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lavoro culturale

Le Confessioni pericolose

Intervista su “Storia di un comunista” di Toni Negri

Marco Ambra intervista Girolamo De Michele

In occasione dell’uscita dell’autobiografia di Toni Negri (Storia di un comunista, Ponte alle Grazie, Milano 2015), che tante polemiche ha sollevato, abbiamo intervistato il curatore del volume Girolamo De Michele

13 1972 cont mi 0019 768x493Marco Ambra: Lasciamo da parte l’acritica stroncatura di Simonetta Fiori su Repubblica, segno di un evidente fastidio provocato dalla lettura di questa autobiografia, alla quale peraltro lo stesso Negri ha replicato sine ira ac studio.

Partiamo invece dal testo. Scorrendo le seicento pagine della vita di Toni Negri il lettore ha l’impressione di avere a che fare con una confessione, nel senso dato a questa categoria dalla filosofa Marìa Zambrano: la confessione è un genere letterario che sorge laddove l’autore intenzionato a raccontare la propria vita individui un conflitto di questa con la verità (La confessione come genere letterario, ed. it. Bruno Mondadori, Milano 2004). L’effetto principale di questo conflitto sarebbe l’emergere, nell’autore, dell’uscita dal senso di isolamento attraverso la comunicazione di questo conflitto. Ma per farlo l’autore della confessione deve farsi carico di lavoro faticoso, della produzione di un linguaggio in grado di raccontare. Come dice lo stesso Negri «il linguaggio bisogna reinventarlo, attraverso segni e parole che corrispondono ad altro, che indicano altro rispetto a quello che nella mia infanzia ancora mi dicevano» (p. 15). In che modo l’io narrante della vita di Toni Negri è riuscito a parlare questo nuovo linguaggio? Quale relazione ha questa esigenza con il suo essere un filosofo? E con il suo essere un militante?

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controlacrisi

I compiti immediati della sinistra di classe in Italia e in Europa

Fabio Nobile e Domenico Moro

Rev. class struggle full x 4901La fine del modello bipolare e bipartitico in Europa

I risultati delle elezioni di fine 2015 in Francia e in Spagna confermano la crisi del sistema bipolare e bipartitico dell’Europa occidentale. Tuttavia, crisi non vuol dire fine del sistema. Al contrario la crisi del bipolarismo fondato sull’alternanza di due partiti o coalizioni principali, l’una di centro-destra e l’altra di centro-sinistra, ha determinato un irrigidimento del modello politico in senso maggioritario. Ne troviamo un esempio in Italia nella proposta di riforme elettorali (l’Italicum) e costituzionali che rafforzano la governabilità intesa come predominio dell’esecutivo sul resto delle istituzioni e soprattutto sulla società. Grazie a leggi elettorali maggioritarie, partiti sempre meno rappresentativi riescono a garantirsi il primato, squalificando la rappresentatività delle istituzioni politiche agli occhi di milioni di elettori e accentuandone l’astensionismo.

Alla crisi del bipolarismo e del bipartitismo corrisponde - nella prevalenza dei casi - l’affermazione di terze e quarte forze, al di fuori dello schema di alternanza centro-sinistra/centro-destra. Questi partiti, malgrado si caratterizzino per orientamenti politici a volte molto differenti, sono accomunati, nella maggior parte dei casi, dalla individuazione di cause e soluzioni alla crisi socio-politica al di fuori della crisi del modo di produzione capitalistico e del conflitto lavoro salariato-capitale.

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dallapartedellavoro

Nascerà la sinistra nel 2016?

Paolo Ciofi

cgil 141025141802Il 2015 è morto e l’annunciata nascita della sinistra non c’è stata. L’anno buono sarà il 2016? È difficile dirlo, anche perché al momento non è chiaro neanche chi dovrebbero essere i promotori del nuovo soggetto politico, mentre il dibattito sulle finalità e sui contenuti del progetto resta ben al di sotto delle necessità, e divaga su aspetti tattici secondari. Non emergono i nodi strategici di una crisi di portata storica che coinvolge milioni di donne e di uomini, i quali chiedono risposte intellegibili e concrete di fronte all’incertezza della vita e al degrado dell’ambiente. Il rischio che si corre in questa condizione è che nasca un’altra formazione politica minoritaria, di fatto ininfluente sul corso reale delle cose

Ma il senso e la funzione storico-politica della sinistra si definiscono se si è in grado di indicare una via d’uscita dalla crisi, e di organizzare su questa via un movimento di lotta politica, sociale, culturale. Di cui le elezioni sono un aspetto fondamentale, ma solo un aspetto. E il governo non è il fine da raggiungere comunque e con ogni mezzo, bensì un mezzo per realizzare determinati fini di avanzamento sociale e civile. Dunque, preliminare per costruire un’alternativa alla crisi, è definire il carattere e la portata della crisi. Se su questo punto non si fa chiarezza è difficile compiere qualche passo avanti, incidendo sui rapporti di forza (e di proprietà) che caratterizzano il nostro tempo.

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asimmetrie

Ora e sempre inconsistenza!

La menzogna assoluta contiene sempre in sé il proprio opposto

Andrea Magoni, Pier Paolo Dal Monte, Ugo Boghetta

bandiera rossaNell’articolo “Il male della banalità” pubblicato su a/simmetrie il 15 luglio si riconosceva, portando l’esempio della Grecia, l’impossibilità per qualsiasi formazione della cosiddetta “sinistra” di affrancarsi dalla gabbia dell’europeismo di maniera, fatto di significanti senza significato e di slogan ad effetto che non hanno alcun nesso con la realtà dei fatti. Come scrivemmo:

«È ormai evidente che quest’Unione Europea è totalmente irriformabile, perché è incompatibile con la democrazia; pertanto non si pone più alcuna questione su quali cambiamenti siano necessari per renderla migliore. Fanno sorridere gli appelli delle variopinte anime belle delle varie sinistre movimentiste sulla necessità di ridisegnare le regole europee, i parametri e i patti di stabilità, allo scopo di contrastare le politiche di austerità, visto che nella gabbia della moneta unica e dei trattati europei non c’è possibile redenzione. Il ricorso ad improbabili iniziative referendarie od elettoralistiche, su queste basi, è quindi destinato all’irrilevanza».

Questo è uno dei punti fermi da tenere sempre presenti, se non si vuole cadere nell’inconsistenza di una prassi fine a se stessa o, cosa peggiore, in un’operazione di cosiddetto “gatekeeping” che serva solo ad intercettare voti per impedire la formazione di forze politiche che possano essere veramente utili per contrastare la crisi nella quale versa il nostro Paese e il nostro continente e, cosa più importante, per modificare la situazione attuale creando una vera alternativa politica.

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micromega

Lezioni tedesche per la sinistra italiana

di Vladimiro Giacché

linke austerity 510Il nuovo libro di Alessandro Somma - “L’altra faccia della Germania. Sinistra e democrazia economica nelle maglie del neoliberalismo”, DeriveApprodi, Roma, 2015, pp. 192, 13 euro - appartiene al genere decisamente raro dei libri che mantengono più di quanto promettano.

Stando al titolo, si potrebbe pensare a un testo dedicato esclusivamente alla sinistra tedesca. E questo tema nel libro, come vedremo, è approfondito a dovere. Ma, al tempo stesso, c’è un’analisi molto precisa dell’evoluzione della Germania neoliberale dai tempi di Schröder in poi. E ci sono, infine, gli insegnamenti che l’autore ritiene la sinistra italiana farebbe bene a trarre dalle vicende di quella tedesca.

Cercherò di dar conto di tutti e tre questi aspetti del libro di Somma. Partendo dal secondo, che rappresenta in verità lo sfondo da cui si stacca l’evoluzione della sinistra tedesca, politica e sindacale, negli ultimi 15 anni. Il punto di partenza di questa storia è rappresentato dalla decisione del cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder – teorizzata nel manifesto per la “terza via” da lui firmato nel 1999 assieme a Tony Blair – di abbracciare le politiche neoliberali, mandando in soffitta come superata e viziata da "presupposti ideologici" l'idea, tipica della tradizione socialdemocratica, che lo Stato debba correggere i “fallimenti del mercato". Anche la priorità tradizionalmente attribuita alla "giustizia sociale" deve cedere il passo alla necessità di "creare le condizioni per la prosperità delle imprese".

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sollevazione2

«Fascismo islamico»? Le parole sono pietre

Leonardo Mazzei

Lo sbandamento lessicale e concettuale - in definitiva, politico - di buona parte della sinistra

MUSSOLINI AL BAGHDADI La strage di Parigi non ha colpito soltanto le sue vittime dirette. Tra i suoi effetti collaterali c'è pure l'intelligenza di tante persone bombardate da una propaganda asfissiante. Fin qui nessuna novità. La macchina mediatica fa il suo lavoro, e gli strateghi dell'imperialismo incassano un nuovo (per quanto temporaneo) consenso. Tutto ciò è sostanzialmente inevitabile, al pari delle nebbie in autunno. Quel che inevitabile non sarebbe è lo sbandamento di chi dice no alla guerra, accettando però il lessico ed i concetti di fondo di chi la guerra la fa sul serio da decenni. Per mettere a fuoco la questione basta pensare ad una categoria usata con una discreta leggerezza a sinistra: quella di «fascismo islamico», nella versione più sguaiata addirittura «nazismo islamico». Che una simile semplificazione venga usata dalla destra e da tutto il mainstream mediatico certo non stupisce; che venga addirittura ripresa da tanti a sinistra è invece l'indice di un pauroso sbandamento politico e culturale.

Limitiamoci ad un paio di esempi, di certo non gli unici, ma sufficienti a far capire di cosa stiamo parlando. In un breve comunicato, Paolo Ferrero riesce a ripetere ossessivamente, per ben 4 volte, il riferimento al nazismo: «barbarie nazista dell'Isis», «i nazisti dell'Isis», «il nazismo dell'Isis», «logica nazista». Spostandoci più a sinistra, abbiamo il caso del Pcl. «Contro l'imperialismo ed il fascismo islamico» si legge nel titolo del comunicato sui fatti di Parigi. Se non altro qui si cita l'imperialismo, ma si usa di nuovo (e non soltanto nel titolo) la categoria di «fascismo islamico», mentre almeno Ferrero nazifica l'Isis e non l'intero Islam.

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domenicolosurdo

I problemi della sinistra oggi

“Il movimento socialista è nato dall'incontro fra teoria scientifica e lotta di classe: da qui dobbiamo partire!”

#politicanuova intervista Domenico Losurdo

Domenico Losurdo, Professore emerito di Storia della Filosofia all'Università di Urbino, tra i maggiori intellettuali contemporanei, che recentemente ha pubblicato “La sinistra assente” (Carocci, 2014), un'analisi a proposito dell'assenza, in Occidente, di una forza d'opposizione in grado di incidere nella realtà e d'offrire la prospettiva della trasformazione sociale (A cura di Aris Della Fontana)

stillman91. Lei afferma che «la sinistra dilegua proprio nel momento in cui è chiamata a reagire ai processi in atto». Come si spiega questa contraddizione?

Quando parlo del dileguare della sinistra, mi riferisco all'Occidente. La sinistra dilegua, per esempio, dinanzi all'aggravarsi della situazione internazionale. Oggi stiamo assistendo a una serie di guerre neo-coloniali, particolarmente nel Medio Oriente: è un dato di fatto che viene riconosciuto persino da commentatori borghesi, ma che la sinistra occidentale, invece, tace. E oggi i pericoli di guerra si stanno aggravando: ne “La sinistra assente” cito un illustre analista quale Sergio Romano, secondo cui gli Stati Uniti hanno come obiettivo l'acquisizione di una sorta di monopolio sostanziale dell'arma nucleare; e ciò, all'occorrenza, anche al fine di poter scatenare un primo colpo nucleare impunito. Ci troviamo, dunque, dinanzi a una prospettiva decisamente allarmante. Ma la sinistra occidentale latita. Nel libro spiego le ragioni storiche di questa latitanza, ma fermarsi a ciò non basta. Di fronte all'aggravarsi dei conflitti sul piano internazionale, delle tendenze neo-colonialiste e della minaccia imperialista, s'impone la necessità d'una chiara risposta da parte della sinistra – anche sul piano ideologico - e con ciò una sua riorganizzazione. Ma purtroppo siamo ancora disgraziatamente lontani da tale momento.

 

2. Di fronte alla «crisi economica e politica» e ad un «deteriorarsi della situazione internazionale» che desta importante preoccupazione in particolare per i venti di guerra che spirano sempre più forti, si pone, per la sinistra, la questione delle tempistiche, e cioè della necessità di agire in rapporto a margini non eternamente posponibili? Se la sinistra non si attiva ora, in seguito sarà troppo tardi?

Per quanto concerne lo stato della situazione internazionale, ribadisco quanto sostenuto poco sopra.

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nuovoquotid.puglia

Il difficile “inizio” di una nuova sinistra

di Francesco Fistetti

Salle des cinq centsSul sito “Idee controluce” è stato pubblicato in questi giorni, a firma del professor Carlo Galli, deputato dem, direttore della rivista “Filosofia politica” e finissimo studioso di Carl Schmitt, un documento intitolato “Molte fini, un nuovo inizio. – Tesi per una sinistra democratica sociale repubblicana”. Si tratta di un testo programmatico di grandissima importanza, perché annuncia in un certo qual modo la scissione del Pd ad opera della sua minoranza interna e l’apertura di un nuovo “inizio” attraverso la fondazione di un’inedita formazione politica a sinistra dei dem. L’incipit del documento non lascia adito a dubbi ed enuncia in termini molto netti le ragioni che giustificano come urgente e non più rinviabile una scissione. “È da superare il togliattismo senza Togliatti. Il realismo senza una grande idea da preservare e da realizzare non è sinistra, ma opportunismo. È finito il blairismo – l’applicazione pratica della tesi di Giddens che si è raggiunto il culmine della socializzazione e che ora la sinistra deve stare dalla parte del capitale. La terza via ha prodotto una più facile penetrazione del neoliberismo in Europa, mitigandone solo in parte gli effetti.

La miseranda situazione in cui versa la socialdemocrazia europea, incapace d’iniziativa e del tutto schiacciata sulla difesa dell’esistente, è la prova di ciò. Ed è anche finita l’idea che i problemi politici siano tecnici. Destra e sinistra sono ancora gli assi portanti della politica, per nulla sostituibili da ‘vecchio’ e ‘nuovo’”. È innegabile che questa sia in primo luogo la fotografia del renzismo, considerato una caricatura “opportunistica” del realismo togliattiano poiché privo di una visione strategica, ma è anche il ritratto della socialdemocrazia europea.

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campoantimp2

"Cosa rossa"? No, salsa rosa

Sel, ovvero gli ultras della globalizzazione

di Leonardo Mazzei

2010 11 10 london student protestSi è svolta sabato scorso l'assemblea nazionale di Sinistra ecologia libertà (Sel). L'incontro ha partorito un documento utile a chiarire tre cose. La prima è che non c'è nessuna "Cosa Rossa" alle porte. La seconda è che non c'è una vera rottura strategica con il Pd. La terza è che l'adesione totale ai miti ed ai dogmi della globalizzazione ne esce pienamente confermata. Dunque, nulla di nuovo sotto il sole, ma il solito mix di opportunismo e globalismo. Il tutto servito servito in salsa rosa, non rossa. Entriamo nel merito, procedendo in ordine inverso d'importanza. In primo luogo, quindi, il non-evento di un aborto sostanzialmente annunciato. In secondo luogo, la conferma della linea delle alleanze con il Pd, in terzo luogo l'atteggiamento da ultras sfegatati del globalismo e dell'eurismo, un'impostazione che neppure le lezioni greche dell'estate scorsa hanno minimamente scalfito.


La "Cosa Rossa" non nascerà. Al più vedrà la luce una cosuccia rosa pallida

Se i documenti hanno un senso, quello uscito dall'assemblea del 24 ottobre ci dice che la cosiddetta "Cosa Rossa" non vedrà proprio la luce. Per "Cosa Rossa" si intendeva l'unificazione in un unico soggetto politico di almeno 4 componenti: Sel, Rifondazione Comunista, Possibile (civatiani) e Futuro a sinistra (fassiniani). Tralascio qui per semplicità altre componenti minori (o comunque sovrapponibili), come pure ritengo francamente trascurabile l'apporto di alcuni transfughi di M5S.

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poliscritture

Su «Ma quale rivoluzione»

di Ennio Abate

297919Sul sito di “Le parole e le cose” (qui), in occasione della morte di Pietro Ingrao, è apparso un articolo di Francesco Pecoraro intitolato «Ma quale rivoluzione». Questa è la mia replica. [E. A]

Quando spolveri il sacro ripostiglio
che chiamiamo “memoria”
scegli una scopa molto rispettosa
e fallo in gran silenzio.

Sarà un lavoro pieno di sorprese –
oltre all’identità
potrebbe darsi
che altri interlocutori si presentino –

Di quel regno la polvere è solenne –
sfidarla non conviene –
tu non puoi sopraffarla – invece lei
può ammutolire te –

(Emily Dickinson, Tutte le poesie, 1273, pagg.1277-1279, Mondadori, Milano 1997)

Gentile Francesco Pecoraro,

sono quasi un suo coetaneo (4 anni più di lei, credo) e pure io in quegli anni (non più “formidabili” ma appannatissimi e vituperati) ho parlato assieme a tanti di Rivoluzione (a Milano e dintorni, dal 1968 al 1976, in Avanguardia Operaia). Mi permetterò perciò, sulla falsariga del suo scritto, di dirle con massima sincerità e analiticamente cosa penso del modo in cui ha trattato il tema.

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senzatregua

Vogliamo il socialismo, non la luna

P.Ingrao CasasoliA3C’è forse un elemento chiave della storia del PCI in cui Ingrao è protagonista, insieme ad un parte rilevante della generazione dei dirigenti comunisti dell’epoca. E’ la sostanziale incapacità dialettica di ricondurre ad una coerente e moderna teoria marxista-leninista –  che cioè analizzasse sotto questa lente le novità storiche intercorse –  il dibattito e la critica che si sviluppa nel PCI, e in generale in una parte rilevante del movimento comunista internazionale, specialmente europeo in quegli anni. La critica allo scivolamento del PCI su posizioni socialdemocratiche e riformiste non viene compiuta in questo senso, ma nell’opposta critica al centralismo democratico, al ruolo e alla funzione del partito. A una socialdemocrazia della “destra”, concreta e pragmatica, tipicamente riformista, e in ottica storica vincente, finisce per opporsi una socialdemocrazia della “sinistra”, più movimentista, eclettica e idealista, inconcludente e perdente, ma fondamentale per far detonare ogni possibile alternativa in chiave comunista. Quello che mancò, o meglio risultò estremamente minoritario, fu proprio il punto di vista comunista in questo scontro. Per i marxisti non è paradossale che negli opposti possa esistere una sostanziale unità: è quello che avviene tra le visioni della destra e della sinistra del partito, che partendo da posizioni opposte finiscono per diventare complementari nel processo di distruzione del PCI. E una prova può essere forse l’idea che a chiudere la storia del PCI sia stato proprio l’idealista Occhetto che in gioventù era annoverato nelle file degli ingraiani, salvo poi essere spazzato via dalla concretezza dalemiana, a sua volta falcidiato da quella democristiana.

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controlacrisi

Cosa devono fare i comunisti?

di Mimmo Porcaro

Don GalloRidiventare comunisti, rompere con le formazioni attuali e unirsi in una nuova organizzazione, espandersi oltre la sinistra. Queste sono le tre cose da fare, senza le quali i problemi dell’unità popolare, dell’autonomia nazionale, della riappropriazione pubblica delle grandi imprese (problemi ineludibili per chiunque voglia divenire davvero egemone nel paese), saranno posti e risolti da altri, magari simili al fascismo, magari populisti, o magari nazional-democratici. O forse non saranno affrontati da nessuno: ed il paese scivolerà ancor più velocemente verso il degrado economico e civile con l’attiva complicità dei comunisti, incapaci di situarsi all’altezza del proprio nome e delle proprie migliori intuizioni.

Per provare a svegliare i comunisti dalla loro letargia, e convincerli della possibilità concreta (e in particolare in Italia) del socialismo, io ho cercato qui di riproporre la riflessione sulla contraddizione fondamentale, vista da Marx per primo, tra socializzazione della produzione e proprietà privata, consapevole sia del discorso neomarxista sulla varietà delle forme concrete di quella contraddizione e dei soggetti che la interpretano, sia della critica postmarxista alla centralità assoluta del potere politico. Ho provato inoltre a delineare una nuova concezione dello stato “consiliare”, capace di superare la vecchia illusione per cui il comunismo può e deve superare ogni contraddizione tra stato e popolo.

La mia sola aspirazione è che si crei un luogo collettivo in cui le idee qui proposte (e che conto di esprimere presto in maniera più completa) possano essere confutate e superate da una migliore soluzione del problema del socialismo in Italia. E nel mondo.

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sinistra

La ricostruzione di una pratica politica e di una prospettiva socialista in Italia e in Europa

di Fabio Nobile e Domenico Moro

amendola storiaLe vicende greche, la crisi che si estende alla Cina, gli imponenti flussi migratori e il rafforzamento della tendenza alla guerra caratterizzano il quadro generale degli ultimi mesi. In Italia e in Europa siamo davanti ad uno stravolgimento del piano economico, sociale, istituzionale e politico. Di fronte alla complessità degli eventi appare utile assumere un posizionamento chiaro per aggregare forze e consensi. Per farlo occorre provare a comprendere fino in fondo la realtà, capire le nuove dinamiche sociali e economiche, proporre una prospettiva a medio termine e un modello di società alternativa a lungo termine

A monte dello stravolgimento della realtà, c’è la crisi di lunga durata del capitalismo. Alcuni economisti, tra cui l’ex Segretario al Tesoro statunitense Larry Summers, parlano di “crisi secolare”. Altri economisti paragonano la crisi attuale alla grande crisi ventennale che si sviluppò tra 1873 e 1895, dando luogo alla fase imperialista del capitalismo e alla competizione tra potenze che sfociò nella Prima guerra mondiale. La crisi attuale è iniziata con lo scoppio dei mutui subprime nel 2007 ed è proseguita come crisi del debito sovrano, ma non è specificatamente una crisi finanziaria. Quella finanziaria è solo la forma esteriore che assume. Il contenuto della crisi è la sovraccumulazione di capitale che ha raggiunto livelli assoluti e determina crescenti difficoltà nel mantenimento di adeguati saggi di profitto. Come in ogni grande crisi, anche in questa occasione il capitale sta generando una riorganizzazione profonda dei processi di produzione e di circolazione. Quelle che osserviamo ogni giorno ne sono le conseguenze più o meno dirette.

Le politiche di stampo neoliberista rappresentano un aspetto sicuramente cruciale della riorganizzazione generale del capitale, al quale, però, va aggiunta l’internazionalizzazione crescente dei processi produttivi, che segnano il passaggio dalla fase del capitalismo monopolistico di stato alla fase del capitalismo globalizzato.

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contropiano2

"Si può uscire dall'Europolo su basi internazionaliste e di classe"

A. Lollo intervista Luciano Vasapollo

marina colorata5La rivista brasiliana Correio da Cidadania ha intervistato Luciano Vasapollo, economista marxista, direttore del Cestes e docente dell'Università La Sapienza di Roma. La crisi sistemica ha determinato nei paesi dell’Unione Europea situazioni economicamente anacreontiche e politicamente paradossali, nel senso che molti dei partiti della cosiddetta sinistra europea, legati all’Internazionale Socialista, dopo essere entrati nelle sale del Potere si comportano alla stessa maniera dei partiti di destra o di centro-destra. Le riforme strutturali sbandierate nelle campagne elettorali dei partiti di destra come quelli di sinistra per favorire la crescita, in realtà diventano l’alibi per nuove privatizzazioni, tagli ai servizi pubblici, programmi di austerità, attacchi al mondo del lavoro per legittimare le “risoluzioni oggettive” delle eccellenze della borghesia transnazionale europea attraverso le politiche antisociali  della Troika (BCE, FMI, Commissione Europea). Una situazione che giorno dopo giorno approfondisce nei paesi dell’Unione Europea il fosso tra i partiti della cosiddetta sinistra e i movimenti sociali e sindacali  conflittuali  anticapitalisti.

 

Correio da Cidadania — Perché, in Europa, le nuove forme di organizzazione e gli stessi comportamenti politici dei movimenti sociali, giovanili, territoriali, ambientali sono sempre più distanti dai tradizionali partiti della sinistra?

Luciano Vasapollo:”... Oggi siamo alla chiusura definitiva di un ciclo politico che è stato dominato dai partiti della sinistra riformista e che in questo periodo hanno operato una lunga e complessa revisione teorica e politica, al punto di abbandonare qualsiasi prospettiva di classe, per poi diventare partiti, che non solo difendono il potere ma che lo cogestiscono.

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ilpungolorosso

La resa di Syriza non chiude la “questione greca”

Il Pungolo rosso

55aa92736b844La Grecia è scomparsa, o quasi, dalle prime pagine. È prevedibile ci tornerà dopo le elezioni del 20 settembre. Ma non saranno certo le imminenti elezioni, quale che sia il loro esito, a risolvere la “questione greca”. Le sue coordinate, infatti, sono extra-parlamentari. Attengono alla crisi del capitalismo e ai rapporti di forza tra le classi. E sono già chiare da anni. Le vicende del referendum e del dopo-referendum, con la resa di Tsipras e di Syriza ai diktat della Troika e dei capitalisti greci, le hanno ulteriormente confermate. Perché dicono che nonostante la catena di lotte degli scorsi anni, e nonostante il rifiuto dei memorandum sia stato ribadito dalla vittoria del No al referendum del 5 luglio, per i lavoratori e i giovani deprivilegiati della Grecia la strada è ancora tutta in salita. Come lo è, del resto, per i proletari dell’intera Europa (e del mondo).

Qui in Italia diversi esponenti della extra-sinistra hanno tratto spunto dalle grandi difficoltà attuali del movimento di massa anti-memorandum, per spargere a piene mani disfattismo nei confronti della lotta dei lavoratori, in Grecia e ovunque, e per rilanciare un nazionalismo ‘sociale’, un social-nazionalismo, funesto per le sorti del proletariato. Abbiamo scritto queste note in polemica con loro, ma non certo per convincere loro. Il nostro intento è, invece, quello di promuovere il confronto, finora deficitario, tra quanti ricercano una via d’uscita dalla profonda crisi ideologica, politica e organizzativa in cui versa il movimento proletario su scala europea e internazionale senza nulla concedere al riformismo e al nazionalismo.