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La dinamica immanente del capitalismo vista come ossessione per la produttività
Processo innovativo, sovrapprofitto e crisi
di Palim Psao
«Ma la contraddizione di questo modo di produzione
capitalistico risiede proprio nella sua tendenza a
sviluppare assolutamente le forze produttive,
che entrano costantemente in conflitto con le
condizioni specifiche di produzione, nelle quali
si muove il capitale, le uniche in cui può muoversi»
(Karl Marx, Il Capitale, Libro III)
1. Il capitale come «contraddizione in processo»
Il processo fondamentale di crisi non è affatto iniziato con la crisi economica e finanziaria del 2007-2008, ma ha avuto origine in una contraddizione insolubile inerente alla relazione capitalista. Alla fine, ciò che rende insostenibile il modo di produzione capitalista, è il conflitto esistente fra lo sviluppo delle forze produttive e la finalità limitata che consiste nella moltiplicazione della ricchezza astratta. Per questo motivo, Marx parla della relazione di capitale come di una «contraddizione in processo».
Più volte, Marx si riferisce ad una contraddizione in processo fra lo sviluppo delle forze produttive e le condizioni della produzione, una contraddizione che non è quella delle classi e dei loro rapporti di forza.
«La contraddizione, esposta in termini generali, consiste in questo: la produzione capitalistica racchiude una tendenza verso lo sviluppo assoluto delle forze produttive, indipendentemente dal valore e dal plusvalore in esso contenuto, indipendentemente anche dalle condizioni sociali nelle quali essa funziona; ma nello stesso tempo tale produzione ha come scopo la conservazione del valore-capitale esistente e la sua massima valorizzazione {vale a dire l’accrescimento accelerato di questo valore).» (Karl Marx, Il Capitale Libro III cap.15).
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Quei trattati immodificabili che creano squilibri
Un “piano B” serve a tutti
di Claudio Conti
Non è facile capire come funziona il nostro angolo di mondo ascoltando i telegiornali o dando retta alla triade Repubblica-Corriere-Stampa. Da queste fonti, infatti, “l’Europa” viene descritta come il paradiso delle virtù e il nostro paese come la sentina di tutti i vizi; solo dosi a salire di austerità e sacrifici potrebbero correggere un “carattere nazionale” davvero scadente.
Sui vizi italiani si può facilmente concordare – e qui cascano di solito molti asini “di sinistra” – ma l’Unione Europea (una costruzione tecnoburocratica strutturata da trattati non modificabili, se non all’unanimità) è ben lontana dall’essere una casa di vetro.
Per capirne di più bisogna provare a leggere fonti diverse, che diano conto di quel che matura dentro l’establishment tedesco (il vero e unico “motore” della Ue) e soprattutto di quale sia la situazione economica complessiva, con tutte le distorsioni che da qui non si vedono e che i media mainstream si guardano bene dall’illuminare.
Il formarsi di un governo grillin-leghista, con un programma teoricamente “indipendentista” rispetto alla Ue, è stato accompagnato da alti allarmi (registrati anche dai “mercati”), ma con una serie di considerazioni che qui vengono considerate pura follia, mentre altrove sono normale dibattito su cosa può avvenire a seconda dell’evoluzione di alcune variabili.
Per esempio, riferisce il corrispondente dalla Germania di Italia Oggi, sulla prestigiosa rivista Manager Magazine, uno degli opinionisti più influenti, Daniel Stelter, spara a zero sulla Bce di Mario Draghi:
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La via yankee al sovranismo
di Riccardo Paccosi
Pubblichiamo la riflessione di Riccardo Paccosi (da Facebook) come contributo alla discussione sulle questioni relative alla difesa della sovranità nazionale
Ho iniziato a parlare dell’esistenza di una Via Yankee al Sovranismo, più o meno da quando ho iniziato a identificarmi, da un punto di vista marxista, con tale categoria politica. Dunque, intorno al 2012.
Infatti, dall’avvento dell’austerity del Governo Monti nel 2011, si è immediatamente palesato che, a fronte della rigidità tedesca che indirizzava le posizioni dell’Unione Europea imponendo politiche di macelleria sociale a Grecia e Italia, da parte degli Stati Uniti vi era un atteggiamento decisamente più elastico nei confronti della spesa pubblica e del bilancio statale. La troika che impartiva ordine ai governi euro-mediterranei, in altre parole, risultava essere composta dal “poliziotto buono” FMI e dal “poliziotto cattivo” Commissione Europea.
Così, molte figure pubbliche che in quel periodo e a vario titolo si pronunciavano contro l’austerity – per esempio Paolo Barnard, ma anche Stefano Fassina – enunciavano altresì esplicitamente la necessità di cercare sponda politica negli Stati Uniti e nel Fondo Monetario per uscire dalla trappola mortale del fiscal compact e dal controllo tedesco sulla nostra economia.
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti.
Otto anni di austerity hanno quasi del tutto eroso, presso l’opinione pubblica italiana ed europea, il preesistente sostegno alla prospettiva eurofederalista e hanno portato, quindi, il sovranismo al centro del dibattito politico e reso maggioranza parlamentare quelle forze politiche che, con varia gradazione, alle tematiche sovraniste sostengono di rifarsi.
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Il governo e il gioco dell’Oca
di Militant
E così, alla fine, si ritorna al punto di partenza, con la giostra della politique politicienne che in poche ore ha fatto l’intero giro per tornare dov’era partita, impossibilitata a trovare una via d’uscita da quel “bipopulismo imperfetto” fotografato dalle elezioni del 4 marzo. Ogni attore in commedia potrà finalmente ricominciare a recitare la sua parte laddove l’aveva lasciata: la Lega e i Cinque Stelle potranno tornare a promettere mari e monti facendo i conti senza l’oste di Bruxelles, il Pd potrà riprendere la faida interna che dovrebbe portare alla nascita del nuovo partito à la Macron, Forza Italia potrà continuare lentamente ad estinguersi nella speranza che Berlusconi prima o poi resusciti e la sinistra-sinistra potrà ricominciare ad inveire sui social contro “il governo più di destra dalla caduta del regime fascista” cercando così di esorcizzare la sua scomparsa dalla società reale.
E’ difficile dire cosa abbia determinato la ricomposizione di un quadro istituzionale che solo poche ore fa sembrava avviato a nuove elezioni, ed altrettanto difficile capire chi, con la composizione dell’esecutivo che verrà ufficializzato oggi, abbia portato a casa se non “il risultato”, quantomeno un risultato. Almeno a prima vista Mattarella sembrerebbe riuscito a non perdere completamente la faccia, ottenendo almeno lo spostamento di Savona dal ministero dell’Economia a quello dei rapporti con l’Ue, ma la sensazione però è che si tratta di un palliativo. Se si fosse andati davvero alle elezioni il presidente della Repubblica (per conto dell’unione Europea) si sarebbe trovato con ogni probabilità di fronte ad uno scenario ancora peggiore di quello attuale, con il polo populista che avrebbe fatto il pieno di voti sull’onda del veto della Ue ed il fronte europeista ancora più a pezzi di come si ritrova oggi.
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Germania über alles!
E in Italia neppure si può nominare un piano b per uscire dall’euro
di Enrico Grazzini
Lo spread sta salendo e gli attacchi speculativi sul debito di stato italiano potrebbero causare la crisi di tutta l'eurozona. Balliamo ai bordi di un precipizio. E questo perché? Paradossalmente perché qui in Italia è assolutamente proibito parlare di un Piano B, ovvero di un piano di emergenza in caso di …. crisi dell'eurozona! Per il Presidente della Repubblica Italiana (e per l'establishment e i media dominanti), l'euro è un totem sacro e intoccabile di fronte al quale occorre prostrarsi in religioso silenzio: e quindi per Mattarella non è stato possibile nominare un ministro, come Paolo Savona, che ha presentato un suo piano per evitare la definitiva rovina dell'Italia nel caso che l'eurozona entri in crisi. L'Italia rispetta come un dogma la moneta unica dell'eurozona a guida germanica. Al contrario, per la Germania l'euro non è irreversibile, non fa necessariamente parte del fatale destino comune dei popoli e dei Paesi europei. In Germania oggi si discute apertamente di creare delle nuove regole per fare uscire dall'eurozona chi non si adegua alle norme e ai vincoli dettati da Berlino e da Bruxelles.
“L'eurozona ha bisogno di creare delle procedure per affrontare in maniera ordinata la possibile insolvenza (ovvero il fallimento, ndr) di uno stato e l'eventuale recesso di uno stato dall'eurozona”. Questa frase è contenuta in un documento ufficiale firmato qualche giorno fa da 154 influenti economisti tedeschi contro le proposte di riforma dell'eurozona da parte del presidente francese Emmanuel Macron[1].
Gli economisti - tra cui Hans-Werner Sinn, forse il più influente economista tedesco, apertamente euroscettico - si sono espressi contro le riforme proposte da Macron, che vanno nel senso della creazione di un bilancio comune dell'eurozona. Le 154 personalità della scienza economica teutonica non vogliono che il loro governo accetti qualsiasi soluzione che in futuro possa portare a una condivisione dei debiti, pubblici o bancari.
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Populisti ante portas, globalisti nel panico
UE verso il bio-tecno-fascismo
di Fulvio Grimaldi
...e poi dicono che sono i russi a interferire nelle elezioni
Ci si può illudere e nascondere dietro la formula della “crisi sistemica” del capitalismo, prodromo dell’inesorabile quanto follemente deterministica palingenesi dell’umanità. Ci si può consolare con la visione di un tagliateste (Cottarelli) senza maggioranza che poco avrebbe potuto fare prima che nuove elezioni oppongano al golpe morbido un contraltare elettorale dell’80%. Qualcuno ripiegherà verso il “meno peggio”, inteso come superamento del pericolo mortale “fascioleghista e populista”. Lo scambio tra carnefice e vittima (organico ai nostri tempi) gli consente di convivere con il faux pas mattarelliano per cui la poco istituzionale giustificazione adotta per l’annientamento di una maggioranza di governo, espressa dalla sovranità popolare sancita dalla costituzione, sarebbe “l’irritazione dei mercati”. Quelli che, a loro amici, secondo gli eurofeudatari tedeschi dovrebbero insegnare agli italiani a votarsi contro. E guai a irritare Giove. Per placarlo tocca sgozzare qualcuno sull’ara, fossero anche 17 milioni di elettori. E’ la ciambella di salvataggio che lanciano all’uomo di Castellamare del Golfo (ministro della Difesa che bombardò Belgrado) i progressisti delle varie squalificazioni: dai “comunisti “ sorosiani del manifesto, ai Liberi e Uguali sottopancia del PD, ai benemeriti Cia di tutta quanta la democratica stampa coloniale.
No Tap e capisci tutto
Era domenica sera a Melendugno, cittadina a cui il gasdotto mafio-amerikano TAP vorrebbe squarciare San Foca, la più bella spiaggia del Salento, prima di sradicare, in combutta con un falso batterio ulivicida, migliaia di ulivi, ossa, pelle e anima della Puglia, per risalire la penisola lungo la faglia sismica che ha raso al suolo il Centroitalia e sistemare miliardi di tonnellate di gas sottoterra nella bassa padana, in una concentrazione demenziale di stoccaggi, a sollecitazione di altre potenzialità sismiche. Gas che serve al Nordeuropa (noi ne siamo saturi) e ai vari tangentari lungo il percorso dall’Azerbaijan.
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Italia più povera con questo euro
di Andrea Mazzalai
Ecco il testo integrale del mio articolo uscito ieri sul quotidiano L’Adige che ringrazio per l’ospitalità, una sintesi del mio pensiero all’interno del dibattito sul futuro dell’Europa e dell’euro.
Prima però vi propongo in originale un estratto della recente intervista del giornale tedesco Süddeutschen Zeitung, a Van Rompuy attuale presidente del Consiglio Europeo, il quale ha dichiarato…
Das sei heute anders, entgegnet die SZ. Van Rompuy:
„Ja, Europa verändert unseren Alltag. Und natürlich spielt das Europäische Parlament eine wichtige Rolle, spätestens seitdem der Lissabon-Vertrag gilt. Aber die Bürger wissen auch, dass die großen Entscheidungen nicht nur im Parlament fallen, sondern auch woanders.“EU-Ratspräsident im Gespräch – Van Rompuy wirft Parteien …
…ovvero che le decisioni che ci riguardano vengono prese anche altrove non solo in Parlamento, ma questo per noi non è una novità!
* * * *
Recentemente il professor Stefano Zamagni ricordando il nostro Alcide De Gasperi, ha ricordato che disoccupazione strutturale e povertà estrema furono sin da subito i suoi principali cavalli di battaglia insieme alla lotta agli interessi costituiti che quando danno vita a forti coalizioni distributive, rappresentano la più grave minaccia alla crescita.
In questi giorni è uscito un rapporto pubblicato da Corporate Europe Observatory, un gruppo di ricerca indipendente che vuole far conoscere e sfidare l’accesso privilegiato e l’influenza che godono i gruppi di pressione nel processo decisionale europeo, un esercito di 1.700 lobbisti con a disposizione un fatturato annuo di oltre 120 milioni di euro, forniti da banche e altre imprese del settore per sostenerne le attività.
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Che enorme patrimonio di nuove conoscenze è ora disponibile!
Volker Külow intervista Rolf Hecker*
Conversazione con Rolf Hecker: i 200 anni di Karl Marx, il significato del suo lavoro oggi e lo stato attuale della seconda edizione completa delle opere di Marx ed Engels (MEGA)
Volker Külow: In occasione dei suoi 200 anni, Karl Marx viene celebrato in tutto il mondo?
Rolf Hecker: Si tratta di un fenomeno soprattutto occidentale, in quanto Marx era prima di tutto europeo e la sua teoria affonda le radici nell’Illuminismo europeo. Ci sono però in tutto il mondo suoi estimatori ed estimatrici e le sue opere vengono studiate ed edite dal Brasile all’India fino alla Cina.
VK: Secondo lei qual è il numero delle sue pubblicazioni al mondo? In quali paesi e in quali lingue viene pubblicato maggiormente?
RH: Se si considerano le pubblicazioni su Marx e sulla sua teoria oggi, sono sicuramente tante, soprattutto in lingue europee, ma anche in cinese e giapponese. Tuttavia, ciò che ritengo di maggior rilievo è la pubblicazione degli scritti di Marx. Proprio nel 2017 – il primo volume de “Il capitale” venne pubblicato nel 1867 - abbiamo constatato che in alcune lingue, per esempio in italiano, in greco e in cinese, sono comparse nuove traduzioni che prendono a riferimento la nuova edizione MEGA. Di grande rilievo è anche la nuova edizione tedesca di Thomas Kuczynski.
VK: A questo punto presumibilmente anche le persone più esperte perdono la visione di insieme. C’è un’opera che secondo lei è da considerare particolarmente innovativa e stimolante per il nostro rapporto con Marx nel 21simo secolo?
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“Ecco come fermare la dittatura dello spread e l'attacco dei mercati”
Giacomo Russo Spena intervista Emiliano Brancaccio
Mentre i destini del Paese rimangono ignoti, l'economista propone una misura per tutelare il voto popolare da qualsiasi condizionamento: “Applichiamo l’art. 65 del Trattato dell’Unione europea”. Un provvedimento che dà la possibilità di bloccare le fughe di capitali e impedire le scorribande degli speculatori. “In questa fase così decisiva sarebbe bene attivare fin d’ora questi strumenti legislativi, già applicati in passato, per evitare interferenze dei mercati sulle prossime scelte politiche”.
I mercati finanziari fibrillano, lo spread aumenta, la borsa perde punti e gli speculatori, come un tempo disse l’ex ministro Padoa Schioppa, iniziano a sentire “l’odore del sangue”. Ci attende un’estate di passione, con il rischio di nuove elezioni e la speculazione finanziaria a spargere altra benzina su una battaglia politica già infuocata. Esiste un modo per evitare che in una fase così delicata le manovre degli speculatori condizionino le scelte politiche? Lo abbiamo chiesto a Emiliano Brancaccio, docente di Politica economica all’Università del Sannio ed estensore qualche anno fa del “monito degli economisti”, un documento premonitore che annunciava molti dei problemi in cui oggi versa l’eurozona. Per l’economista una soluzione per contenere gli attacchi speculativi esiste, e si basa sull’immediata applicazione delle norme europee sul controllo dei movimenti di capitale.
* * * *
Professor Brancaccio, il “governo del cambiamento” di Salvini e Di Maio non riesce a partire. Cosa ne pensa?
E’ un’ipotesi di governo appiattita sulle posizioni della destra xenofoba, con l’annuncio di una riforma fiscale a vantaggio pressoché esclusivo dei ricchi e la promessa di una caccia grossa all’immigrato, un facile capro espiatorio che non rappresenta affatto il problema principale delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Detto questo, la Lega e il M5S hanno la maggioranza parlamentare e quindi a mio avviso bisognerebbe lasciarli governare.
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Economia politica dell’antisemitismo
di Robert Kurz
Avvertenza: da alcuni anni circola già sul web una traduzione di questo testo che però, nonostante l’autore si dimostri reticente a questo riguardo, è stata condotta su una versione in lingua portoghese apparsa in Brasile come appendice ad un saggio sui rapporti tra marxismo e antisemitismo. Inoltre tale adattamento è a dir poco parziale (meno di metà del testo originale) e manca completamente della critica decisiva di Kurz alla teoria geselliana. Abbiamo sentito il bisogno di realizzare una nuova versione completa non tanto per scrupolo filologico quanto piuttosto per fornire nuove prospettive di riflessione critica circa il problema cruciale delle ideologie del denaro, in conflitto con l’ottusa demonizzazione del capitale finanziario che caratterizza tanta (pseudo)critica odierna [redazione]
I. La relazione tra lavoro e denaro è stata fin dal principio un tema cruciale di discussione nell’ambito dell’economia politica. L’astrazione «lavoro», proprio come la nuda merce, affrancata da ogni rapporto che non si plasma sulla sua forma, è indubbiamente un prodotto della modernizzazione capitalistica. Ma alla superficie del moderno rapporto feticistico l’apparenza è che il denaro (capitalistico) abbia detronizzato il lavoro e la merce, sebbene sia l’uno che l’altra rappresentino solo stadi di transizione del medesimo denaro nella forma di capitale. Questo abbacinamento superficiale genera l’impulso verso la «liberazione», in un modo o nell’altro, del lavoro e della merce come forme fenomeniche capitalistiche dal denaro, che è il medium autotelico del capitalismo stesso.
Durante il XVIII e XIX secolo, nel corso della conversione progressiva del denaro in capitale «produttivo», che fece così il suo ingresso nella moderna razionalità aziendale, contro il denaro nella forma di capitale iniziarono ben presto a proliferare le utopie del lavoro e della merce. Ad esempio gli utopisti del lavoro interpretarono le idee dell’economista classico David Ricardo nel senso che le merci prodotte dai lavori privati avrebbero dovuto «riferirsi l’una all’altra direttamente in quanto prodotti del lavoro sociale»1 (vale a dire senza l’intermediazione del denaro) come rilevò criticamente Marx.
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Piattaforma informatica per la democrazia
di Pasquale Vecchiarelli
In vista dell’assemblea di Potere al Popolo programmata a Napoli per il 26-27 maggio, proponiamo un contributo alla discussione sul tema dello strumento della piattaforma informatica
L’introduzione di una tecnologia all’interno di un processo sociale non è una questione che attiene al piano esclusivamente pratico ma si ripercuote sul piano teorico delle sovrastrutture.
Anche se viviamo nell’era dell’informatica non tutti hanno dimestichezza con tale strumento e anche chi ha una dimestichezza pratica a volte trova difficile cogliere i legami profondi e le linee di sviluppo che tale mondo pratico si trascina con sé a livello delle sovrastrutture e nelle relazioni umane. È interessante, dunque, cogliere all’interno della proposta politica di utilizzare una piattaforma informatica per gestire la democrazia interna di Potere al Popolo le finezze di carattere tecnico e porre anche lo sguardo alle ricadute sul piano teorico.
Come ricordava la compagna e professoressa Alessandra Ciattini nella sua prima lezione del corso di Storia della riflessione sulla religione tenuto presso l’Università Popolare A. Gramsci, sollecitata sul tema in oggetto: “[…] le persone debbono sentirsi parte di una comunità, debbono condividere una serie di idee, debbono avere dei legami, dei dissidi […] la piattaforma non può sostituire l’affinità politica. Gramsci intende l’attività politica come un processo di cambiamento interiore a cui deve corrispondere un cambiamento profondo del comportamento. Il marxismo è una teoria scientifica ma in Marx c’è anche un afflato etico politico, una presa di posizione nei confronti del mondo... La scelta del razionalista, che consiste nel conoscere e dunque nel poter trasformare il mondo, è una scelta morale”.
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La trappola europea dello spread: il problema è l’atterraggio
di coniarerivolta
L’Italia è nel mirino della speculazione internazionale. Il prezzo dei titoli pubblici italiani è letteralmente crollato nelle ultime ore, portando i rendimenti sui BTP decennali dall’1,8% di inizio maggio ad oltre il 3,2% di fine mese. Questo aumento straordinario nel costo dell’indebitamento pubblico è dovuto ad una massa di vendite che si sono realizzate in un lasso di tempo relativamente ristretto, come testimoniato martedì mattina dall’inversione di un tratto della curva dei rendimenti, una curva che rappresenta per ogni scadenza il corrispondente tasso di interesse sul debito pubblico italiano e che di norma ha un andamento crescente, a riflettere il maggiore interesse richiesto per prestiti a più lunga scadenza: per qualche ora i BTP con scadenza 2020 pagavano un rendimento maggiore dei BTP con scadenza 2021, contro ogni logica economica – che associa a scadenze più lontane rendimenti più elevati – e coerentemente con le dinamiche speculative, quando i titoli sono scambiati non in virtù del loro rendimento ma solo allo scopo di trarre un profitto dalla variazione di prezzo di quelle attività finanziarie. Se le cause di questa svendita del debito pubblico italiano dovranno essere attentamente indagate, gli effetti dell’impennata nei rendimenti di quei titoli sono invece facilmente prevedibili. Attraverso una simile stretta sul costo dell’indebitamento pubblico i mercati – chiunque essi siano – stanno esercitando una pressione sulla politica italiana in una fase storica delicatissima, e cioè esattamente nel momento in cui una tornata elettorale aveva spazzato via le forze di governo degli ultimi venti anni, ossia Forza Italia ed il Partito Democratico. L’Europa funziona così: quando la macchina dell’austerità è in affanno, puntualmente interviene lo spread.
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Il gran rifiuto del Presidente e la Repubblica a sovranità limitata
di Angelo d’Orsi
Ed eccoci qui, divisi nei due partiti: Pro e contra Mattarella, pro e contra Savona, pro e contra l’euro, pro e contra Salvini, pro e contra Di Maio. Possibile che non si possa uscire dall’angustia delle contrapposizioni semplicistiche? Certo, la situazione, inedita e inquietante, presenta tanti e tali risvolti da rendere difficoltose le analisi, ma proprio per questo esse sono indispensabili, fuori dal coro dei sostenitori dell’uno e dell’altro “partito”.
La prima osservazione, che non mi pare di avere colto nei commenti di questi giorni agitati, riguarda il dettato stesso costituzionale: “noi che abbiamo detto no” (come recita un gruppo su Facebook), non volteremo certo le spalle alla Costituzione, che abbiamo difeso e che difenderemo a spada tratta, in ogni modo. L’abbiamo difesa contro la sciaguratissima e goffa manomissione tentata dalla banda Renzi-Boschi, con il loro corteo di mediocrissimi supporters. E abbiamo vinto quella battaglia epocale. Questo non deve impedirci di guardare anche con occhio smagato, sia pure carico di passione civile, come si conviene, alla nostra Suprema Carta, chiedendoci se essa non contenga qualcosa che si presti, in determinate condizioni, a interpretazioni ambigue, come in effetti emerge dal dibattito fra i costituzionalisti (ma si legga l’odierno comunicato, del tutto condivisibile, dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici).
Soprattutto, forse occorre rendersi conto che la nostra non è una Repubblica parlamentare, tout court, né una Repubblica presidenziale, bensì una sorta di Stato misto, che affida al Presidente una serie di funzioni che possono o no essere tradotte in poteri: egli è posto a capo della Magistratura (come presidente del Consiglio Superiore), delle Forze armate (presiede il Consiglio di Difesa), può sciogliere il Parlamento, a suo piacimento, e può indire elezioni, può dichiarare guerra, anche se sulla base di un parere parlamentare, e su indicazione del governo, può firmare o respingere le leggi, e non è responsabile degli atti che compie, che vanno controfirmati dai governi. Infine, può esprimere parere contrario sui ministri designati dal presidente del Consiglio incaricato.
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La crisi italiana e la responsabilità dei comunisti
di Andrea Catone
1. La Costituzione italiana si fonda sul governo parlamentare. Il presidente della repubblica non ha il potere di dettare l’indirizzo politico del governo
il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non ha firmato la nomina a ministro dell’Economia del professor Paolo Savona, propostogli, su indicazione di M5S e Lega, dal presidente del consiglio incaricato Giuseppe Conte, che ha rimesso il mandato.
Mattarella ha motivato tale sua scelta con un breve discorso al paese in cui ha affermato di aver
“condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell'Economia. La designazione del ministro dell'Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari. Ho chiesto, per quel ministero, l'indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l'accordo di programma. Un esponente che - al di là della stima e della considerazione per la persona - non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell'Italia dall'euro [1]. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell'ambito dell'Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano. A fronte di questa mia sollecitazione, ho registrato - con rammarico - indisponibilità a ogni altra soluzione, e il Presidente del Consiglio incaricato ha rimesso il mandato. L'incertezza sulla nostra posizione nell'euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende […] È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri - che mi affida la Costituzione - essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani […] Quella dell'adesione all'Euro è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro Paese e dei nostri giovani” [2].
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Governo umanitario, neoliberalismo e populismo
di Valerio Romitelli
Una recensione di Valerio Romitelli al libro di Didier Fassin, Ragione umanitaria. Una storia morale del presente, da poco pubblicato in Italia per DeriveApprodi, nella traduzione di Lorenzo Alunni. Il testo ha suscitato dibattito sulla lista di Effimera. A breve pubblicheremo un confronto tra Salvatore Palidda e Valerio Romitelli proprio a partire dai lavori di Fassin e dai temi da lui trattati
È uscita la traduzione in italiano del libro di Didier Fassin, La raison humanitaire. Une histoire morale du temps présent, pubblicato in Francia nel 2010 (Ragione umanitaria. Una storia morale del presente, traduzione di Lorenzo Alunni, DeriveApprodi, Roma, 2018). L’autore che può essere considerato uno dei più importanti antropologi contemporanei, docente e direttore di ricerca in prestigiose università francesi e statunitensi, è già noto al pubblico italiano per la traduzione di sue non poche opere (Fassin, 2013, 2014, 2016). In questa ultima tradotta egli presenta nove rapporti di inchieste svolte tra il 1996 e il 2003, cinque in Francia e quattro tra Sudafrica,Venezuela, Palestina e Iraq. Tema ricorrente: “La messa in pratica della ragione umanitaria all’interno delle politiche rivolte alla vita precaria” altrimenti dette anche “politiche della sofferenza”, (p 24). Rapporti di grande interesse, dedicati a svariati ed eterogenei casi di studio. Ad esempio, le iniziative condotte da psichiatri e psicologi nelle periferie di alcune città francesi al fine di attivarvi luoghi d’ascolto per giovani disagiati o l’epidemia di Aids che all’inizio del 2000 ha toccato particolarmente i bambini sudafricani o ancora l’esperienza di Ong intervenute nei territori occupati da Israele al momento della seconda Intifada. Le dotte, puntuali e affascinanti analisi di Fassin non temono di cimentarsi coi problemi più scabrosi di simili tragiche situazioni. Il suo approccio che si vuole “analitico” (p. 15) e “critico”, senza astenersi dal discutere in dettaglio del senso da attribuire a questo termine (pp. 313-19), lo porta non di rado a conclusioni a dir poco scomode. Si può così comprendere ad esempio come gli interventi psichiatrici e psicologici tra i giovani delle periferie francesi abbiano finito per tacitare ogni ineguaglianza sociale non traducibile nel linguaggio della salute mentale (p. 25), mentre a proposito dell’epidemia di Aids in Sudafrica appaiono tutti gli equivoci e i fraintendimenti derivati dalla “mobilitazione emotiva” alimentata attorno a stereotipate figure di bambini sofferenti.
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I mercati ordinano, Cottarelli esegue
I piani bellicosi del ‘governo neutrale’
di coniarerivolta
Ci siamo tutti baloccati per qualche giorno con l’idea del governo dei pagliacci. Nessuna persona ragionevole poteva sinceramente credere che costoro avrebbero rappresentato anche la benché minima minaccia per la stabilità dell’Unione Europea, dell’Euro e in generale di tutta l’architettura istituzionale intessuta di austerità, lacrime e sangue con la quale ci siamo abituati, purtroppo, a convivere. Ma evidentemente tutto questo non è stato ritenuto sufficiente. Sono possibili diverse letture. Secondo la più fantasiosa, anche Mattarella tifa palude. Secondo quella più verosimile, adesso saremo chiamati a fronteggiare una spiacevole situazione.
Eppure, già da qualche giorno i principali giornali italiani stavano preparando il terreno per un possibile scenario ‘tecnico’ per il nostro governo, riproponendo in maniera martellante lo spauracchio dello spread. Dietro a questo agitarsi scomposto c’è una logica del tutto fallace, che idealizza i mercati come luogo della razionalità, depositari della saggezza che noi umani non sappiamo cogliere. Comunque, se “i mercati” chiamano, preoccupati, c’è l’uomo ideale pronto a rispondere. Il nome di Carlo Cottarelli aleggiava da mesi come possibile ultima risorsa della Repubblica, alternativamente come saggio che potesse tenere insieme e indurre a miti consigli il governo dei pagliacci o come uomo di punta del governo del Presidente.
Ora, dopo il no di Mattarella sul nome di Savona, gli è stato affidato l’incarico di formare un governo. Tra le sue prime parole spicca una rassicurazione su quale sarebbe, ahinoi, l’orientamento del suo ipotetico governo nella gestione delle finanze pubbliche: “una gestione prudente dei nostri conti pubblici“.
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Italiani Scrocconi e fannulloni? Tedeschi truffatori e falsari!
di Domenico De Simone
La battaglia durissima e senza precedenti che si sta consumando intorno alla nomina di Paolo Savona a Ministro dell’economia, sta assumendo toni intollerabili, con attacchi violenti da parte della stampa italiana, come al solito ricca di falsità, allarmi, valanghe di fango e menzogne, e recentemente con la discesa sul campo di battaglia delle “sturmtruppen”, anch’esse armate di falsità e menzogne, oltre che di insulti e pregiudizi. Facciamo un po’ di chiarezza.
Paolo Savona è un economista di valore e di grande prestigio che ha il solo torto di aver detto chiaramente, PRIMA dell’entrata in vigore dell’euro, che la moneta unica, così come era stata concepita, avrebbe fallito e che i vantaggi tanto sbandierati dai politici di allora e dalla stampa, si sarebbero rivelati un’illusione pericolosa. In Italia è stato uno dei pochissimi a dirlo, una voce fuori da coro che ha dato molto fastidio e che è stata messa a tacere con i soliti sistemi mafiosi dei signori del potere. Semplicemente negandogli l’accesso ai media. Che cosa diceva il buon professore sull’Euro? Niente di diverso da quello che sostenevano molti noti economisti d’oltre oceano, ovvero che una moneta unica in un’area con economie tanto diverse e senza meccanismi di compensazione avrebbe provocato molti danni alle economie più deboli. Si tratta della teoria delle Aree Valutarie Ottimali (AVO) in inglese nota come teoria dell’OCA (optimum currency area) elaborata negli anni sessanta dl premio Nobel Robert Mundell e ben nota agli economisti. Se volete capire quanto sono bravi i tedeschi al gioco dell’OCA cliccate su questo articolo.
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Gli avvoltoi sull’Argentina: scene dalla periferia dell’Impero
di coniarerivolta
Nel nostro collettivo c’è anche spazio per un giovane economista argentino: ecco un contributo che ci aiuta a fotografare la situazione economico-politica del suo Paese
L’Argentina rappresenta da molto tempo il laboratorio preferenziale delle riforme neoliberiste del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e delle altre istituzioni finanziarie sovranazionali. Essa ha una storia finanziaria turbolenta, avendo sperimentato diversi episodi di default sul debito estero (in seguito ai quali si è proceduto alla cosiddetta “ristrutturazione” del debito, ovvero di una ridiscussione dei termini, temporali ed economici, nei quali il debito verrà ripagato) in epoca recente. Dopo un ciclo politico moderatamente progressista (con le presidenze di Nestor e Cristina Kirchner dal 2003 al 2015), attualmente essa è guidata da un governo, quello di Mauricio Macri, considerato tra i più “promettenti” dalle istituzioni finanziarie sovranazionali. Ciononostante, l’Argentina ha di recente chiesto aiuto al FMI, notizia che ha catturato l’attenzione dei media italiani. Proviamo a capire perché.
Dal 10 dicembre 2015, data della sua entrata in carica, il governo di Macri ha deciso di impiegare tutti gli strumenti istituzionali dello Stato per rafforzare e favorire l’alleanza di classe che ha permesso il suo successo elettorale. Si tratta di uno scambio di favori. Due grandi blocchi di interessi hanno costituito il gruppo di sostegno al nuovo governo sin dal principio: l’oligarchia rurale (la Società Rurale Argentina) e le grandi multinazionali, nelle loro articolazioni reali e finanziarie. I grandi assenti dell’alleanza mono-classista, per ovvi motivi, sono stati e sono i lavoratori, la gran parte del corpo elettorale.
La proposta di “Cambiemos”, il partito del presidente, non è nuova. Lo stesso partito ha governato la città di Buenos Aires, il distretto municipale più grande dell’Argentina, per più di dieci anni.
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Tracce di resistenza e opposizione nel lavoro contemporaneo
di Paolo Rabissi
Figure del lavoro contemporaneo: un’inchiesta sui nuovi regimi della produzione. Introduzione e cura di Carlotta Benvegnù e Francesco E. Iannuzzi, Postfazione di Devi Sacchetto (Ombre corte, 2018). - Otto saggi di un gruppo di ricercatori/trici che interrogano con il metodo dell'inchiesta sul campo le nuove soggettività del lavoro
Che ne è della classe operaia? Che ne è di quel soggetto economico-politico che negli anni sessanta e settanta sembrava in grado di inceppare indefinitamente i meccanismi di riproduzione del capitale con forme organizzative, quasi interamente autonome da partiti e sindacati, di comando sul lavoro? In altre parole come si configura oggi il lavoro?
Il libro in analisi è una buona occasione per fare il punto. Raccoglie infatti un nutrito numero di esperienze diverse che compongono un quadro utile per orientarsi. A patto ovviamente di dare per scontate certe specificità comuni alle varie situazioni: prima di tutto il processo di frammentazione e dispersione di lavoratori e lavoratrici in luoghi di produzione sparsi sul pianeta e poi la implacabile flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro. A ciò si possono anche legare la dissoluzione della contrattazione collettiva, uno dei momenti di forza nell’epoca fordista sopra rammentata, e il declino dei sindacati con il loro fallimento nel tentativo di gestire una precarizzazione limitata alle fasce marginali del mercato del lavoro col fine di salvaguardare gli occupati stabili.
Presupposto di metodo di tutti i saggi del libro sta l’inchiesta sul campo, che è di matrice operaista (dai Quaderni Rossi in avanti fino a Primo Maggio). Essa viene considerata imprescindibile per la comprensione di processi sociali e soprattutto per l’approfondimento dei modi con cui le soggettività interrogate rispondono e resistono alle condizioni più pesanti del lavoro, con forme specifiche di resistenza e rifiuto che scavalcano spesso le forme sindacali tradizionali.
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Crisi istituzionale. Parla Potere al Popolo!
Il presidente Mattarella si è reso responsabile di una grave crisi istituzionale, pur di non accettare come Ministro dell’economia Paolo Savona, considerato “euroscettico” e dunque non compatibile con i diktat dell’Unione Europea.
Mattarella ha ammesso di non aver accettato Savona perché sgradito “ai mercati”, temendo “un segnale di allarme o di fiducia per i mercati”. La volontà dei mercati ha prevalso su quella dei cittadini.
Piegandosi ai diktat della Bce e del Fmi, Mattarella dà l’incarico a Cottarelli, diretto rappresentante dei poteri forti della finanza e noto “tagliatore di teste” del FMI, ex strapagato plenipotenziario per la spending review.
Un governo “tecnico” che si dà la priorità, dichiara Cottarelli, “Di far quadrare i conti”. Una replica del Governo Monti, che per far quadrare i conti ha aumentato l’età pensionabile, precarizzato il lavoro, tagliato i servizi pubblici.
Non ci interessa sapere se Salvini volesse davvero fare questo governo o no, nemmeno il dibattito su un eventuale impeachment di Mattarella: quello che è inaccettabile è la motivazione della sua scelta. Dire che si rifiuta la nomina di un ministro perché ha una visione della politica monetaria diverse da quelle della UE è inaccettabile. Così come è inaccettabile il ricatto dello spread, che la sovranità sia dei “mercati” e non del popolo che vota.
In questo modo il presidente Mattarella ha portato un attacco diretto alla democrazia ed alla Costituzione del nostro paese, facendo una scelta politica in continuità con lo sciagurato interventismo dell’ex presidente Giorgio Napolitano.
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Bentornati nella Germania di Weimar
di Wolgang Munchau
Nella sua rassegna stampa di oggi, il sito Eurointelligence, diretto dall’editorialista del Financial Times Wolgang Munchau, commenta la decisione di Mattarella di porre il veto sul governo “populista” che stava per formarsi come un avvenimento molto grave e denso di conseguenze forse impreviste. Non era infatti mai accaduto nella storia delle democrazie europee che un presidente impedisse la formazione di un governo dotato di una solida maggioranza parlamentare. Il risultato sarà sicuramente una sfiducia diffusa del popolo italiano nel sistema democratico del proprio paese, e per alcuni aspetti appare una riedizione della miopia politica che portò alla tragedia di Weimar, ma questa volta sotto forma di farsa
Nelle ultime dodici ore ha continuato a girarci nella mente l’idea che la storia si ripete, prima come tragedia poi come farsa. Il presidente Sergio Mattarella ha deciso di staccare la spina al governo 5 Stelle/Lega. La ragione apparente è stata la sua obiezione a Paolo Savona come ministro delle finanze, viste le sue opinioni scettiche sull’eurozona. Il suo veto su Savona ha provocato l’immediata decisione di Giuseppe Conte di rimettere il suo mandato alla formazione del governo. Il risultato sarà di inasprire il popolo italiano con una sensazione di sfiducia nel gioco democratico.
Il veto di Mattarella porterà quindi a nuove elezioni, probabilmente nella seconda metà dell’anno. Ma, a differenza delle ultime elezioni, queste saranno di fatto un referendum sull’appartenenza dell’Italia all’euro, date le ragioni per cui questo governo non è riuscito a formarsi. Nel frattempo, Mattarella ha deciso di dare l’incarico di Presidente del consiglio a Carlo Cottarelli, ex membro del FMI, per calmare i mercati. Cottarelli è un tecnocrate alla Mario Monti, mai eletto. Ma, a differenza di Monti, non avrà nemmeno una maggioranza parlamentare alle spalle.
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Una crisi politica dirompente
di Eros Barone
Le dimissioni di Conte, presidente incaricato proposto dalla coalizione M5S-Lega, e il conferimento dell’incarico per la formazione del nuovo governo a Cottarelli segnano, nel braccio di ferro tra uso politico della presidenza della repubblica e uso populistico delle elezioni, una nuova fase, concitata e drammatica, della crisi politica e istituzionale italiana determinata dai risultati elettorali del 4 marzo scorso. Tuttavia, anche se la vicenda offre una ricca materia agli specialisti del diritto costituzionale, sarebbe miope pensare che la questione riguardi soltanto la corretta interpretazione delle prerogative del presidente della repubblica e la corretta applicazione delle regole e delle procedure previste dalla Carta - questione in sé astrattamente scolastica e formale -, poiché essa riguarda, in realtà, un conflitto verticale di volontà politiche e di interessi economici tra blocchi sociali contrapposti. Schematizzando, si tratta dello scontro fra la grande borghesia europeista e la piccola borghesia anti-unionista: scontro furibondo come non mai e perciò aperto ai colpi più duri che si possano sferrare dall’una e dall’altra parte.
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“Un gioco borghese”
A proposito del Colpo di Stato bianco di Mattarella
di Elisabetta Teghil
No, no, non stiamo parlando del Bridge, ma del così detto “gioco democratico”, vale a dire la democrazia borghese.
E’ una specie di “teresina”, solo che la borghesia gioca a carte coperte e “bluffa”, le/gli oppresse/i le carte le devono avere scoperte, sennò il gioco non vale.
Il gioco democratico attualmente si basa sul suffragio universale
Il principio di suffragio universale è correlato alle idee di volontà generale e di rappresentanza politica promosse da Jean-Jacques Rousseau :in base a questi principi, si elabora l’assunto per il quale la rappresentanza politica trova legittimazione nella propria volontarietà.
I cittadini/e, nei moderni Stati democratici, sono alla base del sistema politico e col suffragio universale viene eletto l’organo legislativo di uno Stato; nelle repubbliche presidenziali, ciò avviene anche per l’elezione del Capo dello Stato.
Il principio del suffragio universale maschile è stato introdotto per la prima volta durante la rivoluzione francese da un “comitato di salute pubblica”
In Italia il primo suffragio universale maschile è del 1912 e noi donne abbiamo votato per la prima volta il 2 giugno del 1946, quando ebbe luogo il referendum per scegliere fra monarchia o repubblica.
Le elettrici e gli elettori quindi, dovrebbero votare i loro rappresentanti, mandare in Parlamento chiunque secondo loro possa fare i loro interessi.
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Tanto tuonò che piovve
di Militant
Nel tentativo di salvaguardare il rispetto dei vincoli europei da parte dell’Italia ieri sera Mattarella ha fatto un favore enorme tanto a Salvini quanto a Di Maio, traendoli d’impaccio e regalando loro un capitale politico che, se non sono stupidi (e, ahinoi, non lo sono), potranno agevolmente incassare di qui a qualche mese, quando il paese sarà nuovamente chiamato alle urne. E quando il frame entro cui si giocherà la partita elettorale sarà quello dello scontro verticale (ovviamente fittizio) tra popolo ed élite, tra sovranità democratica e diktat europei, con buona pace di quanti vorrebbero ricondurlo sull’asse orizzontale centrodestra vs centrosinistra. Scampati alla prova dei fatti ai due ora non resterà da far altro che cannibalizzare ciò che resta del blocco europeista già in via di sfaldamento. Sinceramente le ricostruzioni dietrologiche che in queste ore riempiono le pagine dei giornali ci appassionano poco, così come il fatto che Salvini sia riuscito ad imporre o meno ai cinque stelle la sua linea oltranzista, o il clamore suscitato dal curriculum di Conte, oppure dall’insistenza nel voler affidare ad un keynesiano di destra il ministero dell’economia. Quello su cui dovremmo interrogarci è invece perché un moderato di 82 anni sia improvvisamente assurto a feticcio dello scontro contro l’Europa dei Trattati nell’assoluta latitanza della sinistra di classe. Infatti, se c’è una cosa che emerge con estrema chiarezza da tutta questa vicenda, è che la vera natura dell’Unione Europea si sta finalmente imponendo come questione centrale nel dibattito pubblico senza che vi sia una forza di classe che abbia la stazza o l’autorevolezza per far sentire autonomamente la propria voce in merito, per indicare un proprio punto di vista.
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Ben svegliati! E grazie a Mattarella
di Giovanni Dall'Orto
Gli italiani questa mattina si svegliano e “scoprono” che qualcuno attenta alla Costituzione. Fanno male, perché l’attentato dura da vent’anni, non da stamattina (ben svegliati, tesori!), ed ha visto perfino un tentativo sistematico di azzerarla da parte del PD, per fortuna bocciato da un referendum popolare.
Stamattina leggo di continuo deliranti richieste di “impeachment” di Mattarella, che mostrano come ormai la gente creda di vivere ad Hollywood, visto che una legge per farlo in Italia, semplicemente, non esiste (la messa in stato d’accusa per alto tradimento è altra cosa, e solo un idiota può sostenere che si applichi al caso presente).
Nel 2006 Silvio Berlusconi, per salvare i suoi compagni di merende presenti o futuri, in una delle sue tante leggi “ad personam” (che mica per caso i presidenti della Repubblica hanno firmato tutte senza mai fiatare!) modificò il codice penale, stabilendo che l’attentato alla costituzione fosse punibile solo a patto che avvenga “CON ATTI VIOLENTI”.
Mattarella non ha compiuto nessunissimo atto violento, QUINDI non è imputabile. Punto. Quando si invoca la Legge, il nostro primo dovere è conoscerla! Invocare l’applicazione di leggi che non esistono, è eversione della Legge, non sua difesa!
Aggiungiamo, a questo, un secondo falso mediatico: il Presidente della Repubblica non ha affatto nessun presunto “obbligo” (di cui invece leggo di continuo) di nominare un ministro. E’ prassi formale che egli non rifiuti mai, se non per motivi gravissimi (ma esistono precedenti su questo, uno dei quali riguarda Previti).
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