venezuelano Eduardo Piñate
a cura di Geraldina Colotti
In questo importante momento di transizione per la rivoluzione bolivariana, che sta dialogando in Messico con l’opposizione golpista, e si prepara alle mega-elezioni del 21 novembre, abbiamo intervistato uno dei suoi quadri politici più rappresentativi, l’ex ministro Eduardo Piñate, membro della Direzione nazionale del Partito Socialista Unito del Venezuela, candidato governatore dello Stato Apure, dov’è nato.
* * * *
D. Sei stato tre anni nell’Esecutivo, in vari incarichi di governo. Anni in cui l’attacco al Venezuela si è intensificato, sia internamente che esternamente. Quali sono state le strategie per contrastare questo attacco e come stanno le cose?
R. In effetti, sono stato poco più di tre anni nell’Esecutivo Nazionale; 2 anni e 11 mesi come ministro del potere popolare per il Processo sociale del lavoro e 3 mesi come ministro del potere popolare per l’Istruzione e vicepresidente settoriale per il Socialismo territoriale e sociale. Ora il compagno presidente Nicolás Maduro mi ha affidato nuovi compiti e responsabilità e io li assumo con l’impegno e l’entusiasmo rivoluzionario di sempre.Durante questo periodo, l’aggressione imperialista contro il Venezuela si è intensificata. Una guerra multifattoriale, totale: economica, politica, sociale, culturale, ideologica, psicologica, mediatica e militare.
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Culture e pratiche di sorveglianza. Internet in ogni cosa
di Gioacchino Toni
«La trasformazione di Internet da rete di comunicazione tra persone a rete di controllo, incorporata direttamente nel mondo fisico, potrebbe essere ancora più significativa del passaggio dalla società industriale alla società dell’informazione digitale»1.
Così si esprime Laura DeNardis, Internet in ogni cosa. Libertà, sicurezza e privacy nell’era degli oggetti iperconnessi (Luiss University Press, Roma 2021), a proposito della portata della funzione di controllo permessa dalla connessione alla rete di oggetti e sistemi al di fuori dagli schermi come veicoli per la mobilità, dispositivi indossabili, droni, macchinari industriali, elettrodomestici, attrezzature mediche ecc… Oltre che con le sofisticate forme di controllo esercitate dalle piattaforme di condivisione di contenuti in rete, ad introdursi nell’intimità degli individui concorrono sempre più oggetti di uso quotidiano in grado di raccogliere e condividere dati personali. Oltre a evidenziare come il cyberpazio premei ormai completamente – e non di rado impercettibilmente – l’universo offline dissolvendo sempre più il confine tra mondo materiale e mondo virtuale, tutto ciò induce a domandarsi se nel prossimo futuro esisterà ancora qualche aspetto privato della vita umana o se invece si stia navigando a vele spiegate verso il superamento stesso del concetto di privacy.
Nel volume DeNardis espone alcuni esempi utili a comprendere come il contraltare del controllo esercitato sugli oggetti connessi ad Internet sia la loro vulnerabilità. Un esempio riguarda la possibilità che estranei da remoto possano accedere e manipolare dispositivi medici dotati di radiofrequenza impiantati nel corpo umano e connessi alla rete.
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La riforma del Fiscal Compact è possibile e a chi gioverà?
di Domenico Moro
Nel recente incontro dell’Eurogruppo, l’organismo informale che riunisce i ministri delle finanze dell’area euro, è ripresa la discussione sulla possibile modifica delle regole europee che regolano la gestione del deficit e del debito pubblico, in particolare quelle del Patto di stabilità e del Fiscal compact. Si era cominciato ad affrontare il tema nel 2019, ma lo scoppio della pandemia ha interrotto la discussione, anche perché le regole di bilancio europee sono state sospese per permettere agli Stati nazionali e alla Ue di mettere in campo robuste misure di stimolo fiscale, cioè di spesa statale, per contrastare la crisi. La questione della ridefinizione del Patto di stabilità e soprattutto del Fiscal compact si pone anche perché alla fine del 2022 saranno reintrodotte le regole che impongono agli Stati di tenere sotto controllo il debito pubblico e c’è la preoccupazione che la reintroduzione dei vincoli possa minare la ripresa economica.
Il Fiscal compact fu introdotto nel 2012, all’epoca della crisi dei debiti sovrani, per rendere più stringenti le regole europee, che prevedono il mantenimento del rapporto tra deficit pubblico e Pil ad un livello non superiore al 3% e del rapporto tra debito pubblico e Pil a un livello non superiore al 60%. Questi vincoli non sono il frutto di precise analisi economiche, ma il risultato di calcoli politici. Il limite del 3% al deficit fu adottato sulla falsariga dell’esperienza della Francia, dove era stato frutto di semplice convenienza politica.
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Il vecchio Karl
Nicolas Allen intervista Marcello Musto
Gli ultimi anni di vita di Marx spesso vengono trascurati dai suoi biografi, ridotti a una fase di declino intellettuale e fisico. Invece, spiega Marcello Musto, in quel periodo Marx si è cimentato con questioni ancora attuali
Il lavoro dei suoi ultimi anni di vita, tra il 1881 e il 1883, è uno dei settori meno sviluppati all’interno degli studi su Karl Marx. Questa negligenza è in parte dovuta al fatto che le infermità di Marx in quel periodo gli hanno impedito di scrivere in modo regolare, non ci sono praticamente opere pubblicate risalenti a quella fase.
In mancanza delle pietre miliari che hanno caratterizzato il primo lavoro di Marx, dai suoi primi scritti filosofici ai successivi studi di economia politica, i biografi hanno a lungo considerato quegli ultimi anni come un capitolo minore segnato dal declino della salute e dalla crollo delle capacità intellettuali.
Tuttavia, c’è un numero crescente di ricerche che suggerisce che questa storia non è esaustiva e che gli ultimi anni di Marx potrebbero effettivamente essere una miniera d’oro piena di nuove intuizioni sul suo pensiero. In gran parte contenuti in lettere, quaderni e altri marginalia, gli ultimi scritti di Marx ritraggono un uomo che, lontano da quello che si considerava un declino, ha continuato a lottare con le proprie idee a proposito del capitalismo come modo di produzione globale. Come suggerito dalle sue ultime ricerche sulle cosiddette «società primitive», sulla comune agraria russa del diciannovesimo secolo e sulla «questione nazionale» nelle colonie europee, gli scritti di Marx di quel periodo rivelano in realtà una mente che si interroga sulle implicazioni nel mondo reale e sulla complessità del suo stesso pensiero, in particolare sull’espansione del capitalismo oltre i confini europei.
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Vladimir Il’ič Lenin
Cosa sono gli amici del popolo
di Alberto Lombardo
Lenin ci ha lasciato tre fondamentali contributi nel campo della filosofia.
Il primo è Cosa sono gli amici del popolo e come lottano contro i socialdemocratici? scritto tra la primavera e l’estate del 1894. In quest’opera Lenin difende l’interpretazione materialistica contenuta nel Capitale contro un filosofo soggettivista. Quindi, un’opera che nasce da un intento fortemente polemico ma molto istruttiva per comprendere non solo lo “scheletro” del testo di Marx, ma soprattutto il metodo e la “carne” storica – come si esprime Lenin – che riveste questo scheletro. Questa precisazione fa comprendere alcuni passaggi che possono sembrare in contraddizione con il pensiero di Engels. In particolare il passo seguente, letto senza il giusto inquadramento storico e soprattutto senza tenere conto dell’avversario contro cui è rivolto, può suscitare un equivoco.
L’idea del determinismo, stabilendo la necessità delle azioni umane, rigettando la favola sciocca del libero arbitrio, non sopprime affatto la ragione, né la coscienza dell’uomo, né l’apprezzamento delle sue azioni. All’opposto, soltanto dal punto di vista del determinismo è possibile dare un apprezzamento rigoroso e giusto, invece di attribuire tutto ciò che si vuole al libero arbitrio. Nello stesso modo anche l’idea della necessità storica non compromette per nulla la funzione dell’individuo nella storia: tutta la storia si compone appunto delle azioni di individui che sono indubbiamente dei fattori attivi.
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La chiglia che abbiamo costruito
di Alessandro Baricco
«Stiamo in bilico tra una intelligenza scaduta e un’altra ancora non adulta, che tarda ad arrivare. Anche per questo, oggi, la scelta sul vaccino sta assumendo questi toni drammatici: casca in pieno nel bel mezzo di un solenne crepuscolo degli dei, e diventa così, immediatamente, scena madre di un finale tragico. Difficile mantenere lucidità e misura»
Alla fine, bisogna annotare, questa storia del Vaccino e del Green pass è diventata una faccenda affascinante. Di per sé sarebbe solo una questione tecnica, una certa soluzione a un certo problema. Ma la verità è che in breve tempo ha finito per diventare una sorta di cerchio magico dove molti sono andati a celebrare i propri riti, chiamare a raccolta il proprio pubblico, risvegliare le proprie parole d’ordine, o anche solo ritrovare se stessi. Da ogni parte ci affrettiamo verso quel luogo del vivere portando la nostra dotazione di pensiero e istinto: lì ci risulta più semplice che altrove riconoscere e pronunciare il nostro modo di stare al mondo. Il risultato è che un problema in fondo squisitamente pratico, oggi ce lo ritroviamo come problema, di volta in volta, politico, economico, medico, filosofico, etico, giuridico. Vorrei essere chiaro: quando un problema lievita così al di là della sua lievitazione naturale non è più un problema che si possa risolvere. Lo si può giusto forzare a una soluzione, sacrificandone alcune parti e lasciandole vagare, irrisolte, per il firmamento del nostro vivere. È uno di quei casi in cui un eccesso di informazioni e di riflessioni dà alla domanda uno statuto per così dire quantistico: qualsiasi risposta è giusta e sbagliata allo stesso tempo. È ormai evidente: chiunque disponga oggi di un’opinione certa sul vaccino, si sta sbagliando.
Quindi bisognerebbe lasciar perdere e tirare la moneta, vaccino sì, vaccino no? Be’, non esattamente. Vincerà una narrazione piuttosto che un’altra, è inevitabile; sarà imprecisa, parziale e vagamente semplicistica, è inevitabile; ma sarà comunque la narrazione che una nostra inerzia collettiva avrà scelto tra le tante disponibili.
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Lettera dei ferrovieri per il lavoro, l'uguaglianza e il pluralismo
Alla Cortese Attenzione di: Formazioni Politiche Trenitalia S.p.A. Organizzazioni Sindacali
Per conoscenza di: Giornalisti e Stampa
Gentili tutti,
La presente per esprimere innanzitutto solidarietà ai lavoratori e agli studenti colpiti dall'estensione dell'obbligatorietà di certificazione verde avvenuta col D.L. n°111 del 6 agosto 2021.
Vi scriviamo per diffidarVi sin da ora dall'estensione della suddetta certificazione al nostro ambito lavorativo, nonché dall'introduzione di qualsivoglia obbligo vaccinale, invitando le OO.SS. a difendere il lavoro quale valore fondante del nostro sistema giuridico e sociale e il nostro Datore di Lavoro a disapplicare quanto venisse eventualmente stabilito da qualunque norma discriminatoria e lesiva dei diritti naturali degli esseri umani; diritti che secondo una concezione giusnaturalistica del diritto sono da considerarsi pre-politici – ossia acquisiti alla nascita e non tali solo perché riconosciuti e accettati dalle Autorità – e prioritari rispetto alle codificazioni del diritto positivo. Tali principi permeano le Costituzioni nazionali, un documento sovranazionale di estrema importanza come La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che è a sua volta debitrice alle Dichiarazioni maturate in seno alle rivoluzioni borghesi, anch’esse esiti piuttosto recenti di una tradizione molto più antica, consolidatasi, attraverso l’età antica, medievale e moderna, come un cardine della cultura filosofica e giuridica dell’Occidente.
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Capitale Globale, Sovranità economica e gli insegnamenti di Keynes
di Biagio Bossone
Introduzione[1]
In un recente commento sul tema della globalizzazione, Razin (2021) conclude osservando che la situazione dell’economia mondiale è tale che un’efficace stabilizzazione delle economie nazionali può essere assicurata soltanto dall’uso di adeguate politiche fiscali. Condividendo le conclusioni di Bartsch et al. (2020), aggiungerei al riguardo che una stabilizzazione efficace richiede anche lo sfruttamento delle complementarità tra strumenti monetari e fiscali, a condizione che la credibilità degli impegni verso obiettivi desiderabili a lungo termine (vale a dire una crescita sana in condizioni di stabilità dei prezzi e sostenibilità del debito pubblico) sia preservata e sostenuta da un quadro istituzionale resiliente – una posizione che io stesso avevo difeso in precedenza (Bossone, 2015).
Tuttavia, come discuterò in seguito, le forze della globalizzazione richiedono a ciascun paese di considerare quanto realmente efficaci possano essere le proprie politiche macro, tenuto conto delle caratteristiche e delle circostanze che contraddistinguono le singole economie. La scelta delle politiche di ciascun paese nell’odierno contesto finanziario globale suggerisce di rivisitare alcuni degli insegnamenti lasciatici da John Maynard Keynes (JMK), in particolare in considerazione della sua profonda conoscenza dei mercati finanziari globali e di come i mercati influenzano le economie dei paesi.
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Il paradosso del robot. Confutazione di una confutazione
di Ascanio Bernardeschi
Contrariamente a quanto affermato da “confutatori” che non hanno compreso la teoria di Marx, con l’introduzione dei robot si riduce il lavoro necessario e con ciò il valore delle merci. I limiti del progresso tecnologico nel modo di produzione capitalistico
Sta circolando in rete la descrizione di un paradosso, che chiameremo il paradosso del robot.
Si immagina che un’impresa licenzi tutti gli operai, tranne uno, sostituendoli con dei robot il cui costo è identico a quello degli operai. Pertanto l’imprenditore può portare il proprio prodotto sul mercato allo stesso prezzo del prodotto delle altre imprese che continuano a utilizzare lavoratori ricavandone un uguale profitto. Viene così meno la validità della teoria marxiana secondo cui solo il lavoro produce valore. E questa presunta confutazione è manna per i teorici della fine del lavoro.
Non che questo racconto sia completamente originale. Un suo stretto parente risale almeno al 1898, quando Vladimir Karpovič Dmitriev, un economista neoricardiano – a cui, secondo Gianfranco Pala [1], si era ispirato Sraffa – sempre per confutare la teoria del valore di Marx, aveva ipotizzato un’economia nella quale le macchine facevano tutto, senza l’intervento del lavoro umano, nel qual caso, sosteneva, sarebbe ugualmente esistito un enorme surplus prodotto.
Nel sistema di analisi dmitrieviano (e poi sraffiano) le cose stanno esattamente nel modo dal lui descritto: la produzione parte da input fisici e realizza output fisici in quantità maggiore. È chiaro che il sovrappiù fisico – si parla appunto di sovrappiù e non di plusvalore – è identico sia nel caso della produzione a mezzo di lavoratori sia in quello a mezzo di merci (usando l’espressione impiegata da Sraffa per intitolare il suo più noto lavoro [2]).
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Undici telegrammi sulla scienza, sulla pandemia e sul giusto modo di combatterla
di Claudio Della Volpe ed Eros Barone
«Lo spirito della produzione capitalistica è antitetico alle generazioni che si succedono.»
Karl Marx
“Sinistra in Rete” è uno dei punti di aggregazione, discussione e documentazione ‘a sinistra’. Tuttavia, durante il periodo della pandemia sta dimostrando un po’ tutte le debolezze che questo schieramento politico e intellettuale accusa in mancanza di una egemonia del pensiero comunista. Una numerosa serie di articoli continua a difendere e rispolverare teorie che sono contemporaneamente debolissime dal punto di vista scientifico e incapaci di fornire una guida dal punto di vista politico. Così, in mancanza di un pensiero forte e di una teoria sia scientifica sia storica che ne guidi l’elaborazione, un eccesso di ideologia irrazionalista, in taluni casi con risvolti addirittura esoterici, pervade densamente l’ambiente politico e culturale.
Il dibattito si concentra su aspetti periferici, come per esempio il ‘green pass’ e la presunta offesa recata alla “libertà personale” da questo tipo di provvedimento, mentre si dimenticano o si passano sotto silenzio gli aspetti fondamentali: da dove è venuta questa pandemia? come sta evolvendo? che ruolo può giocare nel presente processo di pre-collasso del capitalismo mondiale? che cosa possono fare i comunisti in questo contesto? che relazione c’è, se ce n’è una, fra questo evento e gli altri numerosi sintomi di decadenza imperialista e di crisi storica di questo modo di produrre? Da una parte, il riscaldamento globale e la crisi delle risorse sono continuati e si sono aggravati, nel mentre sembrano scomparsi dal radar di chi interviene in queste pagine; dall’altra, i meccanismi di espropriazione ed accumulazione hanno cercato di adeguarsi alla nuova situazione e sono continuate le chiusure di stabilimenti, mentre è cresciuta la massa di disoccupati o di occupati precari.
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Sui vaccini e sul green pass*
di Stefano Tenenti, coordinamento USB Ancona
“Green pass e idolatri del vaccino. Una ‘sinistra’ che passa dalla Sierra Lacandona all'ipocondria non ha futuro. L'unità dei comunisti è una necessità”
«L’attentato allo stato di diritto che si sta consumando sotto i nostri occhi in nome della salute pubblica, con uno stato di emergenza che dura ormai da quasi due anni, e ora con l’istituzione del cosiddetto green pass che a detta di numerosi giuristi, e anche agli occhi di chiunque abbia un minimo di discernimento, è un vero e proprio impianto estorsivo e ricattatorio affinché i cittadini facciano ciò che la Costituzione vuole si possa fare solo con una legge, la quale deve tuttavia essere costituzionale». (Luciano Canfora)
«Come avviene ogni volta che si istaura un regime dispotico di emergenza e le garanzie costituzionali vengono sospese il risultato è la discriminazione di una categoria di uomini che diventano automaticamente cittadini di seconda classe. A questo mira la creazione del cosiddetto green pass. Che si tratti di una discriminazione secondo le convinzioni personali e non di una certezza scientifica oggettiva è provato dal fatto che in ambito scientifico il dibattito è tuttora in corso sulla sicurezza ed efficacia dei vaccini». (Giorgio Agamben)
«Guai se il vaccino si trasforma in una sorta di simbolo politico religioso. Ciò non solo rappresenterebbe una deriva antidemocratica intollerabile, ma contrasterebbe con la stessa evidenza scientifica. Una cosa è sostenere l’utilità comunque del vaccino, altra, completamente diversa tacere sul fatto che ci troviamo tuttora in una fase di “sperimentazione di massa”». (Massimo Cacciari, Giorgio Agamben)
Quello che sta accadendo da oltre due anni nel nostro Paese non ha precedenti e, con tutta probabilità, stiamo sperimentando il più grande e organizzato tentativo di ristrutturazione capitalistica che si sia mai verificata nell’Occidente, sempre più “terra del tramonto”.
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A Firenze, la lotta operaia della Gkn
di Silvia Giagnoni
Nelle vite dei 422 lavoratori della Gkn Driveline Firenze, c’è un prima e un dopo e lo spartiacque è la mattina del 9 luglio 2021. La giornata è di sole e alcuni hanno pensato di approfittarne per andare al mare, magari con la famiglia, visto che l’azienda ha messo tutti in permesso collettivo. “Un piccolo calo di lavoro”, la giustificazione; niente di anomalo, vista la crisi in cui versa da tempo il settore automobilistico. Lo stabilimento di via fratelli Cervi a Campi Bisenzio produce materiali (assi e semiassi) di alta qualità e soprattutto è situato in una posizione strategica per il suo principale cliente, Stellantis-FCA, la multinazionale di cui fanno parte Fiat Chrysler Automobiles e il francese PSA Group.
Intorno alle 10, la RSU riceve un’e-mail che annuncia la chiusura dello stabilimento: è un fulmine a ciel sereno. Parte subito il messaggio agli operai, e poi i vocali concitati: non chiamate, per favore. Ci troviamo davanti alla fabbrica!
Nel giro di pochi minuti decine di lavoratori accorrono in via fratelli Cervi. Dentro, gli uomini di Sicuritalia, tutti vestiti di nero, si mettono subito al telefono. Continua ad arrivare gente, ci sono anche amici, mogli, bambini. Poi, una trentina di operai solleva il cancello dalle guide, lo sposta, un centinaio di persone entrano. Arrivano i carabinieri, la Digos, la sicurezza se ne va. L’occupazione dello stabilimento della Gkn comincia prima che rintocchi il mezzogiorno. È assemblea permanente.
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Le regole sbagliate di un mondo che non c’è più
di Carlo Clericetti
Le norme europee sono sospese, ma le ipotesi di modifica non promettono bene. Il testo del mio intervento al seminario “Dopo le crisi – Dialoghi sul futuro dell’Europa”, promosso da Alessandro Somma e Edmondo Mostacci, che è poi diventato un libro per Rogas edizioni
Un fattore importante per il futuro dell’Europa è quello delle regole europee, che a causa della pandemia sono state sospese, ma prima o poi torneranno in vigore. Queste regole hanno fortemente condizionato le politiche economiche, tanto al livello dell’Unione che a quello dei singoli paesi, e un giudizio a posteriori sugli effetti che hanno avuto non può lasciare dubbi: si tratta in gran parte di regole sbagliate, in alcuni casi platealmente sbagliate. A questa conclusione siamo arrivati ormai da molti anni: attenzione, non da molti mesi: da molti anni. Eppure si continua ad applicarle, pur se con qualche attenuazione – la famosa “flessibilità” – che però non è minimamente sufficiente a correggere quelli che sono veri e propri errori di impostazione.
Già prima della crisi del Covid si parlava di una riforma, ed erano state elaborate varie proposte. Questa interruzione dovrebbe servire per raggiungere un accordo, in modo che quando si dichiarerà che la sospensione è terminata entri in vigore un “pacchetto” rinnovato. Secondo le più recenti dichiarazioni la sospensione continuerà per tutto il 2022 e finirà – secondo una dichiarazione del vice presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis – nel 2023. La data precisa resta indefinita (sarebbe ovviamente diverso se la decisione fosse presa a gennaio o a dicembre di quell’anno) e dipenderà probabilmente da quando si raggiungerà l’accordo sulle modifiche.
Prima però di esaminare di quali proposte si sta parlando è bene ricordare la logica che ha condotto a stabilire le attuali regole.
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Green pass e dintorni: le scelte della politica
di Andrea Zhok
La strategia che stiamo adottando nell’affrontare il Covid, fondata sulla “coercizione morbida” del Green Pass, è inaccettabile sul piano etico e irresponsabile su quello politico. Questo giudizio dipende da tre ordini di ragioni. In primo luogo ci troviamo nel mezzo di una campagna aggressivamente moralistica che ha lacerato il paese. Questa campagna è stata adottata come complemento alla “volontarietà” di sottoporsi alla vaccinazione. Il Green Pass è infatti un’operazione di persuasione obliqua, che si finge una misura per ridurre i contagi, ma che in effetti serve a spingere a vaccinarsi. Si tratta naturalmente di un segreto di Pulcinella.
Quando eminenti politici sostengono pubblicamente che i tamponi (di per sé la miglior garanzia di non essere contagiosi) devono essere nasali e onerosi, perché altrimenti la gente non si vaccinerebbe, non c’è molto da aggiungere. Questo carattere finzionale del Green Pass, giustificato con motivazioni diverse da quelle reali, è una sorta di peccato originale.
Da questa doppiezza discende una tendenza alla distorsione e un avvelenamento generale del discorso pubblico, dove esperti e giornalisti si sentono legittimati ad esercitare forme di “terrorismo psicologico”, mentre uomini di scienza si sentono parimenti giustificati a esprimersi come tifosi e moralisti, omettendo o distorcendo tutto ciò che ritengono utile omettere o distorcere. Quest’operazione di manipolazione si ritiene giustificata in quanto sarebbe fatta “a fin di bene”, laddove il “bene” sarebbe il perseguimento di una vaccinazione universale.
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Padri, figlie e fratelli (d’Italia)
Note sull’autobiografia di Giorgia Meloni
di Franco «Bifo» Berardi
Questo libro mi ha rovinato l’estate. Forse l’estate si era già rovinata da sé, tra caldo intollerabile per settimane, l’angoscia dell’aeroporto di Kabul, lo stillicidio di dati sul COVID19 che non passa, e la scoperta che le due dosi di AstraZeneca che avrebbero dovuto darmi una certa tranquillità non rassicurano affatto, e infatti l’Occidente ricco si sta procurando la terza, la quarta e la quinta dose mentre nel Sud del mondo i vaccinati sono l’1 o il 2 per cento. Ma questo libro ha dato il colpo di grazia alla mia estate perché leggendolo mi rendevo conto che nel futuro prossimo del paese c’è, sicuro come le piogge d’autunno (ma ci saranno ancora le piogge il prossimo autunno?), un ritorno del fascismo.
Fascismo in verità non è la parola giusta. Si usa questa parola per definire una tradizione che discende dall’umiliazione per la vittoria mutilata e dalla truculenza di Benito Mussolini, dalle squadre che andavano a picchiare i braccianti in sciopero, dall’assassinio di Matteotti e di migliaia di sindacalisti e intellettuali tra il 1919 e il 1945. Poi continua attraverso la repubblica sociale, il Movimento sociale di Almirante, l’Alleanza nazionale di Gianfranco Fini eccetera. Il fascismo novecentesco fu un fenomeno barocco, meridionale, padronale e giovanile: violenza, spettacolo, vittimismo e baldanzosa aggressività di colonialisti alla conquista delle terre africane. Siamo ancora lì oppure qualcosa è mutato in modo radicale?
Cerchiamo di capirlo leggendo questo libro che si chiama Io sono Giorgia.
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Crisi pandemica e intellettuali, tra ristrutturazione e disgregazione capitalistica
di Sirio Zolea
Con la pandemia di Covid-19, assistiamo a una crisi profonda che ha investito tutto il mondo globalizzato, sconvolgendone e riscrivendone in vario modo l’economia, la politica, i costumi. Al tempo stesso, anche la capacità di lettura della realtà da parte del ceto intellettuale si è trovata di fronte a grandi sfide, in un momento storico in cui, purtroppo, la mediocrità e il conformismo già avevano in massima parte conquistato i cuori e le menti del vertice culturale del Paese. In effetti, si sono viste ben poche riflessioni serie sulla fase che stiamo vivendo, con l’attenzione sempre catturata dalle problematiche contingenti di volta in volta più pompate dai media e gli intellettuali nel migliore dei casi (anche comprensibilmente) disorientati e nel peggiore ridotti al rango di acquiescenti giullari di corte. Eventi come grandi guerre e grandi epidemie contribuiscono a pari titolo a determinare il corso della storia umana, come un’opera di grande spessore come Armi, acciaio e malattie è lì a rammentarci. Con ogni probabilità, gli storici del futuro studieranno questo convulso momento e cercheranno di raccapezzarcisi, distinguendone gli elementi di contraddizione principali da quelli secondari. Per una valutazione storica fredda ed esauriente, ci si dovrà rassegnare allo sguardo retrospettivo che potrà permettersi l’umanità (speriamo, prospera e felice!) tra qualche generazione. Ma questo non ci impedisce di cercare sin d’ora alcuni spunti che aiutino a gettare qualche sprazzo di luce e di comprensione sul cammino oscuro del mondo occidentale ai tempi del Covid.
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Afghanistan: come non lasciare un bel ricordo
di Piero Pagliani
Secondo i media e i commentatori mainstream, l'evacuazione degli Stati Uniti dall'Afghanistan è stato un orrendo errore. Ma c'è poco da obiettare alla risposta di Biden: “Those who say that 2 or 5 more years will bring us victory are lying to you”. Un'affermazione piena di saggezza che, confesso, mi ha sorpreso in una persona come Biden a cui io non ho mai dato molto credito, anzi. In venti anni non abbiamo vinto, ma perso terreno. Pensate proprio che in ventidue potremmo vincere? Questo è il (buon) senso dell'inquilino della Casa Bianca.
La cosa a prima vista più stupefacente, fateci caso, è che se un presidente degli Stati Uniti fa un'affermazione sensata, i media e i commentatori occidentali vengono presi dall'isteria. Tanto che la vice Khamala Harris si è data alla fuga, al mutismo metodico: pensa alla sua carriera, quindi non vuole essere coinvolta in queste polemiche in cui si scatenano fissazioni di ogni tipo. Così ha deciso di lasciare da solo il suo capo nella bufera. Io non ci sono per nessuno. Non m'importa se qui, nel bene o nel male, si sta facendo la Storia del mio Paese. Io non esisto. Notevole per una vice presidente.
In realtà la decisione non è stata del quasi ottuagenario signor Joe Biden, ma del “Biden collettivo”, cioè quell'insieme di forze e di interessi che nel corso del tempo fanno la politica degli USA, che ha preso il testimone dal Trump collettivo che a sua volta lo aveva ricevuto dall'Obama collettivo. Tale è la storia della decisione di ritirarsi dall'Afghanistan. Storia dimenticata da commentatori e commentatrici che vivono nel mondo di Papalla.
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Roma: l’attacco del profitto al trasporto pubblico non è finito
di coniarerivolta
Quasi tre anni fa, nel novembre 2018, i cittadini romani vennero chiamati a esprimersi tramite referendum sulla possibile liberalizzazione e privatizzazione dell’azienda del trasporto pubblico locale Atac. Con un’affluenza molto bassa il referendum consultivo non ottenne l’effetto politico voluto dai suoi promotori, ma la spinta liberista che lo aveva animato è viva e vegeta e segnerà, con ogni probabilità, le scelte di politica del trasporto pubblico romano nei prossimi mesi. Da molti anni le politiche di affidamento alla logica del mercato dei servizi pubblici sono divenute un pezzo costitutivo della politica economica di impronta neoliberista. Sotto la scorta della retorica del pubblico inefficiente e delle imprese pubbliche carrozzone indebitate fino al collo, in numerosi ambiti dell’economia si è avanzato a tappe forzate verso forme di parziale o totale privatizzazione, liberalizzazione e deregolamentazione. Dopo aver scientemente sottofinanziato le aziende pubbliche non consentendone una gestione all’altezza dei bisogni dei cittadini e costringendole ad un’elevata esposizione debitoria, si sono potute facilmente montare campagne mediatiche sull’inefficienza delle gestioni pubbliche in quanto tali e la conseguente necessità dell’intervento benefico dei privati.
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