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11 Marzo 2016:  Noi non dimentichiamo

A dieci anni dalla morte di Milosevic

di Enrico Vigna

12696292 10207603400975851 157834678 n 680x365Premessa storica

Nell'affrontare gli eventi verificatisi a Belgrado alla fine del Giugno 2001, culminati con il rapimento e poi la morte nel 2006 di Slobodan Milosevic, occorre partire da un dato, mai citato qui in Occidente. Alla scadenza dei tre mesi di carcerazione nella prigione di Belgrado, il collegio difensivo dell'ex Presidente della Jugoslavia, accusato, tra l'altro, di abuso di ufficio, corruzione, omicidio, stragi e concussione, presentò la domanda di scarcerazione entro il 30 giugno 2001 per assoluta mancanza di prove. Le accuse, infatti, erano tutte basate su supposizioni personali rilasciate da 12 testimoni d'accusa considerati decisivi. Nessuno di essi però andò oltre genericità, supposizioni e ipotesi di colpevolezza.

Ed ecco che, casualmente, il 28 Giugno 2001, dopo pressioni, ricatti e ultimatum da parte degli Usa e della Nato al governo fantoccio DOS, scatta l'operazione che portò al rapimento di Milosevic sotto la regia CIA avendo dichiarato che lo Stato Maggiore dell'Esercito Jugoslavo non aveva fornito né un uomo, né un mezzo per l'estradizione dell'ex Presidente.

Ci sono tuttavia delle verità nascoste, poi svelate dagli stessi stipendiati dell'Occidente, che dimostrano il grado di completa sottomissione e dipendenza dei “nuovi” governanti “liberi e democratici” incaricati di far crollare e asservire agli interessi occidentali la piccola Jugoslavia.

Da una telefonata avvenuta prima di dare avvio all'operazione del sequestro di Milosevic tra il premier Djindjic ed il presidente Kostunica, svelata dal giornale "Nedeljni Telegraf" ( testata filogovernativa mentre nella RFJ dal 5 ottobre 2000 non esistono più giornali d'opposizione, l'unico che era rimasto, "24 Ore", ha chiuso nel dicembre 2000 per mancanza di soldi, ma si sa, la libertà e la democrazia Nato hanno un prezzo da pagare ai nuovi padroni del paese ) e poi confermata dallo stesso Djindjic alla radio B92, emerge chi è il regista di tutta l’operazione: l'ambasciatore degli Stati Uniti a Belgrado William Montgomery.

Montgomery è stato ambasciatore in Croazia negli anni della secessione e delle pulizie etniche contro i serbi pianificate e dirette dalla CIA come dichiarato all'agenzia croata Hina dall'avvocato L. Misetic difensore all’Aja del Generale croato Gotovina.  Il “diplomatico” statunitense è altresì stato il coordinatore a Budapest e a Sofia degli “stage formativi” per gli attivisti di Otpor e i quadri della DOS, l’opposizione cosiddetta “democratica”, condotti da personale CIA nel luglio-agosto e nel settembre del 2000, poco prima del Colpo di Stato del 5 Ottobre.

Il vice-presidente del governo serbo D. Korac alla Radio France International ha spiegato che era da oltre un mese che vi erano riunioni nelle alte sfere della DOS per decidere come svolgere tale operazione, assai delicata per il Paese.

Questi elementi dovrebbero bastare per farci comprendere quanto la sovranità serba sia stata completamente annullata. Un Paese dove l'ambasciatore della nazione che ha bombardato, distrutto e ucciso migliaia di civili innocenti dà ordini a un governo di burattini. Un Paese dove un elicottero Nato viola la sovranità, preleva e rapisce un cittadino jugoslavo in disprezzo di qualsiasi legge internazionale e di qualsiasi concetto di indipendenza e libertà.

Dovremmo ricordarci che un paese senza sovranità e indipendenza non può avere nessun tipo di libertà o di diritti. Questo rimane un principio storico basilare, tutto il resto sono chiacchiere per i salottieri opulenti, spesso della sinistra Occidentale.

Tali operazioni di banditismo internazionale tuttavia non dovrebbero stupirci più di tanto visto cosa è successo negli ultimi anni in Iraq, nel Ghana, nel Sudan, nella Costa d’Avorio, in Siria, in Libia e nel Donbass. Tutte operazioni che si fanno beffa delle leggi internazionali e delle Costituzioni nazionali. Nel caso della Repubblica Federale di Jugoslavia tutto avvenne al modico prezzo dei leggendari "30 denari", poiché suddividendo per ogni cittadino jugoslavo e serbo il valore del baratto della vita venduta di Milosevic tra i furfanti serbi e i padroni yankee, si ottiene all'incirca questo valore.  Un pugno di mosche per la povera gente, ma sicuramente milioni di dollari per questi novelli Giuda del popolo serbo, che proprio nel giorno di "Vidovdan", festa profondamente radicata nei sentimenti e nella tradizione della Serbia, hanno venduto come merce di scambio un proprio cittadino in cambio di denaro. Un atto infame e vergognoso, che marchierà per sempre questi mercenari prezzolati.

 Ancora una volta, l'ennesima, è toccato al popolo serbo subire un'umiliazione e una violenza morale che lo ha reso succube, alla stregua dei popoli croato, bosniaco, albanese, macedone, così come di quasi tutti i popoli dell’Europa orientale, dei diktat della Nato e del liberismo selvaggio del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e del Capitalismo made in Occidente.

Si è giunti così al paradosso finale degli aggressori che processano gli aggrediti.

Ma chi giudica chi? I fuorilegge del diritto internazionale hanno preteso di processare il tre volte eletto Presidente di un popolo, reo, in realtà, di non essersi venduto; per questo motivo andava piegato e sottomesso.

Questo è il famigerato Tribunale Penale Internazionale dell'Aja per la Jugoslavia, un organo esecutore dell'imperialismo. Ce lo dicono loro stessi. Questo cosiddetto tribunale ha archiviato tutte le accuse contro la Nato e i governi occidentali responsabili di crimini contro l'umanità durante i 78 giorni di bombardamenti. L'uso di armi proibite all'uranio impoverito e cluster bomb, l'uccisione e la mutilazione di migliaia di civili, in gran parte donne e bambini, e la distruzione di ospedali, scuole, centrali, fabbriche, case, strutture civili e addirittura parchi, sono state archiviate. Inoltre non si può dimenticare il bombardamento del palazzo della Televisione di stato a Belgrado e l'assassinio di giornalisti jugoslavi colpevoli di informare l'opinione pubblica.

Una denuncia di centinaia giuristi, avvocati, magistrati, medici e personalità di tutto il mondo, contro l'aggressione dei governi Nato (compreso quello italiano guidato allora da Massimo D’Alema), è stata considerata non sufficientemente motivata e quindi archiviata. Infatti, quando fu presentata la denuncia per incriminare i governi dell'Alleanza Atlantica, il portavoce della Nato J. Shea dichiarò serenamente: “Dubito che questo Tribunale morda la mano di chi lo nutre”. 

Quali ulteriori profonde analisi sono necessarie?

Altro che ricerca di latitanti o fuggiaschi, la Serbia di oggi è lì, immiserita, devastata e distrutta. Ora tutta la documentazione e le verità sono a disposizione di chiunque voglia documentarsi, qualora lo volesse.

Personalmente spesso non ho condiviso molte scelte o gli indirizzi di politica interna dei governi jugoslavi, mentre spesso ho condiviso le critiche che venivano mosse da altre forze nazionali. Tutto questo però è insignificante e irrilevante perché noi viviamo qui mentre là Milosevic è stato eletto per ben tre volte. Infatti nel settembre 2000 Milosevic ottenne ancora il 43% dei voti correndo da solo contro 19 Partiti: 18 Jugoslavi più 1 straniero, la Nato. Ciò non può essere dimenticato.

Ricordiamoci tuttavia che fino ad allora la Jugoslavia era  un Paese Indipendente mentre oggi, stracolmo di uomini CIA, Nato, consiglieri stranieri di vario titolo e mercenari locali, non lo è più. Era un Paese sovrano mentre oggi non lo è più. Kosovo e Montenegro sono altro ormai, come rischiano di diventarlo Vojvodina e Sangiaccato.

La Serbia era un Paese con un forte e radicato senso di Identità e Dignità nazionale, ridotta poi ad accettare e mendicare continui baratti, contrattazioni, ricatti, imposizioni, ultimatum e umiliazioni come quella di far rapire un suo ex Presidente della Repubblica proprio nel giorno dell'anniversario della battaglia del 1389 a Kosovo Poljie, forse la giornata in assoluto più sentita dal popolo serbo. Nello stesso momento questo manipolo di governanti "democratici" stipendiati da Washington e dalle capitali europee, che hanno arrestato e perseguitato soldati e patrioti jugoslavi, liberavano oltre 200 criminali dell'UCK ( terroristi albanesi kosovari) colpevoli non di efferati crimini, ma solo di aver contribuito all'omicidio e alla scomparsa di oltre 3000 tra serbi, rom, gorani, kosovari albanesi e altri. Una Pulizia Etnica del Kosovo Metohjia, oggi un narcostato dominato dalla criminalità organizzata, ma protetto e riconosciuto dalla Nato e dall’Occidente.

La Serbia era un Paese dove la Zastava, cuore della classe operaia dei Balcani, orgoglio della Jugoslavia, raccoglieva, fino ad allora, lavoratori di 36 nazionalità. Una fabbrica distrutta e devastata dalle bombe all'uranio provenienti dagli amici e dai protettori dei nuovi governi venduti allo straniero aggressore. Tuttavia 10 mesi dopo i bombardamenti la Zastava era già stata ricostruita di un terzo, nonostante l'isolamento, le sanzioni e gli embarghi. Oggi è una fabbrica morta ufficialmente. La Zastava automobili, da febbraio 2011, non esiste più. Dei 36.000 lavoratori di allora ne sono stati assunti circa 950 dalla nuova Fiat Serbia. Questa è la democrazia la libertà e il progresso occidentale! Questa è la realtà dei fatti.

Oggi, gli ex lavoratori Zastava hanno come unica prospettiva l'emigrazione o la disoccupazione.

La Serbia fino all'ottobre 2000 era un paese fiero e orgoglioso.

Oggi invece è un paese umiliato, affamato, violentato, svenduto, deriso ma non vinto.

É stato anche l'ex ambasciatore Sergio Romano a sottolinearlo: “attenzione a voler infierire su questo popolo, l'occidente non deve dimenticare che non è stato mai piegato né dagli ottomani, né dai nazisti, tanto meno dai fascisti italiani nonostante gli eccidi e i crimini lì commessi".

Di fronte e sopra ai diritti, ai popoli, ai paesi e alle nazioni si erge questo Tribunale Penale Internazionale dell'Aja che su ordine Nato decreta chi sono i buoni e i cattivi. La sua chiusura dovrebbe essere un obiettivo di chiunque creda nel diritto e in un minimo di legalità internazionale.

"Voi non vedrete mai apparire i piloti della Nato dinanzi ad un Tribunale dell'Onu. La Nato è accusatrice, procuratrice, giudice ed esecutore, poiché è la Nato che paga le bollette. La Nato non è sottomessa al diritto internazionale. Essa è il diritto internazionale". Questa è stata la “sentenza” di Lester Munson, senatore statunitense.

Marchia, ordina, sentenzia prima di un processo, esegue e rapisce il tre volte eletto dal suo popolo Milosevic e quindi se colpevole lui, lo è anche il popolo serbo e jugoslavo, che per 10 anni lo aveva scelto come suo rappresentante e lo aveva sostenuto nella politica di resistenza alle aggressioni politiche, economiche, militari e morali.

Cercavano e desideravano un uomo vinto, sconfitto e sottomesso, possibilmente da consegnare agli archivi della loro storia, ovvero da far dimenticare. Come però ha titolato un giornale di Belgrado "Hanno sollevato il vento".

Tra tante responsabilità di vario genere, la colpa di Milosevic è quella di non essersi piegato alla Nato, di non aver svenduto il proprio popolo agli affamatori del liberismo selvaggio, di non aver regalato il proprio paese al FMI, alla Banca Mondiale, ai vari Soros e alla loro marea globalizzatrice.

E questa, nei tempi attuali, è una colpa che si può pagare con la vita.

Come hanno dichiarato i suoi avvocati a nome suo: “Per quanto hanno frugato e cercato, nelle mie tasche non hanno trovato un solo dollaro, né sui miei vestiti una sola traccia di sangue".

L’11 marzo 2006 Slobodan Milosevic è morto nel corso di un processo illegale, organizzato da un tribunale illegale nel cuore dell’Europa, senza poter godere di alcuno dei diritti che la grande maggioranza delle legislazioni europee riserva ai detenuti, con un non casuale cinismo, e con un’arroganza politica e “burocratica” del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja.

Un organo del tutto illegale ed illegittimo, creato sotto le pressioni di Usa e Nato e non contemplato dalla Carta dell’ONU. Un organo politico più che giuridico finanziato dagli Stati Uniti e da soggetti privati come Soros, che da anni lavorano alla destabilizzazione di quegli stati che ostacolano i disegni geostrategici dell’imperialismo statunitense finanche di quello europeo.

Il TPI ha violato nelle sue stesse procedure tutti i principi del diritto internazionale, avendo formulato proprie leggi e propri regolamenti, modificabili nel corso dei procedimenti con la sola delibera del suo presidente o del procuratore avendo la facoltà di rifiutare a proprio arbitrio gli avvocati e i testimoni della difesa e decretare contemporaneamente l’attendibilità di testimoni sconosciuti e non contro-interrogabili, di negare la consultazione degli atti d’accusa, e via dicendo. Una moderna Inquisizione.

Le reazioni stizzite della signora Carla del Ponte, durante le udienze del processo, erano comprensibili, odiose ma comprensibili, perché il TPI non è riuscito a piegare ed umiliare l’imputato Milosevic e non è riuscito a scaricare sull’ex Presidente jugoslavo e sul popolo serbo le responsabilità delle tante guerre balcaniche seguite ai disegni secessionisti di Slovenia e Croazia. Nonostante una campagna di stampa capillare e miliardaria, il TPI non è riuscito a riscrivere in maniera unilaterale la storia di quegli anni terribili, fallendo di fatto nella missione che gli era stata affidata dalle autorità di Washington e Bruxelles. Sullo stesso processo a Milosevic, che era partito in mondovisione, calò il silenzio da parte dei grandi mezzi di comunicazione, grazie soprattutto alla caparbietà e lucidità mostrata dall’imputato nel difendersi e nel contrattaccare. Un rimpianto resta quello di non aver potuto vedere Bill Clinton, la Signora Albright, Solana, D’Alema, Fischer e tanti altri protagonisti e responsabili esterni delle tragedie jugoslave alla sbarra, per poter vedere se fossero stati capaci e in grado di discolparsi dei loro crimini.

Sono stati spesi milioni di euro ed è stata setacciata mezza Serbia in una gigantesca caccia alle streghe. Come se non bastasse sono state prodotte decine di migliaia di pagine di atti di accusa, sono stati ricattati e minacciati testimoni, imputati, avvocati nel tentativo di ostacolare la verità. Ciononostante, dopo quasi 5 anni e a 37 ore dalla fine del dibattimento, Milosevic è morto ed il Tribunale si è trovato con un pugno di mosche in mano. L’impianto accusatorio, che conteneva evidenti elementi strumentali e precostituiti sul piano politico, non ha retto al confronto con l’ex Presidente, deciso a difendersi fino alla fine, a sostegno del quale si sono mobilitati avvocati e giuristi internazionali, accademici del diritto, giudici, deputati europei e di diversi altri paesi del mondo. Alcuni, come Ramsey Clark, ex ministro della Giustizia Usa e tra i fondatori nel 2001 del “Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic”, non si sono schierati sulla base di simpatie partitiche ma hanno compiuto un atto di resistenza e di giustizia contro l’arroganza e la cancellazione progressiva del concetto stesso di diritto internazionale, come fin qui riconosciuto a partire dalla Carta dell’ONU, da parte degli Usa e della Nato.  É oggi del tutto evidente che la sentenza a carico di Milosevic era già stata emessa fin dall’inizio del processo, e nessun elemento che sarebbe emerso nel corso del dibattimento avrebbe potuto modificare questa condizione: i finanziatori del Tribunale avevano pagato per ottenere la condanna politica di Milosevic e degli altri imputati serbi. Altro non era all'ordine del giorno.

Il 30 ottobre 2005 lo stesso Milosevic ha osservato con il suo usuale realismo:

“Se questo Tribunale, per quanto illegale, riuscirà ad ignorare anche le falsità clamorose contenute negli atti di incriminazione… tanto vale che leggiate la sentenza contro di me, la sentenza che siete stati ammaestrati ad emettere. Se la Corte non si rende conto dell’assurdità del rinvio a giudizio letto ieri in aula, dove si sostiene che la Jugoslavia non è stata vittima di un attacco della Nato, ma ha aggredito sé stessa, è consigliabile risparmiare tempo e passare direttamente alla sentenza. Leggetela e non mi annoiate”.

Su una cosa, per la verità, sussistono pochi dubbi: la morte di Milosevic è avvenuta alla vigilia di avvenimenti che avrebbero potuto incendiare di nuovo l’intera penisola balcanica, alla vigilia di nuove  mortificazioni e umiliazioni per il popolo e la nazione serba mentre emergevano con sempre maggiore evidenza le enormi responsabilità dei contingenti di occupazione Nato e dei rispettivi governi. Infatti, il 21 maggio di quell'anno, il Montenegro sarebbe andato a votare il referendum per la secessione dalla Federazione con la Serbia, completando così il quadro di disgregazione dei territori della ex-Jugoslavia, mentre nel Kosovo, i terroristi dell’UCK cercavano, sotto le ali protettrici della Nato, di non essere più neanche formalmente una provincia autonoma serba.

Una duplice ulteriore umiliazione per un popolo che aveva subito più di ogni altro la disgregazione della ex-Jugoslavia, vittima di un embargo criminale, di 78 giorni di pesanti bombardamenti, di un vero e proprio Colpo di Stato (Ottobre 2000) con rischi concreti di guerra civile. Un popolo che ha sofferto e pagato duramente le politiche imperialiste di espansione ad est della Nato e del “Blocco occidentale” dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso ad oggi. Nel 1984 gli Stati Uniti avevano deciso di sfruttare le contraddizioni e le debolezze di quella che era la Repubblica Socialista Federale Jugoslava per liquidare, a qualsiasi costo, il “socialismo di mercato” come parte di quell’offensiva che avrebbe travolto anche l’Unione Sovietica e l’intero blocco orientale socialista. Non sono stati i serbi a destabilizzare la Jugoslavia e a muovere guerra a sloveni, croati, bosniaci, pur potendo essere discutibili alcune scelte operate dallo stesso Milosevic a partire dal 1989, quando molti criminali sciovinismi erano cresciuti grazie a potenti appoggi esterni. A conferma di ciò basterebbe interrogare l’allora presidente croato Mesic, tra gli autori della famigerata “Operazione Tempesta”, un’operazione in grande stile contro le popolazioni serbe e rom residenti in Croazia. Così come basterebbe ricostruire la storia dell’ex presidente bosniaco Izetbegovic, se fosse ancora in vita, musulmano secessionista, criminale di guerra e stretto alleato dell’Occidente.

Nessuno si ricorda dei serbi di Kraijna e Slavonia, delle vittime civili serbe di Srebrenica. Nessuno si ricorda di Fikret Abdic, che ha combattuto con le sue forze musulmane nella Zapadna Bosna a fianco dell’Armata Jugoslava contro i secessionisti di Izetbegovic. Chi, oggi, difende i serbi che tentano disperatamente di sopravvivere nelle enclavi kosovare dopo la pulizia etnica subita dai criminali dell’UCK, pupilli ed alleati della Nato? Nei Balcani si è definito l’obiettivo politico dell’Unione Europea imperialista e subalterna agli Usa, forte con i deboli e debole con i forti. Un’Europa che ha fatto la scelta strategica di sostenere a piene mani le forze e le istanze più reazionarie.

Da una parte, la Croazia governata dai nipotini di Pavelic, Stepinac e del “padre della patria” Tudjman, uno dei maggiori responsabili per le guerre che hanno insanguinato la ex-Jugoslavia (dalla cacciata dei serbi, al intervento diretto nel conflitto bosniaco, alle politiche di assimilazione in Erzegovina). Il Presidente croato ha negoziato l’ingresso nell’Unione Europea, mentre dall’altra, la cattiva Serbia, nazione invisa all’Occidente, ha dovuto farsi annientare politicamente, economicamente e moralmente per poter mendicare relazioni con il mondo dei potenti.

Milosevic muore all’Aja, mentre le bande dei criminali di guerra  e mafiosi dell’UCK controllavano il Kosovo e si rendevano protagoniste di una spietata pulizia etnica, nel silenzio assordante di tutte le istituzioni ed organizzazioni europee ed internazionali, a danno di tutti coloro, anche albanesi, che tentavano di contrastarne l’egemonia. Non la pulizia etnica utilizzata per giustificare la “guerra umanitaria” della primavera 1999, vera come le armi di distruzione di massa di Saddam (a partire dalla supposta strage di Racak, una sorta di “reality show” allestito ad uso e consumo delle titubanti opinioni pubbliche occidentali), ma un vero e proprio progetto di annullamento dell’identità nazionale serba e multietnica nella provincia. Una politica apertamente reazionaria sostenuta dalla Nato, così come il Kosovo indipendente di oggi è una vergogna, un’infamia, della quale dovrebbero rispondere davanti al mondo ed alla storia tutti i governi europei, incluso il governo D’Alema.

Pristina, Podgorica, la stessa Albania “democratica e moderna” sono diventati il centro di ogni sorta di traffici illeciti, dalle armi alla prostituzione, dalla droga al traffico di organi, dall’immigrazione clandestina alle sigarette (chi ricorda la fatidica “retata” della polizia a Napoli con arresto dell’allora ministro degli esteri montenegrino?). Tuttavia le istituzioni europee preferiscono concentrarsi sulla destabilizzazione dei paesi “canaglia” come la Libia o la Bielorussia, l’Ucraina o la Transnistria, nel tentativo di portare a termine l’ennesima umiliazione e monito per la Russia. Uno dei tanti strumenti per far sapere a Putin che disturbare il manovratore è rischioso. Milosevic ha disturbato il manovratore, ha tentato di impedire la penetrazione imperialista nei Balcani ed ha pagato con la vita. Dopo aver tentato di fermare la disgregazione della Federazione jugoslava, funzionale ai disegni di Stati Uniti ed Unione Europea, Milosevic aveva evitato di prendere parte direttamente alla guerra in Bosnia (contrariamente all’esercito fascista croato), ricoprendo un ruolo importante nella chiusura degli Accordi di Dayton, sottoscritti anche facendo pressioni sui serbi di Bosnia. Nonostante questo, l’ex presidente jugoslavo continuava ad essere definito “macellaio”.

Egli aveva cercato di governare il proprio paese (la “piccola” Jugoslavia, RFJ), il solo multietnico dell’area, perseguendo un modello di sviluppo originale, in grado di salvaguardare la transizione al mercato con l’intervento pubblico in economia ed un forte stato sociale, aprendo così un durissimo contenzioso con Fondo Monetario e Banca Mondiale. Una “ridotta” Jugoslavia sovrana, con una collocazione autonoma sul piano internazionale ed una marcata inclinazione anti-atlantica, continuatrice della tradizione del “non-allineamento”.

Una “mini-Jugoslavia” multipartitica, dove l’opposizione governava dal 1996 la maggior parte delle grandi città, inclusa Belgrado (nel “regime” della RFJ vi erano 186 partiti legalmente riconosciuti, 78 reti televisive ed 87 radio private, il 75% delle quali finanziate dall’occidente, oltre a decine di quotidiani di opposizione). Nonostante questo, per l’Occidente Milosevic è stato e rimane un “dittatore”: una ben strana dittatura davvero quella che ha governato Belgrado fino all’ottobre 2000.

La Repubblica Federale Jugoslava costituiva in realtà un’esperienza anomala, non allineata e troppo indipendente, anche rispetto alla deriva moderata delle socialdemocrazie europee (soprattutto occidentali), un pericoloso precedente da cancellare con ogni mezzo. In teoria e, purtroppo, anche in pratica: dai bombardamenti al golpe dell’ottobre 2000, benedetto anche dalla sinistra radicale italiana (da “Belgrado ride” all’entusiasmo per la caduta del “Muro di Belgrado”). Dall’ottobre 2000 non esistono in Serbia quotidiani o televisioni di opposizione, mentre le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari sono drasticamente peggiorate ed immiserite.

Davvero un gran bel risultato“democratico”.

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