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Per l’Ucraina “il quadro è cupo”. Alti ufficiali parlano di crisi militare e politica
di Alessandro Avvisato
Il giornale statunitense Politico ha intervistato alcuni ufficiali militari ucraini di alto rango che hanno prestato servizio sotto il generale Valery Zaluzhny silurato a febbraio da Zelenski. Le conclusioni sono che per l’Ucraina “il quadro militare è cupo”.
Gli ufficiali ucraini affermano che c’è un grande rischio che le linee del fronte crollino ovunque i generali russi decidano di concentrare la loro offensiva.
Inoltre, grazie a un peso numerico molto maggiore e alle bombe aeree guidate che stanno distruggendo le posizioni ucraine ormai da settimane, la Russia sarà probabilmente in grado di “penetrare la linea del fronte e di schiantarla in alcune parti“.
Tanto per dare l’idea del clima a Kiev, gli alti ufficiali ucraini hanno preteso la condizione di anonimato per poter parlare liberamente.
“Non c’è nulla che possa aiutare l’Ucraina ora, perché non ci sono tecnologie serie in grado di compensare l’Ucraina per la grande massa di truppe che la Russia probabilmente lancerà contro di noi. Noi non abbiamo queste tecnologie, e l’Occidente non le ha altrettanto bene in numero sufficiente”, ha detto a Politico una delle fonti militari ucraine intervistate.
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Netanyahu cerca l'escalation
di Piccole Note
L'attacco all'ambasciata iraniana di Damasco poteva far scattare l'escalation. Teheran risponderà a freddo, evitando la trappola
L’assassinio del generale Reza Zahedi in un edificio dell’ambasciata iraniana di Damasco, assassinato insieme ad altri membri delle guardie rivoluzionarie, supera un’altra delle linee rosse che normalmente hanno limitato la portata dei conflitti del Secondo dopoguerra, evitando al mondo escalation ingestibili (il mondo guidato da regole esisteva prima dell’89; dopo il crollo del Muro, le regole sono state riscritte a uso e consumo degli Usa…).
Anzitutto perché Israele ha colpito un alto ufficiale di una nazione non ufficialmente in guerra. Per analogia, è come se la Russia uccidesse il capo del Pentagono o il Segretario della Nato perché gli Usa sostengono con armi, intelligence e tanto altro l’Ucraina. E per di più all’interno di una nazione sovrana, anch’essa non ufficialmente impegnata nel conflitto in corso, e infrangendo le norme riconosciute da tutto il mondo che fanno delle sedi diplomatiche luoghi inviolabili.
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“Sto dalla parte dei ragazzi delle Università. Il boicottaggio di Israele è ragionevole"
Serena Riformato* intervista Carlo Rovelli
Sul quotidiano La Stampa di ieri è stata pubblicata una significativa intervista al fisico Carlo Rovelli che ha preso posizione a sostegno delle mobilitazioni degli studenti che chiedono la sospensione della collaborazione tra le università italiane e le istituzioni israeliane. Qui di seguito il testo dell’intervista
Carlo Rovelli, fisico teorico, autore dei bestseller di divulgazione scientifica “Sette brevi lezioni di fisica” e “L’ordine del tempo”, non è uno da giri di parole. Nemmeno quando le idee rischiano di essere impopolari. Di contestazione, da ragazzo, ne ha fatta tanta, il 1977.
Oggi insegna in Francia e Canada, e difende gli studenti che protestano contro la guerra in Palestina: «Brandire la clava dell’accusa di antisemitismo – dice – contro dei giovani generosi che si indignano per 30 mila morti e per la situazione disperata di milioni di esseri umani non è combattere l’antisemitismo: è alimentarlo».
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Cosa pensa delle proteste negli atenei contro il bando del ministero degli Esteri in collaborazione con Israele?
«Lo strumento del boicottaggio ha dato buoni frutti in passato.
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La sinistra tedesca ha un problema di sionismo
di Lucilla Lepratti
È difficile dare una rappresentazione fedele del livello di repressione che vive in Germania chi si oppone al genocidio in Palestina, perché ogni tentativo di descriverla sembra non renderne pienamente la gravità. Tra l’infinità di esempi che si potrebbero dare, c’è uno dei tanti casi di violenza che non ha attratto l’attenzione di grandi testate giornalistiche, ma che serve a illustrare la brutalità della repressione anti-palestinese in Germania.
Alla manifestazione annuale di commemorazione di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht a Berlino, a gennaio di quest’anno, si era aggregato un blocco pro-palestinese con tanto di kefiyeh, bandiere e cartelloni. La polizia si era presentata in numeri assolutamente sproporzionati per la grandezza del corteo e decisamente più alti degli anni scorsi, con tanto di elmi e telecamere. Dopo aver diviso il corteo in due e con il pretesto di arrestare qualcuno che aveva gridato lo slogan presunto antisemita “From the river to the sea, Palestine will be free”, la polizia ha caricato tredici manifestanti, ferendo gravemente almeno una decina di persone. Uno di loro, un uomo di sessantacinque anni spinto a terra dalla polizia, ha perso conoscenza e mentre sanguinava dal naso e dalla bocca la polizia si è rifiutata di chiamare un’ambulanza, impedendo a paramedici e giornalisti di soccorrerlo. L’uomo è poi stato portato in ospedale e pare abbia avuto un infarto, anche se la polizia non ha voluto confermare la diagnosi. Le immagini di quella violenza sono state diffuse sui social, a nutrire la rabbia di chi continua a scendere in piazza, ma senza che la violenza della repressione sia diminuita; si sono aggiunte alle tante immagini di arresti e brutalità, spesso per un semplice cartello che, senza citare la famigerata frase per intero, faceva riferimento alla richiesta di libertà e diritti nel territorio compreso tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano.
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Per fermare le atrocità
di Bruna Bianchi
Affamare, dilaniare, distruggere tutto ciò che sostiene la vita. Siamo di fronte all’ultimo atto del progetto sionista? Malgrado tutto sono tante le persone che a Gaza con straordinaria forza d’animo soccorrono, proteggono, consolano, salvano umani e animali. Intanto ovunque nel mondo non smettono di svolgersi manifestazioni per chiedere il cessate il fuoco e la fine della occupazione. Dare risonanza a queste voci, denunciare le sofferenze inflitte, conservare la memoria, contribuire a spezzare la catena delle complicità denunciando gli stati che inviano armi, che accettano di sospendere gli aiuti, chiarire la natura del colonialismo sionista, contribuire a creare un movimento di opinione, sono le uniche vie per fermare l’orrore della violenza coloniale e genocida che si è fusa con la violenza delle armi pesanti all’avanguardia.
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“Israele ha bisogno di creare una crisi umanitaria a Gaza […]. Gaza diventerà un luogo in cui nessun essere umano può esistere…”
(Giora Eiland, ex generale del Cons. nazion. sicurezza israeliano, 8/10/23)
“Coloro che ritorneranno qui, se mai ritorneranno, troveranno terra bruciata. Niente case, niente agricoltura, niente di niente…”
(Yogev Bar-Shesht, colonnello resp. amministrazione civile a Gaza, 4/11/23)
A partire dal 7 ottobre 2023 dichiarazioni simili a quelle di Eiland e Bar-Shesht sono state reiteratamente e pubblicamente espresse da autorità politiche, militari e di governo. Frasi di incitamento a radere al suolo Gaza sono apparse con insistenza sui social.
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Può la ricchezza crescere più della produzione? Ritorno su alcuni fondamentali
di Sergio Bruno
Sergio Bruno riflette sull’incapacità delle teorie macroeconomiche di spiegare le crescenti diseguaglianze e l’aumento del peso relativo della ricchezza improduttiva e della liquidità. Solo adottando una prospettiva inter-temporale e ragionando criticamente sugli spunti di Keynes e Tobin è possibile cominciare a far luce sugli interrogativi posti da tali fenomeni, incompatibili con dinamiche di equilibrio, indicando come i deficit di bilancio sarebbero una risposta quasi necessitata al tesoreggiamento, che è il vero evento dannoso.
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La risposta alla domanda che compare nel titolo di questo articolo è: si, è possibile, è anzi un fatto divenuto vistoso da almeno un secolo. Segno che la ricchezza improduttiva cresce più della capacità produttiva, grosso modo correlata alla produzione.
Paradossale è solo che la ricchezza improduttiva non interessi molto le riflessioni sistemiche degli economisti.
L’enfasi sulla domanda di riserve liquide, posta da Keynes insieme a quella sul ruolo della domanda finale, avrebbe potuto aprire uno spiraglio. Purtroppo solo il ruolo della domanda ha cambiato “le vecchie idee”, quelle che Keynes considerava l’impedimento maggiore a più profondi cambiamenti di prospettiva. (“The difficulty lies not in the new ideas, but in escaping from the old ones, which ramify, for those brought up as most of us have been, into every corner of our minds”).
L’idea che Keynes non è riuscito a scalfire è che la moneta serva solo a finanziare le transazioni produttive e l’inflazione dei flussi delle merci prodotte.
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Attraversando il PNRR. Parte II (II)
Politiche energetiche e filiere produttive
di Emiliano Gentili, Federico Giusti, Stefano Macera
Pubblichiamo la seconda parte dello studio sul PNRR condotto da Emiliano Gentili, Stefano Macera e Federico Giusti. Dopo aver analizzato il contesto economico italiano e la strategia perseguita dall’Unione Europea nella programmazione del Piano, nel nuovo articolo, gli autori analizzano l’idea di politica energetica dell’Ue e dell’Italia ed esaminano alcuni investimenti previsti dal PNRR particolarmente significativi per lo sviluppo dell’economia italiana, con particolare riferimento alla filiera dei semiconduttori e dell’idrogeno.
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III. La filiera dell’idrogeno
La Missione 2, Componente 2, Sottocomponente 3 del nostro Pnrr punta a creare e rafforzare un comparto industriale italiano per la produzione, la distribuzione e l’utilizzo dell’idrogeno come risorsa energetica alternativa. Al suo interno, una buona quantità di fondi viene destinata allo sviluppo dell’idrogeno per applicazioni industriali (soprattutto chimica e raffinazione petrolifera). Al di là delle ragioni economiche di un simile orientamento tale scelta riflette il fatto che gli impianti produttivi che già utilizzano idrogeno sono più facilmente integrabili all’interno della filiera dell’idrogeno inteso come vettore energetico: l’utilizzo di questo gas per produrre ammoniaca, ad esempio, consente di trasportarlo all’interno del composto ammoniaco, rendendolo molto più «stabile» e facile da controllare, e abbassando i costi del trasporto logistico.
L’Investimento 5.2, infine, prevede «l'installazione in Italia di circa 5 GW di capacità di elettrolisi [uno dei procedimenti per produrre idrogeno] entro il 2030 (…) [e] lo sviluppo di ulteriori tecnologie necessarie per sostenere l’utilizzo finale dell'idrogeno (es. celle a combustibile per autocarri)»[1].
Cosa sono, però, l’idrogeno e la sua filiera? E che importanza possono avere in relazione allo sviluppo economico e alla riduzione dell’impatto ambientale del capitalismo?
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Questioni ideologiche
di Nico Maccentelli
Riporto questo articolo di Xi Jinping uscito ieri sul L’Antiplomatico, che conferma quanto ho avuto modo di analizzare in un mio contributo apparso si Carmilla e ripreso da Sinistrainrete poche settimane or sono.
Non starò a ripetermi in queste sede e in estrema sintesi, mi limito a ribadire che quello cinese non è socialismo, ma nell’ambito di un processo internazionale multipolare occorre sostenere tutte le forze e i paesi che vanno in quella direzione e che di fatto contribuiscono al declino storico e generale dell’imperialismo atlantista, USA e suoi vassalli, punto.
Il contributo del timoniere del PCC e della Cina in buona sostanza è una conferma esplicita e adamantina di quanto sostengo, ossia che quello cinese è uno pseudo-marxismo e lo è di facciata anche sul piano ideologico, poiché, uscendo dal campo analitico maoista: quello delle contraddizioni, finisce con l’abbracciare, con la scusa della cultura millenaria cinese, l’ideologia confuciana della società armoniosa.
Pertanto, il mio giudizio su una possibile e in futuro necessaria alleanza e cooperazione con la Cina non riguarda il marxismo (il PCC faccia del resto la sua strada con le sue caratteristiche specifiche e la sua visione del marxismo) bensì la sua posizione economico-politica a livello internazionale, nel processo multipolare.
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Clic senza frontiere: cosa c’è alla base dell’intelligenza artificiale
di Claudio Canal
Mi scuso con chi legge questo articolo perché era mia intenzione aprire alla grande con una congrua citazione marxiana dai Grundrisse, quella che si avvia con: «Der Krieg ist daher eine…». Poi ho assistito in TV a una pensosa trasmissione condotta dal noto filosofo con nome primaverile, Fiorello, e ho cambiato idea. Il pensatore ha introdotto la categoria post-postmoderna di Ignoranza Artificiale. A questo punto ho meditato. Grande LLM di GPR-3! Grandissimo PaLM-2 che è addestrato da 340 miliardi di parametri! Grandioso GPT-4 addestrato da un triliardo di parametri! Insomma, una meditazione cabalistica la mia, che decanta le stupefacenze dell’Intelligenza Artificiale (IA) e che avrebbe potuto anche stramazzare nella acerba e sconsolata recriminazione delle sue nefandezze: il degrado del lavoro, il mantra della sicurezza, l’ambigua affidabilità, le decisioni automatiche, i robot pigliatutto, il controllo panottico, la privacy sfasciata, le guerre dei monopoli tecnologici…
Proletario ignoto
Posso essere annichilito o eccitato dal vigente culto dell’IA, predicare Redenzione o Apocalisse, ma non riesco a sottrarmi all’Ignoranza Artificiale di cui disquisisce Fiorello il metafisico.
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Skynet sta arrivando, ma a fin di bene
di Matteo Bortolon
Terminata la lettura delle scarse 150 pp. del volume di Stefano Isola, A fin di bene: il nuovo potere della ragione artificiale (Asterios, 2023), la sensazione è di inquietudine. Il dibattito sulle potenzialità della cosiddetta “intelligenza artificiale” (AI) è salito al punto da echeggiare i temi della fantascienza sulla “rivolta delle macchine”. Impressiona il fatto che la denuncia dei rischi venga non da qualche sorta di “primitivista”, ma da imprenditori del settore e da ricercatori. “Il 49% dei ricercatori di intelligenza artificiale ha affermato che l’IA rappresenta una minaccia esistenziale per l’umanità, quasi al livello di un disastro nucleare di larga scala” (sic!). Quest’ultimo passo è citato nel testo del prof. Isola (p. 60), proveniente da un membro della Commissione Trilaterale.
Oggi la AI è ovunque: dai risultati dei motori di ricerca al funzionamento dei social, dalle armi alla ricerca scientifica, con numerose applicazioni quotidiane, con una ampiezza pari alla digitalizzazione del mondo. Questo agile volume dedicato alle trasformazioni tecnologiche legate a essa entra in parte nello specifico di diverse innovazioni mostrandone le problematiche e i rischi.
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Fermare gli stranamore
di Enrico Tomaselli
Come è stato più volte detto su queste pagine, un serio problema per l’occidente collettivo, e segnatamente per quella sua parte che si raccoglie all’ombra della NATO, è quella sorta di autismo che la contraddistingue – laddove con questo termine si intende alludere alla barriera di incomunicabilità che viene costantemente eretta tra il pensiero (diplomatico e strategico) delle leadership e la realtà effettuale. E c’è in particolare un aspetto che ne risulta significativamente problematico, e che prescinde da qualsivoglia valutazione di merito, e cioè l’incapacità di comprendere le ragioni del nemico. Purtroppo, l’azione della propaganda, che si è sin dall’inizio focalizzata sulla disumanizzazione del nemico, ha creato una sorta di effetto boomerang, per cui le stesse élite politiche occidentali ne sono rimaste vittime, perdendo di vista un aspetto invece fondamentale.
È questo un meccanismo mentale persino classico, nella sua prevedibilità: poiché si deve negare in nuce che il nemico possa avere delle ragioni, si finisce col misconoscerle, e conseguentemente col non comprendere il come e il perchè delle sue azioni presenti e future.
Nello specifico, rifiutarsi di considerare l’approccio russo al conflitto che lo oppone all’occidente, si traduce nella incapacità di valutare e prevedere correttamente quali potrebbero essere le prossime mosse. Non a caso, infatti, queste valutazioni oscillano costantemente tra estremi opposti, che vedono la Russia ora come un’orda barbarica impaziente di attaccarci, ora come un paese in rotta e prossimo al tracollo.
La realtà, invece, ci dice che le scelte di Mosca rispondono a una logica ben chiara e precisa, che a sua volta è limpidamente riconducibile a quelli che per i russi sono i propri interessi strategici.
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L’Italia tra verticismo e disgregazione*
di Daniela Lastri
Dalle amministrazioni locali e regionali la verticalizzazione sbilanciata del potere si traduce a livello statale nella figura del "sindaco d'Italia". A ciò si affianca l'autonomia differenziata, che dividerebbe ancor più un Paese già fortemente diseguale. Per scongiurare entrambi i processi la sinistra deve elaborare adeguate risposte culturali, politiche e sociali
Verticismo
Per “verticismo” non intendiamo solo la proposta di modifica costituzionale portata vanti dall’attuale maggioranza di destra (l’elezione diretta del Presidente del Consiglio). Allo stesso modo, per “disgregazione” non intendiamo solo la cosiddetta autonomia differenziata e il disegno di legge Calderoli che indica le modalità di attuazione del celebre articolo 116, terzo comma della Costituzione. Però è chiaro che questi due processi istituzionali costituiscono un passaggio decisivo della nostra battaglia contro il verticismo e la disgregazione.
Di verticismo è impregnata tutta la politica che ha caratterizzato la svolta maggioritaria degli anni ‘90. L’introduzione dell’elezione diretta dei sindaci aveva, in realtà, qualche rilevante fondamento, e forse i meno giovani ricordano l’estrema incertezza in cui versavano le amministrazioni comunali in tante zone del Paese. L’amministrazione locale richiedeva probabilmente un intervento “stabilizzatore”, le crisi politiche locali hanno spesso effetti pesanti nell’amministrazione quotidiana delle comunità e nella qualità della politica.
L’elezione diretta del sindaco ha però portato con sé effetti che dovevano essere visti con maggiore attenzione, e corretti a tempo debito. Penso non solo al ruolo dei consigli comunali, che avrebbero dovuto essere potenziati nelle capacità di controllo, di indirizzo e di promozione della partecipazione dei cittadini. Penso anche al ruolo delle giunte comunali, politicamente ridimensionate nelle capacità di governo collegiale in favore dell’unicità di direzione esercitata dall’organo monocratico. E penso anche a un’accentuata concentrazione di potere amministrativo di apparati sempre più serventi l’organo monocratico.
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La questione dell'egemonia nel XXI secolo.
Politica e cultura ai tempi del mondo disperso
di Pierluigi Fagan
Egemonia è antico concetto greco che si pose il problema di come una parte minore eserciti potere anche indiretto e spesso guida più che comando, su una parte maggiore. Era di origine militare. Poi Gramsci lo trasferì nell’agone culturale.
Lì, nonostante le obiettive contraddizioni sociali che avrebbero fatto pensare a un rapido sviluppo del discorso e sviluppo politico comunista e socialista primo Novecento, la presenza di una forte egemonia delle classi dominanti, impediva il contagio delle idee e la loro trasformazione in azione politica collettiva. Gramsci ragionava a griglia di classi, aveva una ideologia, sostenne l’idea del “soggetto collettivo” fatto di partito operante culturalmente, socialmente, politicamente in riferimento alla classe sociale di riferimento, potenziato dagli intellettuali. Ma lo invitò a dar battaglia per l’egemonia prima di realizzare i suoi progetti concreti, proprio per creare le condizioni di possibilità per ottenere quel fine. Il campo delle idee e del loro pubblico discorso, discussione e condivisione, andava emancipato dal meccanicismo sotto-sovrastrutturale, roba da meccanica newtoniana tipo rivoluzione industriale.
Non so quanti di voi sanno dell‘estremo successo che questo concetto ha da decenni nella cultura politica e intellettuale americana. Da W. Lippman e la nascita delle Relazioni Pubbliche, prima addirittura col nipote di Freud Bernays, fino a J.Nye e il suo soft power ora smart power, il coro pubblicitario, serie e televisione, il controllo dell’immaginario, fino il porno, Marvel, Hollywood, la musica e molto, molto altro. L’intera costellazione dei think tank, fondazioni, Council, Fondazioni, giornali e riviste, convegni e dibattiti, libri, accademici, vi si basa, da Washinton al mondo, quantomeno occidentale.
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Aspetti materialistici della guerra in Ucraina
di Pasquale Vecchiarelli
Esaminiamo alcuni aspetti economici che hanno portato alla guerra in Ucraina
Spesso accade che distratti dalla geopolitica, dalle intricate “dinamiche internazionali” o anche semplicemente dalla “cronaca di guerra”, si finisce per perdere di vista le vere ragioni, molto più semplici e materialistiche, che portano alla guerra. Questo è il caso della guerra in Ucraina. Abbiamo letto tante ipotesi su questa guerra che probabilmente si intrecciano e hanno un comune denominatore: la crisi generalizzata del capitalismo giunto alla sua fase suprema, il carattere reazionario dell’imperialismo, la necessità di trovare mercati di sbocco e contenderli ad altri paesi dunque la necessità di accerchiamento, di espansione della capacità di attacco e anche la guerra come elemento stesso di uscita dalla crisi. Tutti punti di analisi corretti ma perché proprio l’Ucraina? Lo studio delle radici economiche di questa guerra è davvero uno studio istruttivo per comprendere le dinamiche dell’imperialismo e inoltre si tratta di uno studio imprescindibile per chi assume come punto di partenza della comprensione del mondo sempre la realtà economica determinata storicamente. Certo indagare questa realtà è complesso perché bisogna scavare molto oltre lo spesso strato di menzogne con il quale le classi dominanti ricoprono ogni comprensibilissima dinamica della realtà, rendendola nei fatti incomprensibile. Sulla guerra in Ucraina la macchina della menzogna ha diffuso di tutto tranne che la pura e semplice verità: si è parlato di guerra di civiltà, di leader pazzi o malati, ma mai in nessun caso sui canali mainstream è stata tentata una ricostruzione su basi minimamente scientifiche. Certo una tale ricostruzione non potrebbe che partire da una critica radicale al modo di produzione capitalistico, aggredendone le fondamenta come ad esempio la viscerale e immanente necessità di ricorrere alle guerre di conquista per ottenere nuovi mercati di sbocco.
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Il "liberismo" di Milei e di Bezos, ovvero il solito socialismo per ricchi
di comidad
Aleksandr Herzen diceva che il nichilismo non è il voler ridurre le cose a nulla, bensì riconoscere il nulla quando lo si incontra. La nulliloquenza non sarebbe difficile da individuare, dato che consiste nel muoversi costantemente su categorie astratte senza mai scendere nel dettaglio concreto. Purtroppo a volte è sufficiente drammatizzare la mistificazione nel modo giusto per far cascare l’uditorio nell’illusione. Nel gennaio scorso ci hanno raccontato la fiaba sul liberista, “libertario” e “anarco-capitalista” Xavier Milei, neo-presidente dell’Argentina, che ha osato addentrarsi nella tana dei lupi, il Forum di Davos, per cantarle chiare a quei “comunisti” che vorrebbero renderci “poveri e felici”. Milei ha inondato la sala con un mare di chiacchiere solcato dai vascelli fantasma della libera impresa e del libero mercato. Meno male che all’ultimo (ma proprio all’ultimo) ha fatto un riferimento, icastico quanto estemporaneo, a un oggetto fin troppo materiale e “tangibile”; quindi adeguato al contesto, dato che Jill Abramson, ex direttrice del “New York Times”, aveva appunto definito il World Economic Forum di Davos un “circolo di segaioli”.
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Ilaria Salis. Le reali questioni politiche dietro la rappresentazione mediatica
di Fabrizio Marchi
Ieri sera nel salotto di Floris il padre di Ilaria Salis ha pronunciato le seguenti parole: “Mia figlia è in carcere perché è una donna, perché è antifascista e perché non è ungherese”.
Ora, un padre direbbe e farebbe di tutto pur di tirar fuori la propria figlia dalla galera, e questo ci sta tutto ed è ciò che lo nobilita. Dopo di che se crede o meno in ciò che dice o sia solo una escamotage per aiutare la figlia non lo sappiamo perché non siamo nella sua testa e, tutto sommato, è anche irrilevante saperlo.
Chiarito questo, lo spropositato can can mediatico che questa vicenda in sé e per sé insignificante sotto il profilo giudiziario ha scatenato è dovuto in larga parte proprio al fatto che si tratta di una donna. Se infatti, si fosse trattato di un uomo, sarebbe stato considerato come un pericoloso e violento estremista in primis da quell’Unione Europea che finge di indignarsi per le condizioni di detenzione della stessa Salis e della loro spettacolarizzazione (le catene ai piedi e alle mani, portata al guinzaglio da una guardia come un cane).
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Il caos in prima serata
di Il Chimico Scettico
In prima serata per modo di dire, ovviamente. Come diceva qualcuno, se campi abbastanza ne vedi di tutte le specie. Aggiungerei che finisci per vedere tutto e il contrario di tutto.
Esce su Netflix Il problema dei tre corpi e improvvisamente tutti parlano di caos deterministico, il che è molto curioso ai miei occhi. È molto curioso perché mi ricordo molto bene di quando iniziai a parlare di teorie del caos. Fu nel 2016 e il partito de lascienza ci mise poco a classificare la cosa: "le teorie del caos sono un marker dell'antivaccinismo". Mi ricordo una delirante coda di commenti su facebook in cui c'era uno a caso che parlava di soluzioni del modello SIR e c'erano altri, tra cui Pier Luigi Lopalco e Roberto Burioni, che liquidavano il tutto come "cazzate". Perché? Perché tutte le voci della "scienza" sui social stavano trattando il morbillo del 2017 come se fosse un sistema lineare (ma lineare non lo è). Quindi postare Robert May creò scandalo.
https://royalsocietypublishing.org/doi/epdf/10.1098/rspb.1986.0054
Come sarebbe a dire che due più due può non fare quattro? Eresia.
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Un genocidio preannunciato
di Chris Hedges - chrishedges.substack.com
Il genocidio a Gaza è la fase finale di un processo iniziato da Israele decenni fa. Chiunque non l'abbia previsto è perché ha voluto rimanere cieco di fronte al carattere e agli obiettivi finali dello Stato di apartheid
A Gaza non ci sono sorprese. Ogni atto orribile del genocidio israeliano era già stato anticipato. Lo è stato per decenni. L’espropriazione dei palestinesi della loro terra è il cuore pulsante del progetto coloniale dei coloni di Israele. Questo esproprio aveva avuto momenti storici drammatici – nel 1948 e nel 1967 – quando vaste parti della Palestina storica erano state confiscate e centinaia di migliaia di palestinesi erano stati ripuliti etnicamente. L’espropriazione è avvenuta anche in modo graduale: il furto di territori al rallentatore e la costante pulizia etnica in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est.
L’incursione del 7 ottobre in Israele da parte di Hamas e di altri gruppi di resistenza, che ha causato la morte di 1.154 israeliani, turisti e lavoratori migranti e ha visto circa 240 persone prese in ostaggio, ha dato a Israele il pretesto per ciò che desidera da tempo: la cancellazione totale dei palestinesi.
Israele ha distrutto il 77% delle strutture sanitarie di Gaza, il 68% delle infrastrutture di telecomunicazione, quasi tutti gli edifici municipali e governativi, i centri commerciali, industriali e agricoli, quasi la metà di tutte le strade, oltre il 60% delle 439.000 case di Gaza, il 68% degli edifici residenziali – il bombardamento della torre Al-Taj a Gaza City, il 25 ottobre, ha ucciso 101 persone, tra cui 44 bambini e 37 donne, e ferito centinaia di persone – e ha distrutto i campi profughi. L’attacco al campo profughi di Jabalia, il 25 ottobre, ha ucciso almeno 126 civili, tra cui 69 bambini, e ne ha feriti 280. Israele ha danneggiato o distrutto le università di Gaza, tutte chiuse, e il 60% delle altre strutture educative, tra cui 13 biblioteche. Ha inoltre distrutto almeno 195 siti del patrimonio culturale, tra cui 208 moschee, chiese e l‘Archivio centrale di Gaza, che custodiva 150 anni di registrazioni e documenti storici.
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Politicamente corretto, neoliberismo e lotta di classe. Sui libri di Ventura e Cangiano
di Fabrizio Maria Spinelli
L’oppressione materiale era svanita: il classismo era diventato
lo sguardo culturale del piccolo borghese sul proletario.
La differenza tra la piccola borghesia di sinistra e quella di destra
era ridotta alla coscienza di tale sguardo.
(Mimmo Cangiano)
Ed è parte di grand’intelligenza che si dia a veder
di non vedere, quando più si vede, già che così ‘l giuoco è
con occhi che paiono chiusi e stanno in se stessi aperti.
(Torquato Accetto)
The quality of nothing
hath not such need to hide itself. Let’s see. Come, if
it be nothing, I shall not need spectacles.
(Shakespeare, King Lear)
Nell’autunno 2015 va in onda negli USA la diciannovesima stagione di South Park, che segna un decisivo scarto con le precedenti – sia per i temi che per la modalità impiegata nel trattarli (non più episodi autoconclusivi ma un principio seriale). Un nuovo preside (Principal PC) si insedia nella scuola elementare dove si svolgono le vicende, pretendendo di cambiare le abitudini comunicative di una società (quella di South Park) reputata arretrata, offensiva e intollerante. Per lo spettatore è chiaro che l’accusa mossa dal personaggio PC si rifletta sulla serie stessa, proverbialmente scorretta, e in cui uno degli unici personaggi afferenti a qualche minoranza, in questo caso quella nera, è chiamato indicativamente Token.
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Commento all’articolo di Fabrizio Marchi “Sulla prostituzione”
di Fabio Rontini
L’articolo di Fabrizio Marchi “Sulla prostituzione. Una riflessione a partire da una analisi di Carlo Formenti”, recentemente pubblicato su Sinistrainrete, ha dato seguito a un interessante dibattito nella sezione commenti, a cui anch’io ho partecipato. Dal momento che le considerazioni, secondo me, da fare su quello scritto e sul dibattito che ne è seguito, sono troppo lunghe da riportare in forma di commento, ho deciso di tradurle a mia volta in forma di contributo a sé stante.
Ho letto un paio di libri di Marchi, “Contromano, critica dell’ideologia politicamente corretta” e “Le donne: una rivoluzione mai nata”, che consiglio perché interessanti, soprattutto il secondo, più agevole ma con una tesi unitaria più definita. Gli riconosco il merito di aver affrontato di petto alcuni aspetti della questione sessuale e del femminismo, nelle loro relazioni con la lotta per l’emancipazione sociale in generale, che sono, sì, importanti e fondamentali, ma ancora coperti da pudore, ipocrisie e veti da parte del pensiero di sinistra cosiddetto “politicamente corretto”. Non concordo con lui nella misura in cui ritengo che le conclusioni a cui finisce per approdare, pur provenendo da un retroterra marxista e di sinistra, e pur al di là delle buone intenzioni e dei meriti che le sue analisi indubbiamente possiedono, siano fondamentalmente di destra e reazionarie.
In ogni caso le mie osservazioni non verteranno sull’argomento specifico dello scritto da cui hanno preso spunto, la prostituzione, ma sulla questione generale della emancipazione femminile, nei termini in cui Marchi la affronta, e basandomi su letture precedenti, sia sue che di altri, nonché su esperienze personali.
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Fa discutere il piano di pace dei quattro tedeschi
di Michael Von der Schulenburg
Quattro autorevoli personalità tedesche – Peter Brandt, storico e figlio del cancelliere Willy Brandt, il politologo Hajo Funke, il generale in pensione Harald Kujat e Horst Teltschik, già consigliere del cancelliere Helmut Kohl – hanno presentato un piano di pace (qui il testo tradotto) altamente competente e realistico su come si potrebbe porre fine alla guerra in Ucraina attraverso un cessate il fuoco e successivi negoziati di pace. Si tratta probabilmente della proposta di pace più completa e innovativa che sia stata avanzata da un governo, da un’organizzazione internazionale o, come in questo caso, da una iniziativa privata dall’inizio della guerra nel febbraio 2022.
Qui la traduzione di un articolo esplicativo del 1 8 ottobre sul piano scritto da Michael Von der Schulenburg* a cura di Martin Köhler, (qui il suo discorso, tradotto, alla marcia per la pace di Pasqua a Berlino)
(qui il comunicato finale delle 120 marce per la pace di Pasqua in Germania)
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Il fatto che l'Ucraina stia morendo dissanguata viene apparentemente accettato
Questa proposta arriva in un momento estremamente critico della guerra in Ucraina.
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Bravo maestro Zelenskyj: la propaganda ucraina ha raggiunto un livello hollywoodiano
di Jafar Salimov
Quando il conflitto in Ucraina passerà alla storia, le passioni si placheranno e gli storici professionisti inizieranno ad analizzare gli eventi del recente passato, rimarremo tutti scioccati: come è potuto accadere che abbiamo accettato per oro colato un'ovvia menzogna?
È consuetudine ironizzare sul passato di Vladimir Zelenskyj nel mondo dello spettacolo, ricordando come simulava suonare il pianoforte con i genitali per il divertimento del pubblico. C'erano altre battute di basso livello nel suo repertorio. Ma questo fu l’inizio, e Zelenskyj non si accontentò del successo del comico; migliorò e divenne il vero Elon Musk mondo dello spettacolo.
Zelenskyj ha percepito in modo molto sottile quanto piace alla gente comune, ciò che le persone si aspettano, ciò che vogliono sentire, quello in cui le persone credono con piacere. Così ha costruito narrazioni. E il fatto che le sue sitcom fossero ugualmente popolari in Ucraina, Russia e Bielorussia conferma solo che queste tre nazioni rappresentano un monolite di un’unica cultura.
Prima Zelenskyj ha convertito il suo talento in applausi e fama, poi in denaro. Alla fine ha appreso come acquisire influenza politica ed è divenuto presidente dell'Ucraina. Ma anche questo gli sembrava abbastanza.
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Come e perché scoppiano le guerre
di Diego Giachetti
Il libro di Giorgio Monasterolo, Ucraina, Europa mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale, pubblicato dalla casa editrice Asterios (2024), affronta l’argomento guerra in Ucraina e quella fra Israele e palestinesi della striscia di Gaza rispondendo contemporaneamente a due domande: come scoppiano i conflitti militari e perché. E’ opportuno, sostiene, spostare l’attenzione dal “come”, dalla logica aggressore-aggredito – secondo la quale la guerra ucraina è iniziata nel 2022, con l’attacco russo e quella di Gaza nell’ottobre 2023 con il tragico raid palestinese del gruppo di Hamas – alle concause del momento e del prima per comprendere, non giustificare, il perché di quegli attacchi.
La retorica aggredito-aggressore, che decade facilmente nel contrasto dei buoni contro i cattivi, cancella la complessità della storia, sbiadisce il ruolo, presente e passato, del terzo incomodo di quella guerra: la Nato. Non tiene conto della storia dell’Ucraina stessa, di una popolazione linguisticamente composita: ucraini ucraini, ucraini ungheresi, polacchi, russofoni, né di quella, altrettanto complessa della Russia. Stesso scollamento tra propaganda e realtà si è verificato in seguito all’azione di guerra di Hamas del 7 ottobre 2023 verso lo Stato d’Israele.
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Sorvegliare e punire nel XXI secolo
di Alberto Giovanni Biuso
«Indipendentemente dalla volontà degli uomini e delle autorità che li dirigono», scrive Fernand Braudel, i fenomeni collettivi si generano, accadono, tramontano, mutano (Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII), vol. III, I tempi del mondo, trad. di C. Vivanti, Einaudi, Torino 1982, p. 65). Una volta avviate, le dinamiche sociali e politiche vivono di vita propria, seguendo regole certo non rigide come quelle che guidano il mondo fisico ma molto forti e a volte assai simili ai principi che sottendono le trasformazioni materiche.
I climi di guerra sono pericolosi anche per questo, come gli eventi del 1914 ampiamente dimostrano, costituendo un sinistro precedente dell’isteria antirussa che, creata di proposito dagli Stati Uniti d’America, sta causando il massacro del popolo ucraino, mandato letteralmente al macello, e sta preparando una catastrofe bellica per l’Europa occidentale, dopo aver già prodotto una crisi economica sempre più grave. La natura di colonia dell’Europa, chiara sin dal suicidio del 1939-1945, è ormai del tutto evidente e i governi nazionali sono in realtà dei governi-fantoccio al servizio degli USA. Servilismo nel quale si distinguono gli esecutivi e i parlamenti italiani, che siano a guida/maggioranza del Partito Democratico o di Fratelli d’Italia.
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Un’analisi di tutto rispetto
di Laura Baldelli
Recensione del libro di Antonio Calafati L’uso dell’economia. La sinistra italiana e il capitalismo 1989-2022.
Nell’analisi dell’autore, critica del pensiero liberale, non troveremo le categorie e i termini marxiani come coscienza di classe, conflitto di classe, imperialismo. Non si mette in discussione il capitalismo, né il liberismo, bensì il neoliberismo del capitalismo sovrano che non vuole sottostare alle regole della democrazia. Il prof. Calafati contesta l’uso ideologico dell’economia politica, definito “una patologia mortale per la democrazia” e quindi per lui è consequenziale anche la condanna delle società del socialismo reale. Il saggio è affascinante come un romanzo, dove l’approccio storico e filosofico ci guida al pensiero di Adam Smith, di Friedrick Engels, di Alexis de Toqueville, di John Stuart Mill, di Joseph Alois Schumpeter per spiegare epoche ed eventi storici della società europea e della metamorfosi della Sinistra Italiana.
Il prof. Antonio Calafati è un economista urbanista. È stato docente universitario presso l’Università Politecnica di Ancona, facoltà di economia Giorgio Fuà, alla Friedrich-Schiller-Universitat di Jena e all’Accademia di Architettura di Mendrisio, inoltre ha coordinato l’International Doctoral Programme in Urban Studies a L’Aquila. È autore dei saggi come Città in nuce nelle Marche, scritto con Francesca Mazzoni per Franco Angeli ed. 2008, Economie in cerca di città. La questione urbana in Italia” ed. Donzelli 2009, Città tra sviluppo e declino (a cura di) ed. Donzelli 2013. La sua ricerca parte sempre dall’osservazione del mondo reale, con un approccio multidisciplinare, contrassegnata da una grande onestà intellettuale e libertà di pensiero, offrendoci una riflessione della storia recente del nostro Paese dall’’89 al ’22, con gli strumenti dell’economia, dell’urbanistica e della sociologia.
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