- Details
- Hits: 3295
Brexit: è la rabbia dei popoli contro un’ Europa che non è democratica
Carlo Formenti
Brexit: succede purtroppo grazie a un movimento egemonizzato dalle destre. Quando ci sbarezzeremo del ciarpame ideologico e ci metteremo a lavorare per un’alternativa populista di sinistra?
Il senso più profondo della vittoria della Brexit riguarda il fatto che il terrorismo politico mediatico non riesce più a condizionare la rabbia popolare contro quell’istituzione profondamente antidemocratica che è la UE: una struttura burocratica non eletta, strumento di dominio del capitale globale e delle élite ordoliberiste. Era già successo con il referendum greco, ma Tsipras non ha avuto le palle di rispettare la volontà del proprio popolo di riconquistare la sovranità sul proprio destino. Oggi succede in Uk, purtroppo grazie a un movimento egemonizzato dalle destre, a casua dell’ottusità di una sinistra (inglese ed europea, riformista e radicale, con pochissime eccezioni) che si ostina a vedere nell’Europa una garanzia di pace!? (e la guerra in Ucraina? e l’accordo con la Turchia fascista per deportare i migranti? e i muri eretti dai membri fascistoidi della Ue? e il TTIP? e le feroci politiche antioperaie e antisindacali? e lo smantellamento del welfare?).
Bisogna essere idioti per vedere in tutto ciò degli “errori di rotta” correggibili dall’interno con adeguate riforme. E bisogna essere irresponsabili per consegnare alle destre il monopolio della rivolta contro la tecnocrazia europea.
- Details
- Hits: 3623
Brexit e fine dell’euro
Il “monito degli economisti” aveva visto giusto
di Riccardo Realfonzo
L’affermazione dell’“exit” al referendum britannico apre una crisi che oggi vede uscire il Regno Unito dall’Unione Europea e che in breve tempo potrebbe vedere sgretolarsi l’eurozona. È il caso di dire che i nodi vengono sempre al pettine, e per una volta nessuno potrà dire che gli economisti non avevano avvertito.
Già nel giugno 2010, ai primi segni di crisi dell’eurozona, una lettera pubblicata da economiaepolitica.it e sottoscritta da trecento economisti italiani e stranieri, lanciò un allarme sul modo in cui i governi europei reagivano alla crisi e soprattutto sui pericoli insiti nelle politiche di “austerità” imposte dai Trattati, che avrebbero ulteriormente depresso l’occupazione e i redditi, rendendo ancora più difficili i rimborsi dei debiti, pubblici e privati. Ma quell’allarme rimase inascoltato.
Nel novembre 2013 il Financial Times pubblicò il “monito degli economisti”, con il quale insieme ad alcuni celebri studiosi di tutto il mondo sostenevamo che in assenza di una svolta espansiva e di uno sforzo concertato per la ricomposizione dei crescenti squilibri macroeconomici, l’Unione Europea non avrebbe potuto reggere, e la stessa esperienza della moneta unica si sarebbe esaurita. Il “monito” sottolineava il “carattere asimmetrico” della crisi, evidenziava i processi di divergenza impetuosi tra Paesi che traevano vantaggio dal quadro di regole europee (Germania in testa) e paesi che invece ne subivano le conseguenze.
- Details
- Hits: 2812
Gli Spitfire sono spuntati dalle urne
di Giorgio Cremaschi (Piattaforma Sociale Eurostop)
Democrazia dei popoli ed euforia delle Borse sono incompatibili, ce ne faremo una ragione. Morto subito il Ttip comincia la fine dell’Ue. Oggi in Gran Bretagna domani in Italia e in tutta Europa. Viva la Brexit, ora Renxit e poi Italexit
Smentendo tutti i sondaggisti e tutti i palazzi del potere, e anche la prematura gioia delle Borse e le premature lacrime nostre, il popolo britannico ha detto basta alla UE. Lo aveva fatto un anno fa anche il popolo greco, anche allora smentendo i sondaggi, poi il suo governo si era piegato alla tirannia della Troika.
Le Borse e la finanza precipitano dalla euforia alla depressione, in misura esattamente inversa alla euforia di libertà dei popoli, dobbiamo prendere atto che Il gote re dei mercati e la democrazia sono incompatibili, e stare con chi sceglie la democrazia.
Con questo voto muore subito il TTIP, che lo stesso Obama aveva legato ai destini della Brexit e comincia la fine della UE dell’Euro delle multinazionali e delle banche e soprattutto dell’austerità. Comincia la fine di un sistema di potere europeo dove un solo parlamento è sovrano, quello tedesco, e tutti quelli degli altri paesi eseguono gli ordini della Troika. Comincia la fine della UE perché questa istituzione non è riformabile, come dimostrano anche le reazioni isteriche e furiose dei suoi leader.
- Details
- Hits: 3526
Meno uno!
Emmezeta
Lo storico risultato del referendum in Gran Bretagna. Un voto di classe saluta l'UE: Leave 52% - Remain 48%
Il mostro denominato UE ha perso un pezzo. E che pezzo! I 28 sono diventati 27. I sudditi delle oligarchie euriste sono scesi da 503 a 441 milioni. E si potrebbe continuare. Ma per adesso fermiamoci qui, che ce n'è già abbastanza per capire a quale livello è ormai giunta la crisi europea.
Questa crisi politica sarebbe andata avanti anche se il risultato fosse stato opposto, ma ora gli elettori del Regno Unito hanno detto una cosa più chiara: dall'UE si può uscire. Per noi un'ovvietà, ma andatelo a spiegare alle frotte di giornalisti e commentatori che ieri sera - sulla base di un semplice sondaggio commissionato dagli hedge fund - già brindavano sguaiatamente al successo del Remain. Per loro un risultato obbligato e senza alternative...
Da sempre, per costoro, la rottura dell'UE sarebbe fonte delle più tremende sciagure, quando invece per la povera gente la sciagura è proprio la gabbia europea, concepita giusto per affermare il dominio assoluto delle oligarchie finanziarie. Da qui i trattati che hanno trasformato in leggi i dogmi del neoliberismo, il dominio della logica dei mercati, i tagli salariali, l'attacco sistematico ai diritti del popolo lavoratore, l'austerità a vita e chi più ne ha più ne metta.
- Details
- Hits: 3823
Italian Theory – una riflessione critica1
di Augusto Illuminati
Utilità e pericoli della “rivoluzione passiva”. Pericolo di disfattismo storico, perché l’impostazione generale del problema può far credere a un fatalismo, ecc.: ma ala concezione rimane dialettica, cioè presuppone, anzi postula come necessaria, un’antitesi vigorosa e che metta in campo tutte le sue possibilità di esplicazione intransigentemente. Dunque non teoria della “rivoluzione passiva” come programma […] ma come criterio di interpretazione in assenza di altri elementi attivi in modo dominante (A. Gramsci, Q 14 (1932-1935)2.
Ogni traduzione riuscita sedimenta una parte nella lingua. La Germania non ci ha regalato la rivoluzione fra Settecento e Ottocento, ma almeno Aufklärung e Idealismus sì. Per contro, trapela subito un filo di fretta e di approssimazione nell’essere invalso un termine che unisce i vantaggi della voga internazionale a una povera presa sull’originaria realtà generativa. Diciamola tutta: che arriva quando la suddetta realtà si sta facendo sterile di fatti e idee, così da accentuare l’altrimenti perdonabile provincialismo della denominazione, sorta in ambito accademico anglosassone e un po’ troppo baldanzosamente importata. Benintenzionato ma isolato appare il distinguo terminologico di R. Esposito, che preferisce scandire la deterritorializzazione del pensiero europeo in tre fasi: German Philosophy (scuola di Francoforte emigrata in Usa e poi rientrata), French Theory (riadattata e arricchita dal passaggio nei dipartimenti statunitensi di Cultural Studies) e Italian Thought (pensiero della prassi e pratica di pensiero). La configurazione Thought si è rivelata desueta rispetto all’immediato mimetismo competitivo con i transalpini, ma non è questo il problema. Non si può non registrare il dettaglio singolare che tutti e tre i termini siano espressi in inglese, ovvero in un lessico che, non radicato in nessuno dei tre filoni, è proprio piuttosto della teoria analitica (egemone nell’accademia) o, più semplicemente, agisce da lingua veicolare universale e omologante.
- Details
- Hits: 3139
Il ruolo della Germania nella crisi europea
di Vladimiro Giacché
Davvero il punto di inizio è il 2007?
La grande recessione inizia nel 2007, come crisi del mercato finanziario del debito (privato) Usa. Assume dimensioni globali e dopo il fallimento di Lehman Brothers (settembre 2008) sembra portare al collasso il sistema finanziario internazionale.
Gli effetti della crisi sono devastanti in particolare per i paesi capitalistici avanzati: USA, UE e Giappone.
A fronte di questo, le spiegazioni della crisi sono confuse, contraddittorie e incoerenti: effetto-Babele o effetto John Belushi.
La crisi come ci è stata spiegata
L'elenco dei suoi presunti colpevoli è molto più lungo delle scuse di John Belushi nella celebre scena del film Blues Brothers.
- Details
- Hits: 5000
Maledetto Frammento! (Falce e Robot)
Contro una lettura gradualista (“riformista”) e adialettica (infantile) del pensiero marxiano
Sebastiano Isaia
I teorici del cosiddetto Capitalismo cognitivo e del Postcapitalismo hanno frainteso nel modo più clamoroso e infantile possibile la naturale tendenza del Capitale a creare sempre di nuovo occasioni di profitto senza alcun riguardo circa la natura (produttiva o improduttiva) dell’investimento, la quale per il singolo investitore non ha alcun significato, perché, com’è arcinoto (al netto dei soliti miserabili moralismi francescani e sinistrorsi), il profitto non ha né colore né odore. Lo sviluppo capitalistico per un verso ha irrobustito la caduta tendenziale del saggio di profitto industriale, spingendo con ciò stesso una massa sempre più cospicua di capitali a cercar fortuna fuori della sfera della produzione immediata del plusvalore, fondamento reale e concettuale di ogni tipologia di profitto e di rendita; e per altro verso ha generato una tecnoscienza in grado
1. di incrementare il grado di sfruttamento della capacità lavorativa impiegata in ogni sfera di attività (industria, commercio, finanza, servizi) e
2. di rendere l’intera esistenza umana una sola, gigantesca, vivente (e per questo sempre mutevole e plasmabile) occasione per drenare profitti. Un’esistenza interamente mercificata e, per mutuare abbastanza indegnamente il feticista di Treviri, ad alta composizione organica di capitale.
- Details
- Hits: 16793
Mai scrivere “noi”. Appello per la libertà di ricerca e di pensiero
Il 15 giugno 2016, il tribunale di Torino ha condannato Roberta, ex studentessa di antropologia di Ca’ Foscari, a 2 mesi di carcere con la condizionale per i contenuti della sua testi di laurea, conseguita nel 2014. Per scrivere la tesi «Ora e sempre No Tav: identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità», Roberta ha trascorso due mesi sul campo durante l’estate del 2013, ha partecipato a varie dimostrazioni in Valsusa, intervistando attivisti e cittadini. Coinvolta insieme a lei in questo procedimento giudiziario era Franca, dottoranda dell’Università della Calabria, che come Roberta era in Valle per ragioni di ricerca, che compare con Roberta nei video e nelle foto analizzati dalla procura ma che a differenza di Roberta è stata assolta da tutti i capi d’imputazione.
A differenza di Franca, Roberta è stata condannata a 2 mesi di reclusione con la condizionale. Nonostante le motivazioni della sentenza saranno rese pubbliche tra 30 giorni, la ragione della sua condanna è stata attribuita all’utilizzo, nella sua tesi di laurea, del “noi partecipativo” interpretato dall’accusa come “concorso morale” ai reati contestati. Di fatto, i video e le foto scattate durante le manifestazioni parlano chiaro: le due donne sono lì, presenti, anche se in disparte. È stato dimostrato in tribunale che nessuna delle due imputate ha preso parte a momenti di tensione.
- Details
- Hits: 8251
Un filo rosso: Rosa Luxemburg e Ulrike Meinhof
di Elisabetta Teghil
“No, non voglio essere una delle vostre donne confezionate col cellophane. Non voglio essere presenza tenera di piccole risate e di sorrisi stupidamente allettanti e dovermi sforzare di essere quel tanto triste e ammiccante e al tempo pazza e imprevedibile e poi sciocca e infantile e poi materna e puttana e poi all’istante ridere pudica in falsetto a una vostra immancabile trivialità.” Ulrike Meinhof
* * *
Il libro appena uscito per le Edizioni Gwynplaine “Ulrike Meinhof, una vita per la rivoluzione-R.A.F. Teoria e prassi della guerriglia urbana” a cura di Giulia Bausano e Emilio Quadrelli su Ulrike Meinhof e sui documenti della RAF, viene a distanza di 37 anni da quando l’editore Bertani pubblicò “La guerriglia nella metropoli -Testi della RAF e ultime lettere di Ulrike Meinhof”.
In quella occasione in una nota, l’editore rammentò un articolo della stampa mainstream che ipotizzava che in un “covo” erano stati ritrovati degli scritti della RAF con un elenco di nomi fra cui un certo “George Bertein”. Era facile fare il collegamento fra questa presunta scoperta e il nome dell’editore Giorgio Bertani.
- Details
- Hits: 2843
La democrazia bloccata, la crisi del Partito Socialista e i movimenti di contestazione in Francia
Diario parigino 5
di Andrea Inglese
Proviamo a guardare la sequenza più ampia. In Francia, paese del presidenzialismo, per 17 anni abbiamo un presidente della Repubblica che viene dai ranghi della destra. Chirac è rieletto per due mandati consecutivi dal 1995 al 2007, e Sarkozy, che gli succede, lascia la carica, nel maggio del 2012, a Hollande, nuovo presidente socialista. Prima di lui, bisogna risalire alla lunga parentesi rappresentata dal doppio mandato di Mitterand (1981-1995), per trovare un altro presidente socialista. Non azzardo un bilancio politico dell’ultima presidenza di destra, quella di Sarkozy, ma alcune cose risultano evidenti. Sarkozy ha fatto quanto poteva per aiutare i grandi patrimoni e le grandi imprese, e nello stesso tempo si è impegnato a fondo per criminalizzare i poveri, cominciando dagli immigrati. I margini di manovra per realizzare delle massicce riforme che spingessero la Francia verso scenari di radicale liberalizzazione sul modello Thatcher o Regan, in Francia non c’erano. Sarkozy si è trovato, quindi, in una situazione simile a quella di Berlusconi in Italia. Non potendo demolire le garanzie universali dello Stato sociale, senza provocare violente reazioni nella popolazione, entrambi hanno agito soprattutto sul versante fiscale e su quello repressivo.
- Details
- Hits: 2594
Se grande finanza e UE tifano per la controriforma Renzi-Boschi
di Enrico Grazzini
Non si può veramente capire perché la Costituzione Italiana viene stravolta così malamente dal premier Matteo Renzi senza comprendere quanto i mercati finanziari e l'Unione Europea - che istituzionalizza di fatto la loro rapace supremazia – abbiano premuto e spingano per una svolta autoritaria e antidemocratica in modo da potersi garantire il potere sovranazionale sugli stati europei. Non è insomma plausibile condurre una battaglia efficace contro lo stravolgimento costituzionale progettato dal governo senza contrastare contemporaneamente le forze economiche internazionali (grandi banche d'affari, fondi speculativi, ecc) e le istituzioni politiche sovranazionali ed estere (Troika, Commissione UE, BCE, governo tedesco) che hanno spinto la coppia Renzi-Boschi a proporre di avanzare su una strada anti-democratica di quasi-regime.
Purtroppo sono molto pochi quelli che all'interno delle forze progressiste vedono il legame tra la pressione della grande finanza internazionale e dell'Unione Europea da una parte e la svolta autoritaria contro la Costituzione Italiana dall'altra[1].
- Details
- Hits: 2893
La rivolta che non c'è
di Paolo Bartolini
Ragioni e passioni per una resistenza creativa al tecno-capitalismo
Il nostro è un tempo di paradossi: il precipitare delle crisi innescate dall’insostenibilità del capitalismo spettacolare integrato dovrebbe sollecitare azioni riparative di vasta portata nel breve periodo. L’emergenza climatica, il dissesto ambientale, la tragedia dei migranti e gli effetti rovinosi delle politiche di austerity sulle condizioni di vita di moltissime persone, sono convulsioni che scuotono il corpo febbricitante dell’Occidente denunciando la fine delle vecchie egemonie. Tali questioni offrirebbero seri motivi per rilanciare, senza ulteriori rinvii, un impegno politico collettivo che funga da antidoto contro le derive dell’indifferenza e del nichilismo compiuto. Ma – lo dicono da tempo i commentatori più lucidi del presente – l’intreccio di tali eventi macroscopici raramente produce delle risposte degne di rilievo. I ceti subalterni, che avrebbero tutte le ragioni per insorgere mettendo in discussione l’attuale assetto dei rapporti di potere, sembrano ipnotizzati, svuotati e impotenti. Il fenomeno francese della Nuit Debout è un primo segnale in controtendenza, positivo nel suo emergere, ma pur sempre aurorale.
Il paradosso cui facevamo cenno è, dunque, quello di un’epoca estrema (si parla, per noi occidentali, dell’imminente “fine di un mondo”) che non può affatto contare su dei soggetti capaci di agire in modo sensato e liberante perché, a monte, manca un’analisi accurata delle situazioni concrete in cui le dinamiche di dominio del sistema tecno-capitalista1 si riproducono ed articolano.
- Details
- Hits: 3500
Il giorno della civetta
Cinque considerazioni sul voto amministrativo
di Redazione
Il giorno della civetta, dal romanzo di Sciascia e dalla riduzione cinematografica di Damiani, è quello che permette di capire chi vale e chi è solo fatto di parole. A quest'ultima categoria appartiene sicuramente, ma non c'era bisogno del voto delle amministrative per saperlo, Matteo Renzi. Non solo perché il PD ha perso in tre aree metropolitane su quattro (e non è poco) ma soprattutto perché, voto dopo voto, è Matteo Renzi stesso a rendersi sempre più improbabile. Con dichiarazioni tipiche di chi prova a ripetere schemi vincenti, simili al bonus 80 euro, in un campionato dove tutte le squadre sono attrezzate proprio al contropiede su questi schemi. Un logoramento dell'immagine, dovuto anche a una sovrapposizione mediale del premier, che rischia di essergli fatale al referendum di ottobre (periodo in cui si concentrano spesso, oltretutto, tutte le tensioni sociali della stagione autunno-inverno).
Il voto delle amministrative va saputo leggere bene. Allora regalerà più certezze analitiche che politiche.
Cominciamo però dall’impolitico, ovvero dall’astensione molto alta, qualche prima certezza viene fuori. Nei decenni passati l’alta astensione era considerata un fenomeno tipico della affluent society, la società del raggiunto benessere. Dove il disinteresse per la politica coincideva con stabili livelli di consumo. Oggi, in Italia, l’alta astensione coincide con la regressione dei diritti materiali di cittadinanza, dei consumi e della capacità di far circolare ricchezza. Chi vuol pescare, a vario titolo, in questa fascia di popolazione deve saperci entrare (spesso astensione e analfabetismo da società digitale coincidono) e non è facile. Ma veniamo al resto.
- Details
- Hits: 2096
Commenti sui risultati dei ballottaggi
Si è rotta la diga
di Redazione Contropiano
La vera partita comincia ora. La batosta subita da Renzi e dal centrodestra rivela che gli equilibri sociali consolidati si sono ormai rotti, a partire fondamentalmente dalle realtà metropolitane. Governare questo paese secondo le linee guida dell’Unione Europea e della Troika diventa dunque di fatto molto più difficile, mentre l’alternativa possibile e concreta resta avvolta – purtroppo – nella nebbia delle buone intenzioni inconsapevoli delle caratteristiche fondamentali del “sistema”.
Ma ora si può cominciare a giocare una partita che prima era semplicemente bloccata e già vinta dal potere più fetido.
Non vi può essere alcun dubbio che la sconfitta subita da Renzi – per certi versi clamorosa quanto a dimensioni e realtà sociali – sia anche la sconfitta delle politiche di austerità, malamente mascherate da provvedimenti “populisti”, come gli 80 euro, ma saldamente incentrate su un diluvio di misure che più antipopolari non si può:
* * * * *
Ballottaggi: una prima analisi dei risultati
di Aldo Giannuli
Al momento in cui scriviamo i risultati si può solo abbozzare un giudizio, non essendo ancora disponibili i dati in cifra assoluta. A quanto pare è andata così, in primo luogo l’astensione è cresciuta –come sempre accade nei ballottaggi- e al di là del solito, per cui ha votato solo la metà degli elettori, ma non nelle due città dove era più incerta la sfida, Milano e Torino, e dove la flessione fra primo e secondo turno è stata più contenuta.
Il che è un dato che fa riflettere: se questa è la tendenza nazionale, questo significa la fine della rappresentatività del parlamento, perché una forza che, magari, ha avuto il 20% dei voti al primo turno si aggiudica il 54% dei seggi grazie ad un 1% percento in più in un secondo turno dove, per ipotesi, ha votato il 48% degli elettori e, magari, batte un altro partito che aveva avuto il 38% al primo turno. Vi riesce di immaginare una cosa più disrappresentativa?
* * * * *
Ballottaggi amari
di Augusto Illuminati
Che bilancio possiamo trarre dai ballottaggi? Non facciamo parte dei vincitori (tranne che a Napoli), però a nostro modo abbiamo vinto anche noi. Se vincere vuol dire cominciare a sgomberare la strada da ostacoli, abbiamo vinto
Il Faraone è sgomento per le piaghe, ma noi stiamo ancora in Egitto. Se vincere vuol dire costruire basi positive sufficienti per avviare un’alternativa, allora non ci siamo, se non inizialmente a Napoli.
Abbiamo goduto come ricci per la sconfitta tattica e strategica di Renzi e per lo scacco dell’arroganza sabaudo-fordista di Fassino e della liquidità postfordista del “doganiere” Giachetti. Non parliamo neppure delle campagne tutte fallite di Repubblica, la cui irrilevanza dovrebbe spingere alle dimissioni il suo direttore, secondo solo al menagramo Stefano Esposito nella navetta Torino-Roma.
Ma la nostra (sempre eccetto Napoli) non è la schietta gioia che spinozianamente si collega a un incremento di potenza di cui noi stessi siamo causa.
* * * * *
Renzi azzoppato ma... nessun dorma!
Moreno Pasquinelli
Non avevamo dubbi che i ballottaggi avrebbero confermato ed anzi appesantito la batosta subita da Renzi e dal Pd al primo turno. E non avevamo dubbi che il Movimento 5 Stelle, dove aveva un adeguato radicamento, sarebbe uscito vincente.
Non ci volevano doti profetiche per capirlo, bastava sintonizzarsi col rumore sociale di fondo, sentire ciò che ribolle nella pentola sociale. Di passata ricordiamo che noi abbiamo dato indicazione di voto per i candidati Cinque Stelle ed a Napoli per De Magistris — "Colpire il Pd per cacciare il governo Renzi".
Escono con le ossa rotte tutti quei cretini che avevano pronosticato una lunga vita al governo Renzi, quelli che cianciavano di una stabilizzazione politica della crisi italiana,
* * * * *
Lo stupore e la rabbia dei commentatori per lo schiaffo al ducetto
di Carlo Formenti
Stupore, frustrazione, rabbia, denegazione, depistaggio, seduzione: questi gli atteggiamenti che ho visto/ascoltato affiorare sui volti e nelle parole di politici, giornalisti ed <<esperti>> mentre seguivo (rimbalzando fra Rai1, Rai3 e La7) le reazioni a caldo a exit poll e proiezioni la notte di domenica scorsa.
Stupore: non se lo aspettavano, malgrado gli innumerevoli segnali di irritazione (a partire dai tassi di astensionismo sempre più elevati) che da tempo salivano dal basso, le élite di questo Paese erano convinte di poter seguitare a manipolare a tempo indeterminato un’opinione pubblica che, evidentemente, stimano incapace di intendere e di volere.
Frustrazione e rabbia: lo spettacolo più spassoso, in tal senso, lo ha offerto l’ineffabile Piepoli che, dando un limpido saggio della sua <<obiettività scientifica>> in veste di analista-sondaggista, commentava in diretta, con espressioni di stizza degne di un Gollum derubato del suo tesoro, la débâcle dei propri datori di lavoro.
* * * * *
Via Matteo Renzi chiusa per frana
di ilsimplicissimus
Qualche giorno fa avevo spezzato una lancia a favore della Raggi e dio sa con quanta difficoltà. Ma ieri notte ho avuto la riprova e la consolazione di non essermi sbagliato, vedendo come in un incubo il modo e i riflessi pavloviani in cui la vecchia, asfittica compagnia di giro di tromboni giornalisti e commentatori, praticamente a reti unificate visto che il dissenso è ormai inesistente, ha cercato di dare un’interpretazione del voto che farebbe invidia al brigante Musolino travestito da Heidi. Non voglio nemmeno occuparmi delle cose miserabili, come la traduzione di titolo di un quotidiano inglese: “Per la prima volta una donna alla guida della città” come Per la prima volta un populista alla guida della città (rai24). O il fatto che l’ex assessore Esposito, importato da Marino a Roma e poi tornato nelle braccia di Fassino, nero come la notte, abbia sostenuto che chissà cosa faranno i cinque stelle nella capitale, ” certo manca un urbanista”, mentre l’unica squadra in tutti i luoghi in cui si è votato che comprende un urbanista è proprio quella della Raggi con Paolo Berdini.
* * * * *
#VirginiaRaggi & Co. - Ballottaggi e spartiacque
di Piotr
Effetto #CinqueStelle. Gli inamovibili, destinati a perdurare, grandi o piccoli, oggi stanno scomparendo a un ritmo maggiore del rinoceronte bianco
1. La mia educazione politica è avvenuta nella sinistra extraparlamentare degli anni Sessanta-Settanta. La mia formazione filosofica è all'insegna di Marx.
Può quindi non stupire che i miei amici e conoscenti abbiano guardato con sconcerto il progressivo allontanamento delle mie simpatie dai partiti e movimenti che si autodichiaravano di sinistra e utilizzavano la simbologia e la terminologia che più sentivo mie per ammantare ragionamenti che ritenevo sempre più inaccettabili. Non perché li ritenessi "vecchi", ma proprio perché erano - e sono - sbagliati.
Come disse ironicamente una volta Gioachino Rossini commentando la composizione di un giovane musicista, quando c'è del nuovo e del bello, il bello può essere vecchio e il nuovo può essere brutto.
* * * * *
La rottamazione del rottamatore
di Fabrizio Casari
E’ un voto netto, senz’appello, che indica due letture distinte ma non distanti. Quella di un voto contro Matteo Renzi e il PD, e l’affermazione decisa del M5S, che del governo Renzi è avversario acerrimo. Movimento 5 Stelle che da ieri smette di essere un’ipotesi, un’incertezza, una scommessa politica. E’ ora, a tutti gli effetti, una forza di governo, sebbene la sua affermazione risulti ancora a macchia di leopardo, con consensi importantissimi in alcune zone del paese e maggiori difficoltà in altre. Vedremo da oggi quale sarà la capacità di proporsi come alternativa di medio-lungo termine per un movimento che, difficile da inquadrare ideologicamente, rappresenta certamente una forza di rottura del sistema politico italiano.
Ma sarebbe un errore leggere solo come voto di protesta il consenso ai M5S: il voto di protesta si registra semmai nell’astensione, mentre il voto ai pentastellati appare piuttosto come consapevole, ragionato, che identifica nella novità politica una rappresentanza possibile.
- Details
- Hits: 2484
Survival economy
di Giovanna Cracco
Il processo di globalizzazione non si arresta. Una tappa dietro l’altra, le politiche degli Stati proseguono nella creazione di un unico libero mercato mondiale, senza barriere protezionistiche per merci, servizi e capitali.
A Occidente dodici Paesi, tra cui gli Stati Uniti, hanno firmato il TPP, il Trattato di libero scambio dell’area del Pacifico (1), e sono in corso i negoziati tra Usa e Europa per il TTIP (2).
A Oriente la Cina preme per esse-re riconosciuta dall’Unione europea come ‘economia di mercato’, un cambiamento di status che cancellerebbe i dazi doganali oggi applicati ai suoi prodotti. Difficilmente accadrà ora, ma è solo questione di tempo. A fine 2016 avrebbe dovuto infatti concludersi il processo avviato nel 2001, quando il Paese asiatico entrò nel Wto accettando un periodo di osservazione di quindici anni. Oggi gli Stati Uniti fanno pressione per respingere la richiesta, e l’Europa va nella medesima direzione. Ufficialmente la politica cine-se è ancora troppo presente nella struttura produttiva per essere considerata un’economia di mercato, in realtà, visto l’evolversi della crisi nei Paesi a capitalismo avanzato, aprire adesso le porte alle merci cinesi a basso prezzo significherebbe annientare l’industria manifatturiera ancora rimasta nel Vecchio Continente. Il 12 maggio scorso dunque il Parlamento europeo ha votato a grande maggioranza (546 sì, 28 no e 77 astenuti) una risoluzione contraria, e anche la Commissione si sta allineando.
- Details
- Hits: 8335
Operai e capitale: 50 anni
di Toni Negri e Mario Tronti
Pubblichiamo qui due contributi ad una giornata di studio su Operai e capitale nel cinquantenario della sua pubblicazione. Il seminario si è tenuto all’Università Paris X Nanterre l’11 giugno 2016. Nella discussione, oltre ad Andrea Cavazzini, Fabrizio Carlino, Yaan Moulier Boutang, Etienne Balibar, Morgane Mertueil, sono intervenuti Toni Negri e con una lettera Mario Tronti. Qui pubblichiamo il testo di Toni Negri e la lettera di Mario Tronti. Indicano due vie di lettura nel corso di un cinquantennio – due vie per interpretare il presente (EN)
Che cosa è successo dentro la classe operaia dopo Marx
di Toni Negri
Nel 1966, nella sua prima edizione, Operai e capitale termina con l’impegno a studiare “che cosa è successo dentro la classe operaia dopo Marx” (Operai e capitale, Einaudi, Torino; 1966, p.263). Il postscriptum del 1970 alla seconda edizione di Operai e capitale, analizza la classe operaia nel New Deal e ne descrive le trasformazioni della composizione tecnica (fordismo) e della composizione politica (il sindacalismo ed il riformismo dal New Deal allo Stato del welfare, appunto). Tronti non riconosce tuttavia, per la classe operaia, una differenza strutturale di composizione tecnica e politica fra fordismo e anni ‘70. Non vi è modificazione dei processi lavorativi, taylorismo e keynesismo restano egemoni ed i rapporti politici di classe tuttora dominati dallo Stato-piano. Tra la prima edizione e la seconda di Operai e capitale c’è stato tuttavia il ‘68: a Tronti non sembrava però che fosse avvenuta gran cosa. La classe operaia nel ‘68 e seguenti (in particolare “l’autunno caldo” italiano) è ancora tutta dentro fordismo e New Deal. Affermandolo, Tronti aveva, a mio parere, insieme ragione e torto.
- Details
- Hits: 4653
La Cina, l’anticolonialismo e lo spettro del comunismo
di Domenico Losurdo
Comprendere la Cina – Vi proponiamo un estratto dell’ultimo libro del Professor Domenico Losurdo, “Un mondo senza guerre. L’idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente”, Carocci, Roma, maggio 2016. La storia della RPC può essere vista anche alla luce del complesso rapporto con gli Stati Uniti
L’INIZIO COMPLICATO DELLA RPC – Per quanto riguarda la Cina, già prima della fondazione della Repubblica popolare, gli USA intervenivano per impedire che la più grande rivoluzione anticoloniale della storia giungesse alla sua naturale conclusione, e cioè alla ricostituzione dell’unità nazionale e territoriale del grande Paese asiatico, compromessa e distrutta a partire dalle guerre dell’oppio e dall’aggressione colonialista. E, invece, dispiegando la loro forza militare e agitando in più occasioni la minaccia del ricorso all’arma nucleare, gli USA imponevano la separazione de facto della Repubblica di Cina (Taiwan) dalla Repubblica popolare di Cina. Erano gli anni in cui la superpotenza apparentemente invincibile era lacerata da un dibattito rivelatore: «who lost China?» Chi era responsabile della perdita di un Paese di enorme importanza strategica e di un mercato potenzialmente illimitato? E in che modo si poteva porre rimedio alla situazione disgraziatamente venutasi a creare? Per oltre due decenni la Repubblica popolare di Cina è stata esclusa dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e dalla stessa Organizzazione delle Nazioni Unite. Al tempo stesso, essa subiva un embargo che mirava a condannarla alla fame e all’inedia o comunque al sottosviluppo e all’arretratezza. A quella economica s’intrecciavano altre forme di guerra: l’amministrazione Eisenhower assicurava l’«appoggio ai raid di Taiwan contro la Cina continentale e contro ‘il commercio per via marittima con la Cina comunista’»; al tempo stesso la CIA garantiva «armi, addestramento e supporto logistico» ai «guerriglieri» tibetani (Friedberg 2011, p. 67), e alimentava in tutti i modi ogni forma di opposizione e «dissidenza» nei confronti del governo di Pechino.
- Details
- Hits: 4045
Velinari e bischeri
di Fulvio Grimaldi
Né-Nè
Nel Comitato No Guerra No Nato di cui faccio parte si è sviluppata in questi giorni una polemica da me innescata e che riguardava l’eterna questione dell’equidistanza, volgarmente né-né, per alcuni irrinunciabile valore. Questione per la prima volta scaturita ai tempi della guerra contro la Serbia, da me raccontata sotto le bombe su Belgrado, e in cui avevo definito la variegata folla di pellegrini a Sarajevo, tra disobbedienti di Casarini, rifondaroli e sinistri tutti, sedicenti nonviolenti e realtà ecclesiali varie, in quel modo: quelli del né con la Nato, né con Milosevic. Quelli puliti e intonsi alla finestra, freschi di Mastrolindo, senza macchia.
E’ una genia che si ripresenta in tutte le occasioni in cui tocca prendere la scomoda e compromettente decisione di schierarsi: né con i Taliban, né con Saddam, né con Gheddafi, né con Assad e, specularmente, né con gli Usa e con la Nato. C’era stato un antecedente, né con le BR, né con lo Stato, ma era falso, non c’entra niente perché lì si negava l’adesione a due facce della stessa medaglia. Come se oggi si dicesse né con Obama, né con Al Baghdadi, né con Trump, né con Killary. Come quando il Gasparazzo di Lotta Continua giustamente decideva né con il padrone., né con il sindacato. Tautologico.
Il né-né si è consolidato e istituzionalizzato. Ha trasceso vecchi accostamenti a pesci in barile, cerchiobottisti, panciafichisti.
- Details
- Hits: 3736
Gli spacciatori di eterna gioia
Benedetto Vecchi
Desideri, bisogni e stili di vita sono sottoposti a un costante lavoro di manipolazione in nome delle virtù tossiche dell’individuo proprietario. «L’industria della felicità» di William Davies per Einaudi
Il carnet dei suoi prodotti è vario. Spazia da pillole che mettono a tacere tutte le inquietudini a promesse di un futuro radioso dove non ci sarà posto per dolore, fame, sofferenza, ma il core business è di quelli che non lasciano indifferenti, perché è il sogno inseguito da filosofi, preti, militanti politici di ogni tipo, visto che si tratta della felicità. Merce tanto pregiata quanto scarsa da diventare un manufatto sul quale si addensano, appunto, una miriade di stimati professionisti e una moltitudine di addetti alla sua produzione. Ha il potere di un oggetto mutante del desiderio, che si adatta a ogni richiesta del singolo. E tuttavia, avverte William Davies nel libro L’industria della felicità (Einaudi, pp. 233, euro 20), è una promessa quasi sempre non mantenuta. Sta di fatto che il potere seduttivo dell’industria della felicità sta nelle aspettative, sempre deluse, che continua ad alimentare.
Davies passa al setaccio secoli di filosofia, psicologia e tecniche di marketing in un confronto minuzioso con testi dimenticati ai margini delle rispettive discipline, evidenziando però il loro potere di condizionamento sul lungo periodo. Ne emerge un saggio che può essere inserito nella variegata costellazione teorica che, tra gli anni Settanta e Novanta del secolo scorso, ha cercato di spiegare la capacità del neoliberismo di costruire un consenso ampio, facendo leva proprio sulla promessa di felicità. In questa costellazione, trovano posto sociologi, storici e economisti della new left inglese e statunitense, ambito dove si è formato Davies. Forti sono infatti gli echi delle analisi di Stuart Hall sulle capacità egemoniche di Margaret Thatcher, ma evidenti sono i riferimenti alle tesi di David Harvey sulla indubbia flessibilità e adattabilità ambientale del vangelo neoliberista.
- Details
- Hits: 4304
Il pianeta dei superflui
di Gerd Bedszent
Già nel suo testo del 1991, "Die Krise die aus dem Osten kam" [La crisi che è venuta dall'Est], Robert Kurz indica come causa della crescente miseria delle masse a livello mondiale «l'assoluta incapacità da parte della moderna società capitalista di riuscire ad incorporare nel suo processo di riproduzione la stragrande maggioranza dell'umanità globale». E conclude: «Già adesso le masse sradicate del mondo diventano una minaccia per le isole di normalità e di benessere dell'Occidente, che stanno diminuendo.» (in Helmut, orgs., "Der Krieg der Köpfe" Horlemann Verlag, 1991, p. 150 sg.).
È più che dubbio che al sociologo urbano statunitense, Mike Davis, sia capitato mai di leggere questo testo. In ogni caso, Davis descrive, nel suo libro "Il pianeta degli slum" [Ed. italiana Feltrinelli], pubblicato per la prima volta nel 2006 e rieditato in un'edizione ampliata, la miseria della popolazione in crescita permanente alla periferia delle grandi città come Mumbai, Kinshasa o Città del Messico. L'autore si pone nella tradizione dei reportage e delle ricerche di critica sociale svolte sul terreno, come ad esempio l'analisi pioneristica di Friedrich Engels, "La situazione della classe operaia in Inghilterra, del 1845, cui anche Davis occasionalmente fa riferimento.
Va chiarito da subito anche il fatto che da parte Davis non c'è quasi alcun approccio alla critica del valore.
- Details
- Hits: 2638
UK, Italia e la sovranità: la sua ragion d'essere e le gerarchie internazionali
di Quarantotto
1. Voci dall'estero ci riporta meritoriamente un articolo di Ambrose Evans-Pritchard che ci racconta come i giudici inglesi si stiano "ribellando" alla corte di giustizia UE. Il problema è così posto:
"Si tratta della prima entusiasmante resistenza della autonomia sovrana contro una Corte di Giustizia europea che ha ormai tratti imperiali, che ha acquisito poteri indiscriminati sotto il Trattato di Lisbona, e che da allora ha fatto leva sulle sue conquiste per rivendicare la giurisdizione su praticamente qualsiasi argomento".
Citata la storia di questa espansione "intollerabile" della giurisdizione europea, e anche l'atteggiamento non cedevole della Corte costituzionale tedesca, che avrebbe censurato la CGUE in più occasioni per essere andata oltre il suo mandato, si riporta che:
"È dunque toccato alla Corte Suprema del Regno Unito – che senza far rumore sta diventando una forza con cui bisogna fare i conti – sollevare la questione se le rivendicazioni di sempre maggior egemonia della Corte di Giustizia europea siano legali, e di che cosa possiamo fare per fermarla.
- Details
- Hits: 2614
Lo stimolo fiscale: decentralizzato o centralizzato?
di Rodolfo Signorino*
Il prof. Rodolfo Signorino, docente di Economia presso l’Università di Palermo, ci ha inviato questo articolo in cui avanza alcune critiche al paper di Thomas Fazi e Guido Iodice “Why further integration is the wrong answer to the EMU’s problems: the case for a decentralised fiscal stimulus”, regentemente premiato dal think tank Progressive Economy di cui abbiamo già parlato.
Segue in fondo al testo la risposta di Fazi e Iodice.
* * *
“The Eurozone looked like a wonderful construction at the time it was built. Yet it appeared to be loaded with design failures. In De Grauwe (1999) I compared the Eurozone to a beautiful villa in which Europeans were ready to enter. Yet it was a villa that did not have a roof. As long as the weather was fine, we would like to have settled in the villa. We would regret it when the weather turned ugly” (De Grauwe 2013).
Come mi capita di dire ai miei studenti, scherzando ma solo fino ad un certo punto, anche nel dibattito macroeconomico esistono le fads.
- Details
- Hits: 3660
Perchè Confindustria scarica le piccole imprese
di Pasquale Cicalese
“Alla più debole produttività dell’Italia nel confronto con gli altri principali paesi europei contribuisce anche una struttura produttiva sbilanciata verso le piccole e piccolissime imprese. La produttività delle imprese italiane con almeno 250 addetti è più del doppio di quella delle aziende con meno di 10 addetti; tale divario è solo del 48 per cento in Germania. Queste differenze si sono ampliate durante la recessione per effetto di un calo maggiore della produttività delle piccole imprese italiane rispetto a quelle tedesche. Per contro le aziende italiane di media dimensione (50-249 addetti), la cui produttività era già lievemente più elevata prima della crisi, tra il 2007 e il 2013 hanno registrato incrementi maggiori di quelli osservati in Germania (”Banca d’italia, Relazione Finale, pag. 64 Roma 31 maggio 2016).
“Gli interventi sugli istituti di gestione delle crisi d’impresa varati l’estate scorsa e le ulteriori misure di recente approvate potranno facilitare il risanamento delle aziende in crisi reversibile e favorire l’uscita dal mercato di quelle non più profittevoli (”Ignazio Visco, Considerazioni finali del Governatore, pag. 12 Roma 31 maggio 2016).
- Details
- Hits: 3085
Comunisti oggi
di Italo Nobile
In questi mesi nella Rete dei Comunisti si è vissuto un dibattito sul ruolo dei comunisti oggi, dibattito necessario per rimettere di nuovo a confronto militanti provenienti da diverse esperienze e provare ad elaborare un linguaggio condiviso.
Chi scrive ha partecipato al dibattito facendone principalmente resoconti che facilitassero questa elaborazione. Tuttavia si sente il bisogno anche di esprimere il proprio personale punto di vista. E fare una prima sintesi problematica di tutti gli stimoli che il termine “comunista” porta con sé, a dispetto delle caricature che si fanno a questo termine creando a piè sospinto il proprio tascabile partito.
-
A questo termine non si deve abdicare nonostante tutte queste parodie. Il nome è il primo momento di un passaggio dall’in sé al per sé che si augura ad ogni individuo e ad ogni organizzazione che iniziano un determinato processo di autocoscienza. Il nome è l’appropriazione di una storia con tutto il suo precipitato di errori e di tragedie. Il nome è la garanzia di un rammemorare sia i contenuti propri di una tradizione politica, sia i momenti storici che costituiscono e devono costituire problema. Rendere quello del nome un problema solo nominalistico vuol dire rischiare di trasformarsi perdendo ciò che invece va salvato e acquisire invece ciò che va rifiutato. La rapida destrutturazione del Pds in Italia non è senza rapporto con la questione del nome, perché nel nome è riassunta tutta l’apertura che una organizzazione che si definisca comunista deve avere verso tutta la sua storia, una storia che è plurale proprio per la sua ricchezza, una storia che va risolta sempre con una sintesi, con una scelta fallibile e non necessitata, una scelta che preservi l’intelligenza, invece di abdicare ad essa in nome della fatalità, in nome di una realtà che è alla fine solo un resoconto capzioso di essa.
- Details
- Hits: 3361
L'avvizzimento dello Stato
di Paul Mattick
In questi giorni, i critici della politica elettorale possono mettersi a sedere compiaciuti e gustarsi lo spettacolo dei partiti politici allo sbando; le preoccupazioni dell'1%, che in realtà vogliono dai loro governi poco più che tasse basse, sussidi alti, pace sociale e tranquillità, e quanto basta di azione militare sufficiente a tenere il mondo al sicuro per la democrazia; e le elucubrazioni dettate dal panico degli esperti politici cercano di dare un senso a tutto questo reclamando la loro funzione ormai perduta di profeti e di interpreti. Naturalmente, quando (com'è più probabile) Bernie alla fine è stato fatto fuori dalla macchina Democratica e si sta chiedendo ai "progressisti" di tapparsi il naso - come hanno finora fatto in tutte le elezioni - per votare l'odiata Hillary e fermare così il terribile Donald, sembrerà di trovarsi solo ad un passo dal precipizio, l'apparentemente inevitabile risultato degli sforzi elettorali volti a non sacrificare il bene per l'impossibile meglio.
Ma stavolta sempre ci sia qualcosa di speciale. Per prima cosa, entrambi i contendenti più dinamici, Trump e Sanders, sono apparentemente entrati in lizza senza aspettarsi di vincere, e si sono impegnati a fare del loro meglio quando hanno scoperto un inaspettato livello di risposta da parte del pubblico votante. Questo è un altro aspetto della quasi completa assenza di contendenti credibili a parte loro due (e, certo, la Clinton, ma senza Sanders lei sarebbe stata la sola del suo schieramento).
Page 328 of 544