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manifesto

 L'inflazione non si batte più con la moderazione salariale

Joseph Halevi

inflazione 48e3952e5a364Un ulteriore esempio del vicolo cieco in cui si trovano le banche centrali proviene dal conflitto tra il loro comportamento attuale - volto a rifinanziare la bolla speculativa - e l'obiettivo di controllare l'inflazione. L'inflation targeting, il mirare cioè ad un tasso di inflazione desiderato, costituisce ormai da parecchi anni il principale scopo di queste istituzioni. Si è detto che le politiche di Reagan e di Thatcher abbiano dimostrato che combattere l'inflazione mirando al controllo della massa monetaria - la cui quantità è del tutto inafferrabile - si traduce in una forte instabilità nei saggi di interesse. Sarebbe pertanto preferibile fissare un obiettivo inflazionistico da non oltrepassare, usando invece il saggio di interesse come strumento regolatore.

Nel 1993 l'economista statunitense John Taylor formulò la regola di comportamento della banca centrale. Essa consiste nel far dipendere il tasso di interesse dalla somma ponderata della deviazione del pil e del saggio di inflazione rispetto ai valori obiettivo di ciascuno, con l'aggiunta di un termine inteso a catturare lo shock monetario. A prima vista, la formula include anche il valore desiderato del pil e, indirettamente, dell'occupazione. E' stato però osservato che la regola di Taylor gravita prevalentemente verso il differenziale inflazionistico a scapito del pil.

L'idea di inflation targeting, adottata per prime dalla Nuova Zelanda e dall'Australia, si è mostrata estremamente efficace nell'istituzionalizzare la deflazione salariale e nel premiare l'inflazione da rendite immobiliari e finanziarie (asset price inflation).

L'intera economia viene mobilitata contro i salari, in quanto l'inflazione è essenzialmente definita in modo tale da essere estrapolata in relazione ad eventuali aumenti strutturali dei costi nei quali, appunto, i salari assumono un ruolo chiave. A tutti gli effetti, le politiche successive alle «terapie d'urto» di Reagan e Thatcher sono state delle operazioni controllo della popolazione salariata e pensionata in favore dell'inflazione da bolle, plusvalenze e cartacce.

 

L'aumento dei costi energetici e delle materie prime rimette però in discussione la politica delle banche centrali proprio in rapporto alla salvaguardia delle plusvalenze inflazionistiche. Allo stato attuale, l'incremento del prezzo del petrolio - ad esempio - opera contro le plusvalenze e deprime i mercati per via della crisi finanziaria. Negli Usa l'inflazione presa in considerazione dalla Federal Reserve esclude gli elementi ciclici, che comprendono anche i costi energetici.

Ma ora è diventata una finzione perchè sia l'aumento dei prezzi alimentari che dell'energia non stanno esibendo aspetti ciclici. Inoltre la connessione Usa-Cina alimenta l'inflazione attraverso l'impatto della riduzione dei tassi Usa (e del dollaro) su Pechino. Per rimanere agganciata agli Usa, Pechino non restringe la sua politica monetaria, che a sua volta dà fiato sia all'espansione della bolla e dell'inflazione in Cina sia, attraverso la crescita cinese, ai prezzi delle materie prime nel mondo.

In tale situazione, ad esempio, per essere coerente con il proprio obiettivo, la Fed dovrebbe aumentare il saggio di interesse, ma ciò farebbe letteralmente implodere il sistema finanziario. L'inflation targeting sta quindi entrando in una serie di contraddizioni difficilmente superabili. Conservatori come Samuel Brittain (Financial Times del 7 dicembre 2007) hanno proposto di dilazionare nel tempo gli obiettivi dell'inflazione programmata, ponendola su un orizzonte pluriennale, e non «puntuale» da manovrare ogni due o tre mesi. Così nel breve periodo si salverebbe la bolla tagliando i tassi e, nel lungo, si manterrebbe il coperchio sui salari.

Questa posizione non è credibile perchè, nell'odierno clima di fragilità finanziaria, variazioni non desiderate dei prezzi, come nel caso dell'inflazione energetica, possono scombussolare tutto. Il sistema è quindi accecato dall'incertezza che, in tale contesto, opera anche sul brevissimo periodo. Con la crisi dell'inflation targeting è opportuno che i sindacati rilancino massicciamente i salari per uscire dall'economia della «bolla». Il rilancio salariale diventa dunque condizione di rafforzamento e stabilità, non di crisi, del sistema economico. Meglio così.

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