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“Se pur c’era di questi untori”. Ideologia immunitaria e fantasmi comunitari
di Luigi Cavallaro
Ciò che vien proposto con il nome di «paradigma immunitario», punto d’annodamento delle semantiche del diritto come della politica, della tecnologia come della medicina, altro non è che il vestimento ideologico dell'alienarsi della sovranità politica nel mercato concorrenziale: il quale ultimo concepisce il legame sociale soltanto nella forma di una indifferenza fra individui che poi rimangono soggiogati dall'interesse economico
Poiché nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende.
(Leonardo Sciascia, La strega e il capitano, 1986.)
In tempi di pandemia, conviene tornare ai classici. Alla Storia della colonna infame, precisamente, e più ancora a quel magnifico prologo che ne sono il XXXI e il XXXII capitolo dei Promessi Sposi. Perché se aveva ragione Sciascia, quasi cinquant’anni fa, a dolersi che la Storia manzoniana fosse rimasto «un piccolo grande libro tra i meno conosciuti della letteratura italiana»[1], è possibile (e diremmo anche probabile) che questo misconoscimento, che non abbiamo motivo di dubitare perduri, non sia casuale.
La Storia, senz’altro questo si saprà, narra del processo che fu intentato a Milano, durante la tremenda pestilenza del 1630, nei confronti di due presunti “untori”, accusati di aver diffuso la peste «con venefizi e malefizi» e, per ciò, incredibilmente condannati a morte atroce. La credenza che la diffusione delle epidemie si dovesse a malfattori che le spargevano ad arte tra le popolazioni è in effetti antica, ma si prolunga alla nostra modernità: lo stesso Sciascia, chiosando la Storia manzoniana, la attesta almeno fino alla pandemia di “spagnola”, che funestò particolarmente l’Europa alla fine del primo conflitto mondiale, e ne ascrive il periodico, virulento risorgere alla tendenza dei «cattivi governi» di far ricorso al «nemico esterno» quando si trovano ad affrontare situazioni che non sanno o non possono risolvere[2].
Ma più vicini che all’illuminista Sciascia noi ci sentiamo oggi al cattolico Manzoni: e Sciascia non ce ne vorrà se, per dirlo, abbiamo deliberatamente parafrasato parole sue[3].
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Tra emergenza e coronopticon. Tendenze e contraddizioni del capitalismo in crisi
G. Molinari e S. Cominu intervistano Christian Marazzi
La contingenza attuale è uno snodo importante della storia: mentre accelerano i processi di ristrutturazione, l’emergenza sanitaria fa emergere con forza le fragilità dell’impalcatura sui cui si basa il dominio capitalistico e lascerà impressi profondi segni nel tessuto sociale e nelle soggettività. Consci del fatto che probabilmente è prematuro delineare tendenze di lungo corso, abbiamo approfondito alcune questioni con Christian Marazzi.
Se in una prima fase dell’epidemia abbiamo visto fronteggiarsi due differenti modelli di gestione dell’emergenza sanitaria, successivamente tutti i paesi, stretti dalla necessità di contenere l’incedere del virus, si sono adattati alla «via statalista». Oggi, se leggiamo gli editoriali della stampa sulle prospettive e sul rilancio dell’accumulazione, ci rendiamo conto che si insiste molto sulla necessità di determinati investimenti: infrastrutturali (compresi quelli sul digitale) che consentano di rendere efficiente questa forma di produzione, sui settori riproduttivi, come ad esempio la sanità, e via discorrendo. Sono investimenti che richiedono necessariamente un ruolo dello Stato come finanziatore. Spesso nelle analisi degli ultimi anni si è insistito sul venir meno delle prerogative statuali, pensi che oggi si possa intravedere un ritorno forte dello Stato? Con che modalità esso si ripresenta?
«Al momento non darei per scontata la svolta verso uno Stato sociale attivo, che negli anni precedenti è stato fortemente ridimensionato e delegittimato con le conseguenze che oggi si vedono ad esempio in ambito sanitario. Siamo in una situazione nella quale certamente c’è una possibilità di rilancio; lo Stato sociale storicamente ha avuto un importante ruolo negli anni della crisi e della depressione, basti pensare agli anni Trenta o al periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Ad esempio in Inghilterra il piano di rilancio del dopoguerra, pensato anche come forma di riparazione ai sacrifici della seconda guerra mondiale, ha determinato grandi investimenti nella sanità pubblica e le nazionalizzazioni dell’energia e ha permesso al Partito Laburista di uscire vincitore su Churchill, colui che sembrava l’eroe della vittoria contro il nazifascismo.
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Il capitale mette in circolo tutto, a cominciare dai virus
di Rob Wallace, A. Liebman, L. Fernando Chaves, Rodrik Wallace
Uno studio che dovete leggere per forza. Nessuna ideologia, nessuna formulazione astratta. Solo un’analisi – quasi un documentario – di come ha funzionato fin qui il nostro mondo neoliberista. Una serie di immagini che legano deforestazione, allevamenti intensivi, diminuzione delle varietà genetiche, popolazioni immuni per storia millenaria a patogeni locali che – attraverso le filiere mondiali dell’agrobusiness – porta agenti patogeni finora “a chilometro zero” in tutto il mondo, in ogni angolo del pianeta. Presso popolazioni che non hanno alcun anticorpo specifico.
La “globalizzazione” ha partorito il più letale dei meccanismi distruttivi, ma sarebbe ancora affrontabile se ci fosse un governo del mondo unitario e orientato al benessere – o almeno alla sopravvivenza – del genere umano.
Invece viviamo in un ecosistema suicidiario che mette al primo posto in profitto di alcune aziende in competizione con tutte le altre; le quali orientano molto facilmente le scelte di Stati che sono in competizione con tutti gli altri. Basta vedere come la volontà di Confindustria abbia abbattuto qualsiasi possibilità di limitare le conseguenze dell’epidemia nelle regioni più industrializzate di questo Paese. Ma è così dappertutto…
Un sistema che non può perciò affrontare una pandemia minimizzando i costi umani e persino quelli economici. Un sistema che, se pure dovesse “tornare com’era prima”, sarebbe semplicemente in attesa di una nuova pandemia più micidiale dell’attuale, con la stessa impreparazione e “minimizzazione” del suo impatto sulle popolazioni.
La rassegna del mese del Monty Review: da https://monthlyreview.org
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«Die Aufhebung der Arbeit». Attualità e prospettive del superamento del lavoro
di Mario Lupoli
Il superamento del lavoro (Die Aufhebung der Arbeit) è un tema centrale per ripensare la trasformazione radicale dell’attività umana in una società comunista. Questo contributo si propone di rimetterlo oggi a tema, nella consapevolezza che possa rappresentare un asse fondamentale attorno cui approfondire la riflessione sulla dialettica tra necessità e libertà, sulle modalità di relazione uomo-natura e sulle stesse forme di razionalità dominanti
… die kommunistische Revolution sich gegen
die bisherige Art der Tätigkeit richtet, die Arbeit beseitigt... …
la rivoluzione comunista si rivolge
contro il modo dell’attività che si è avuto finora, sopprime il lavoro…
(K. Marx, F. Engels)
Lavoro: dalla dannazione al superamento
Quando si prospetta l’effettivo statuto della «libertà» nel comunismo, il tema del lavoro è necessariamente centrale, per l’importanza che assume nella vita degli individui e della società umana.
Il lavoro è una forma determinata dell’attività umana in generale, e delle forme di attività produttive in particolare.
Dalle sue origini è connesso alla mancanza e alla sofferente attività necessaria per porvi rimedio.
Lavoro, in greco (πόνος, pònos), rimanda sia a penuria che a pena. Operaius, in latino, è uomo di pena. Lavoro è sempre sofferenza[1]. «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra»: così Yahweh ammonisce l’Adam nel mito di Genesi (Gn 3:19).
Non si tratta naturalmente del semplice dispendio di energie legato a ogni attività, che sia scrivere una poesia, curare una rosa, giocare con un bambino o passeggiare in riva al mare.
Al labor si lega qualcosa di specifico: quella disperante fatica data dal vincolo, dall’oppressione, dal fatto che gli obiettivi posti al proprio agire siano determinati da un’autorità altra ed esterna, una necessità contrapposta alla nostra libertà.
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Il fondo europeo contro la disoccupazione? Un bluff per far accettare il Mes
di Alessandro Somma
La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen chiede scusa a Italia e Spagna per l’assenza di empatia finora dimostrata nella gestione dell’emergenza sanitaria e annuncia trionfalmente un cambio di rotta. Lo fa presentando un piano da cento miliardi per il sostegno alla disoccupazione, fiore all’occhiello di una nuova “solidarietà europea”. La cortina fumogena di questa retorica nasconde però una realtà ben diversa: il piano è un bluff, probabilmente pensato per far rientrare le richieste di emissione di bond europei e magari anche per far accettare un intervento del famigerato Meccanismo europeo di stabilità. Vediamo perché.
Un fondo per crisi asimmetriche
Disponiamo al momento di una proposta di regolamento “che istituisce uno strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza (Sure)[1], che pone innanzi tutto problemi per la sua base legale. Lo strumento viene infatti creato ai sensi della stessa disposizione utilizzata per l’assistenza finanziaria fornita dal Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) ai Paesi colpiti dalla crisi del debito prima dell’istituzione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes): Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. La disposizione è l’art. 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e in particolare il suo comma 2:
Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un'assistenza finanziaria dell'Unione allo Stato membro interessato.
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Gli eurobond fra logica economica, sofismi e difficili mediazioni
di Stefano Lucarelli
Introduzione
In questo contributo sottoponiamo a critica la seguente tesi recentemente avanzata da Bisin et alii (2020): gli eurobond senza condizionalità sono uno strumento di gran lunga inferiore al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Il nostro è un esercizio di critica interna. Pertanto, non mettiamo inizialmente in discussione l’idea degli autori che l’emissione di eurobond sia riconducibile ad un contratto fra un assicuratore e un assicurato. Pur riconoscendo che questa rappresentazione è di per sé opinabile, ci concentriamo innanzitutto sulla robustezza logica della tesi di Bisin et alii (2020), per chiarire in che senso si possa davvero parlare di moral hazard in questo contesto. Mostriamo allora in che modo il moral hazard possa essere superato, giungendo così a svelare la natura sofistica della tesi che abbiamo sottoposto a critica.
Nei paragrafi conclusivi cercheremo di suggerire alcuni spunti di riflessione che riteniamo utili per comprendere il difficile processo di mediazione che impegnerà nei prossimi giorni i rappresentanti del nostro Governo.
Il contesto
La videoconferenza informale dello scorso 26 Marzo sulle misure di politica economica da porre in atto per affrontare la Pandemia da Covid19 ha, come noto, messo chiaramente in luce le divisioni interne ai 27 Paesi dell’Unione Europea.
La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si sono assunti il compito di presentare entro il 5 Aprile delle proposte di lungo periodo da concordare con le altre istituzioni europee.
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Non torneremo alla normalità…
di Coordinamenta femminista e lesbica
Un nostro contributo per Continuare a pensare/Continuare a lottare…
“Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema” (parole dal Cile in rivolta).
Premessa
È in atto una pandemia da Coronavirus. Non riteniamo utile entrare nei dettagli di tipo scientifico e tecnico. Non servirebbe perché scienza e ricerca non sono affatto neutrali. Ci interessa piuttosto indagare a capire le cause e gli effetti, attuali e futuri, di quello che sta succedendo.
Punto in comune tra le molteplici teorie: la pandemia è prodotto del modo di produzione capitalistico (v. https://jacobinitalia.it/la-pandemia-del-tardo-capitalismo/ + altri riferimenti in bibliografia).
L’emergenza sanitaria, d’altra parte, è il risultato delle politiche neoliberiste, ossia della deregulation, delle privatizzazioni e dello smantellamento dello stato sociale.
Tutti lo dicono, ma ben attenti a occultare il fatto che tutte/i quelle/i che negli ultimi decenni hanno opposto le loro idee, le loro azioni e il loro corpo (sì, perché per fare politica c’è bisogno di metterci anche il corpo) a queste politiche sono state/i criminalizzate/i, represse/i, marginalizzate/i. Nel periodo “prepandemico” erano loro, eravamo noi, gli irresponsabili: quelle/i che resistevano agli appelli al senso del sacrificio imposto dalle politiche dell’austerità.
Le crepe nella normalità
Già in numerose occasioni ci siamo confrontate su quello che significa oggi l’azione politica e sui numerosi ostacoli che si frappongono, in una società neoliberista, alla costruzione di un discorso e di percorsi realmente antagonisti.
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Un'economia di guerra?
di Michael Roberts
Se le pandemie fossero uguali in tutti i paesi, l'immagine che vediamo qui sopra ci indicherebbe il modo in cui finirà questa, di pandemia. In tutti i paesi il coefficiente che indica la relazione tra inizio e fine dell'infezione sarebbe di 40-50 giorni. Ma molti paesi ancora non sono nemmeno vicini al punto di picco, e non c'è alcuna garanzia che il picco ci sarà nello stesso momento, visto che i metodi di limitazione e prevenzione (analisi, autoisolamento, quarantena e lockdown) funzionano diversamente. Ma alla fine ci sarà un picco ovunque, e la pandemia si attenuerà, anche se lo farà solo per tornare l'anno successivo, forse. Ciò che appare chiaro è che il blocco che sta avendo luogo in così tante economie maggiori provocherà un enorme crollo della produzione, degli investimenti e dei redditi nella maggior parte di queste economie. L'OCSE riassume meglio quale sia il quadro. L'effetto che avrà l'impatto dovuto alla chiusura delle attività potrebbe causare una riduzione del 15%, o più di quello che è il livello di produzione in tutte le economie avanzate, e nelle principali economie dei mercati emergenti. Nell'economia centrale, la produzione diminuirebbe del 25%... «Per ogni mese di contenimento, ci sarà una perdita di 2 punti percentuali nella crescita annuale del PIL».
Rileggendo il mio libro, "The Long Depression", ho scoperto che la perdita di PIL, nelle maggiori economie, dall'inizio della Grande Recessione del 2008, attraverso i 18 mesi che ci hanno portato a metà del 2009, è stata superiore al 6% del PIL. In quel periodo, il PIL reale globale è sceso di circa il 3,5%, mentre le cosiddette economie dei mercati emergenti non hanno avuto nessuna contrazione (dal momento che la Cina ha continuato ad espandersi).
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Messaggio ai medici e infermieri oltre la pandemia
di Carla Filosa
Non è lo spirito di sacrificio che il sistema premia con i centesimi e loda con lusinghiere parole, ma è l’accoglimento forzato e inconsapevole del destino liberista che rende la professione medica un martirio e l’etica sociale una pratica straordinaria
Al posto dell’occhiello, la citazione di una parte finale della poesia di B. Brecht, intitolata “Messaggio” [1] viene qui riportata all’inizio di queste brevi osservazioni sull’andamento della pandemia in atto, data la stretta attinenza ai problemi che ognuno di noi sta vivendo, quotidianamente assillati da informazioni contrastanti, in un disorientamento forse non voluto e comunque di impianto istituzionale assolutamente nuovo.
Il “Messaggio a medici e infermieri”
«Ora a voi, medici e infermieri. Pensiamo
che anche fra di voi ci debba essere qualcuno,
pochi forse, ma qualcuno sì, che
si rammenti dei doveri verso quelli
che hanno, come loro, apparenza umana. Invitiamo
costoro a sostenere i nostri ammalati
nella loro lotta contro le Mutue e le consuetudini ospedaliere
che riguardano la classe oppressa.
Impegnarvi in lotta con altri, con gli strumenti compiacenti
dello sfruttamento e dell’inganno. Vi chiediamo che questi
voi li consideriate come nemici vostri. Facendo questo
voi combattete solo la vostra propria battaglia contro i vostri sfruttatori
che ora vi minacciano di quella medesima fame
che ha fatto cadere il nostro compagno.
Lottate con noi!»
Il «compagno» della poesia riguardava un comunista ammalato di tubercolosi, abbandonato alla fame e all’umidità, cui giunge l’esortazione a lottare sia contro la malattia sia contro l’oppressione, che l’«hanno fatto ammalare». Oggi la tubercolosi, flagello durato fino al secondo dopoguerra, è stata confinata e quasi debellata nei Paesi sviluppati, mentre è ancora una delle prime cause di morte nei paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia con circa 2 milioni di morti l’anno.
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Economia e pandemia: domande e risposte sull’Italia e l’Europa
Intervista a Sergio Cesaratto
“A successful and long lasting union, like the US, helps its members in need. When New Orleans was hit by Hurricane Katrina, the initial faltering response horrified the nation. Congress then sent $71bn in aid, equivalent to more than a third of Louisiana’s gross domestic product. It did not content itself with waiving a balanced budget clause and allowing the state to plunge into debt. Other US states did not complain that Louisianans were lazy and corrupt, or wasted money on drinks and women, as the former head of the eurogroup of finance ministers, Jeroen Dijsselbloem, infamously said of southern Europeans.” Luigi Zingales (University of Chicago). [1]
Perché l’Europa dovrebbe salvare l’Italia che è stato un paese cicala?
Contrariamente a quanto dipinto dai mass media e, in maniera inqualificabile, da Jeroen Dijsselbloem, l’Italia è da trent’anni un paese frugale. Questa frugalità è misurabile dai surplus primari del bilancio pubblico [i saldi al netto della spesa per interessi] che sono in attivo dall’inizio degli anni novanta. In altre parole, da trent’anni gli italiani pagano più tasse di quanto ricevono come servizi pubblici o pensioni. E’ la spesa per interessi che manda in disavanzo lo Stato italiano, non una spesa pubblica allegra (naturalmente molta spesa pubblica è indirizzata male, ci sono sprechi, c’è molto da migliorare come efficienza ma, per esempio, il numero dei dipendenti pubblici in Italia è in rapporto alla popolazione molto inferiore alla Germania, come anche evidenziato dalla crisi sanitaria).[2] Anche David Folkerts-Landau, capo economista della Deutsche Bank ha ammesso due anni fa che “contrariamente a un diffuso pregiudizio, l’Italia è stato un Paese frugale".[3] Queste sono fra le poche voci “oneste” che si sono levate.
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La causa assente: tempo e lavoro all’epoca del coronavirus
di Fabio Vighi
Nell’accelerare il processo implosivo del capitalismo globale, Covid-19 ci permette di toccare con mano il vuoto attorno a cui pulsa l’ormai sterile dialettica del capitale. Silenzioso e invisibile, il virus che oggi paralizza le nostre società contiene un piccolo frammento utopico proprio nell’incarnare il ‘grado zero’ della nostra condizione. A margine di sempre più improbabili resurrezioni neo-keynesiane o (peggio) neoliberiste, si avvicina una resa dei conti che converrebbe affrontare con spirito autenticamente critico piuttosto che (fingere di) ignorare
Pensare di poter fare ‘buon uso’ del Covid-19 è senz’altro un’illusione, oltre che offensivo per chi – come sempre le fasce sociali più deboli – muore, soffre e si appresta a fronteggiare una recessione devastante. Tuttavia, dobbiamo ammettere che il virus ci consegna un oggetto sempre più raro nella nostra epoca, ovvero un tempo almeno parzialmente liberato dalla ‘passione conformistica’ che ci lega al nostro mondo. Improvvisamente diventa possibile, in un certo senso inevitabile, sottrarci agli imperativi (o ‘aperitivi’) categorici che regolano le nostre vite. Alla fissità dello spazio in cui siamo costretti fa da contraltare una temporalità svincolata dai regimi di comportamento coattivo del turbocapitalismo post-industriale. Volente o nolente siamo obbligati a fermarci e ad ascoltare il silenzio di un mondo che, almeno per ora, non ci appartiene più.
1. L’evento-trauma
Se l’evento-coronavirus non può che essere percepito come trauma da intere popolazioni assoggettate alla disciplina economico-esistenziale del capitale, dobbiamo ugualmente provare a far tesoro dell’esperienza dello scacco.
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Il covid-19, l'inadeguatezza del capitalismo e la necessità della pianificazione
di Domenico Moro
Una crisi potenzialmente più profonda di quella del 1929
Quella davanti a cui ci troviamo è una sorta di “tempesta perfetta”, che dimostra l’inadeguatezza storica del modo di produzione dominante, quello capitalistico. Infatti, la Pandemia del Covid-19 interviene in un momento delicato per l’economia mondiale, in cui la ripresa ciclica perdeva vigore anche a causa di eventi come la Brexit, i dazi protezionistici e il rallentamento dell’economia tedesca. In gran parte del mondo più avanzato e industrializzato le attività sono bruscamente rallentate e in certi settori fondamentali sono del tutto o quasi del tutto ferme. Metropoli come New York, Madrid e Milano sono in quarantena.
Solo in Italia si calcola che il 60% delle attività produttive sia bloccato. Ciò significa che ogni settimana si perdono 10-15 miliardi di Pil. I primi decreti del governo hanno bloccato a casa quasi otto milioni di lavoratori pari al 44% dei dipendenti attivi, ma tale percentuale è destinata a crescere per i nuovi blocchi previsti dal governo. L’entità della perdita di Pil e soprattutto di aziende e posti di lavoro dipenderà dalla durata della serrata che, a sua volta, dipenderà dalla durata della pandemia. Gli esperti dicono che anche dopo il superamento del picco bisognerà mantenere in atto misure di contenimento, che continueranno a gravare sull’attività produttiva anche perché prima di avere la disponibilità di un vaccino passerà un anno e c’è la possibilità che a dicembre prossimo si verifichi una recrudescenza della pandemia influenzale. Secondo le parole di Draghi le conseguenze economiche e lavorative della pandemia saranno “bibliche”.
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Dal contagio alla vita. E ritorno
Ancora in margine alle parole di Agamben
di Luca Illetterati
I.
In molti hanno commentato il piccolo testo di Giorgio Agamben intitolato Contagio, pubblicato sul blog di Quodlibet l’11 marzo 2020, nonché quello successivo, intitolato Chiarimenti, pubblicato il 17 marzo a seguito di una serie di pesanti critiche. Nel primo Agamben rifletteva sulle devastazioni prodotte dalle norme emergenziali a fronte di quella che chiamava la cosiddetta epidemia. Nel secondo cercava di dare giustificazione a quanto detto, asserendo che l’ondata di panico che ha paralizzato il paese e le norme che essa ha prodotto mostrerebbe con evidenza che la nostra società non crede più in nulla se non nella nuda vita, ovvero nella paura di perderla. Il 27 marzo ne è uscito un altro, Riflessioni sulla peste, nel quale in primo luogo cerca di mostrare in che senso la quieta e acritica sottomissione dei cittadini alle norme emergenziali evidenzi una evidente continuità tra la forma di vita da essa imposta con una forma di vita già diventata abitudine prima ancora dell’epidemia e in secondo luogo cerca di evidenziare in che senso la scienza dentro questo clima vada sempre più assumendo il ruolo di nuova religione universale, di nuovo credo al quale affidarsi. Nulla, dunque, che cambi la sostanza del discorso; semmai un suo ulteriore rafforzamento.
Numerosi interventi hanno messo in evidenza l’effetto di quelle righe, soprattutto di quelle dei primi due testi: esse producono una sensazione di meccanicità scontata, frutto dell’applicazione di formule e pensieri che rendono banalmente prevedibile la sostanza del discorso.
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Epidemia, recessione, totalitarismo, guerra
Un virus per cambiare il mondo: in palio l’Eurasia
di Fulvio Grimaldi
I nostri in Occidente sono, da secoli, governanti ad alto tasso malavitoso, in quanto alle dipendenze di poteri criminali organizzati, economici, militari, religiosi, di intelligence, sia formalmente “legali”, sia massonico-mafiosi. Il quadro politico, economico e sociale che si vorrebbe produrre dall’attuale congiuntura, corrisponde a un disegno che annovera precedenti in tutte le fasi storiche in cui i popoli si sono fatti sottomettere e hanno condiviso la visione delle élite.
Verso il tecnofeudalesimo e il bioassolutismo
Alla fine di questa gigantesca operazione di riordinamento dell’Occidente in chiave di tecnofeudalesimo e bioassolutismo, ci saranno inevitabilmente conseguenze economiche rispetto alle quali altre crisi epocali, come quella del dopoguerra 1918 e del ’29, parranno, appunto, una lieve influenza. Da bischero toscano o, se volete, da nescio genovese, di economia so solo, per grandi linee, ciò di cui i veri saputi mi hanno beneficiato. E non è difficile condividere con loro, già solo su basi storiche e logiche (il famoso cui prodest), la visione di una società in cui le conseguenze, non del virus, ma dei provvedimenti presi, più o meno stoltamente e strumentalmente, da decisori (ir)responsabili, assomiglierà sul piano sociale a quella del tanto paventato day after nucleare.
In un futuro prossimo, per quanto reso nebbioso dalla totale mancanza di trasparenza dei provvedimenti e propositi dei vari regimi, già si possono intravvedere esiti catastrofici per vaste categorie di esseri umani.
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Primavera silenziosa
di Resistenze al nanomondo
È ragionevole descrivere
una sorta di imprigionamento per mezzo di un altro
quanto descrivere qualsiasi cosa
che esiste
realmente
per mezzo di un’altra che non esiste affatto
Daniel Defoe
Perché dovremmo sopportare una dieta di veleni non del tutto nocivi, una casa in sobborghi non del tutto squallidi, una cerchia di conoscenze non del tutto ostili, il frastuono di motori non così eccessivo da renderci pazzi?
Chi dunque vorrebbe vivere in un mondo non del tutto mortale?
Rachel Carson, Primavera silenziosa
Negli anni ’60 Rachel Carson, biologa e ambientalista americana simbolo del movimento ambientalista internazionale, con il libro Primavera silenziosa lanciava una forte denuncia e un grido di allarme nei confronti dell’avvelenamento del pianeta causato dall’uso dei pesticidi e in particolare del DDT, al tempo prodotto e usato su vasta scala.
Una nocività di larghissimo uso come il DDT, usato ancora oggi anche se in forme più subdole, aveva portato a silenziare le campagne dai canti primaverili degli uccelli. Oggi, in tempi di Coronavirus, le nocività, oltre ovviamente i pesticidi, non solo sono aumentate, ma si sono trasformate in un intero sistema malato che quotidianamente quando non mette a rischio la sopravvivenza degli organismi viventi li condanna a vivere in un’esistenza tossica e sempre più sterile di biodiversità. La verità è molto semplice: noi stiamo soltanto cominciando a subire massicciamente l’effetto ritardato dell’avvelenamento chimico-nucleare-biologico-elettromagnetico cumulativo del pianeta, avvelenamento che accresce qualitativamente e quantitativamente ogni anno.
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«Spillover»: il libro del momento
di Donato Salzarulo
1. Ecco un libro che forse non avrei mai letto se il coronavirus non fosse venuto a turbare e a rendere infausti i nostri giorni. La curiosità mi è sorta leggendo l’articolo di Paolo Giordano sulla “matematica del contagio che ci aiuta a ragionare” (Corriere della Sera del 26 febbraio), articolo – non mi stancherò di ripeterlo – benedetto, di cristallina chiarezza, che merita di essere diffuso dappertutto, in primo luogo nelle scuole; merita di essere diffuso perché di questo virus non ci libereremo facilmente e, comunque, altri virus sconosciuti sono o potrebbero essere in agguato per la nostra specie. Quindi, è decisivo far crescere la nostra consapevolezza razionale.
Lo scrittore (e fisico, non dimentichiamolo), dopo aver accennato alla nostra fatica di accettare qualcosa di radicalmente nuovo e complesso – fatica che conosco; a scuola suggerivo spesso agli insegnanti il libro «Attesi imprevisti» per interpretare il processo d’apprendimento, che è tale soltanto se è nuovo – ricorda che quanto ci sta succedendo in questi giorni non è davvero inedito. Il letterato, che un po’ è in me, avrebbe ovviamente subito pensato a Camus, Garcia Marquez, Saramago, Manzoni, Boccaccio, Tucidide…Giordano, che pure ha vinto il premio Strega con «La solitudine dei numeri primi», riporta un brano di David Quammen (chi è costui?…) in cui racconta come nel 2003 fu domata a Singapore l’epidemia della Sars. Poi scrive:
«Spillover, il libro di Quammen, meriterebbe un articolo a sé. Basti dire, qui, che è il modo migliore per comprendere le varie sfaccettature, la complessità per l’appunto, di questa epidemia. Per non viverla come una strana eccezione o un flagello divino. Per metterla in relazione ad altri disastri ecologici del nostro tempo, come la deforestazione, la cancellazione degli ecosistemi, la globalizzazione e il cambiamento climatico stesso. E per entrare, addirittura, nella mente del virus, decifrarne le strategie, intuire perché la specie umana sia diventata così golosa per ogni patogeno in circolazione.
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Covid-19, braccio di ferro con la paura e con l'Europa
Alba Vastano intervista Paolo Maddalena e Giovanni Russo Spena
“Attuare valide, unitarie (la salute, a differenza del danaro, è un bene eguale per tutti) e proporzionali misure restrittive delle libertà personali per salvaguardare la vita e la salute dei cittadini è pienamente legittimo, poiché, come insegna la giurisprudenza della Corte costituzionale, il diritto fondamentale alla vita e alla salute prevale sugli altri diritti fondamentali” (Paolo Maddalena). - “ L’umano, anche se assolutamente libero, può essere limitato; l’opposto dell’assolutamente libero è il diritto. Il diritto configura, quindi, il limite, che è alla base degli ordinamenti costituzionali. Non vi è bisogno di auspicare poteri eccezionali contro l’emergenza, perché la democrazia costituzionale sa rispondere alle emergenze. Non vi è dubbio che concetti come diritto, libertà individuali, Stato di diritto sono sottoposti ad una dura pressione (Giovanni Russo Spena)
Viviamo un incubo, sommersi da una realtà che non ci appartiene e che rifiutiamo. Il motivo è racchiuso in una parola: paura. Paura perché non conosciamo chi ha stravolto le nostre vite. Paura perché ci è dato di pensare che nessuno lo conosce. Eppure l’invisibile, per paradosso, è fisico, è presente, troppo presente. Una presenza minacciosa, ingombrante, infida, cinica che ha portato via già troppe vite e le ha portate via nel modo peggiore. Con la paura e da sole. Non una carezza di un loro caro, non un ultimo saluto, alcun conforto di fronte al male. Da sole con la paura e la solitudine davanti alla morte. Ѐ troppo ed è insopportabile. Questo maledetto signor ‘Chi?’ non si fa gestire da nessuno, nonostante tutti si affannino a localizzarlo e a darcene notizie. Il signor ‘Chi?” lo immaginiamo tutti, così come ce lo presentano, come fosse una corona di fiori purpurei. Un corona pronta a germogliare. Ѐ il look del demonio quando vuole impossessarsi di un corpo e distruggerlo. Proviamo ad abbatterla questa paura con il pensiero positivo di quanto avverrà dopo, di quando ci ritroveremo tutti nella nostra usuale socialità. E ci riprenderemo la nostra vita di sempre. Proviamo anche a capire cosa è accaduto e cosa accadrà. C’è solo un’arma per gestire la paura. Ѐ il buonsenso. Occorre solo il buonsenso.
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In morte della capacità critica
Il coronavirus, lo stato d’eccezione e la recessione economica (che già bussava nel 2019)
di Ludovico Lamar
Parte prima: Covid-19, statistiche e Sanità. Parte seconda: Media, scienza e stato d’eccezione. Parte terza: Complottismo, economia e prossimo futuro. Conclusioni (provvisorie)
Qua Giordano nomina liberamente, dona il proprio nome
a chi la natura dona il proprio essere; non dice vergognoso
quel che fa degno la natura; non cuopre quel ch’ella mostra
aperto; chiama il pane, pane; il vino, vino; il capo, capo; il piede, piede.
(Giordano Bruno, Spaccio de la Bestia trionfante)
Premessa
L’articolo che segue tratta principalmente dell’epidemia di coronavirus, dei suoi risvolti politici e della situazione economica mondiale dal 2019 ad oggi. Data la situazione eccezionale che stiamo vivendo fra pandemia, misure politiche da stato d’eccezione e un crollo economico di grande portata ci è sembrato necessario analizzare in modo diffuso vari aspetti di tutto ciò, cercando di spiegare come mai in alcuni Stati, fra cui l’Italia, si siano prese certe misure pur nella consapevolezza che la crisi economica che vedremo provocherà probabilmente più morti della stessa pandemia. In modo inedito nella storia è stata fermata l’economia in alcuni Paesi come l’Italia, provocando crolli borsistici peggiori nel primo mese a quello addirittura del primo mese del grande crack del 1929. Fra gli economisti circolano varie teorie: un crollo peggiore del 1929, un crollo similare a quello dell’Unione Sovietica, una recessione a cui poi seguirà un grande rimbalzo, ecc.
Il presente lavoro è diviso in tre parti, più una conclusione: ognuna delle tre parti è leggibile isolatamente e arriva comunque a delle conclusioni inerenti all’argomento trattato.
La prima parte tratta specificatamente della questione del coronavirus, in particolare dai seguenti punti di vista: le posizioni in merito dei vari virologi; l’analisi delle statistiche date dai media; il confronto fra l’attuale diffusione del coronavirus con altre pandemie del passato; i morti in Italia per altre patologie (come l’influenza, le infezioni da batteri non curabili con antibiotici, l’inquinamento, ecc.); la pessima situazione in cui si trova il sistema sanitario nazionale in Italia.
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La truffa del MES “senza condizionalità”
di Thomas Fazi
Mentre in Italia continua la drammatica conta quotidiana dei morti, l’Unione europea e i nostri “partner” continentali sembrano avere una sola preoccupazione: come approfittare della tragica situazione in cui versa il nostro paese per stringerci ulteriormente il cappio del debito attorno al collo. Pare infatti che Francia e Germania abbiano trovato un accordo in vista dell’Eurogruppo di martedì prossimo (7 aprile), basato sull’attivazione del Meccanismo europeo di stabilità (MES) a “condizionalità limitate”, sul potenziamento delle linee di credito della Banca europea per gli investimenti (BEI) e sul nuovo fondo “anti-disoccupazione” SURE.
Come volevasi dimostrare, insomma, alla prima occasione la Francia si è sfilata dal cosiddetto fronte “anti-rigore”, che in realtà vedeva opposti due nemici delle classi popolari: da un lato le classi dirigenti della Germania e dei paesi del nord che maggiormente beneficiano dall’attuale architettura europea – e che ritengono di avere sufficienti “cartucce” a disposizione per rispondere autonomamente alla crisi provocata dal COVID-19 – e dunque premono per mantenere sostanzialmente inalterata tale architettura; dall’altro le classi dirigenti dei paesi del sud (e fino a poco fa della Francia stessa), Italia in testa, che invece ravvedono nel collasso socioeconomico provocato dal COVID-19 una minaccia per la loro stessa sopravvivenza e dunque spingono per l’introduzione di nuovi strumenti – eurobond” et similia – che garantirebbero un po’ di ossigeno alle loro economie (e a loro stessi) ma nei fatti rafforzerebbero il carattere oligarchico della UE, accentrando ulteriore potere nelle mani di istituzioni anti-democratiche quali la Commissione europea, senza apportare alcun beneficio concreto per le classi lavoratrici e popolari dei paesi del sud.
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Il covid-19 bussa alla porta della barbarie, non del socialismo
di Paolo Ercolani
Alain Badiou è uno dei filosofi più autorevoli e sicuramente rappresenta un motivo d’onore il fatto che abbia scritto un articolo per Filosofia in movimento.
Articolo in cui il pensatore marocchino analizza il contesto storico-sociale nell’epoca del Covid-19, proponendosi di utilizzare il metodo cartesiano di individuazione oggettiva dei fatti, così da «non comprendere nei miei giudizi nulla di più di quello che si presenta così chiaramente e distintamente (si clairement et distinctement)»[1].
L’operazione mi sembra riuscita soltanto in parte, tanto da spingermi a intervenire per rimarcare alcuni punti che sono sfuggiti a Badiou, o che non ha proprio considerato oppure, sempre a mio avviso, interpretato male.
Possiamo schematizzare in tre tipologie gli elementi che collegano il Covid-19 all’umanità.
La prima è per così dire oggettiva: il virus colpisce l’uomo. Quella che Aristotele avrebbe chiamato la realtà «in atto».
La seconda è fisiologica, nel senso che evidenzia la natura comune che li unisce ancor prima che il primo si manifesti colpendo il secondo (la realtà «in potenza»). Ciò fin dalla radice semantica del nome: «virus» (che significava «veleno» in latino) evidenzia una comunanza con «vir» (che sempre in latino era uno dei termini con cui si definiva l’uomo). In questo senso il virus non è un elemento estraneo (ed esterno) all’umanità, che la colpisce alla maniera di una disgrazia tellurica (terremoto), bensì un elemento consustanziale all’umanità stessa, una tragedia che si inscrive nel quaderno per tanti versi a noi sconosciuto di quella che chiamiamo «vita».
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Covid-19 e oltre
di Il Lato Cattivo
«Nulla l'uomo teme di più che essere toccato dall'ignoto»
(Elias Canetti)
In un mondo economicamente in avaria, ma politicamente stagnante, lo shock deve talvolta arrivare «dall'esterno», da fattori o eventi che inizialmente non sono né economici né politici e, all'occorrenza, nemmeno strettamente umani. Non che le epidemie possano dirsi fenomeni puramente biologici1, ma ci pare evidente che se quest'episodio dell'eterna lotta fra l'uomo e gli agenti patogeni, che oggi va sotto il nome di Covid-19, sta prendendo una piega così drammatica, ciò risulta dall'ambiente peculiare – quello sì, puramente sociale – in cui essa si svolge. Che una «tempesta perfetta» in ambito economico fosse in arrivo, lo si sapeva da tempo2. Che questa si sarebbe coniugata con una pandemia di vaste proporzioni, difficilmente lo si sarebbe potuto prevedere. Ciò introduce innegabilmente un elemento di novità nello scenario, la cui valutazione richiede prudenza e sangue freddo: troppe volte si è detto che nulla sarebbe più stato come prima per i più insulsi spostamenti di virgola. Vero è che il concreto modo di vita di una parte crescente della popolazione mondiale è già pesantemente intaccato (circa tre miliardi di confinati sulla carta al 25 marzo), e la tendenza andrà senza dubbio rafforzandosi. I pochi che ancora pensano di poter tornare al solito tran-tran dopo tre settimane di quarantena light passati su Netflix, resteranno delusi. Non solo e non tanto perché, in Italia come altrove (Francia, Spagna etc.), il famoso picco dei contagi si fa attendere, ma soprattutto perché il ritorno a una parvenza di normalità nell'attività economica e negli spostamenti quotidiani si farà a epidemia ancora in corso, imponendo considerevoli misure di monitoraggio e di messa in sicurezza al fine di scongiurare una seconda ondata di contagi e di decessi. Ciò vale in particolare per i paesi in cui la tentazione neo-malthusiana della «immunità di gregge» è stata variabilmente respinta.
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Catene globali del contagio e politica industriale
di Andrea Coveri, Claudio Cozza, Leopoldo Nascia
Lo shock economico della pandemia dipende dall’assetto dell’economia capitalistica mondiale in seguito alla globalizzazione neoliberista. Serve un approccio radicalmente diverso di politica industriale che colmi le asimmetrie strutturali tra le economie, verso uno sviluppo egualitario e cooperativo
L’epidemia dovuta al diffondersi del Covid-19 rappresenta la più grave pandemia dai tempi dell’influenza spagnola del 1918-1920. Mentre scriviamo, cioè a circa un mese dall’esplosione del virus, si sono registrati più di 400mila contagi e oltre 16mila morti in tutto il mondo, questi ultimi soprattutto in Italia, Cina e Spagna.
La pandemia dovuta al Covid-19 ha mostrato immediatamente il suo impatto dirompente, promettendo di innescare la più grave crisi economica del sistema capitalistico dallo scoppio della Grande Recessione del 2008. Molte analisi economiche si sono concentrate sull’impatto finanziario della pandemia: al riguardo, la figura 1 mostra il crollo della Borsa italiana (indice FTSE MIB) confrontandolo con la discesa che subì nel 2008 dopo il fallimento della Lehman Brothers.
Lo shock economico[1] provocato dal Covid-19 è intervenuto in un momento in cui l’economia globale appariva già sull’orlo di una recessione, come mostra la progressiva riduzione dei tassi di crescita del prodotto interno lordo a prezzi costanti delle quattro principali economie dell’Unione Europea e del Regno Unito (figura 2).
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Circa Marco Revelli, “Draghi, lupi, faine e sciacalli”. Cronache del crollo
di Alessandro Visalli
Siamo davvero in tempi strani. Davanti all’improvviso accelerare della storia, per effetto del venire al pettine sotto l’impatto di un minuscolo organismo di tutte le catastrofi del neoliberismo e della mondializzazione senza limiti e freni di questo ultimo ventennio, tutti si sentono sollecitati. E capitano posizionamenti inaspettati. E’ la quinta volta che parlo di un testo di Marco Revelli[1], registrando via via un progressivo arruolamento sul fronte di un antifascismo di maniera e piuttosto stridente. Una posizione sempre più anti-popolare, man mano che l’abbandono della sinistra da parte di questi si faceva più evidente (sotto l’etichetta di “populismo”). Nell’ultima occasione ero stato piuttosto brusco.
Ma in questo intervento, molto politico e come sempre schierato contro i suoi due nemici preferiti, i due Matteo, ritrovo invece elementi più che condivisibili. Avevo parlato già dell’intervento di Mario Draghi in un recente post[2] ed in quella occasione mi ero soffermato su una lettura del testo dell’articolo sul Financial Times concentrata sugli elementi di discontinuità, che sono numerosi e significativi, e non sulle numerose ambiguità (che sono decisive).
Probabilmente l’esatto significato di questa lettera sarà chiaro solo a posteriori, quando gli eventi si saranno incaricati di definirla e la polvere della mischia si sarà posata. Come accadde, peraltro, in occasione del suo famoso discorso a Jackson Hall[3], o del suo più famoso “Whatever it takes”, del luglio 2012[4]. Di entrambi qualcosa è restato, qualcosa no.
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La lettera di Draghi
di Gabriele Pastrello
L’analisi della lettera aperta che Draghi ha inviato il 25 marzo al Financial Times, sulla crisi economica e politica aperta dall’epidemia del coronavirus, cerca di spiegare e argomentare come nascono e come si giustificano i due punti cruciali della lettera. Già dal titolo Draghi suggerisce che siamo in una situazione di ‘guerra’. La situazione è straordinaria e richiede di uscire dai modi di pensare ordinari.
Innanzitutto uscire dall’austerità come modo di affrontare la crisi. Una guerra, dice Draghi, si affronta facendo debiti e non con tasse. E il rapporto debito/PIL elevato che ne seguirà dovrà diventare un carattere permanente delle economie. Tradotto, niente MES e condizionalità.
Anche la soluzione che Draghi propone è fuori dagli schemi: il sistema bancario, dice, deve diventare il veicolo delle politiche pubbliche (cioè nazionali ed europee). Una proposta che sconta l’inaggirabilità di due vincoli: il divieto di finanziamento diretto dei bilanci statali da parte della BCE, e l’altro politico, la presumibilmente totale indisponibilità della Germania ad accettare qualsiasi forma o dimensione di mutualizzazione del debito.
Non resta altro, dice Draghi, che fare dei sistemi bancari nazionali il perno del finanziamento dei programmi che gli Stati dovranno attuare per contrastare una crisi economica che si annuncia gravissima.
* * * *
1. La pars destruens
Il punto di partenza della lettera aperta di Draghi al Financial Times è secco: molti rischiano la vita, scrive Draghi, e ancor di più rischiano i mezzi di sussistenza. Da cui la sequenza di conclusioni immediate: ‘una recessione è inevitabile’, ‘la risposta richiede un aumento significativo del debito pubblico’, e da cui segue una delle due frasi chiave della lettera: “Much higher public debt levels will become a permanent feature of our economies”.
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Economia di guerra e Covid-19
di Luca Michelini
1. Macron, Presidente della Repubblica Francese, si è spinto a invocare per l’emergenza Covid-19 la “mobilitazione generale”, “perché siamo in guerra”1. Si invoca, insomma, la creazione di una sorta di economia di guerra. Ciò che del resto sta accadendo in Italia e nel resto d’Europa con un ritardo forse colpevole (il caso inglese essendo il più sconcertante), è paragonabile a provvedimenti tipici di una economia di guerra, anche se le nostre massime autorità, il Presidente del Consiglio Conte e il Presidente della Repubblica Mattarella, hanno finora adottato toni assai più misurati di quelli usati da Macron. Nel recente decreto del Governo italiano, in ogni caso, compaiono disposizioni in merito ad eventuali “requisizioni”2, provvedimento tipico da economia di guerra. E non bisogna dimenticare che le economie di guerra, quando è il “nemico” a dettare la tempistica, nascono spesso con provvedimenti presi poco alla volta, sull’onda dell’emergenza e dei repentini cambiamenti di scenario, senza alcuna predisposizione precedente di una qualche effettiva rilevanza3. Siamo dunque agli esordi di una possibile economia di guerra, i cui sviluppi dipendono dall’evolversi della situazione sanitaria. Così almeno fu il caso dell’Italia nel corso della Prima Guerra Mondiale. E mi limito volutamente a questo esempio perché vittorioso nonostante tutto; cioè nonostante il fatto che è in questa guerra che hanno radici i turbamenti sociali che portarono alla dittatura fascista e dunque alla seconda guerra mondiale.
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