- Details
- Hits: 2262
Il razzismo, malattia permanente del capitalismo
di Ascanio Bernardeschi
Il capitalismo usa il razzismo per perpetuarsi e per colpire la classe lavoratrice. Per combatterlo non basta l’atteggiamento umanitario ma serve la coscienza di classe che individui il vero nemico
Il razzismo, per quanto abominevole, non è, almeno nella nostra era, una malattia sociale, ma è un carattere fisiologico delle società in cui predomina il modo di produzione capitalistico, in quanto costituisce una potente leva per fare profitti e per dividere le classi lavoratrici. Per questo, quando se ne presenta l’opportunità, viene scientemente iniettato in dosi massicce nel corpo della società.
Il compianto Domenico Losurdo [1], ha già ampiamente documentato come, fin dagli albori del capitalismo, l’ideologia liberale abbia elaborato una sorta di la de-umanizzazione delle razze indigene come pretesto e giustificazione delle colonizzazioni delle loro terre e dell’intensivo sfruttamento del loro lavoro. Tra i tantissimi intellettuali da lui citati, c’è l’economista apologetico borghese John Stuart Mill, il quale, mentre elogiava la libertà occidentale, sosteneva che “il dispotismo è una forma legittima di governo quando si ha a che fare con barbari»¡”. Lo stesso Tocqueville, considerato un campione della democrazia, predicava la supremazia occidentale e il rischio di una “misce generation”, cioè la mescolanza di diversi gruppi razziali, per cui si rendeva necessario tenere ben distinta la razza superiore bianca da quelle inferiori, considerate alla stregua di animali parlanti. Lo stesso nazismo e il manifesto della razza fascista trovano i loro precedenti in questa tradizione liberale: un razzismo che non si limitava a de-umanizzare i neri e gli ebrei, ma anche i popoli slavi, così come oggi avviene nei confronti di altri popoli che ci interessa colpire.
Anche la deportazione e la messa in schiavitù dei neri africani per farli lavorare fino allo stremo e senza alcun diritto nelle piantagioni americane necessitava del razzismo quale sovrastruttura ideologica ideale.
- Details
- Hits: 3025
Gallino, l'euro, lo spread, Salvini, Visegrad
L'impotenza della sinistra europeista
di Enrico Grazzini
Luciano Gallino aveva denunciato i disastri prodotti dalla subordinazione dello stato al mercato, spiegando come uscire dalla gabbia dell’euro e dell’austerità senza rompere l’Unione europea. Una lezione inascoltata dalla sinistra italiana, che continua a difendere questa Europa liberista in nome di un europeismo acritico e illusorio. Con il rischio di consegnare così milioni di elettori alla destra xenofoba e anti-europeista.
La sinistra alternativa che quattro anni fa aveva promosso la lista Tsipras, anche con l'aiuto e l'adesione del compianto Luciano Gallino – senza alcun dubbio lo studioso più profondo e critico della sinistra –, non può certamente riproporre quello stesso progetto di uscita dall'austerità che molti (come me) considerano del tutto fallimentare, o che comunque, nella migliore delle ipotesi, certamente non può più costituire un riferimento esemplare! Dopo la capitolazione greca di fronte alla Troika (UE, BCE e FMI) oggi la sinistra europea e soprattutto quella italiana non hanno ancora elaborato una proposta credibile per l'Europa e per l'euro. Il problema è che la sinistra italiana non vuole neppure discuterne e si chiude nei suoi dogmi. Così si assume la pesante corresponsabilità di consegnare milioni di elettori alla destra xenofoba e anti-europeista.
La famigerata Troika non ha lasciato la Grecia, anche se formalmente ha terminato il suo programma di aiuti; il debito pubblico greco è ancora al 180% del PIL, e il programma europeo di austerità continua incessante sia nell'Ellade che in Italia e negli altri paesi dell'eurozona (a parte ovviamente la Germania). La Grecia è sotto il controllo straniero. La Banca Centrale Europea tuttora non include l'Ellade nel suo piano di Quantitative Easing perché giudica ancora insolvente lo stato greco. Mario Draghi non considera affidabili i titoli di debito greci, che non quindi sono sostenuti dalla BCE.
- Details
- Hits: 2429
Seconda questione di geopolitica: il “cuore della terra” al fronte sud
di Uber Serra
Nella prima puntata di questa inchiesta sullo stato attuale della narrazione geopolitica autentica (quella di H. Mackinder, per intenderci) s’è detto che per essa c’è un luogo privilegiato del pianeta il cui governo consentirebbe il dominio del mondo: è questo il “cuore della terra” (o Heartland) che coincide con la Russia nella estensione delle steppe dal Dniepr alla Kamciakta. Però la Russia è stretta dal Mar Glaciale Artico a nord e dalla fascia dei deserti asiatici a sud, sicché per esercitare il pieno controllo sul pianeta dovrebbe spingere la propria supremazia su una di quelle “terre di confine” (poi dette Rimlands dal geopolitico americano Nicholas Spykman) che la circondano ad ovest (Europa e Balcani), a sud (Medio Oriente e Persia) e a est (Cina e Corea) e che si affacciano, per l’appunto, sui mari caldi. Proprio per evitare tanta jattura Mackinder aveva affidato, al suo tempo, alle due isole dirimpettaie al continente euroasiatico, la Gran Bretagna e il Giappone, il compito strategico di “salvare” il mondo dalle mire planetarie di Mosca, un compito però che dopo la seconda guerra mondiale, avendo tradito il Giappone il suo “dovere” geopolitico ed essendosi esaurita la Gran Bretagna a sua difesa, è stato assunto su tutti i fronti dai più robusti e onnipresenti Stati Uniti d’America. Ed è questo il “destino” americano che perdura tuttora sebbene l’URSS sia scomparsa, e questo perché la Russia è cattiva non perché zarista, sovietica o quant’altro, ma perché geopoliticamente resta comunque il “cuore della terra”.
- Details
- Hits: 1978
Questa società è troppo ricca per il capitalismo!
di Ernst Lohoff e Norbert Trenkle
La casalinga sveva e i parassiti della società
Due posizioni apparentemente inconciliabili caratterizzano la controversia politica su come vada affrontata la crisi. Mentre gli uni, per rilanciare la crescita economica, vogliono ancora continuare sempre ad aprire le valvole monetarie ed applicare dei nuovi programmi congiunturali, gli altri difendono un rigoroso orientamento all'austerità. I due campi pretendono che, nel caso venga applicato il loro piano, la crisi potrà essere superata, e che il modo di produzione capitalistico potrà essere ripristinato su delle solide basi. Si potrebbe pensare che ancora una volta stiamo assistendo al vecchio dibattito che opponeva l'orientamento keynesiano a quello liberale, un dibattito cui nel secolo passato abbiamo assistito tante volte. Ma dove il sistema di riferimento a tale controversia viene meno, in quanto la crisi indebolisce in maniera irrevocabile le basi della produzione della ricchezza capitalistica, ecco che la cosa degenera in sinistra farsa. Tuttavia, i protagonisti non se ne rendono nemmeno contro, oppure riescono benissimo a fare finta di niente. Continuano ad interpretare instancabilmente lo stesso spettacolo, mentre la scena sotto i loro piedi appare essere sempre più decrepita. Il conflitto fra le loro visioni non rimane tuttavia senza conseguenze, poiché, anche se nessuno dei due piani è in grado di offrire un'uscita dalla crisi, nondimeno assegnano il loro carattere alla gestione di tale crisi, e quindi anche alle ripercussioni concrete che tali misure hanno sulla società.
In Germania, la politica di austerità gode tradizionalmente di un favore particolare. Si sente dire dappertutto che la società avrebbe «vissuto a spese dell'avvenire», e che nel presente si tratta di dover fare delle economie.
- Details
- Hits: 3460
Controversie: “Patria e Costituzione”, un progetto per una sinistra di popolo
di Alessandro Visalli
Il prossimo 8 settembre a Roma, alla Sala della Promoteca, dalle 10.30 per chi volesse esserci un nutrito gruppo di intellettuali e attivisti propone l’avvio di un’associazione politica il cui provocatorio nome è: “Patria e Costituzione”. Ci sarà un intervento in video di Sahra Wagenknecht e relazioni di D’Attorre, Santomassimo, Giacchè, D’Antoni, Preterossi, introdurrà Fassina. Non solo per la presenza della Wagenknecht la cosa può ricordare la parallela, anche nei tempi, operazione che una componente della Linke tedesca sta tentando con “Aufstehen”, come alcuni toni della posizione neo-giacobina di “La France insoumise”.
Nel nome dell’associazione palesemente “Patria e Costituzione” sono due termini che si illuminano reciprocamente, nel quale quindi il secondo dà il senso nel quale si propone il primo. La mia idea è che insieme chiamano a riconoscere che ci unisce un progetto che ha tratti universalisti, ma anche caratteristiche nostre proprie. Come ricorda il post di Fassina che inquadra l’iniziativa, l’8 settembre di settantacinque anni fa terminava la guerra che l'Italia fascista aveva proclamato imprudentemente contro le liberaldemocrazie e contro il mondo socialista e quindi si avviava quell'Italia che univa le sue molteplici tradizioni, il risorgimento, la cultura classica e la realtà delle sue molte vocazioni territoriali, alla volontà di progettare insieme un futuro di pace e libertà socialmente responsabile. Un progetto, quindi, che unisce e non divide, nel quale nessuno può considerarsi solo, nel quale la politica democratica trova il suo spazio e prevale sulla lotta di tutti contro tutti e sull'economico imperiale dei nostri tempi; un progetto nel quale, infine, il ‘popolo’ si definisce e costituisce (lontano dall’essere trovato da un sapere esperto perché già esistente, o ascoltato da un intermediario che se ne fa sacerdote).
- Details
- Hits: 2022
La domanda filosofica e l’utopia concreta
di Salvatore Bravo
Il presente non è tutto, lo diviene in assenza di domande. La domanda è già utopia concreta. Per pensare l’utopia concreta l’immaginazione è imprescindibile, essa è operazione critica, domanda radicale e filosofica, è una diversa rappresentazione del presente: mentre configura il futuro, opera nel presente investendolo di nuova vita. Un mondo senza pensiero ed immaginazione empatica è solo distopia
L’indagine filosofica pone domande radicali. In ogni filosofare vi è l’atto dell’uscire dalle posizioni ordinarie, dall’ovvio, per interrogarlo. La domanda filosofica non vive nel chiuso delle accademie, delle istituzioni o nelle parole paludate degli specialisti: abita ovunque vi siano esseri umani che pongano l’esigenza del senso, del riportare il quotidiano alla sua razionalità. Si procede per scissione e ricomposizione. La domanda filosofica vive socraticamente nella strada. È nei luoghi della vita routinaria che possono emergere domande su dettagli che rivelano la sostanza, la verità del proprio tempo. Domandare nel filosofare è sempre pratica dell’epochè, sospensione dell’atteggiamento naturale, porre le sovrastrutture culturali ed ideologiche in uno stato limbico, per guardare con occhi nuovi, per imparare a guardare il mondo in carne e d’ossa, come affermava Husserl.[1] La parola teoria deriva dal greco θεωρέω theoréo, “guardo, osservo”, composto da θέα, thèa, “spettacolo” e ὁράω, horào, “vedo,” dunque senza il guardare profondamente non vi è la domanda filosofica.
Fenomenologia del SUV
Prodotto negli Stati Uniti arriva il carro armato di lusso: si chiama Ripsaw Ev2 Extreme Luxury Tank. Dotato di un motore Diesel da 6.6 litri è prodotto dalla Howe Technologies. Tra i super ricchi americani sta già diventando un oggetto di culto.
Muoviamo un passo con un esempio: l’analisi del SUV. La mastodontica auto sovrana delle nostre strade. Il SUV tradisce le contraddizioni del nostro reale “molto virtuale.” In primis, la sua storia è inquietante, in quanto tale modello ha un’origine militare. L’acronimo di SUV è Sport Utility Vehicle, un’automobile corazzata derivata dai modelli corazzati della prima guerra del Golfo.
- Details
- Hits: 2142
Cambiare la vita o conquistare il potere?
Foa, Trentin e il futuro della sinistra
di Giorgio Pagano
Vittorio Foa, “La Gerusalemme rimandata”, Einaudi, Torino, 1985
Bruno Trentin, “La città del lavoro”, Feltrinelli, 1997
La sinistra, oggi a rischio avanzatissimo di irrilevanza, vive solo se ricrea una dimensione sociale a partire dalle persone che lavorano. “La città del lavoro” di Bruno Trentin e “La Gerusalemme rimandata” di Vittorio Foa sono due libri che non ebbero fortuna quando uscirono. Riletti oggi, ci forniscono preziose riflessioni non solo sul passato ma anche sul presente e sul futuro.
Vittorio Foa e Bruno Trentin si conobbero a Milano il giorno prima della Liberazione. Insieme scrissero l’appello alle Brigate di “Giustizia e Libertà” per l’insurrezione di Milano che inizia con la frase “La bandiera rossa sventola su Berlino”. Si frequentarono assiduamente nei due anni di esistenza del Partito d’Azione, per poi prendere strade diverse allo scioglimento del partito nell’autunno 1947: Foa aderì al partito Socialista, Trentin si laureò e si iscrisse al Pci probabilmente nel 1950. Alla fine del 1949 Foa, diventato vicesegretario della Cgil con l’incarico di seguire l’ufficio studi, chiamò Trentin in questo ufficio con l’incarico di ricercatore. Il loro comune maestro fu Giuseppe Di Vittorio, segretario della Cgil. Foa fu dirigente della Cgil fino al 1970, Trentin ne fu segretario dal 1988 al 1994.
Nell’ultima fase delle loro vite, entrambi tornarono a studiare e a riflettere sulla loro esperienza sindacale e politica, sulla sconfitta del movimento operaio dopo le grandi lotte degli anni Sessanta e Settanta di cui furono protagonisti, e soprattutto sul socialismo libertario, l’”altra strada” per la sinistra. Foa pubblicò “La Gerusalemme rimandata” nel 1985, dopo quattro anni di studi in Inghilterra. Trentin pubblicò “La città del lavoro” nel 1997, dopo un lavoro durato tre anni. Sono due libri che, quando uscirono, non ebbero successo: furono quasi “clandestini”. Riletti oggi, ci forniscono preziose riflessioni non solo sul passato ma anche sul presente e sul futuro.
- Details
- Hits: 3165
Mark Lilla, “L’identità non è di sinistra. Oltre l’antipolitica”
di Alessandro Visalli
Mark Lilla insegna storia alla Columbia e scrive questo libro che fa parte di un vasto processo di riflessione della sinistra internazionale di fronte alle turbolenze di questa fase terminale della seconda globalizzazione (o, come dice, Dani Rodrik della “iperglobalizzazione”) nel 2017. Il punto di attacco dell’autore è la concezione individualista della politica che ha interessato sempre più quelle che chiama “le forze politiche progressiste” dimentiche delle dimensioni collettive, individuate come oppressive e talvolta conservatrici. A partire dalla metà del secolo scorso, man mano che si sviluppava e radicava l’opulenta cultura dei consumi, ha infatti guadagnato centralità quella che chiama “la politica identitaria”; ovvero “un fenomeno egoriferito e antipolitico” che, come dice nettamente, “non è di sinistra né liberal, anche se i democratici, purtroppo, sono caduti nella trappola”.
Questa trasformazione è avvenuta prima in America e solo dopo in Europa, tra i motivi addotti, ci sono l’impatto del marxismo, e di una minore immigrazione. Oggi, invece abbiamo sia il tramonto del marxismo, sia una maggiore disgregazione sociale, con famiglie sempre più piccole e tecnologia che divide, invece di unire. Tutte queste condizioni, inclusa l’immigrazione, “alimentano lo sviluppo di una questione identitaria a destra”, ma il vero problema, per Lilla, è che non si sviluppa la versione di sinistra. Certo, in Francia c’è una serrata discussione sul multiculturalismo ed il futuro della tradizione repubblicana, in Inghilterra Jeremy Corbyn sta iniziando ad affrontare il tema, ma in generale accade che “l’immigrazione clandestina offre ai democratici una nuova categoria di ultimi per cui combattere, ora che la classe operaia li ha abbandonati per affidarsi alla protezione dei populisti” (p.9).
- Details
- Hits: 3960
Lo schianto: più il come, che il perché
di Michael Roberts
Questa settimana, Adam Tooze si trovava a Londra per presentare il suo nuovo libro, "Crashed, How a decade of financial crises changed the world" [In italiano: "Lo schianto. 2008-2018. Come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo", Mondadori]. Tooze è anche l'autore di "The Deluge and The Wages of Destruction" [in italiano: Il prezzo dello sterminio, Garzanti editore]."Il prezzo dello sterminio" ha vinto il Premio Wolfson per la storia ed il Premio Logam come libro dell'anno. Adam Tooze ha insegnato a Cambridge e a Yale, ed oggi insegna storia alla Columbia University. A mio avviso, egli è il più importante storico economico radicale.
Il nuovo libro di Tooze apporta un enorme contributo alla storia economica del collasso finanziario globale del 2008-9. Tooze ci mostra che cosa sia successo e come è nato quello che è stato il più grande boom del credito dei primi anni 2000 che alla fine ha portato al più grande disastro finanziario che ci sia mai stato nelle economie moderne, ed al conseguente crollo della produzione capitalista, il peggiore dagli anni '30. E conclude dicendo che il modo in cui questo schianto è stato trattato dai "poteri" - vale a dire, attraverso i salvataggi delle banche e la salvaguardia della ricchezza dei più ricchi, a pese di tutti noi - ha provocato l'emergere di una reazione "populista" contro il "capitalismo", sia da parte della sinistra, come in Grecia o in Spagna, sia da parte delle persone di destra, come è avvenuto con Trump, con la Brexit, e con la Lega in Italia. Quindi, l'eredità dei primi dieci del capitalismo del XXI secolo, nel secondo decennio, è ancora con noi. E peggio ancora, il problema soggiacente di fondo, quello del debito crescente e del settore finanziario fuori controllo, non è stato ancora risolto. La crisi finanziaria del 2008-9 potrebbe benissimo ritornare.
- Details
- Hits: 2658
Il governo Salvini-Di Maio: chiude i porti agli emigranti, li spalanca alla NATO
Intervista a "Il cuneo rosso"
Con questa intervista alla redazione de il cuneo rosso, iniziamo un ciclo di conversazioni con le realtà politiche e sociali che intendono contrastare l'attuale esecutivo muovendosi sul terreno dell'anticapitalismo. La scelta del primo interlocutore ci è sembrata in qualche modo obbligata: il cuneo rosso ha posto con tempestività l'istanza di un'opposizione complessiva, senza se e senza ma, al cosiddetto "governo del cambiamento". Mettendo il evidenza il segno di classe, padronale delle politiche vessatorie nei confronti degli immigrati e rifiutando quelle derive nazionaliste che vedono coinvolti diversi intellettuali che pur continuano a dichiararsi "marxisti".
* * * *
Inevitabilmente, il primo aspetto da analizzare nel confrontarsi con l'attuale governo è l'estrema ferocia del suo attacco verso gli immigrati, in termini propagandistici e fattuali. Qual è il senso ultimo di questa politica?
C'è un enorme scarto tra la volgare demagogia di Salvini e la reale funzione della politica migratoria del governo Lega-Cinquestelle. Costui si atteggia a salvatore dell'Italia dall'invasione di spaventose maree di immigrati. Ma di quale invasione parla? Il movimento migratorio verso l'Italia è il più ridotto degli ultimi vent'anni, e questo è avvenuto anzitutto per effetto dei decreti e della politica di Minniti, sulla cui scia l'attuale ministro di polizia si muove, inasprendone i termini. Lo stesso vale per il movimento migratorio verso l'Europa.
Ciò premesso, per cogliere il senso ultimo di questa politica, è utile chiedersi chi sono gli emigranti su cui si sta accanendo in questi mesi il governo Lega-Cinquestelle. Potenziali azionisti di Unicredit, potenziali dirigenti di Fincantieri, potenziali direttori di Tg, potenziali grand commis (grandi affaristi) di stato? Difficile. Al netto dei casi più tragici, sono candidati/e al 99,99% alla raccolta dei pomodori, delle arance, delle mele o del radicchio a 2-3 euro l'ora, alle pulizie di case e uffici, ai lavori più pesanti in edilizia, nell'industria alimentare o tessile, e - dovesse andargli alla grande - alle fabbriche di lavorazione delle pelli nella Valle del Chiampo, dove hanno trovato impiego molti operai africani che scambiano un discreto salario con la rovina precoce della propria salute, a beneficio di avide sanguisughe leghiste.
- Details
- Hits: 4604
Appunti per un rinnovato assalto al cielo. XI
Money for nothing and chicks for free
di Paolo Selmi
Uno sguardo a ideologia, evoluzione tecnologica e rapporti monetario-mercantili
Le persone sono persone. Amano i soldi, ma è sempre stato così... l'umanità ama i soldi, non importa di cosa siano fatti: di pelle, carta, bronzo o oro. Sono frivoli... che farci... ma la pietà alle volte pulsa nei loro cuori... gente normale... in generale ricordano coloro che li hanno preceduti, soltanto la questione degli alloggi li ha rovinati...1
Люди как люди… le persone sono persone. Come dar torto al buon Woland in visita di istruzione a Mosca (a prescindere che, personalmente, ci penserei due volte prima di dar torto a un Woland, a un Azazel o a un Begemot)? Eppure, qualcosa da aggiungere la avrei: è vero, ljudi kak ljudi, ma esistono armi e armi del delitto. In altre parole, non possiamo affermare den’gi kak den’gi (деньги как деньги, “i soldi sono soldi”): ci sono “soldi” e “soldi” e, chi ne ha escogitato le attuali forma, condizioni e modalità di esercizio, lo ha fatto scientemente al fine di instaurare nelle “persone” comportamenti, sovrastrutture psichiche del tutto funzionali ai modelli di consumo e scambio desiderati sin dal momento della loro ideazione. In altre parole, i “soldi di adesso” sono qualitativamente diversi dai “soldi di una volta”, dai biblici “trenta denari” ai červoncy (червонцы), per chiudere il cerchio con Bulgakov, che planano dal cielo agli spalti del Variété. dove una calca di avide mani di “uomini nuovi” sovietici li attende. Affronteremo ora per sommi capi questo argomento.
“Nelle auto prese a rate Dio è morto”...
Tutto iniziò con Francesco Guccini e Augusto Daolio (scusate, ma non potevo non “riportare a casa” anche loro in quest’ultimo capitolo…): partiamo subito dal presupposto che non ce l’avevano con chi, perché non ricco di suo o beneficiario di qualche lascito, non poteva permettersi il lusso di pagare una macchina in contanti (mi spiace, ma il resto della canzone non lascia dubbi a proposito!).
- Details
- Hits: 2260
Pericolo fascista e unità. Ma con chi e per cosa?
di Collettivo Comunista Genova City Strike
Nell'immigrazione italiana in Francia tra la fine degli anni '30 e e l'inizio degli anni '40, i comunisti, per un lungo periodo, si trovarono isolati. Almeno fino all'invasione dell'URSS da parte dei nazisti, i rari documenti dell'Internazionale Comunista indicavano con nettezza che occorreva rifiutare ogni alleanza con le forze della borghesia (e con i socialisti) limitandosi a condurre una lotta contro il fascismo interno al proprio paese in maniera totalmente autonoma e indipendente.
Pesava ovviamente il recente fallimento dei fronti popolari in Spagna e Francia, il patto di Monaco tra il governo francese e il governo tedesco votato dai socialisti e la stipula del patto Molotov Ribbentrop attraverso il quale l'URSS prendeva tempo e riorganizzava le file convinta dell'imminente attacco tedesco.(1)
Molti anni dopo Giorgio Amendola in “Lettere a Milano”(2), ragiona su quel periodo e ricorda la fedeltà del gruppo dirigente (almeno di quel che ne restava in condizione di dispersione e isolamento) alle direttive internazionali non nascondendo un certo scetticismo personale.
Non a caso, l'invasione dell'URSS viene ricordata dal dirigente del Partito Comunista come una tragedia, che però metteva fine a un periodo di incertezza e schierava nettamente i comunisti dalla parte dell'unità contro il pericolo fascista.
Le svolte dell'Internazionale Comunista negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali sono oggetto di studio del movimento comunista da anni. Su di esse si concentrano molte critiche e le analisi divergono. Ma non è questo il punto. Ciò che qui si vuol sottolineare è come, ad un certo punto, la politica dei comunisti cambia radicalmente in virtù di una situazione in cui, occorreva mettere da parte la specificità comunista (nessuna alleanza né con la borghesia né con i traditori socialisti) e lavorare per riunire l'antifascismo.
- Details
- Hits: 3629
Wu Ming, Marx e l’esercito industriale di riserva
di Redazione
La foto che correda questo articolo è stata scattata a Chemnitz in questi giorni. Si tratta della città che, fino alla caduta del muro, si chiamava Karl-Marx-Stadt e non deve quindi stupire la presenza del monumento dedicato all’autore del Capitale. L’istantanea ci rende qui un Marx sotto un cielo plumbeo, avvolto da manifestanti di estrema destra che brandiscono cartelli che recitano “fermare l’alluvione di immigrati!”. Spunta anche una bandiera tedesca con il Bundeswappen, lo stemma federale, che vanta una genealogia che risale a ben prima dello stato nazione. Quindi effetto urgermanisch, germanico ancestrale, garantito. Con la polizia, in un disordinato cordone sanitario attorno ai manifestanti, che favorisce l’impressione di abbraccio tra i dimostranti e la statua. Eppure lo sguardo monumentale e severo di Marx verso il basso, verso i manifestanti, suggerisce un confronto tra le due dimensioni, con l’autore del Capitale che sembra a stento trattenere uno sguardo che incenerisce chi lo circonda.
E’ il Marx di oggi, riportato improvvisamente alla luce dai comportamenti dell’estrema destra. Un Marx che appare nella cronaca tra estetica dell’equivoco e quella della presenza, in qualche modo, ineliminabile. Qualcosa di simile –tra l’equivoco e la presenza non azzerabile- avviene anche da noi. Come testimonia il dibattito sul concetto di “esercito industriale di riserva” ripreso anche da autori formalmente o informalmente vicini alla maggioranza gialloverde (come Bagnai e Fusaro) che suggerisce un ruolo progressista, di difesa della classi popolari dal contenimento dell’immigrazione. Contro queste posizioni si è espresso, tra l’altro, Diego Fanetti su Wumingfoundation nella miniserie “Lotta di classe, mormorò lo spettro” scritta in due puntate, che linkiamo in fondo.
- Details
- Hits: 2210
L'economia robotica
di Marco Beccari
Nonostante l’introduzione dei robot e la crescente automazione, l’elemento attivo nella produzione sociale di valori d’uso rimane il lavoro umano, i robot industriali non sono mai completamente autonomi dall’uomo
L’articolo trae spunto dal materiale didattico (lucidi) preparato e presentato da Domenico Laise, docente dell’Università La Sapienza di Roma, ad un seminario, su: “La Teoria del valore-lavoro nell’epoca della robotica”, tenuto presso l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2017-2018. Il riferimento bibliografico essenziale dei materiali presentati in tali seminari è: D. Laise, La Natura dell'impresa capitalistica, Egea, Milano, 2015.
In un precedente articolo abbiamo visto come nel processo lavorativo sia solo l’uomo l’elemento attivo, e come, invece, le macchine e gli animali siano degli elementi passivi, che non possono essere considerati dei sostituti dell’uomo nella produzione di valori d’uso. In un secondo articolo abbiamo poi esaminato la Teoria del valore-lavoro in Marx giungendo alla conclusione che il lavoro astratto è l’unica fonte di valore, e nel capitalismo, di plusvalore (lavoro non pagato) in quanto il lavoro umano è la fonte attiva del valore d’uso. Possiamo sostenere che le macchine non possono sostituire l’uomo nella produzione di plusvalore. Solo il lavoro umano astratto crea valore e, quindi, plusvalore; infatti, come sostiene Marx, le macchine non aggiungono mai più valore di quanto non ne perdono per il loro logorio [1].
Scopo di questo articolo sarà quello di mostrare come le tesi di Marx mantengano la loro validità anche quando le macchine assumano la loro forma più evoluta di "robot". Per arrivare a queste conclusioni dovremo, innanzitutto, definire che cosa è un robot.
Che cosa è una macchina robotica o robot? Occorre notare che non esiste una definizione univoca di macchina robotica, e diversi autori ne hanno dato definizioni differenti. In questo articolo faremo riferimento alla definizione adottata da Wiener, padre della cibernetica [2].
- Details
- Hits: 1691
Criticità e paradossi di un contesto imperialistico in crescente fibrillazione
di Gianfranco Greco
La particolarità della fase che stiamo vivendo riguarda, in particolar modo, il “campo minato” dell’approvvigionamento energetico laddove la Germania sta portando avanti insieme alla Russia il progetto del gasdotto “North Stream 2” che dovrebbe garantire, a partire dal 2019, circa 2.020 miliardi di metri cubi di gas russo alla Germania e da questa all’ Europa.
Svolgere una panoramica ad ampio spettro sulle criticità che insistono sull’attuale situazione a livello internazionale, traendone – per evidenziarle – quelle maggiormente significative, può rappresentare operazione un tantino complessa tenuto conto dell’elevato livello di fibrillazione che pervade quasi ogni angolo del mondo nonché il grado di interconnessione che lega tra di loro in un’unica rete i singoli contesti.
Tuttavia l’esigenza di sintetizzare al massimo ci porta a dover privilegiare alcuni temi che – quanto meno per la loro pregnanza nonché per la rapidità con cui si accompagnano – simboleggiano al meglio il “nuovo disordine” mondiale.
Crisi economica
Fantasiosi annunci di ripresa economica si accavallano a ritmo quotidiano giocando disinvoltamente su dati che vengono volutamente enfatizzati nel mentre si sottace sulle linee di tendenza dell’attuale fase economica, il che dovrebbe, al contrario, indurre ad una maggiore avvedutezza sul contesto globale.
- Details
- Hits: 2744
La sfida di un socialismo democratico per il XXI secolo
di Giorgio Fazio
Introduzione
Il dibattito sulla crisi della sinistra è in corso da anni, così come da anni sono sotto gli occhi di tutti le tendenze che certificano questo declino, basti analizzare a questo proposito gli andamenti elettorali della maggior parte dei partiti socialisti e socialdemocratici europei degli ultimi anni. Tuttavia, quando si entra nel vivo del confronto attorno alla diagnosi di questa crisi e alle terapie per uscirne, emergono ancora letture contrastanti e dissensi di fondo, che investono la questione stessa del senso di una sinistra oggi: quale deve essere la sua funzione nelle società contemporanee, quali le pratiche che devono caratterizzarla, quali i suoi soggetti di riferimento, i suoi programmi, le strategie per invertire la rotta di questa parabola di declino.
Sono tutte questioni molto complesse, che rinviano, in ultima istanza, alla questione della cultura politica della sinistra. È oggi tesi ampiamente condivisa quella secondo cui all’origine dell’attuale crisi della sinistra – e quindi, anche, della scarsa qualità dei suoi ceti politici e della sua perdita di radicamento tra i ceti popolari – ci sia lo smarrimento, dopo l’89, di una cultura politica critica di riferimento, capace di dare anima e identità alla sinistra, senso della sua missione storica e normativa, nonché credibilità e attrattività. Con cultura politica di riferimento intendo qui, in termini molto ampi, un orizzonte culturale e valoriale capace di orientare l’azione politica concreta, di indicarle senso e direzione, di discernere interessi e soggetti a cui riferirsi in via primaria, di leggere da un punto di vista determinato (per esempio, quello dei ceti subalterni) le trasformazioni sociali del proprio tempo, ma anche di qualificare lo stile dell’azione politica, di strutturare un campo politico e un’identificazione simbolica, di mobilitare impegno, passioni e immaginazione, di dare forma, articolazione politica e una rappresentazione capace di egemonia a bisogni, istanze, sentimenti di malessere e rabbia sociale.
- Details
- Hits: 2682
Walter Veltroni, “Non chiamiamoli populisti, contro questa destra estrema è l’ora di una nuova sinistra”
di Alessandro Visalli
Su La Repubblica di oggi il vero padre dell’attuale governo, il progettista della disfatta del centrosinistra italiano e coerente acceleratore della resa al liberismo della cultura ex socialista italiana, ha scritto un lungo articolo che spiega bene le ragioni razionali del successo giallo-verde (ragioni che ho cercato attraverso le parole chiave “onestà”, “integrità”, “sicurezza”). Partiamo da cosa è la “sinistra per come la intendo”, veltroniana: un movimento che ha lottato contro lo schiavismo (nell’ottocento, suppongo, anche se Lincoln era Repubblicano e i Democratici all’epoca erano dall’altra parte, ma fa niente), per la “liberazione delle donne”, e “contro l’alienazione e lo sfruttamento, per i diritti civili e umani, contro le discriminazioni”. Del resto lui stesso si definisce come un uomo che “ha dedicato tutta la sua vita a ideali di democrazia e progresso”.
Cosa c’è e cosa manca in queste rispettabili definizioni? Ci sono tanti bei valori e condivisibili, manca il sociale, l’emancipazione collettiva, e l’ispirazione socialista. L’intero orizzonte valoriale è ristretto all’individuale. Mark Lilla, che insegna storia alla Columbia, in “L’identità non è di sinistra” individua la “politica identitaria”, nella quale la sinistra americana (ed europea), cara a Walter, si è rifugiata negli ultimi decenni come un necessario sostituto del marxismo caratterizzato da due movimenti simmetrici: la riduzione dello sguardo sul mondo e abbandono della visione complessiva e il rifugio in una posizione di “autorispecchiamento morale”. Si tratta di una posizione coerentemente individualista, che parte dall’accettazione della struttura del mondo e, sin dagli anni sessanta, cerca di sostituire la critica di questa con un sostituto funzionale in grado di sostituirne l’effetto mobilitante: le battaglie sui diritti civili (le donne, le minoranze, i neri, gli omosessuali).
- Details
- Hits: 2787
Il lato oscuro di McCain
di Max Blumenthal
Il famoso giornalista Max Blumenthal rivela il vero volto del defunto senatore McCain, eroe della “sinistra” nostrana. McCain è stato uno dei più potenti e convinti guerrafondai del pianeta, sempre schierato dalla parte sbagliata e sempre pronto a provocare il caos in tutte le delicate situazioni internazionali, dalla Libia alla Siria, dall’Iran all’Ucraina
Mentre la Guerra fredda entrava nella sua fase finale nel 1985, la giornalista Helena Cobban partecipò a una conferenza accademica presso un resort di lusso vicino a Tucson, in Arizona, sulle relazioni USA-URSS in Medio Oriente. Partecipando a quella che veniva definita la “cena di gala con discorso programmatico”, scoprì presto che il tema della serata era “adotta un Mujaheddin”.
“Ricordo di essermi mescolata a tutte quelle ricche donne repubblicane che venivano dalla periferia di Phoenix che mi chiedevano: hai adottato un Mujaheddin? “ mi disse la Cobban. “Ognuna aveva promesso soldi per sponsorizzare un membro dei Mujaheddin afghani allo scopo di sconfiggere i comunisti. Alcune erano persino sedute vicine al loro Mujaheddin personale”.
Il principale relatore della serata, secondo la Cobban, era un nuovo e caricatissimo membro del Congresso di nome John McCain.
Durante la guerra in Vietnam, McCain era stato catturato dall’esercito Vietcong dopo essere stato abbattuto mentre andava a bombardare una fabbrica civile di lampadine. Trascorse due anni in isolamento e fu sottoposto a torture che gli lasciarono lesioni paralizzanti. McCain tornò dalla guerra con una ripugnanza profonda e costante per i suoi ex rapitori, tanto che nel 2000 disse: “Odio i vietnamiti. Li odierò finché vivo”. Dopo esser stato criticato per questa frase razzista, McCain si rifiutò di scusarsi. “Mi riferivo ai miei carcerieri”, disse, “e continuerò a riferirmi a loro con un linguaggio che per alcuni potrebbe essere offensivo a causa delle botte e delle torture subite dai miei amici”.
Il risentimento viscerale di McCain lo portò a un convinto sostegno dei Mujaheddin, così come degli squadroni della morte di ultra destra in America Centrale – come di qualsiasi altro gruppo votato alla distruzione dei governi comunisti.
- Details
- Hits: 2080
Che fine ha fatto la “questione catalana”?
di Pungolo Rosso
Oltre la Brexit, e il crescente caos che sta producendo nel Regno Unito, senza ovviamente che i lavoratori ne traggano il minimissimo beneficio, un altro tema è pressoché scomparso dai siti “sovranisti” di sinistra, ed è la questione catalana. E anche in questo caso, ci sono ottime ragioni perché coloro che vollero caricare l’opzione indipendentista di significati progressisti, antifascisti, anticapitalisti o addirittura socialisti, per non dire rivoluzionari, stiano in rigoroso silenzio. Infatti a quasi un anno dal referendum, alla confusione dominante a Madrid dove è nato un governo di minoranza in sostituzione del defunto governo Rajoy, fa da corrispettivo altrettanta confusione dentro il Junts per Cat, il partito di Puigdemont, dove si fronteggiano gli indipendentisti a tutti i costi e coloro che pensano invece a soluzioni di compromesso (per lo stesso Puigdemont l’indipendenza “non è l’unica soluzione”) con Madrid e il nuovo, fragilissimo premier Sanchez, già sconfitto sulla legge di bilancio (redatta in sostanziale continuità con la politica anti-operaia di Rajoy). In tanta impressionante confusione, la sola cosa certa è che alla guida delle istituzioni catalane si è insediato Joachim Torra, esponente della componente più conservatrice e razzista dell’indipendentismo, colui che è arrivato a definire i castellanohablantes – quelli che parlano spagnolo – “bestie in forma umana”; sulla scia, del resto, del suo ben più famoso predecessore Jordi Pujol che gratificò gli andalusi, che spesso sono proletari immigrati in Catalogna, come “individui anarchici che vivono in uno stato di ignoranza e miseria culturale”. Insomma: sciovinismo catalano a tutto campo!
- Details
- Hits: 3065
Discutendo di privatizzazioni
di Italo Nobile
Nelle esagitate discussioni sulle privatizzazioni che sono avvenute dopo il crollo del ponte di Genova è forse necessario introdurre dei fattori di razionalizzazione e di storicizzazione.
Uno di questi può essere l’indagine conoscitiva della commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione la quale nella seduta del 7 Dicembre 2000 si servì della consulenza di rappresentanti delle maggiori sigle sindacali e poi del Professor Marcello De Cecco.
Dopo interventi sindacali brevi e scarsamente significativi (data l’incoerenza tra le osservazioni fatte e il sostanziale appoggio alle privatizzazioni), interessante appare invece l’intervento di De Cecco che esordisce dicendo non a caso:
“Vorrei preliminarmente rilevare che le mie opinioni sul tema delle privatizzazioni non sono molto di moda. Considero gran parte di quello che è stato scritto sulle privatizzazioni animato più da ideologia che da principi economici. D’altronde tutti gli economisti hanno dietro un’ideologia. E’ importante – però – non scambiare l’una con l’altra: i ragionamenti economici vanno limitati al campo dell’economia; se poi alcune opinioni derivano da ideologie basta dirlo. Ho voluto premettere queste parole per sottolineare che dal punto di vista della teoria economica non c’è nessun motivo per cui lo Stato non dovrebbe essere proprietario di imprese, anche manifatturiere: si può essere contro o a favore, ma le posizioni favorevoli o contrarie – del tutto legittime – sono necessariamente da ricondursi ad una ideologia di base. A mio avviso l’economista in quanto tale non deve prendere posizione: infatti, dal punto di vista dei rendimenti economici di un sistema capitalistico privato, un’impresa privata può essere gestita male e un’impresa pubblica può essere gestita molto bene (così come è possibile anche il contrario)”.
- Details
- Hits: 1531
La caduta del ponte e le mosche cocchiere
di Michele Castaldo
La domanda che l’uomo della strada si pone è: come mai cadono i ponti costruiti 50, 60 o 70 anni fa e restano in piedi quelli costruiti ben oltre 2000 anni fa? Eppure – si chiede ancora – le moderne tecnologie sono ben superiori a quelle dei millenni precedenti.
Provino, lor signori scienziati ed economisti di grido, senza cincischiare troppo, a rispondere con serietà. Non possono rispondere, perché
la domanda nasconde il vero dramma dell’umanità e cioè l’incapacità dell’uomo, come specie, di saper impostare un corretto rapporto con i mezzi di produzione e la natura, perché è totalmente preso dallo spirito di concorrenza delle merci.
Un ponte di collegamento est-ovest della città, una sorta di discesa al porto da est e ripartenza per ovest e viceversa. Un ponte costruito in cemento armato, nel cui dna è scritta la obsolescenza programmata. Cerchiamo di ragionare su due aspetti fondamentali: a) il ponte – che attraversava il torrente Polceverafu costruito in pieno boom economico, cioè in una fase di totale ubriacatura di “benessere” di cui – seppure a cascata - usufruivano tutte le classi sociali. Sicché tutti i rischi per un’opera del genere passavano in secondo piano, tanto è vero che quel ponteera chiamato (con una certa approssimazione) di Brooklyn. Si trattava di un’orrenda traversata aerea di pilastri di cemento armato su abitazioni che soltanto la foga del profitto poteva giustificare. Provino a immaginare un solo carico di materiale edile – sabbia, pozzolana, calce, cemento, ferro o altro – di un peso di 160tonnellate circa, a un’altezza di cento metri per più volte al giorno tutti i giorni, tutto il mese, tutti i mesi, tutto l’anno per oltre 50 anni. E’ da irresponsabile solo l’averlo pensato.
- Details
- Hits: 1719
Marx, Weber, Kurz e presunte «forme antidiluviane» del capitale
Nota critica su "Islam e capitalismo" di Maxime Rodinson
di Clément Homs
Maxime Rodinson, nel suo classico, "Islam e Capitalismo" - in un dibattito, cominciato negli anni '50, sulla presunta incapacità da parte dell'Islam di generare il capitalismo (quest'ultimo termine, all'epoca veniva eufemizzato sotto la categoria borghese e naturalizzante di «sviluppo» o di «economia di mercato») - ha il merito di combattere contro la visione orientalista che vede un mondo arabo arretrato, immobile e immerso in una stagnazione multi-secolare. Tuttavia, nel pensare che il capitalismo sarebbe sempre esistito nelle società musulmane premoderne, sotto forma embrionale, la sua posizione rimane implicitamente segnata dall'idea problematica di uno sviluppo progressivo e trans-storico, ad un livello sempre più elevato, della forma valore e del denaro; ed è anche vero che è stato lo stesso Marx a suggerire una simile comprensione erronea, quando ha evocato le «forme antidiluviane» del capitale, nelle società precapitalistiche (anche Jacques Camatte rimarrà intrappolato in questa problematica erronea).
Secondo Robert Kurz - che ha mostrato la tensione e la contraddizione in Marx sia su tale questione che su altre (in particolare, l'aporia di Marx circa la questione del lavoro [*1]) - evocando, da un lato, questa teoria delle «forme antidiluviane», in quanto stato sottosviluppato di una logica trans-storica semplice, Marx soccombe all'ideologia della storia della modernità capitalista, sostenuta dall'Illuminismo, per la quale tutta la storia precedente non costituisce altro che un cammino verso sé stessa. Dall'altro lato, si vedono ugualmente in Marx alcuni sviluppi molto più radicali che sfuggono a questa ideologia, quando egli si oppone agli «economisti che cancellano tutte le differenze storiche e vedono in tutte le forme della società, quelle che sono le forme della società borghese» [*2]. Marx arriva persino a storicizzare le categorie stesse quando afferma che «il concetto economico di valore non si incontra affatto nell'Antichità [...]. Il concetto di valore rientra integralmente nell'economia più moderna, in quanto esso è l'espressione più astratta del capitale stesso e della produzione basata sul capitale» [*3].
- Details
- Hits: 3211
Dittatura e stragi o nazionalizzazioni e democrazia economica socialista?
Il Venezuela e l'ALBA
Fabrizio Verde intervista Luciano Vasapollo
«Siamo di fronte a due modelli di sviluppo che si scontrano»
Prima che l’intera attenzione mediatica e dell’opinione pubblica fosse fagocitata dal caso della nave della Guardia Costiera italiana ‘Diciotti’ ferma nel porto di Catania con 117 migranti a bordo, nel paese si era acceso un sano dibattito sull’opportunità delle nazionalizzazioni. Tema emerso perché settori dell’autodefinito governo del cambiamento avevano avanzato l’ipotesi di revocare la concessione delle autostrade alla società controllata dalla famiglia Benetton in seguito al crollo del ponte Morandi a Genova. I settori liberal liberisti sono immediatamente insorti. Agitando anche, a sproposito, lo spauracchio Venezuela. Insomma, nulla di nuovo per un paese dove il circuito mainstream utilizza quotidianamente fake news per deformare la realtà e cercare di conformarla ai propri interessi. Un classico esempio di post-verità.
Per questo abbiamo deciso di sentire un parere autorevole. Quello del professor Luciano Vasapollo, professore di Analisi Dati di Economia Applicata alla «Sapienza» Università di Roma, Delegato del Rettore per le Relazioni Internazionali con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi; e professore all’Università de La Habana (Cuba) e all’Università «Hermanos Saíz Montes de Oca» di Pinar del Río (Cuba)
* * * *
Professore, dopo l’immane tragedia di Genova, potrebbe tornare una stagione di nazionalizzazioni?
Siamo ancora una volta di fronte a due modelli di sviluppo che si scontrano. Uno è lo sviluppo quantitativo basato sullo sviluppismo, quindi solo sul profitto. Questo crea danni all’uomo e all’ambiente. I danni si misurano nella maniera in cui vediamo. Facciamo l’esempio del ponte di Genova: si tratta di una strage di Stato.
- Details
- Hits: 7106
E questo è quanto
di Silvia De Bernardinis
“E questo è quanto. Storie di rivoluzionarie e rivoluzionari”. Il titolo della nuova collana edita da Bordeaux e curata da Ottone Ovidi esordisce con questo primo volume dedicato a Salvatore Ricciardi. Una storia e una vita di militanza, iniziata nelle piazze, con le grandi manifestazioni contro il governo Tambroni nel 1960 e la rivolta degli edili a Piazza SS. Apostoli nel 1963, stesso carattere e stessi contenuti della più nota Piazza Statuto torinese dell’anno precedente, uno snodo importante che comincia a dare fisionomia ad una nuova soggettività operaia, quella che farà da traino e sarà il collante del movimento di classe che emergerà chiaramente durante il biennio 68-69. La crescita politica di Salvatore, come lui stesso racconta, avviene nel contesto di queste lotte operaie, prima con gli edili e poi, soprattutto, nelle ferrovie, dove svolge attività sindacale nella Cgil e successivamente, cacciato dal sindacato, nel Cub-ferrovieri, di cui è uno dei fondatori. Sono gli anni, quelli tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, che sanciscono il passaggio dalla non ostilità alla rottura con la sinistra istituzionale, ed in particolare con il Pci, che nel corso degli anni 70 diventerà sempre più profonda. Nel 1977, l’entrata nella colonna romana delle Brigate Rosse. Sarà arrestato nel 1980, e come tutti i prigionieri politici sperimenterà il circuito delle carceri speciali e l’ultima grande rivolta carceraria, quella di Trani che, legata al contemporaneo sequestro D’Urso, porterà alla chiusura dell’Asinara. Ultima battaglia unitaria delle BR, dopo la quale si consumerà la scissione dell’organizzazione, diretta dall’interno del carcere, con la formazione del Partito Guerriglia al quale, diversamente dalla maggioranza dei prigionieri politici BR, Salvatore non aderirà. È un processo, questo che porta alla scissione, che Salvatore vive in parte fuori e in parte dentro il carcere, che inizia nel 1979 con una dura critica dei prigionieri politici all’Esecutivo, espressa attraverso le 20 tesi del “documentone” elaborate nel carcere di Palmi, con le quali si accusava l’organizzazione all’esterno di incapacità di innalzare lo scontro sociale e guidare un movimento che si immaginava, astrattamente ed erroneamente, fosse all’offensiva.
- Details
- Hits: 3270
Economicismo o dialettica? Un approccio marxista alla questione europea
di Emiliano Alessandroni
[Con questo saggio di Emiliano Alessandroni, “Marxismo Oggi” intende aprire una discussione approfondita sulla questione europea, e più in generale sulle contraddizioni e i problemi dell’attuale quadro internazionale; una discussione complessa su temi complessi, che dunque intendiamo affrontare evitando semplificazioni e schematismi, in uno spirito di confronto e ricerca critica, utilizzando il metodo scientifico di analisi proprio del marxismo]
a Domenico Losurdo
(in memoriam)
1. Gli USA e l'orientalizzazione dell'Europa
Nei periodi storici caratterizzati da profonde crisi – di natura, oltre che economica, anche politica e culturale –, i ragionamenti che governano il dibattito pubblico, ivi compreso lo spazio del dissenso, vedono indebolirsi il campo della riflessione dialettica, contestualmente al rafforzarsi di prospettive meccaniciste e logiche binarie. In tali periodi sono dunque queste ultime a guidare i passi e a tracciare le vie d'uscita dai problemi in cui di volta in volta ci si imbatte, sono queste ultime a orientare i pensieri generali e a forgiare le nostre formae mentis. Così ad esempio, per quanto concerne l'imperialismo, nel mondo intellettuale, non meno che nel senso comune, una convinzione tende ad affermarsi: esso costituisce un atto di soggiogamento politico e militare che si verifica ai danni di un paese economicamente povero e tecnicamente arretrato. Gli Stati dell'Europa, non a caso, vengono pensati il più delle volte in relazione a dinamiche predatorie e molto raramente ai rischi di sottomissione. Eppure la storia non ha fatto mancare gli episodi che smentiscono un simile paradigma. Tra la Prima Coalizione organizzata contro il governo giacobino dopo la Rivoluzione del 1789 e la Guerra franco-prussiana scatenata da Bismarck, la Francia subisce più volte l'aggressione delle altre potenze europee, sebbene successivamente, con le guerre napoleoniche, i ruoli si capovolgano e sarà questo Stato ad assumere la veste dell'invasore straniero contro una Germania ben presto demolita e saccheggiata. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, le parti si invertono nuovamente e con la Repubblica di Vichy metà del territorio francese diventa, nel giro di poco tempo, una sorta di colonia tedesca.
Page 247 of 552