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doppiozero

Il "vero uomo" e l'"uomo bravo"

di Tiziano Bonini

mollybounds othersideQual è il problema dei maschi contemporanei? Soprattutto dei più giovani?

A molti di voi questa domanda suonerà strana, o marginale. Eppure me la faccio spesso. Negli ultimi anni, tra i banchi delle mie classi (insegno sociologia dei media a studenti universitari) ho notato un divario crescente tra studentesse e studenti. Le studentesse sono in genere molto più motivate e brillanti degli studenti. Quando poi le ritrovo un anno dopo a chiedermi la tesi, sono ancora più mature e determinate. Leggono libri, hanno idee creative, sono puntuali e autonome. Gli studenti maschi al contrario, tranne qualche rara eccezione, sono un po’ infantili, poco motivati, e vanno guidati passo dopo passo. E quando parliamo di questioni di genere, media e piattaforme digitali, i maschi assumono una posizione difensiva e un po’ vittimistica, della serie: “Io non sono maschilista ma…”

Non sono uno studioso di questioni di genere, e in quanto maschio bianco cisgender occidentale ormai avviato verso i cinquant’anni, non ho nemmeno l’esperienza vissuta necessaria per comprendere cosa stia succedendo ai giovani maschi occidentali. Però sono cresciuto con gli studi culturali britannici e come sociologo condivido l’idea, con molti altri colleghi, che il genere (come la tecnologia e molto altro) sia una costruzione sociale, e in quanto costruzione sociale, può essere (faticosamente) modificata o negoziata.

Per capire meglio cosa accade ai giovani maschi contemporanei, mi sono messo a leggere. Qualche mese fa avevo letto un libro dell’economista americano Richard Reeves, che negli Stati Uniti ha ottenuto ampia risonanza, tanto da essere citato da Barack Obama: Of Boys and Men. Why the modern male is struggling, why it matters and what to do about it.. Il libro di Reeves parte dalla premessa che negli ultimi decenni, mentre le donne hanno conquistato maggiori diritti e opportunità in ambito educativo e lavorativo, molti uomini sembrano in difficoltà a fronteggiare questi mutamenti. Il libro di Reeves si interroga su questo squilibrio, sostenendo che gli uomini — in particolare i meno istruiti e i neri americani — stanno sperimentando una crisi profonda, fatta di abbandono scolastico, isolamento sociale, disoccupazione, dipendenze e tassi di suicidio più elevati che in passato.

Sebbene le donne restino sotto rappresentate nelle posizioni di potere e il divario salariale persista, Reeves nota come l’istruzione femminile abbia superato quella maschile in modo netto e sistemico: le ragazze ottengono risultati migliori a scuola, rappresentano la maggioranza degli iscritti all’università, e sono più resilienti in contesti familiari fragili.

I dati del libro di Reeves mi sembravano interessanti per spiegare questa crisi maschile, ma le sue “soluzioni” le ho trovate problematiche o troppo superficiali: Reeves suggerisce l’introduzione generalizzata del“redshirting” per i maschi (un anno extra di scuola materna) per compensare il ritardo nello sviluppo cognitivo rispetto alle femmine. Altre proposte includono incentivi per attrarre uomini nei settori dell’educazione e della cura, più scuole professionali e congedi parentali estesi.

Poi finalmente ho letto Quel che resta degli Uomini (Nottetempo, 2025) il libro di Manolo Farci, un sociologo come me, che insegna Studi culturali e di genere all’Università di Urbino, e ho trovato un testo accogliente e capace di spiegarmi con profondità di sguardo il disagio che vedo tra i miei giovani studenti maschi.

Il libro di Manolo Farci affronta la complessità della mascolinità contemporanea, definendola non come un'essenza innata, ma come una costruzione sociale, storica e relazionale. Sono andato allora a recuperare il classico testo, uno degli ultimi, di Pierre Bourdieu, Il dominio maschile del 1998. Anche qui Bourdieu parla di virilità come costruzione sociale. Se da un lato però, Bourdieu metteva in evidenza la struttura profonda dell’egemonia maschile, una forma di dominio che era ed è profondamente radicata in diverse culture, in particolare quella mediterranea da lui analizzata, dall’altro, il libro di Farci, ne fa emergere lo stato di crisi. Quel meccanismo di riproduzione del dominio maschile che in Bourdieu sembra ancora intatto, per fortuna, mostra invece diversi segni di crisi.

Oggi, nota Farci, la mascolinità è un campo di battaglia simbolico, intrappolato tra richiami regressivi a una virilità idealizzata e discorsi progressisti che rischiano di suonare astratti.

Sia Farci che Reeves convergono con Bourdieu sull'idea fondamentale che la mascolinità sia una costruzione sociale e un progetto precario, non un dato biologico immutabile, e che questa costruzione comporti una forma di sofferenza per gli uomini stessi.

Sia Bourdieu che Farci sottolineano che la mascolinità è una condizione che richiede di "diventare uomo" secondo criteri codificati. Bourdieu la descrive come un'incorporazione del dominio, una costruzione sociale naturalizzata che si manifesta negli habitus e nelle strutture sociali. Farci definisce la mascolinità come un "grande impossibile", un progetto attivo e precario che deve essere ribadito giorno per giorno, spesso attraverso riti e prove. Reeves, pur concentrandosi sull'attualità, riconosce che l'essere uomo è "una realizzazione continua" (“continuous achievement”), storicamente legato ai ruoli di "fornitore e protettore".

Tutti e tre gli autori riconoscono che il modello di dominio maschile, pur conferendo privilegi, si traduce in una "trappola" o in un alto costo emotivo per gli uomini. Bourdieu parla del "privilegio maschile" come di una trappola che impone una tensione e uno scontro permanenti per affermare la propria virilità, un’"illusio virile" che genera sofferenza nel sentirsi manchevoli. L'uomo "veramente uomo" è costretto a essere sempre all'altezza delle aspettative.

Farci evidenzia che il "patto faustiano" offre supremazia in cambio della rinuncia alla vulnerabilità, definendola una "grandiosità condizionata". Questo vincolo porta a un codice comportamentale rigido ("non piangere", "sii forte") che genera disconnessione emotiva, solitudine e disagio (come tassi più alti di suicidio o abbandono scolastico), rendendo difficile per gli uomini riconoscere i propri stati emotivi e, di conseguenza, comprendere quelli altrui, il che è indicato come causa principale degli insuccessi nei legami interpersonali.

Reeves riconosce che molti uomini non sentono di avere in mano le "redini del potere" ma piuttosto "il morso in bocca". Sottolinea come la perdita del lavoro, pilastro identitario della mascolinità moderna, sia vissuta come una disfatta che porta a fenomeni di "ritiro silenzioso".

Bourdieu, Reeves e Farci, sebbene con terminologie diverse, trattano il concetto di mascolinità come definita in opposizione al femminile.

Bourdieu descrive come la costruzione della virilità avvenga attivamente "contro la femminilità, in una sorta di paura del femminile, e innanzitutto in se stessi". L'identità maschile viene costruita per differenziazione attiva rispetto al sesso opposto.

Farci analizza come la mascolinità si costruisca per sottrazione, definendosi come "non essere femmina". Questo è mantenuto attraverso l'omosocialità e meccanismi di sorveglianza tra pari, dove l'omofobia agisce come un dispositivo di controllo per punire ogni deviazione dal copione virile. Questa dinamica omosociale però può trasformarsi in una prigione, dove i maschi assumono comportamenti autodistruttivi (la "sindrome del giovane maschio") per esibire le credenziali di appartenenza.

Bourdieu offre un'analisi macro-strutturale del dominio maschile. La sua enfasi è sulla “violenza simbolica” che porta persino le donne a partecipare inconsapevolmente alla propria sottomissione.

Farci e Reeves, pur non negando il dominio, si concentrano sulle manifestazioni attuali della crisi. Reeves adotta una lente più quantitativa, inquadrando la crisi in termini di performance misurabili (scuola, mercato del lavoro) e attribuendo la colpa a problemi strutturali ed economici come automazione e declino dei sindacati.

La politica, in particolare la destra populista, ha saputo intercettare e militarizzare questo disagio, convertendo la frustrazione economica in rabbia identitaria. Figure come Donald Trump hanno offerto una narrazione regressiva (come "Make America Great Again") che promette di restaurare la supremazia maschile e americana, accusando donne e minoranze di aver causato il declino.

Farci unisce questa prospettiva economica con l'analisi delle conseguenze psicologiche e culturali, come la diffusione della manosphere e la radicalizzazione antifemminista che viene alimentata nei social media come reazione al disagio.

Particolarmente riuscita è la parte del libro di Farci in cui introduce noi lettori un po’ boomer alla grammatica della manosphere. La manosphere – un ecosistema di subculture online come Red Pill, MGTOW (Men Going Their Own Way, cioè uomini che odiano le donne a tal punto da ignorarle e vivere una vita monacale o concedendosi solo rapporti con prostitute e incel) – è diventata un laboratorio per la nuova destra identitaria. Essa offre una visione del mondo paranoica e cinica, basata sul concetto "alpha fucks, beta bucks", secondo cui le donne selezionano i partner in base a un calcolo ipergamico, privilegiando status e forza. Il nichilismo della "black pill" degli incel (celibi involontari) radicalizza l'odio misogino, negando ogni speranza di riscatto personale.

Fin qui, l’analisi della crisi. Il libro di Farci compie un’analisi puntuale, fondata su una vasta letteratura, che si lascia leggere con facilità, evitando il registro sinistro del genere letterario “saggio accademico da concorso”, genere purtroppo sempre troppo diffuso nei corridoi universitari.

Ma cosa fare allora di fronte a questa crisi? Come parlare ai giovani studenti maschi che si affacciano svogliati e nichilisti sui banchi di scuola come sui banchi delle relazioni affettive?

È qui che ho apprezzato il lavoro di Farci, perché rivela con onestà i limiti degli approcci orientati alla decostruzione della mascolinità “tossica”. Gli studenti che abbiamo di fronte si trovano ad affrontare la contraddizione tra il brodo culturale in cui sono cresciuti – la struttura profonda del dominio maschile descritta da Bourdieu – e la crisi di questo modello, che non garantisce loro più alcuna rendita di posizione, tantomeno nessuna relazione affettiva di default. Da tutte le parti, serie televisive, amiche femmine, scuola, posti di lavoro, arriva loro l’invito a “decostruirsi”, a sentirsi colpevoli della loro condizione maschile. Da qui la destra identitaria trae linfa per proporre la sua narrazione: non ascoltarli, non devi sentirti in colpa, riappropriati della tua virilità. Non possiamo non vedere che questo invito alla decostruzione, se si ferma a un giudizio negativo sul maschio in quanto tale, non fa che alimentare una sua reazione regressiva che le agende dell’alt right globale sono pronte a intercettare. Quindi, di nuovo, che fare?

Farci riconosce che i suoi iniziali tentativi di andare a parlare nelle scuole di questo disagio maschile con il linguaggio della decostruzione si sono rivelati un fiasco. Ma da questi insuccessi ha capito che il disagio va affrontato non con il linguaggio della colpa (evitando l'etichetta di "maschio tossico" che non si rivolge agli uomini reali), ma offrendo narrazioni motivanti e costruttive. La sfida è, secondo l’autore, aiutare i ragazzi a sostituire l'ideale irraggiungibile del "vero uomo" con l'obiettivo dell'"uomo bravo" (onestà, integrità, generosità), valori che sono già presenti nella loro moralità interiore e che possono guidare una trasformazione autentica.

Questa distinzione tra “vero uomo” e “uomo bravo” può sembrare una sottigliezza semantica ma forse è la chiave che può far deragliare il dominio maschile verso nuove direzioni e redenzioni.

Invece di invitare i giovani a decostruirsi, la sfida è quella di riconquistare alla destra l’egemonia sulla proposta di modelli di mascolinità “vincenti”.

L’analisi progressista e femminista della crisi maschile, ci dice Farci, fin qui si è fermata alla decostruzione, e ha lasciato gioco facile alla destra per fornire una risposta a chi non capisce o non vuole accettare questa decostruzione.

Quello che manca è la ri-costruzione del maschio contemporaneo secondo paradigmi non nostalgici o conservatori. Farci suggerisce di spostare il focus dalle qualità che deve avere un “vero uomo” (narrazione reazionaria) alle qualità di un uomo “bravo”, cioè sensibile, generoso, onesto. Ma se nella vita quotidiana i modelli di una mascolinità alternativa e più sana sono scarsi, sia nelle scuole che nei luoghi della socialità offline e online, sarà difficile farli adottare ai più giovani e infine vederli diventare egemonici.

Forse l’unico limite di questo libro è aver sottovalutato quello che Bourdieu chiamava “il perdurare dell’iscrizione delle strutture sociali nel corpo”, cioè il perdurare di una disposizione “naturalizzata” (quindi data per scontata) dei maschi al dominio sul genere femminile, una disposizione (“habitus” nel linguaggio di Bourdieu) che i maschi apprendono prima ancora di imparare a parlare, un imprinting ancora incarnato nella nostra struttura sociale, che forse sembra essere scalfito e in crisi nella sua immagine superficiale, ma che è ancora estremamente saldo nella profondità delle strutture sociali.

Se la matrice profonda del dominio maschile, o anche solo il suo spettro, è dura a morire, la ricostruzione del maschio farà fatica a vedere la luce.

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Comments

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Antonino caiola
Sunday, 16 November 2025 14:03
Concordo, stufo delle lagnanze delle donne e della loro arroganza. Siamo diversi e si arrogano il diritto attraversò la loro debolezza fisica di sottomettere sempre e comunque i maschi. Compagno di vita o non. Mai autocritica ma solo pretese e spesso e volentieri sbagliate che non poggiano sui dati che scaturiscono dalla realtà. Seguono capricci e istinti mai razionalizzano e solo se si ha la capacità di aspettare, di pazientare facendole sbattete contro i muri allora, forse, realizzano che il dialogo è necessario prima delle azioni. E questo non è altro che un piccolo spaccato della questione che servirebbe per affrontare il rapporto attuale tra maschi e femmine.
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ndr60
Sunday, 16 November 2025 08:54
Forse sarebbe ora di cominciare a parlare, oltre che della mascolinità tossica, anche del femminismo tossico, cioè di quello che ha come unico scopo il trasferimento di beni mobili e immobili dagli uomini alle donne. Mi fa specie inoltre che un sociologo continui a parlare della questione della disparità salariale dandola per scontata, come un qualunque tg a reti unificate :)
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