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L'Asse russo-cinese apre la rotta marittima del Nord
di Giuseppe Masala
Varsavia chiude il confine con la Bielorussia bloccando il flusso di merci che dalla Cina arriva in Europa con la ferrovia e immediatamente la Cina risponde aprendo la Rotta Marittima del Nord che abbrevia ancora di più i tempi e i costi di trasporto dalla Cina all'Europa. Uno vero smacco per i filo atlantisti!
L'effetto politico-economico dello strano sconfinamento di droni russi nei cieli polacchi è stato certamente la chiusura del confine tra la Polonia e la Bielorussia. E' bene ricordare, innanzitutto che il confine polacco è peraltro un confine che delimita sia i territori sotto la “protezione” della Nato e soprattutto un confine anche dell'area economica retta dall'Unione Europea. Ed è proprio questo aspetto a rendere la decisione di Varsavia di rilevanza internazionale se non mondiale. Infatti la rotta “continentale” che le merci cinesi utilizzano per arrivare fino ai mercati europei passa proprio tra la Bielorussia e la Polonia dopo aver attraversato il Khazakistan e la Russia.
Quello di qui si parla è uno snodo vitale del commercio euroasiatico e in particolare per i produttori cinesi, ciò in considerazione del fatto che il 90% del traffico merci ferroviario tra Cina ed Europa passa proprio per il confine bielorusso-polacco e che sul piano economico-finanziario ha un valore di 25 miliardi di dollari che è peraltro in forte e costante crescita, sia come volumi che come impatto finanziario (Il corridoio nel 2024 ha rappresentato il 3,7% di tutto il commercio UE-Cina, rispetto al 2,1% dell’anno precedente).
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Dove siamo?
di Giorgio Agamben
All’inferno. Ogni discorso che non parta da questa consapevolezza è semplicemente privo di fondamento. I gironi in cui ci troviamo non sono disposti verticalmente, ma disseminati nel mondo. Ovunque gli uomini si associano, producono inferno. I gironi e le bolge sono dappertutto intorno a noi, che riconosciamo, come nei caprichos di Goya, i mostri e i diavoli che li governano.
Cosa possiamo fare in quest’inferno? Non tanto o non solo, come diceva Italo, custodire una parcella di bene, quello che nell’inferno non è inferno. Poiché è stata anch’essa, tutta o in parte, contaminata – in ogni caso no te escaparas. Piuttosto fermati, taci, osserva, e, al giusto momento, parla, spezza la cortina di menzogne su cui riposa l’inferno. Perché lo stesso inferno è una menzogna, la menzogna delle menzogne che impedisce il varco al non inferno, al lietamente, semplicemente, anarchicamente esistente. Al mai stato che l’inferno ogni volta ricopre col suo stato, come se non ci fosse altra possibilità al di fuori delle bolge e i gironi in cui ti hanno già sempre necessariamente iscritto. Sii tu il punto, la soglia in cui lo stato viene meno, in cui sorgivamente sbuca il possibile, la sola vera realtà. Il pensiero non consiste nel realizzare il possibile, come i demoni ti invitano a fare, ma nel rendere possibile il reale, nel trovare una via di uscita dall’ineluttabilità dei fatti che l’ideologia dominante cerca di imporre in ogni ambito – e innanzitutto nella politica.
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La fine dell’illusione democratica
di Thomas Fazi
Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo la prefazione del libro di Paolo Botta, Cos’è lo Stato. Capitalismo, democrazia e socialismo del XXI secolo (Rogas, 2025), in uscita oggi. Buona lettura!
Esistono libri che cambiano per sempre il modo in cui guardiamo la realtà, costringendoci a rimettere in discussione concetti che ritenevamo assodati. Il libro di Paolo Botta è, a mio avviso, uno di quei libri. Il tema è lo Stato, inteso non come sinonimo di Paese ma come apparato statuale. Un tema apparentemente ostico, ma in realtà – come dimostra l’autore – centrale in quasi ogni aspetto della nostra vita, da cui discende tutto: la politica, l’economia, la società, la cultura. Il punto di partenza è la consapevolezza che «le nostre conoscenze sullo Stato sono da considerare ancora troppo ristrette, sia sul piano disciplinare che su quello di una visione complessiva». Una consapevolezza che, al termine della lettura, difficilmente il lettore potrà non condividere.
Come spiega Botta nelle primissime pagine: «Il presente contributo non ha avuto come finalità prioritaria quella di esaminare in maniera astratta o normativistica il concetto di Stato, anche se in alcuni passaggi si è proceduto a chiarire la natura giuridica e politica dello stesso, ma di definire secondo un approccio realistico le sue caratteristiche oggettive che si manifestano nelle sue performance strategiche in interazione in primis con la società e l’economia». In altri termini, il libro non si muove sul terreno delle astrazioni teoriche o delle speculazioni accademiche, ma su quello di un’analisi rigorosa e scientificamente fondata, che ambisce a cogliere le dinamiche reali del potere statale così come si manifestano nei contesti concreti: nei rapporti sociali, nei meccanismi economici, nei conflitti geopolitici. È questo approccio empirico e strutturale che conferisce al testo la sua forza esplicativa e la sua rilevanza politica.
Il libro si apre con un’analisi della perdurante centralità dello Stato. Contro la vulgata secondo cui, negli ultimi decenni, lo Stato sarebbe stato progressivamente marginalizzato o reso obsoleto dai “mercati” e da dinamiche globali e sovranazionali, l’autore mostra come in realtà esso rimanga un’istituzione assolutamente centrale nella vita politica ed economica.
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Palantir, un sistema per la privatizzazione dello Stato
di Franco Padella
Guerre e politiche securitarie poggiano su sistemi operativi, in primis su Palantir, società di Peter Thiel e Alex Karp diventata fondamentale nei teatri di guerra in corso, per la caccia ai migranti negli Usa. Dopo la visita di Trump a Londra si estende in Uk. Con un piedino in Italia.
I conflitti contemporanei, dall’Ucraina al Medio Oriente, si stanno rivelando essere sempre più guerre digitali, dove l’Intelligenza Artificiale e le capacità di elaborazione dati diventano elementi decisivi sul campo di battaglia. Non si combatte più solo con armi fisiche: informazioni, dati interconnessi e algoritmi avanzati formano ormai un vero e proprio sistema operativo della guerra moderna. E’ il controllo dei flussi informativi a determinare il successo delle operazioni con la stessa – se non maggiore – importanza della potenza di fuoco tradizionale.
In questo scenario, le Big Tech, tradendo le loro originarie narrative di beneficio per l’umanità, si sono posizionate velocemente in prima linea per sfruttare le opportunità offerte dalle tensioni globali, mettendosi pesantemente in corsa per inserire le loro capacità di Intelligenza Artificiale e di calcolo nella gestione dei conflitti, siano essi di tipo geopolitico o di controllo sociale a uso interno. Un’operazione pervasiva che invade non solo gli ambiti securitari e bellici, ma anche settori che fino a poco fa erano dominio esclusivo degli Stati nazionali.
Mentre i riflettori mediatici restano focalizzati sul ristretto gruppo FAMAG (Meta, Apple, Microsoft, Amazon, Google), note per le nostre interazioni quotidiane, è un’altra azienda, mediaticamente “minore”, a rappresentare un’alternativa tanto silenziosa quanto potente: Palantir Technologies. Poco visibile rispetto alle altre, si è già profondamente integrata con gli apparati di sicurezza e di guerra americani, ed è molto avviata nella stessa direzione in tutto l’Occidente. A differenza delle altre, Palantir preferisce rimanere in penombra: non vende se stessa al pubblico, non fa pubblicità. Vende potere. Potere dato in uso a Stati e governi, potere di prevedere, di controllare, di dominare. E facendo questo, in qualche modo, diventa essa stessa Stato.
Gemelli diversi per uno stesso potere
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La decisione che cambia gli equilibri geopolitici in Medio Oriente
di Giuseppe Masala
Pakistan e Arabia Saudita firmano un patto difensivo scalzando di fatto gli USA dalla posizione di Dominus del Medio Oriente. La Cina guadagna posizioni nell'area avendo di fatto un'alleanza militare con Islamabad. Lentamente ma inesorabilmente il mondo multipolare sta vedendo la luce
Uno degli effetti più dirompenti causati dalla guerra “contro tutti” scatenata da Israele dopo gli attentati terroristici del 2023 è che si è diffusa nel mondo arabo la percezione che nessuno possa sentirsi al sicuro. Ciò vale anche se si tratta di paesi formalmente difesi dagli stessi Stati Uniti o da altri paesi occidentali.
Abbiamo visto infatti che, nel corso di questi terribili anni in Medio Oriente Israele ha bombardato la Siria, il Libano, lo Yemen, l'Iran e il Qatar. Ad aver generato il massimo scalpore nel mondo arabo sono stati i bombardamenti in Iran, che detiene delle forze armate molto forti dotate peraltro di un temibile arsenale missilistico e, naturalmente, l'attacco al Qatar, alleato di ferro americano in Medio Oriente, tanto da ospitare l'importante base aerea di Al-Udeid dove ha sede la US Combined Air Operations Center, Da notare peraltro, che questa base americana in Qatar fu bombardata come rappresaglia anche dall'Iran quando prima Israele e poi gli USA bombardarono i siti nucleari iraniani.
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L’ottavo fronte
di Enrico Tomaselli
Il giornalista statunitense Max Blumenthal ha felicemente definito così la guerra ibrida che Israele sta conducendo negli Stati Uniti, e che – per il momento – è essenzialmente incentrata sulla propaganda, ovvero sul controllo dei media. Gli USA sono l’insostituibile retrovia dello stato ebraico, senza il cui appoggio – economico, militare, politico e diplomatico – semplicemente scomparirebbe entro pochi mesi. Il controllo di questa retrovia, pertanto, è una questione vitale per Israele. Sino a ora, era stato possibile esercitarlo essenzialmente attraverso le lobbies sioniste in nord America – che sono due: una, quella rappresentata principalmente dall’AIPAC, costituita dai maggiori rappresentanti della comunità ebraica, ed un’altra, costituita da quelle chiese evangeliche che vedono in Israele una tappa fondamentale verso l’avvento di una nuova era di dio. E la seconda, da tempo, è non meno importante della prima. Queste due lobbies hanno sinora agito fondamentalmente su due livelli, il foraggiamento delle campagne elettorali (a qualsiasi livello) di esponenti politici decisamente schierati per Israele, e la diffusione di una narrativa che accomunerebbe i due paesi non solo per via di una comune radice culturale (quella giudaico-cristiana, che tanto piace anche a molti politici europei), ma anche per una presunta sovrapponibilità dei reciproci interessi strategici.
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La nuova resistenza a Usrael? Non solo memoria, ma utopia sperimentale
di Alessio Mannino
Dalla mia postazione con fucile a tappo, prendo spunto da un recente post di Andrea Zhok, una delle poche menti libere in circolazione, per suggerire al lettore una critica. “Oggi la vera, principale, essenziale resistenza”, sostiene il filosofo, “è la memoria, memoria che per rimanere vitale deve essere rielaborazione, e che deve rimanere strettamente legata ad una richiesta di giustizia inflessibile. Chi oggi non può sconfiggere il male, domani non deve dimenticarlo”. Zhok conclude così un denso e, in sé, del tutto condivisibile ragionamento che prende le mosse da una presa d’atto: la vittoria su tutta la linea, in questa fase, dei due veri Stati-canaglia che minacciano oggi l’umanità, Stati Uniti e Israele. E la minacciano, anzi la violentano nel senso di schiacciarne e renderne impotente l’attributo che rende umano un essere umano: la capacità di trattenere dall’oblio il ricordo del male. In questo caso, dell’arbitrio sfacciato con cui Usrael, il blocco a guida dell’Occidente, fa carne di porco non solo dei più elementari princìpi di dignità, ma direi proprio anche di quei sentimenti civili in antico sintetizzati nella parola pietas. Siamo giunti a un grado di empietà talmente sfacciata che su questa china perfino il concetto orwelliano di bipensiero, ovvero ritenere valide e associare due cose opposte – cioè per esempio chiamare “liberazione degli ostaggi israeliani” la pulizia etnica e l’occupazione della Striscia di Gaza – risulterà non più calzante. E tuttavia, salvare e tramandare ciò che è avvenuto non può bastare.
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Sistemi, belief systems, indipendenza, libertà di parola
di Il Chimico Scettico
https://youtu.be/ZO5u3V6LJuM
Considerazioni generali: negli anni ben pochi hanno fatto caso alla licenza Creative Commons sull'home page di questo blog: non commerciale - non opere derivate- unported. In soldoni significa che da questo blog non ho mai incassato un centesimo. Qualcuno mi ha fatto notare che questo è del tutto atipico nel contesto dell' "economia digitale". Non me ne può fregare di meno. Continuo a vivere tranquillamente della mia professione.
Per questo motivo ho francamente provato fastidio per le pubblicità e i product placement nei video di Sabine Hossenfelder. Ma mi sono tardivamente reso conto che lei, a causa di quel che dice, non ha più né una carriera né una professione.
E questo fatto da solo dovrebbe far pensare.
In poche parole oggi chi da dentro un sistema prende una posizione critica o divergente rischia l'espulsione dal sistema stesso con le relative conseguenze, tra cui la perdita del lavoro e delle affiliazioni.
Quando ciò avviene in ambito scientifico dimostra il fatto che larghi settori di molte discipline hanno gettato alle ortiche il metodo galileiano (non accettano la falsificazione) per trasformarsi in un sistema autoreferenziale e autogiustificato. un' ideologia, un sistema di credenze o meglio, in inglese, un belief system.
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"Così ci prepariamo a resistere"
Intervista esclusiva all'analista politica venezuelana Carolina Escarrá
a cura di Carlos Aznárez, Geraldina Colotti
Nel nostro programma settimanale, “Abre Brecha Venezuela”, abbiamo avuto il piacere di ospitare Carolina Escarrá, un'intellettuale venezuelana con un curriculum impressionante che include una vasta esperienza in ambito accademico, diplomatico e giornalistico. Oltre a insegnare in diverse università, Carolina è parte del vicerettorato di ricerca della UICOM, l'Università Internazionale della Comunicazione diretta dalla rettrice Tania Díaz. Politologa e consulente per diverse istituzioni, è attualmente la direttrice della Scuola di Formazione Integrale Dottor Carlos Escarrá Malavé dell'Assemblea Nazionale (EFICEM), una scuola dedicata a suo padre, un eminente giurista venezuelano. Ecco la versione ampliata dell'intervista.
* * * *
Benvenuta, Carolina, ad "Abre Brecha". Come sai, questo è un programma il cui obiettivo principale è difendere la Rivoluzione Bolivariana e, soprattutto, renderla visibile in questi momenti così difficili, non solo per il Venezuela ma per il mondo intero. Volevamo iniziare chiedendoti, alla luce della grande aggressione che il Venezuela sta subendo da parte degli Stati Uniti, come vedi la risposta del popolo venezuelano e della sua direzione rivoluzionaria, che non ha perso tempo nel "prendere il toro per le corna" e affrontare l'aggressione per quello che è realmente: una provocazione di grandi dimensioni, nonostante molti cerchino di minimizzare ciò che sta accadendo.
Prima di tutto, grazie per l'invito. È un onore per me partecipare a questo programma.
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Cosa si pensa nel resto del mondo?
Xinhua intervista Vladimir Putin
Se si guarda con un minimo di distacco emotivo il panorama dell’informazione occidente – quella italica è un caso di morte cerebrale ormai conclamato – ci si accorge subito che ciò che accade nel resto del mondo è sostanzialmente ignorato. Almeno fin quando non ci si inciampa sopra.
Peggio ancora, non sappiamo praticamente nulla di quel che si pensa – e come, e perché lo si pensa – al di fuori degli ormai ristretti confini dell’area euro-atlantica.
L’ammissione involontaria arriva dagli stessi gazzettieri-propagandisti che riempiono i media nostrani con titoli come “cosa c’è nella mente di Putin”, “cosa vuole Xi Jinping”, e naturalmente tutti gli altri che preoccupano appena meno.
Non possiamo garantirvi una copertura completa o sistematica, ma cominciamo a darvi qualche informazione in più, grazie in questo caso a Silvana Sale che ha tradotto un’intervista di Xinhua a Vladimir Putin, fatta poco prima della grande parata del 3 settembre per l’80esimo anniversario della vittoria sull’invasore giapponese.
Come dovrebbe esser noto, non è un personaggio che ci stia particolarmente simpatico (è salito ai vertici con Eltsin, quando veniva distrutta l’Unione Sovietica), ma forse è più attendibile sapere cosa pensa detto da lui piuttosto che attendere le invenzioni degli “indovini” spiaggiati nelle redazioni del Corriere o di Repubblica.
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Effetti culturali dell’economia neoliberista V
di Luca Benedini
(Quinta parte – Neoliberismo, dinamiche psicologico-emotive e vita relazionale: prima metà del discorso, con un approfondimento sulla naturalità della filosofia dialettica)*
Osservazioni e riflessioni a tutto campo su dipendenze, proiezioni, dualismi,
sfasature tra i sessi e forme di venerazione sociale di cosiddetti leader
carismatici, tanto più nell’attuale mondo dominato dall’ideologia neoliberista
Prima di inerpicarsi nei vari aspetti di una possibile integrazione tra il “socialismo scientifico” marx-engelsiano e le forme di esperienza, di pensiero e di movimenti alternativi più congrue, profonde e costruttive che si sono sviluppate nell’ultimo centinaio d’anni (integrazione che è stata delineata nella quarta parte del presente intervento), appare opportuno – e per molti versi intrinsecamente necessario – approfondire nel loro insieme una serie di tematiche psicologico-emotive e relazionali che riguardano il modo stesso in cui viviamo e in cui, più in particolare, affrontiamo le varie situazioni e circostanze nelle quali ci veniamo a trovare.
Naturalmente, anche i modi in cui affrontiamo i vari temi che ci si presentano nell’ambito della vita sociale possono essere profondamente influenzati da tali tematiche, benché si tratti di un argomento che è rimasto praticamente escluso dal “cielo della politica” sia durante il ’900 che in questo inizio di secolo: un’esclusione che è avvenuta non certo per caso, ma per tutelare le ambizioni personali e le tendenze ideologiche che – con pochissime, rare e solo parziali eccezioni – hanno drammaticamente predominato nella politica in tutto questo periodo, impoverendo molto pesantemente il lato umano, relazionale e intimamente democratico della politica stessa (lato che invece dovrebbe essere fondamentale in qualsiasi società che al suo interno intenda limitare fortemente il classismo e i suoi tipici effetti umanamente devastanti o che, addirittura, sia orientata esplicitamente al superamento di qualsiasi forma di classismo).
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Russia, Cina e la rotta dell’Artico
di Fabrizio Casari
La compagnia di navigazione Haijie Shipping Company ha inaugurato ieri il progetto artico cinese, denominato China-Europe Arctic Express. Si tratta di una connessione di navi portacontainer tra l’Estremo Oriente e l’Europa, lungo una rotta commerciale che attraversa l’Oceano Glaciale Artico invece dell’Oceano Indiano. Il China-Europe Arctic Express sarà operato dalla nave Istanbul Bridge, capace di trasportare 5.000 container per viaggio. Salpando dal porto di Quingdao (a nord di Shanghai), avrà come possibili destinazioni Felixstowe in Gran Bretagna, Rotterdam, Amburgo e Danzica.
La rotta riduce della metà i tempi di percorrenza (18 giorni invece di 28 passando per Suez) e i costi di consegna delle merci rispetto alle autostrade marittime che passano dall’Oceano Indiano fino al Mediterraneo. E tra i vantaggi di questo passaggio a nord-ovest sono c’è il fattore sicurezza: si evitano Mar Rosso e Canale di Suez, costantemente sotto la minaccia della pirateria e una rotta sicura riduce fortemente i costi assicurativi, oltre a quelli gestionali.
Benché al momento la rotta artica sia navigabile solo per alcuni mesi all’anno, gli scienziati cinesi e russi prevedono che a causa dello scioglimento dei ghiacci e della cantieristica navale specialistica, sarà sempre più navigabile.
La fase sperimentale procede a buon ritmo: il Centre for High North Logistics, un istituto norvegese che monitora la navigazione nei mari dell’estremo Nord, ha già registrato tra giugno e agosto il passaggio di 52 navi tra Vladivostok e San Pietroburgo.
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I baltici gridano al lupo (russo) per non perdere i dollari di Washington
di Gianandrea Gaiani
Allarmi per sconfinamenti quotidiani nei ristretti corridoi aerei del Baltico spacciati per attacchi aerei russi, le consuete (si tengono ogni 4 anni) esercitazioni Zapad tra russi e bielorussi presentate come una minaccia d’invasione contro cui erigere fortificazioni reticolati, campi minati, trincee e cavalli di Frisia.
La febbre bellica che attraversa la regione baltica coinvolgendo Estonia, Lettonia e Lituania questa volta non sembra dovuta solo alla tradizionale sensibilità anti-russa che anima le classi dirigenti di queste nazioni che peraltro esprimono ben tre dei più importanti commissari dell’Unione Europea.
Persino un osservatore attento e ben documentato, ma non certo tacciabile di “putinismo”, come il generale Leonardo Tricarico (già capo di stato maggiore dell’Aeronautica), ha rilevato ieri sul quotidiano “Il Tempo” che “è ormai la regola che eventi rientranti altrimenti nell’ordinaria quotidianità vengano ingigantiti nei loro contenuti negativi, caricati di significati eccessivi, in una irresponsabile gara a chi sia più convincente nel descrivere le prospettive nefaste dei vari accadimenti”.
Dietro gli allarmismi esagerati dei baltici e le richieste di attivare articoli 4 (e presto 5?) della NATO e di ricevere maggiore sostegno militare dagli alleati potrebbe nascondersi in realtà il timore di perdere presto gli aiuti militari gratuiti e il supporto militare degli Stati Uniti.
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Prepariamoci alla guerra
di Il Rovescio
Mentre i nostri occhi pieni di orrore sono per forza di cose puntati su Gaza, le cancellerie d’Europa – in testa la Commissione europea – sembrano fare di tutto per far precipitare la guerra contro la Russia. Nel giro di neanche un mese, abbiamo assistito alla reintroduzione della leva militare in Germania (al momento volontaria, ma con «opzione di obbligo» nel caso non si raggiunga un numero sufficiente di arruolati); al clamore mediatico – dal chiaro linguaggio bellicista – sull’incontro tra Putin, Xi Jinping e Kim Jong-un a Pechino; alla fake news sul sabotaggio mai avvenuto all’aereo di Ursula von der Leyen nei cieli della Bulgaria; alla circolare per la militarizzazione degli ospedali in Francia (seguìta in questi giorni da un’analoga disposizione in Italia) e, infine, all’episodio dei droni “russi” (virgolette d’obbligo, perché su questa notizia sono più i dubbi che le certezze) in parte caduti e in parte abbattuti dalla contraerea polacca all’interno dei propri confini. Nelle stesse ore in cui il governo della Polonia convocava i vertici della NATO attivando l’articolo 4 dell’Alleanza, Ursula von der Leyen, nel suo quinto discorso sullo stato dell’Unione Europea, pronunciava parole inequivocabili: «l’Europa deve combattere» all’interno di «uno scontro per il nuovo ordine mondiale basato sul potere», e rilanciava nuovamente la necessità di una «economia di guerra». Nello stesso discorso, Von der Leyen ha dichiarato anche che il massacro a Gaza «non è più accettabile» – come se lo fosse fino al giorno prima… – paventando delle «sanzioni parziali» contro Israele. A strettissimo giro, è cominciata la missione «Sentinella dell’Est», con lo schieramento di 40.000 soldati polacchi, nonché di sistemi d’arma della NATO (aerei da bombardamento, fregate, radar), sui confini russi e bielorussi, mentre viene ipotizzata una «no fly zone» sulla parte occidentale dell’Ucraina.
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Alcune considerazioni su giustizia e libertà dialettica
di Andrea Zhok
La vicenda “Charlie Kirk” è meritevole di riflessione non tanto con riferimento al personaggio in sé, per cui personalmente, non essendo americano, nutro un modesto interesse, ma per ciò che le reazioni alla sua morte hanno consentito di scorgere.
Come ampiamente discusso nei giorni scorsi, una significativa fetta di persone con pedigree “progressista” o “di sinistra” ha espresso soddisfazione, comprensione o giustificazione per l’omicidio. Il filo del ragionamento in questi casi è stato, più o meno: “Era una persona orribile con opinioni orribili, dunque il mondo è un posto migliore senza di lui.”
Ora, non mi interessa qui entrare in una valutazione circa se o quanto il soggetto fosse davvero orribile, o non fosse magari vittima di maldicenze e fraintendimenti. Supponiamo pure per un momento che fosse davvero la persona orribile che taluni ritengono fosse.
Il punto di fondo è: rispetto a una persona con opinioni orribili, è GIUSTO metterla a tacere con la violenza? Notiamo che “metterla a tacere con la violenza” potrebbe anche non passare necessariamente per un omicidio. Potrebbe essere carcerazione, minaccia, ricatto, o altre forme di violenza.
Qui ci sono due livelli di argomentazione. La prima potremmo chiamarla “kantiana” e implica che è intrinsecamente sbagliato usare violenza contro un’opinione, per quanto pessima venga ritenuta.
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Mai così al centro del mondo la Palestina, mai così in crisi Israele
Una, cento, mille flottiglie
di Fulvio Grimaldi
Come l'AntiDiplomatico annunciamo con grande piacere la ripresa dell'editoriale a settimana di un grande giornalista come Fulvio Grimaldi nel suo spazio "Attenti al Lupo". Pur restando profondamente convinti della nostra trasmissione presente tutti i giovedì sul nostro canale Youtube e aperti a un dibattito onesto e costruttivo sulla tematica, accogliamo con grande rispetto le critiche avanzate nel testo su "Radio Gaza"
Per suscitare una buona disposizione alla lettura di questo mio testo, lo introduco con un furto indecente alla testata “Sinistrainrete”, dove mi ha colpito una visione davvero originale del fenomeno “Flotilla”, nostro tema ordierno. Ve ne riproduco qui un capoverso. Poi scendiamo ai piani prosaici dell’articolo mio.
Global Sumud Flotilla: eterotopie di contestazione nello spazio liscio, di Paolo Lago
Le navi della flottiglia sono mitiche anche perché si spostano come le navi degli eroi antichi creatrici di storie…. Così, la Flotilla apre il nostro immaginario a un’idea di libertà, scava in profondità nel malato immaginario contemporaneo occidentale incasellato in vuoti e imposti schemi di pensiero dominati dall’indifferenza, colpisce e ferisce nel profondo il pensiero unico dell’Occidente capitalista… Flotilla è anche questo: un poema che apre nuovi squarci possibili al nostro immaginario, apre varchi di fuga e di resistenza all’irreggimentazione incasellante del pensiero.
Incominciamo. Mi corre l’obbligo… come direbbe colui a cui l’italiano pare bello com’era e come sarebbe senza la fregola di anglicizzarlo, al pari di cent’anni fa quando c’era, per figurare in società, quella di francesizzarlo.
Mi corre l’obbligo di parlare un tantino di me. Ma solo in quanto assurto – o disceso – al ruolo di uno cui è capitato di finire in prima fila, insieme alla sua compagna, in una batracomiomachia che ha imperversato per buona parte della stagione.
L’AntiDiplomatico è stato il campo di battaglia privilegiato in cui si è svolta la disputa, sia perché ospita alcuni dei contendenti più impegnati nella pugna, sia perché, per sue doti di saggezza, equilibrio e lungimiranza, all’un fronte come all’altro ha dato piena libertà di suonare le proprie trombe. Eliminando gli orpelli dialettici, si tratta di chi della Flottiglia Global Sumud ha una buona idea, e chi no; di chi della Palestina e Gaza ritiene di dover evidenziare i tratti umanitari imposti dalla condizione di atroce vittima, e chi ritiene urgente fare emergere l’essenzialità della sua natura politica e di resistenza combattente.
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L’assassinio di Charlie Kirk: sgomento e caos di fronte al declino
di ALGAMICA*
L’assassinio di Charlie Kirk sopraggiunge in un momento di estrema tensione per la tenuta unitaria degli Stati Uniti d’America. Ricordiamo che Charlie Kirk è l’espressione di un movimento giovanile di massa organizzato, Turning Point USA, che confluendo nel MAGA costituisce l’ala giovanile del movimento della nuova destra liberista nazionalista. Conta più di 200 mila iscritti e attivisti. Fondata dallo stesso Kirk quando aveva 18 anni nel 2013, ha ricevuto negli anni cospicui finanziamenti milionari da diverse lobby economiche in particolare da quelle ebraiche americane. In sostanza non un personaggio qualsiasi, o un agitatore qualsiasi della nuova destra conservatrice americana. Bensì un leader politico a tutto tondo che incarna le necessità di compositi strati sociali della gioventù bianca, che sulla base delle quali fondano la loro azione, programma e organizzazione militante di massa. Viceversa, era il 14 giugno quando Melissa Hortman, parlamentare democratica per lo Stato del Minnesota, veniva assassinata insieme al marito e al cane da Vance Luther Boelter, un evangelico cristiano e antiabortista, che si era introdotto in casa fingendosi un poliziotto. In comune c’è l’avanzare della dialettica politica come politica della violenza, dunque l’assassinio per un movente politico, ma la scossa indotta dai due fatti è decisamente differente. L’assassinio di Kirk è un shock dirompente. La vittima è un vero pezzo da novanta nel panorama della politica nazionale americana, ma anche di quella occidentale, che accade in uno scenario altamente critico, nel quale e in particolare agli occhi dell’America bianca la coesione della nazione appare vicina ad andare in frantumi.
La Greatest Los Angeles fino a fine luglio è rimasta sotto controllo militare degli US marines e di migliaia di soldati della Guardia Nazionale, inviati per sedare le rivolte spontanee contro i rastrellamenti degli immigrati “irregolari” e a protezione delle operazioni di rastrellamento che proseguono al ritmo di 3000 al giorno in tutta la nazione.
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Due potenti e un genocidio
di Paola Caridi, Tomaso Montanari
«Il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario». L’articolo 1 della Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano esprime in forma ufficiale ciò che resta del potere temporale dei papi. È l’ultima traccia di quella doppia natura del papato, autorità religiosa e morale da una parte, signoria mondana dall’altra. Questa doppia natura, ci si è sempre chiesti, è coerente col comandamento del Signore circa l’essere «nel mondo, ma non del mondo», o invece non lega i successori di Pietro alla logica dei principati e dei regni, quelli che il diavolo promette a Gesù nelle tentazioni, ritenendoli suoi? In altre parole, il papa-sovrano che accetta la logica del potere mondano è il san Pietro che ama il Signore, o quello che lo tradisce?
A questa discussione secolare, papa Francesco aveva dato una risposta scardinante: quella della profezia. Un papa non secondo il mondo, ma secondo il Vangelo: capace di spiazzare ogni suo interlocutore perché la profezia e la potestà papale non avevano forse mai coinciso, nella storia bimillenaria della Chiesa. Il suo parlare era sì, sì, no, no: così contravvenendo alla prima regola del potere terreno, quella di una sistematica menzogna. Leone XIV non è, con ogni evidenza, un profeta: con lui il papato torna nell’alveo ordinario dell’esercizio del potere. Fin qui, purtroppo, nulla di strano: ‘strano’ era Francesco.
Ma l’udienza concessa al capo dello Stato di Israele, Isaac Herzog, non è ordinaria nemmeno per la tradizione spregiudicata del potere papale: non ha la prudenza né la saggezza. La bandiera israeliana nel cortile di San Damaso, gli onori militari resi dalla Guardia svizzera, la stretta di mano davanti ai fotografi, lo scambio dei doni, il tenore del comunicato stampa: ognuna di queste cose è uno scandalo (cioè, letteralmente, una pietra d’inciampo: specie per i cristiani). Perché Herzog rappresenta uno stato genocida: e papa Francesco – in sintonia con la scienza giuridica e la coscienza del mondo – chiamava ‘genocidio’ quello in corso a Gaza
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Menzogne europee sulle due guerre
di Barbara Spinelli
Mentre la Commissione europea propone il 19° pacchetto di sanzioni contro la Russia, e continua a ripetere gli identici errori commessi in passato – armare ulteriormente l’Est della Nato e Kiev, in modo che Mosca si senta ancor più minacciata e prosegua la brutale offensiva in Ucraina – nulla di paragonabile accade sul fronte medio orientale, dove lo Stato d’Israele sta liquidando i palestinesi a Gaza, ed è pronto ad annettere quasi tutta la Cisgiordania oltre a Gerusalemme Est, occupate dal 1967.
Se si eccettuano Spagna e Irlanda, inflessibili con Netanyahu, alcune sanzioni europee sono suggerite, ma niente blocco dell’invio di armi. E niente esclusione da Horizon: le sovvenzioni a Israele del programma scientifico europeo ammontano a 100 milioni di euro, più 442.750 milioni per l’azienda militare Rafael. Sono contro l’esclusione Italia, Germania, Austria, Repubblica Ceca, Ungheria. Un video promozionale di Rafael mostra il drone Spike FireFly (pagato da noi europei) che colpisce un civile palestinese inerme.
La presidente della Commissione Von der Leyen ha proposto di sospendere parti del trattato commerciale (dazi su alcuni prodotti) e di sanzionare i ministri Smotrich, Ben Gvir e nove “coloni violenti” in Cisgiordania.
Lo aveva già fatto Biden nel febbraio e novembre ’24, sanzionando 33 coloni senza alcun successo. È improbabile che i coloni, Smotrich e Ben Gvir vadano in vacanza in Europa. Anche qui, come nel caso delle sanzioni contro Mosca, si adottano le stesse misure pensando che diano risultati diversi.
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Un paese ridotto alla fame e alla guerra per un punticino in più di rating
di Sergio Scorza
L’agenzia statunitense di rating, Fitch, ha appena alzato il punteggio dell’Italia, portandolo da BBB (merda di cane) a BBB+(merda di vacca). Può sembrare una differenza minima, ma era dal 2021 che non succedeva. Tra le motivazioni principali c’è il fatto che il debito pubblico sta scendendo.
Ora, facciamo pure finta che Fitch non sia la stessa agenzia di rating accusata, insieme ad altre agenzie come Standard & Poor e Moody’s, di aver assegnato rating eccessivamente elevati a titoli finanziari legati ai mutui subprime, contribuendo così alla devastante crisi finanziaria del 2008 e prendiamo per buona(con riserva) questa ultima valutazione sui conti pubblici italiani. Ed, allora, chiediamoci: perché il debito pubblico italiano sta scendendo?
La risposta è quella che stanno dando anche alcuni economisti liberal-liberisti ed è la seguente: il debito pubblico italiano si è abbassato quasi esclusivamente grazie all’inflazione che si sta mangiando salari e stipendi.
In un paese come l’Italia, in cui lavoratori e pensionati pagano circa il 96,72% dell’IRPEF; un paese con i salari e gli stipendi più bassi dell’area UE e più magri di 30 anni fa 1; un paese con milioni di trattamenti pensionistici da fame (a proposito: che fine ha fatto la proposta del governo Meloni di portare le pensioni minime a 1′.000 euro?), a fronte di un inflazione che, da qualche anno ha ricominciato a viaggiare a due cifre, chi è che ha fatto aumentare in modo considerevole il prelievo fiscale? Ma certo, lavoratori e pensionati!
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I "cieli della Nato" e le ultime vette toccate dal Corriere della Sera
di Fabrizio Poggi
Furfanti, canaglie, falsari: difficile raccapezzarsi nella scelta delle caratteristiche per cui si distinguono, in un pericoloso crescendo, i guerrafondai euroatlantisti e i manigoldi delle redazioni belliciste che fanno loro da portavoce.
«Sfida di Putin nei cieli della NATO», è il titolone di prima pagina del Corriere della Sera dopo il presunto sconfinamento di tre jet russi nello spazio aereo estone. Ovvio che la secca smentita del Ministero della difesa russo, secondo cui non c'è stato alcuno sconfinamento, come confermato dai dispositivi di controllo aereo e i caccia erano in volo programmato dalla Karelia verso Kaliningrad, venga bellamente ignorata: roba da “amici di Putin” e non per “giornali seri”, di regime!
Invece, avanti con la “provocazione” ai danni dell'aereo di Ursula-Demon-Gertrud, forza coi droni russi sulla Polonia, vai con le immagini della colonica polacca a Wyryki colpita dai droni russi, mentre la stessa Varsavia parla di missile polacco finito per sbaglio sulla casa; si batta il tasto dei “poveri ucraini” bombardati giorno e notte dai barbari della tajga, ma si taccia sull'ennesimo attacco ucraino alla centrale nucleare di Zaporož'e, mentre veniva ispezionata dai tecnici della IAEA.
Già, ma Kaliningrad, verso cui volavano i MiG-31, può essere davvero assunta da Mosca «come pretesto per l'invasione», titolano a via Solferino, perché già nelle passate visioni NATO di ipotetica “invasione russa dell'Europa” – già, proprio dell'Europa; non di una regione, un paese; no: proprio l'Europa tutta intera! - questa sarebbe partita da Kaliningrad. Occupata la Lettonia dai russi, i fieri battaglioni NATO, quelli cui partecipa anche l'Italia, dopo il vertice NATO in Galles nel 2014, «avrebbero stretto ai fianchi l’esercito russo sconfiggendolo».
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Lo sterminio a Gaza: l'effetto Seneca al massimo livello
Molto peggio di quanto possiate immaginare
di Ugo Bardi
Quando ho pubblicato il mio libro, “L’Età dello Sterminio” nel 2024, non immaginavo che potesse essere così profetico quando ho notato la tendenza storica delle minoranze ad essere sterminate dai gruppi più grandi. È esattamente ciò che stiamo vedendo a Gaza. Lì potremmo presto assistere agli effetti della “sindrome da rialimentazione” che causa la morte rapida delle persone dopo un lungo periodo di fame, anche se vengono fornite loro delle provviste alimentari. È un ulteriore esempio dell'effetto Seneca espresso con la frase “La rovina è rapida”. (Attenzione: forse è meglio non leggere questo post).
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Nel “De Bello Judaico” (I secolo d.C.), Flavio Giuseppe (Yosef ben Matityahu) (*) ci racconta la storia dell'assedio di Gerusalemme da parte dell'esercito romano nel 70 d.C. Fu l'evento culminante della rivolta ebraica iniziata nel 66 d.C. e completamente sedata dopo la caduta di Masada nel 73 d.C. Tra le altre cose, il testo di Flavio Giuseppe è uno dei primi resoconti dettagliati dell'uso della fame come arma d'assedio. Dal libro 5, capitolo 12
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Mario Draghi, ovvero l’ontologia del tecno-capitalismo
di Lelio Demichelis
Il recente discorso di Draghi a Bruxelles a un anno dalla presentazione del suo Rapporto è una quintessenza del pensiero tecnocratico neoliberale. Per competere con Cina e USA serve il primato della crescita e dello sviluppo, meno limiti alle imprese e quasi nessuna cura per la democrazia e la tutela dell’ambiente.
“Monito all’Europa”. “Discorso accorato e appassionato”. “Parole nette. Parole scandite”. “Un ultimatum ai governi”. Questi alcuni dei titoli che hanno accompagnato il recente discorso di Mario Draghi per celebrare un anno dalla presentazione del suo Rapporto sulla competitività. Ma per quale Europa parla Draghi? E in nome di chi ha redatto il suo Rapporto? Poche, come sempre le critiche, molte, come sempre, le lodi. Nessuno (o pochissimi) ha cercato di analizzare la filosofia – meglio: l’ontologia e la teleologia (e la teologia economica e tecnica) – sottesa al suo Rapporto e al suo discorso. Intendendo con ontologia, il senso per cui l’uomo deve essere formattato per essere funzionale al sistema e alle esigenze del capitale, e con teleologia intendendo le finalità da perseguire mediante l’ontologia sistemica, cioè l’accrescimento incessante di profitto, del mercato e dei sistemi tecnici integrati e convergenti in mega-macchine.
Il discorso di Draghi merita quindi un’analisi dettagliata e approfondita. Recuperando quel pensiero critico oggi quasi scomparso dalla scena politica e culturale, ma senza il quale non si capisce il mondo che cambia e come sta cambiando e chi lo sta cambiando a nostra insaputa.
Iniziamo con una notazione: Draghi cita molte sigle e molti acronimi – IPCEI, PPA, CfD, ScaleupEurope – ma non cita mai il più importante, l’IPCC, ovvero The Intergovernmental Panel on Climate Change, i cui studi e i cui allarmi sul cambiamento climatico e ambientale, cioè sull’ecocidio in corso (prodotto dall’uomo, o meglio: da tre secoli di rivoluzione industriale tecnica e capitalistica basata su profitto e sfruttamento di uomini e biosfera, a prescindere dall’uomo), dovrebbero essere invece la bussola per guidare e attuare (questa sì urgentemente) la trasformazione radicale del sistema tecnico e capitalista nel senso di responsabilità (e giustizia) ambientale, sociale e intergenerazionale.
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Il genocidio sta accadendo. Proprio in questo momento
di Giovanni Pillonca
Il primo quadro che Hedges ci consegna in questo suo ultimo libro, A Genocide Foretold (ora anche in edizione italiana, per Fazi) è quello del suo ritorno, a un anno dal 7 ottobre, nei territori noti e a lui cari della Cisgiordania: egli è stato, infatti, per 7 anni a capo della sezione Medio Oriente del NYT e per il suo lavoro di giornalista è stato insignito del premio Pulitzer.
Hedges vuole incontrare un suo vecchio amico, lo scrittore Atef Abu Saif, che ha appena pubblicato Don’t Look Left: A Diary of Genocide (Boston: Beacon Press, 2024), un libro che contiene il resoconto degli 85 giorni trascorsi da Abu Saif a Gaza dove si trovava in visita a dei parenti il 7 ottobre e dove resta bloccato dall’attacco israeliano e dalla conseguente chiusura di tutti i varchi.
Abu Saif è un testimone prezioso. Essendo nato nel 1973, ha vissuto le tragedie e le speranze del suo popolo dell’ultimo mezzo secolo, dalla guerra del Kippur, passando per le due intifada, inframmezzate dai colloqui che portarono agli accordi di Oslo, a loro volta sconfessati dall’inarrestabile processo di spossessamento prodotto dall’occupazione e da tutte le rappresaglie di Israele sui Territori e tutte le operazioni su Gaza degli ultimi vent’anni. Abu Saif si trovava, infatti, a Gaza anche durante la campagna denominata “Piombo fuso” del 2008-2009 e durante quella del 2014 chiamata “Margine protettivo” su cui si basa il suo The Drone Eats Me: Diaries From a City Under Fire.
Già a pochi giorni dall’inizio dei bombardamenti Gaza si presenta come “una landa desolata di macerie e detriti”, da cui affiorano le membra delle vittime sorprese dai bombardamenti. Mentre rischia ogni giorno la vita, Saif è colpito direttamente dalla morte di persone care, la nipote adolescente cui vengono amputate entrambe le gambe, e che chiede di morire, dall’eliminazione mirata di giornalisti, di colleghi scrittori e poeti, tra i quali l’amico Refaat Alareer, l’autore di “Se devo morire”, la poesia più tradotta e citata in questi ultimi mesi. L’eliminazione di testimoni articolati ed eloquenti come Alareer, e in genere di altri scrittori, era stata preannunciata da settimane di minacce ricevute per telefono da numeri israeliani.
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Iperturismo, il lato oscuro di un’industria globale da 11 trilioni di dollari
di Alberto Burba
Il 27 settembre è la Giornata mondiale del turismo. Ma dietro ai lustrini si nascondono sfruttamento, precarizzazione e distruzione dei territori
Industria da 11 trilioni di dollari, 357 milioni di posti di lavoro e 1,4 miliardi di viaggiatori: il turismo è una miniera d’oro globale. Ma dietro le celebrazioni Onu e gli slogan sulla sostenibilità si nasconde un flagello, l’iperturismo. I dati sono impressionati: ad Andorra ci sono 52 turisti per abitante, nell’isola greca di Zakynthos 150 e nel centro storico di Venezia 520. Le conseguenze? Crisi ambientale (Maya Bay in Thailandia), erosione culturale (Dubrovnik svenduta a Instagram), speculazione immobiliare (Napoli espugnata da Airbnb). Governi e multinazionali concentrano i profitti, mentre i territori vengono devastati, come in Albania dove la cementificazione selvaggia distrugge le coste.
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Dà lavoro a 357 milioni di persone. Genera un volume d’affari pari al 10% del Prodotto interno lordo mondiale. Sposta 1,4 miliardi di anime ogni anno. Ha un tasso di crescita tra il 3 e il 6 percento. E in cinque anni si è ripresa con grande agilità dalla crisi del Covid.
È l’industria del turismo, una miniera d’oro che ogni anno sforna 11 trilioni di dollari. Venerata ai quattro angoli del pianeta, nel 1979 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha pensato bene di dedicarle un giorno tutto suo: il World Tourism Day, la giornata mondiale del turismo, che si festeggia ogni 27 settembre. Ma dietro ai lustrini dei summit internazionali e alla retorica sulla «sostenibilità» si nasconde il rovescio della medaglia, che alimenta sfruttamento, precarizzazione, concentrazione dei profitti in mano a pochi e distruzione dei territori.
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