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socialismo2017

La sinistra Subbuteo e la vera partita del paese

di Mimmo Porcaro e Ugo Boghetta

subbuteoIl Brancaccio è fallito. Meno male. Forse qualcuno la smetterà di tentare di aggregare gli sconfitti usando le stesse parole d’ordine che hanno causato la sconfitta stessa. Forse qualcuno la smetterà di credere che la proposta dell’unità della sinistra sia il sostituto efficace di una vera strategia politica, quando per la maggior parte del popolo italiano “sinistra” significa per lo più delusione e liberismo. Il Brancaccio è fallito e questo, nel piccolo mondo della sinistra radicale, può essere un piccolo evento salutare perché impedisce che tutta quella sinistra si attacchi da subito al carro dei D’Alema e dei Bersani, e si presti perciò a fare la forza di complemento per i vari governi d’emergenza che dovranno garantire l’ “europeismo” del paese, e quindi la sua subordinazione al liberismo. E perché dopo il fallimento qualcuno ha pensato di reagire. Cosicché, dall’assemblea romana di Je so’pazz’, da Rifondazione, dal Partito Comunista, da diverse realtà di base e singoli militanti è emersa l’esigenza di formare una lista popolare per le prossime elezioni. La reazione è comprensibile e positiva, e addirittura, in qualcuno degli interventi in cui si è espressa, è accompagnata da qualche sortita dal linguaggio abituale e da qualche significativo spostamento in direzione anti Ue. Tanto che Eurostop, l’organizzazione di sinistra che con maggior impegno ed efficacia lavora per una rottura dei vincoli europei, ha accettato l’invito a discutere della fattibilità politica e tecnica della lista elettorale.

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carmilla

Non abbiamo più niente, compagni, siamo orfani

di Fabio Ciabatti

Alessio Gagliardi, Il 77 tra storia e memoria, manifestolibri, 2017, pp. 128, € 12,00

122 il movimento del 77ridE se il movimento del ’77 avesse lavorato per il re di Prussia? Se quella generazione di giovani militanti contrapponendosi frontalmente alla cultura, ai valori e alle pratiche della sinistra storica in nome di un altro tipo di comunismo non avesse fatto altro che aprire la strada ai modelli individualistici e consumistici che si sarebbero affermati definitivamente negli anni successivi? È questa una delle possibili chiavi interpretative del ’77 che, attraverso la rassegna di testimonianze e studi storici, emerge dal breve ma denso volume di Alessio Gagliardi, Il 77 tra storia e memoria. Nel libro affiorano molte altre tematiche. Tra le più significative c’è la negazione dell’idea che si possa tirare una netta linea di separazione tra la cosiddetta ala creativa del movimento e quella violenta. Però, dal mio punto di vista, la domanda iniziale pone forse la questione più inquietante. Rispondere affermativamente significherebbe dare ragione a uno dei mantra dei nostri tempi, formulato con esemplare chiarezza da Margaret Thatcher poco tempo dopo le vicende qui considerate: “there is no alternative”. Se anche chi voleva fare la rivoluzione ha finito per favorire l’affermazione dell’ideologia neoliberista, quale speranza può rimanere per pensare un cambiamento radicale?

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contropiano2

Ops, s’è rotto il giocattolo del Brancaccio

di Alessandro Avvisato

AnnaTomasoConfStampa 1 500x383Non ci aveva convinto fin dall’inizio, e lo avevamo scritto subito. Troppo evidente il tentativo di creare una specie di “isola dei quasi famosi” – per motivi anche lodevolmente diversi – che avesse come punto di approdo una lista elettorale “competitiva col Pd, ma non chiusa a eventuali collaborazioni” con i miliziani di Renzi.

Cero, i discorsi erano stati più elevati, le critiche al renzismo quasi definitive, gli obiettivi ben più lontani nel tempo (ben oltre, insomma, l’orizzonte elettorale). Ma – conoscendo certa “sinistra italiana” (nel senso di sciagura, ovviamente) – non avevamo molti dubbi che la lista elettorale sarebbe stato l’alfa e l’omega intorno a cui questo ennesimo tentativo di evocare la mitica “società civile” si sarebbe inevitabilmente infranto.

Adesso ne ha dato l’annuncio ufficiale Tomaso Montanari, che apprezziamo sinceramente molto come critico e storico dell’arte ma poco credibile nella parte di “rifondatore” di quella melma impresentabile fatta di ex ministri che hanno privatizzato Telecom e fatto la guerra alla Jugoslavia (D’Alema), che hanno steso “lenzuolate” agli appetiti di imprenditori pronti a rivendere a pezzi il patrimonio industriale edificato con i soldi pubblici (Bersani), che hanno affossato scientemente l’immagine stessa dei comunisti (Vendola, Fratoianni, on alle spalle l’onda lunga di Bertinotti), che non hanno mai opposto una minima opposizione a “pacchetto Treu”, riforma delle pensioni (dalla Dini alla Fornero), Jobs Act, decontribuzione per i nuovi assunti (significa riduzione del salario “lordo”, per la parte “differita), decreti fascistoidi da stato di polizia (quelli a firma Orlando e Minniti) e chi più ne ricorda aggiunga pure.

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socialismo2017

Questioni teoriche II

Stato, nazione, sovranità

di Mimmo Porcaro

Qui la prima parte

leviatano1.

Abbiamo finora visto che lo stato, non solo nei momenti di crisi ma anche in quelli di relativa quiete, è essenziale all’esistenza del capitalismo e che quindi il concetto di stato fa parte del concetto stesso di capitale. Abbiamo inoltre visto che la guerra non è per nulla l’effetto della sovrapposizione della logica bellicista degli stati a quella “pacifica” del commercio, ma è la prosecuzione con mezzi statuali di una logica feroce di dominio che nasce dall’economia capitalista. Dobbiamo ora chiederci quale sia l’interno funzionamento dello stato capitalistico: che cosa è, insomma, lo stato? Se si pensa lo stato come un insieme di istituzioni pubbliche che, governato da uno o più enti formalmente preposti al compito di direzione, ha piena sovranità su un territorio e su tutte le classi che lo abitano ed esercita tale sovranità attraverso leggi rese efficaci, in ultima istanza, dalla forza militare, se lo si pensa cioè come una realizzazione della modellistica politologica, hanno buon gioco coloro che dichiarano morto o inefficace lo stato perché la globalizzazione ha dissolto la sovranità, il caos ha moltiplicato i centri di potere invisibili o informali, i capitali sfuggono ad ogni controllo e la complessità ha reso inefficace la legge universalistica rispetto ai patti della governance e alla microfisica del potere.

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socialismo2017

Questioni teoriche I

Economia e politica, capitalismo e guerra

di Mimmo Porcaro

bandiera da terraLo scritto di cui qui presento la prima parte ha lo scopo di fissare alcuni punti teorici decisivi, prendendo le mosse dal livello raggiunto dal marxismo negli anni ‘70-‘80 dello scorso secolo, prima dell’inabissamento attuale. Nel testo non vi sono note o rimandi (ma non si farà fatica ad intravedere i numerosi autori di cui mi giovo) perché le sue proposizioni sono espresse in forma di tesi, e ciò non per chiudere il discorso ma per determinare meglio la posizione che offro alla discussione. L’esigenza politica che motiva questo intervento è la necessità di iniziare a fare chiarezza sulla questione dello stato e della guerra, mostrando l’intimo legame del capitalismo con l’uno e con l’altra. Il principale oggetto polemico sono tutte le teorie che (intrecciando neoanarchismo, postoperaismo e liberismo puro e semplice) prendono per buona l’immagine che la globalizzazione ha dato di sé ed incolpano lo stato di tutti i mali passati e futuri, non comprendendo che la logica di potenza propria di ogni stato diviene espansionismo compulsivo ed illimitato solo grazie all’incontro dello stato stesso con la voracità del capitale. Ed impedendoci così di capire l’immanenza della guerra come fattore dominante delle dinamiche geopolitiche e di classe. Dinamiche di cui qui ho voluto indicare la strettissima connessione (anche ragionando al livello teorico più astratto) per sottolineare sia il peso determinante della geopolitica dell’imperialismo nel definire le relazioni di classe, sia il possibile legame fra lotte di classe e lotte antimperialiste e nazionali

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doppiozero

Michael Hardt e Toni Negri. Assembly

Pietro Bianchi

immagine 29A Greensboro, in North Carolina, l’1 febbraio 1960, quattro studenti del primo anno della North Carolina A&T State University – Joseph McNeil, Franklin McCain, Ezell Blair Jr., e David Richmond – entrano in un cosiddetto five and dime store di Woolworth (un’azienda che oggi conosciamo con il nome di Footlocker), uno di quei negozi che vendevano vari prodotti per la casa scontati a pochi centesimi. Comprano un dentifricio e altre piccole cose, vanno alla cassa, li pagano e poi si avvicinano al lunch counter del negozio per ordinare un caffè. Quel caffè però non gli verrà mai servito perché contrariamente al resto del negozio, i lunch counter di Woolworth, così come accadeva in molti altri negozi nel Sud degli Stati Uniti, erano “white only”, rifiutavano cioè il servizio alle persone di colore. Il manager chiede allora ai quattro ragazzi di andarsene ma quelli che poi verranno soprannominati come gli A&T Four decidono invece di fare un’azione eclatante: rimangono nel negozio fino alla chiusura. Il giorno dopo accade lo stesso, questa volta però ai quattro ragazzi si uniscono decine di altri studenti di colore di altre università della zona che danno vita a quella che diventò una delle più importanti iniziative politiche del Civil Rights Movement.

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euronomade

La questione Lenin in Italia anni ‘70

di Toni Negri

lenin treno 879x640

Fratello,
siamo qui,
per darti il cambio,
noi vinceremo,
ma da un altro
lato
Majakowskij, Lenin

Venivamo da una tradizione comunista e rivoluzionaria, rinnovatasi nella Resistenza antifascista, che ci era stata trasmessa dal Partito Comunista Italiano. Il culto di Lenin stava al centro di questa tradizione. Quando cominciammo a criticare o a rifiutare senz’altro la politica del PCI, non significò, negli anni ’60 e ’70, dimenticare Lenin. Anzi, se in quegli anni il marxismo resta l’asse di ogni presa di posizione critica dello stalinismo, il leninismo rimaneva centrale nella figura di un «autentico» marxismo nell’organizzazione operaia. E questo anche nel dibattito dei gruppi legati alle esperienze di intervento diretto sulle fabbriche – a quei gruppi operaisti che egemonizzano il movimento nel decennio successivo.

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ilponte

Senza confini

di Lanfranco Binni

Luigi PintorA presente memoria, è utile rileggere oggi l’ultimo articolo pubblicato da Luigi Pintor su «il manifesto» del 24 aprile 2003, sul «quotidiano comunista» che proprio in questi giorni ha espulso dalle sue colonne (in silenzio, senza un minimo accenno di dibattito) la voce della sua migliore esperta di America latina, Geraldina Colotti, colpevole di sottrarsi, da «comunista non pentita», alla criminalizzazione della rivoluzione chavista (con tutte le sue complesse criticità) e ai tentativi di applicazione del modello Siria alla società venezuelana. L’articolo di Pintor aveva come titolo Senza confini: un pressante appello, dall’interno della sinistra eretica del comunismo italiano, a cambiare radicalmente visioni e pratiche di lotta politica. Lo riproduco integralmente dal volume postumo di scritti di Luigi Pintor, Punto e a capo (Roma, il manifesto-manifesto libri, 2004).

La sinistra italiana che conosciamo è morta. Non lo ammettiamo perché si apre un vuoto che la vita politica quotidiana non ammette. Possiamo sempre consolarci con elezioni parziali o con una manifestazione rumorosa. Ma la sinistra rappresentativa, quercia rotta e margherita secca e ulivo senza tronco, è fuori scena.

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tempofertile

Su Emiliano Brancaccio e la malattia della sinistra

di Alessandro Visalli

baraccopoli 400x300L’economista marxista Emiliano Brancaccio è da molti anni uno dei più coerenti e determinati critici dell’assetto delle cose, con il tempo ha guadagnato, dalla sua cattedra periferica a Benevento, una certa capacità di intervento nella sfera pubblica, anche su testate rilevanti come L’Espresso (o il Sole 24 Ore). È il caso di questo intervento agostano, nel quale costruisce un sillogismo piuttosto schematico:

1. se la sinistra di governo si è in passato schiacciata sul liberismo (inseguendo la svalutazione del lavoro, la liberazione dei capitali e la riduzione del ruolo dello stato in economia),

2. e se lo ha fatto in cerca di una identità (suppongo dopo il crollo dell’identificazione con il socialismo, più o meno “reale”), “scimmiottando l’avversario”,

3. allora anche oggi la tendenza a introdurre elementi di critica alla piena liberazione dei flussi di emigrazione dai paesi poveri del mondo è solo un’altra manifestazione di questa “tentazione”. Quella di andare dietro questa volta alla “destra xenofoba” (l’altra volta a quella tecnocratica neoliberale), emulandola.

Insomma, la sinistra sarebbe in crisi perché attua politiche di destra e si dimentica di essere se stessa.

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sollevazione2

In difesa del marxismo

di Dino Greco

Dino Greco sottopone ad esame critico il breve saggio Sinistra transgenica pubblicato giorni or sono su SOLLEVAZIONE. Fedeli alla massima che per cambiare occorre agire, ma prima di agire occorre pensare, siamo ben lieti di consegnare la critica di Dino ai nostri lettori

karl marx 1024x682Cari compagni,

scusandomi per l’eccessivo schematismo provo a mettere in fila alcune considerazioni sul breve ma importante saggio di Moreno Pasquinelli, “Sinistra transgenica”, che mi pare contenga il nocciolo duro, il fondamento teorico e il presupposto politico della Confederazione per la Liberazione Nazionale (CLN).

Rovesciando l’ordine del discorso di Moreno, comincio dal tema “cruciale” che per me come per voi è il progetto su cui far nascere una soggettività sociale e politica capace di mettere sul serio (e non per finta) in discussione l’ordine delle cose presente.

Quella che nella vulgata corrente, per uno di quei paradossi che la storia talvolta ci riserva, continua a chiamarsi (e ad essere chiamata) sinistra, credo abbia da tempo superato lo stadio della manipolazione transgenica.

Qui si è perfettamente compiuta una totale mutazione.

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tysm

L’incognita populista

di Damiano Palano

Nel suo libro «La variante populista» Carlo Formenti compie una duplice svolta. Da un lato intende infatti chiudere definitivamente i conti con l’operaismo. Dall’altro sostiene invece la necessità di adottare (seppur criticamente) lo schema populista delineato da Ernesto Laclau, perché ai suoi occhi solo la «forma populista» risulta adeguata a sostenere una battaglia capace di riconquistare la «sovranità popolare» e la «sovranità nazionale». Se percorrendo un simile sentiero la proposta di Formenti giunge certamente a cogliere alcuni nodi cruciali, rischia però anche di legittimare una deriva teorica e politica incontrollabile. E proprio per questo la «variante populista» somiglia molto a un’incognita di cui è davvero difficile prevedere le direzioni di sviluppo

populist 1872440 1920 608x400«Lotta di popolo»

«Siamo operai, compagni, braccianti / e gente dei quartieri /siamo studenti, pastori sardi, / divisi fino a ieri! / Lotta! Lotta di lunga durata, lotta di popolo armata: lotta continua sarà!». Con l’efficacia che a volte hanno le canzoni, l’inno che Pino Masi scrisse per Lotta continua all’inizio degli anni Settanta riusciva a restituire in pochi versi il sincretismo teorico che distingueva quell’organizzazione rispetto al panorama della sinistra extra-parlamentare italiana. Un sincretismo che combinava le suggestioni della «rivoluzione culturale» e della «guerra di popolo» maoista con alcuni elementi della tradizione operaista e con i lasciti della contestazione ‘anti-autoritaria’, ma in cui non erano certo assenti gli echi della Lettera a una professoressa di don Milani e una sensibilità verso gli ‘esclusi’ e i ‘marginali’ ereditata principalmente dal dissenso cattolico della fine degli anni Sessanta. Ma a quasi mezzo secolo di distanza forse è anche possibile leggere l’inno di Masi – e l’intera operazione condotta da Lotta continua, quantomeno nei suoi primi anni di vita – come un tentativo di sviluppare ciò che, sulla scorta della proposta teorica di Ernesto Laclau, oggi si definirebbe un «populismo di sinistra».

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contropiano2

A proposito del “ruolo dei comunisti”

di Italo Nobile

resistenzaIn questi mesi la Rete dei Comunisti ha avviato un dibattito sul ruolo dei comunisti oggi, dibattito necessario per rimettere di nuovo a confronto militanti provenienti da diverse esperienze e provare ad elaborare un linguaggio condiviso.

Chi scrive ha partecipato al dibattito facendone principalmente resoconti che facilitassero questa elaborazione. Tuttavia si sente il bisogno anche di esprimere il proprio personale punto di vista. E fare una prima sintesi problematica di tutti gli stimoli che il termine “comunista” porta con sé, a dispetto delle caricature che si fanno a questo termine creando a piè sospinto il proprio tascabile partito.

 
    1. A questo termine non si deve abdicare nonostante tutte queste parodie. Il nome è il primo momento di un passaggio dall’in sé al per sé che si augura ad ogni individuo e ad ogni organizzazione che iniziano un determinato processo di autocoscienza. Il nome è l’appropriazione di una storia con tutto il suo precipitato di errori e di tragedie.

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contropiano2

I comunisti, le ragioni e la forza

di Rete dei Comunisti

piccola notte comunistaParlare di Partito Comunista qui ed ora non è certo cosa facile e da l’idea di parlare di un altro mondo e di un’altra epoca tanto è stata devastante la storia delle organizzazioni comuniste di questi ultimi decenni in Italia ma anche nel resto dell’Europa. Questa constatazione e lo stato d’animo che ne deriva, che ha spinto molti militanti a rivolgersi verso altri orizzonti anch’essi bruciati in tempi molto rapidi, ci deve invece spingere ad operare un salto di qualità teorico nell’affrontare la questione del partito che in realtà è la questione di come le classi subalterne resistono e reagiscono allo stato attuale delle cose. Parlare di partito significa dunque parlare della classe con cui abbiamo a che fare, reale e non mitologica, ma significa avere anche una idea dei processi generali e di quelli storici che stanno modellando il mondo attuale.

Se abbiamo dato una lettura dei processi storici legata al rapporto contraddittorio tra sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali di produzione individuando fasi egemoniche e fasi di crisi non possiamo non leggere sotto questa luce anche la storia delle organizzazioni del movimento operaio.

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la citta futura

Eurostop e i tre No

di Alba Vastano

La Piattaforma Eurostop diventa un movimento sociale e politico. La sfida è “cambiare il Paese con i tre No all’Euro, all’Unione Europea, alla Nato”: analizziamo come e perché

6eb58bcecce4b0c54d5e41d131e3dc02 XLE’ il primo Luglio e al CSOA Intifada di Roma si parla di euro, di Ue e di Nato. Tre spine nel fianco per la libertà dei popoli e per la loro sovranità, a cui rispondere No, perentoriamente NO. Tra i relatori, Giorgio Cremaschi (ex Fiom), Manuela Palermi (Pci), Sergio Cararo (Rete dei comunisti) e Paola Palmieri (USB). Alle cui analisi sul tema si sono susseguiti numerosi interventi di alcuni protagonisti del mondo politico, giuridico, sindacale e sociale fra cui il giurista Paolo Maddalena, Ugo Boghetta e Bruno Steri (ex Prc) e il sociologo Carlo Formenti, nel corso della lunga mattinata che termina con la votazione degli aderenti ad Eurostop sulle carte costituenti vertenti su identità, programma e modello organizzativo.

L’atto costituente ha trasformato quella che era una Piattaforma Sociale nata già due anni fa in un movimento sociale e politico che si batte per l’abbandono dell’Euro e la rottura della UE e della NATO. Temi centrali che spaccano l’opinione pubblica dando adito ad alcune domande. La questione della sovranità popolare ha ancora senso oppure è “superata” dall’Unione Europea? L’economia capitalistica mondializzata ha prodotto il sorgere anche di un polo imperialista europeo?

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carmilla

L’autonomia operaia romana

di Giovanni Iozzoli

G. Marco D’Ubaldo, Giorgio Ferrari, Gli autonomiVolume IV. L’Autonomia operaia romana, DeriveApprodi, Roma, 2017, 224 p., € 18.00

comitatolotta2 sDerive Approdi ha dato alle stampe il quarto volume della serie Gli autonomi. L’intento è quello di approfondire il racconto di una stagione politica, stringendo il focus in modo più serrato sui territori – a partire da quello romano. I curatori del volume sono Giorgio Ferrari e G.Marco D’Ubaldo, storici referenti di due realtà cruciali della piazza romana: i Comitati Autonomi Operai e il Comitato dell’Alberone.

La scelta di indagare la “territorialità” delle esperienze dell’autonomia, è senza dubbio adeguata. Non c’è ricostruzione o ragionamento politico sulle “autonomie”, che possa prescindere da questa dimensione – e questo, oltre che per l’oggettività delle vicende storiche, anche per una teorizzazione largamente condivisa in quegli anni: territorio voleva dire lettura della composizione di classe, costruzione degli elementi di programma, adeguamenti dei livelli di organizzazione e di nuovo ricaduta sui territori. “Territorio” voleva dire terreno di verifica costante delle ipotesi di partenza. E non si trattava dell’ideologica suggestione del “riprendiamoci la città”: era piuttosto faticosa e dirompente costruzione quotidiana di vertenze (territoriali, appunto) che dessero al discorso sull’autonomia, gambe sociali e radicamento.