Immaterial Workers of the World | Che te lo dico a fare? – a cura di Paolo Virno
di Effimera
Succede che quando si spegne una luce, altre si accendano. Per rimediare al buio, innanzitutto. Ma anche perché prende avvio una sorta di trasmissione di energia e di afflati vitali, di propagazione e diffusione di potenza. Come nei vasi comunicanti, il contenuto non sparisce ma viceversa tracima e si distribuisce.
Eravamo sulle scale di una stazione italiana con il cellulare e le borse in mano quando è arrivata, sulla lista di Effimera, la notizia della morte di Paolo Virno e in quel momento una lampada si è accesa nella testa sull’immagine folgorante di Virno e degli Immaterial Workers of the World. Avevamo davvero potuto dimenticare? Avevamo davvero dimenticato?
Sono passati più di 25 anni dalla pubblicazione, nella primavera del 1999, sul n. 18 della rivista DeriveApprodi del documento dal titolo “Che te lo dico a fare?”. Un testo seminale, tra i cui principali estensori, per non dire il fondamentale, forse unico, c’è, appunto, Paolo Virno. È suddiviso, dopo una premessa, in tre parti.
Parte I
La prima parte, intitolata significativamente “La giornata lavorativa sociale”, è la parte sicuramente più radicale e affascinante, perché porta alle estreme conseguenze, quasi provocatoriamente, un insieme di analisi sulle trasformazioni produttive, tecnologiche e del lavoro del capitalismo contemporaneo.
Le prime analisi sul tema risalgono agli anni Novanta laddove si usò la nozione di “postfordismo”. Queste hanno trovato spazio su alcune influenti riviste autonome. Pensiamo, tra le altre, a Luogo Comune (che ha visto tra i suoi protagonisti Virno stesso), Riff Raff, Futuro Anteriore, Altre Ragioni, la stessa DeriveApprodi Rivista, eccetera. Si tratta di riviste che, in stretta relazione con il pensiero d’oltralpe (pensiamo a Futur Anterieur, Alice, ai primi numeri di Moltitudes…), intorno all’anno Duemila hanno cominciato a promuovere il pensiero operaista.
Il testo “Che te lo dico a fare?” è presentato sotto forma di tesi, come allora usava.
Si comincia a teorizzare che l’attività produttiva (di plusvalore) non è più recintata dal lavoro produttivo ma tracima verso un esterno sempre più largo e sempre più irregolare, che tende sempre al nero:
“il lavoro postfordista è sempre anche lavoro sommerso. Questa espressione non significa solo lavoro non contrattualizzato, ‘lavoro nero’. Il lavoro sommerso è in primo luogo vita non retribuita, ovvero quella parte dell’attività umana che, completamente omogeneizzata nel lavoro, non viene tuttavia computata come forza produttiva”.
Si afferma che:
“il lavoro e il non lavoro sviluppano una produttività identica, basata sull’esercizio di generiche facoltà umane: linguaggio, memoria, socialità, inclinazioni etiche ed estetiche, capacità di astrazione e di apprendimento. Dal punto di vista di “cosa” si fa e “come” lo si fa, non c’è alcuna differenza sostanziale tra occupazione e disoccupazione. Vale a dire, la disoccupazione è lavoro non retribuito, e il lavoro a sua volta è disoccupazione retribuita”.
E ancora:
“La cooperazione produttiva a cui partecipa la forza lavoro è sempre più ampia, più ricca di quella messa in campo dal processo lavorativo. Ciò include anche il non lavoro. La forza lavoro valorizza il capitale solo perché non perde mai la sua qualità di non lavoro”.
Ne consegue che:
“Il plusvalore deriva oggi dall’attività produttiva che supera l’attività lavorativa in senso stretto. La crescita del plusvalore si ottiene oggi modificando la proporzione tra la parte retribuita e quella non retribuita del TEMPO DI PRODUZIONE nel suo complesso (non solo tra la parte retribuita e quella non retribuita del TEMPO DI LAVORO)”.
In questo contesto, appare quindi consequenziale affermare che:
“l’obiettivo di un REDDITO DI CITTADINANZA è ovviamente centrale. Con questo rivendichiamo la retribuzione per il tempo di produzione che trabocca oltre il tempo di lavoro. Il reddito di cittadinanza è IL SALARIO DELLA COOPERAZIONE SOCIALE che precede e supera il tempo di lavoro. Il reddito di cittadinanza non è altro che l’istituzione di un NUOVO CALENDARIO”.
Queste dichiarazioni condensano in poche righe le analisi che, negli anni precedenti (veramente ricchi di innovazione teorica autonoma), hanno cominciato a circolare.
Facciamo riferimento al primo e al secondo articolo di Sergio Bologna, “Problematiche del lavoro autonomo in Italia”, pubblicate sulla rivista Altre Ragioni, n. 1 e n. 2 (giugno 1992 e marzo 1993), poi condensate nel testo “Dieci tesi sul lavoro autonomo” nel volume collettaneo, a cura di Sergio Bologna e Andrea Fumagalli, Il Lavoro autonomo di seconda generazione. Scenari del postfordismo in Italia, Feltrinelli, 1997.
Facciamo riferimento al libro di Christian Marazzi, Il posto de calzini, Edizioni Casagrande, Bellinzona 1995. Il volume sarà ripubblicato da Bollati Boringhieri, in Italia, nel 1999. Il sottotitolo è di per sé esplicativo: La svolta linguistica dell’economia e i suoi effetti sulla politica.
Facciamo riferimento al testo di Carlo Palermo (alias Carlo Vercellone): “Reddito di cittadinanza e lavoro sociale”, in Riff Raff, Calusca Edizioni, Padova, 1994, ripubblicato anche nel libro curato da Bin-Italia Reddito per tutti. Un’utopia concreta per l’era globale, Manifestolibri, 2009, Roma.
Facciamo riferimento alla ricerca curata da Antonella Corsani, Maurizio Lazzarato e Toni Negri, Le bassin de travail immateriel (BTI) dans la metropole parisienne, Paris, l’Harmattan, 1996.
Facciamo riferimento alle “Dieci tesi sul reddito di cittadinanza” di Andrea Fumagalli, prima stesura settembre 1998, poi pubblicate in Tute Bianche, DeriveApprodi, febbraio 1999.
Facciamo riferimento ai libri della collana MAP, Manuali di Autodifesa Postfordisti, usciti per DeriveApprodi tra il 1999 e il 2002 e curati da Antonio Casilli, Andrea Fumagalli, Cristina Morini e Paola Tubaro: tra gli autori, oltre ai citati, Franco Berardi, Andrea Tiddi, il gruppo L.A.S.E.R., i Chainworkers. “MAP e una mappa per orientarsi nella geografia variabile del mondo del lavoro nell’era dell’accumulazione flessibile […] MAP è una serie di materiali di inchiesta per prendere coscienza della propria situazione e del proprio immaginario, per mantenere vivo un filo di analisi critica e soggettiva”.
Insomma, un bagaglio davvero ampio – qui strapazzato – di riflessioni che ci ha nutrite/i, formate/i, resi coraggiose/i (almeno in quel momento). Poiché la percezione forte era quella di far parte di una comunità sapiente e resistente, e che tutta quella mole di riflessioni e di esperienze maturate nelle maglie dei nuovi paradigmi produttivi sarebbe riuscita ad aprire una strada. Infatti fu MayDay, primo maggio precario, manifestazione della precarietà esistenziale.
Ora, causa anche l’età che avanza, finisce che ci ricordiamo precisamente di tutto solo in un lampo di dispiacere grande, sulla scalinata di una stazione. Proprio quando molti protagonisti di quella stagione sono andati via. Ma ci hanno insegnato, ostinatamente, fino alla fine, che “l’amore non finisce, ti lega alla vita, è unico, singolare. Scopri che la vita non può essere fatta da soli, non si può nascere soli” (Toni Negri in Toni, mio padre, film di Anna Negri, 2025). Che te lo dico a fare?
Parte II
La seconda parte si intitola “La nuova specie”. Con tale espressione il documento fa riferimento all’intellettualità di massa “come nuovo soggetto politico e sociale “non definibile con le categorie fordiste, essendo definita da costellazioni culturali, disposizioni etiche, contesti vitali”.
Si afferma, infatti, che:
“con l’espressione “intellettualità di massa” non si è mai voluto disegnare un certo numero di particolari mestieri, ma una qualità di TUTTO il lavoro postfordista. Questa formuletta segnala che il lavoro è diventato essenzialmente linguistico (mentale, cognitivo) o, ma è lo stesso, che il linguaggio è stato messo al lavoro”.
Si parla di specie e non di soggetto, proprio perché le sue caratteristiche peculiari possono essere descritte solo in termini etico-culturali.
“In breve, l’intellettualità di massa” sta al centro dell’economia postfordista esattamente perché il suo modo sfugge del tutto ai concetti dell’economia politica. È questo il paradosso da affrontare in termini di teoria dell’organizzazione”.
L’esistenza dell’intellettualità di massa definisce un bacino, ovvero l’ambito spazio-temporale in cui avviene la socializzazione extra-lavorativa. L’ambito della prestazione lavorativa diretta non è più il solo luogo della conflittualità sociale ma si estende al sociale. Oggi, a 25 anni di distanza, potremmo dire: è la battaglia per il Welfare.
Il dibattito sul “lavorio immateriale” prenderà piede agli inizi del nuovo millennio, influenzato anche da questo documento. In Italia, con il testo di Maurizio Lazzarato, Lavoro immateriale. Forme di vita e produzione di soggettività, Ombre Corte, Verona, 2002. In Francia, con quelli dell’Istituto Isys Matisse, Paris 1 – Sorbonne, coordinato da Bernard Paulré, con i contributi, tra gli altri, di Antonella Corsani, Carlo Vercellone, Yann Moulier Boutang, Francois Chesnais e altri (2003).
Bisogna qui specificare che le teorie sul capitalismo biocognitivo, ascrivibili all’ambito operaista, hanno da parecchio tempo dismesso l’utilizzo della nozione “immateriale” relativamente al “lavoro”, pur mantenendola invece quando riferita alla “produzione” (brand, immagine, comunicazione, formazione).
I processi di sfruttamento del lavoro si sono estesi ben oltre ogni immaginazione ma nulla è veramente “immateriale” poiché ciò che viene trattato e interagisce è materiale umano, animale, sempre vivente. Così come bisogna aggiungere che il termine postfordismo nulla ci ha detto di ciò che ha sostituito. Sempre più vistosamente non c’è separazione che tenga tra corpo e mente: la mente lavorizzata spossessa il corpo di desiderio, lo ammala; il corpo alienato perde parola e libertà di pensiero.
Ed evidentemente, soprattutto, aggiungere che sul tema lavoro gratuito, invisibile, non riconosciuto, di rimessa, ombra, il femminismo ha dato un contributo fondamentale, fin dagli anni Settanta. L’era del divenire donna del lavoro, sulla fine degli anni Novanta, comincia con un rovesciamento di posizione: le strutture di dominio maschili vacillano e trascinano con sé ogni certezza consolidata, perfino di classe. Prevalenza del femminile, del minore, del nomade, del bastardo. Fine delle identità molari. Fine, alla fine, della (ri)produzione di divisioni essenziali tra uomo e donna: siamo tutt@ precar@. La situazione è più complessa? Assolutamente sì, ma, potenzialmente, anche assai più interessante.
Parte III
La terza parte del documento ha come titolo, semplicemente: Immaterial Workers of the World. È evidente il richiamo al movimento degli IWW degli anni Venti negli Stati Uniti, il movimento sindacale che ha affrontato, per primo e in modo rivoluzionario, le nuove condizioni del lavoro salariato della rivoluzione taylorista, aprendo una nuova prospettiva sindacale; il superamento delle rivendicazioni “specialistiche” dell’operaio di mestiere verso la nuova soggettività dell’operaio massa che diventerà egemone nella divisione del lavoro dettata dall’organizzazione scientifica del lavoro del taylorismo. Un conflitto che si protrarrà sino alla fine degli anni Sessanta del Novecento.
La nuova fase che si apre con il “postfordismo” richiede un nuovo tipo di sindacalismo. Assistiamo a una rottura epocale. L’operaio massa perde di peso (pur non scomparendo, si esternalizza in altre parti del mondo, esito della globalizzazione capitalistica) a favore di una nuova figura lavorativa, con una soggettività diversa da incontrare e da capire. Ciò non significa che bisogna avere paura della parola “sindacato”. È necessario pensare a un sindacalismo rivoluzionario, in grado di essere espressione della socialità (il General Intellect) del lavoro di oggi, espressione di quell’intellettualità di massa, lasciata a sé stessa.
“I centri sociali sono, potenzialmente, le Camere del Lavoro dell’arcipelago delle attività sommerse, intermittenti, flessibili. Una Camera del Lavoro postfordista cumula funzione diverse complementari: CENTRO DI ACCOGLIENZA permanente dell’immigrazione clandestina. UFFICIO DI COLLOCAMENTO autonomo e alternativo dell’intellettualità di massa; banca-dati. ARCHIVIO di informazione e conoscenze. SOCCORSO ROSSO legale per questioni di diritto del lavoro. CASSA DI MUTUO SOCCORSO.
Qui ci fermiamo. In questo testo è racchiuso tutto il “nostro” general intellect di quegli anni: Paolo Virno, tu, io, loro, voi, noi, gli altri, sono espressione di quel sentire comune, di quell’esercizio di verità come realtà. Comunque sia andata e comunque vada, vogliamo dirlo: non avevamo visto sbagliato, anzi, avevamo ragione. La tesi sulla vita messa al lavoro ha aggiunto progressivamente nuovi tasselli: il genere (la femminilizzazione del lavoro), l’ambiente, la cooperazione, la solidarietà, oltre al Welfare state tutto intero sono diventati campi di accaparramento per il capitale. Rischiamo di essere tutte/i mercificate/i.
Così inizia Il Capitale di Marx: “La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, si manifesta come una immane raccolta di merci”.
L’immane raccolta di merci è oggi l’umanità.
È corpo vivente, “interiorità” soggetta ai processi di automazione, cervello e sentimenti, lusingati per bene così da poter essere captati dall’intelligenza artificiale. L’organizzazione capitalista contemporanea centrata sulle piattaforme digitali richiederebbe un nuovo documento, folgorante e dirompente come quello che abbiamo provato a contestualizzare e che pubblichiamo qui sotto, così che possiate leggerlo. Avrebbe bisogno dell’intelligenza di Paolo Virno, che ancora salutiamo e che ringraziamo per ciò che abbiamo imparato. Da lui come da altre e altri. Finché potremo, vi porteremo con noi. Con tutto il rispetto, con tutto l’affetto (A.F. e C.M.).







































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