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E se Genova non fosse un’anomalia?
di Marco Bertorello
La grande mobilitazione per la Global Sumud Flottilla è un termometro del clima sociale. E ci dice che c'è ancora spazio per l'umanità
Quel che è successo a Genova in questi giorni è stato qualcosa di piuttosto anomalo, per non dire eccezionale. Un crescente movimento di solidarietà internazionale iniziato con la raccolta di generi alimentari e culminato nella serata di sabato con un grandissimo corteo che ha accompagnato la partenza delle 4 imbarcazioni che parteciperanno alla Global Sumud Flottilla e che cercheranno di portare aiuto umanitario a Gaza e di rompere l’isolamento.
Questo è un resoconto a caldo, molto parziale, di quanto accaduto nella mia città e su cui ritengo sia necessario riflettere. Music for Peace (associazione che da anni raccoglie alimenti e aiuti in genere per le popolazioni di luoghi in conflitto, dalla Palestina al Sudan per citare forse i più significativi, e per le persone indigenti della città) ha deciso di partecipare alla flottiglia raccogliendo aiuti alimentari. Assieme a MfP, tra i primi promotori ci sono i portuali del Calp (Collettivo autonomo lavoratori portuali). In porto, dopo anni di contestazioni alle navi saudite che passavano da qui per portare armi per la guerra in Yemen, le recenti contestazioni alla nave cinese che avrebbe dovuto consegnare materiale bellico in Israele e all’ennesima nave saudita hanno rappresentato un salto di qualità.
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L’ipocrisia di Mario Draghi. Ha trasformato l’Europa in un vassallo americano
di Thomas Fazi
Il governo dei peggiori
“La domanda ovvia è: come mai Draghi continua a essere elogiato per aver denunciato le conseguenze delle politiche imperfette da lui stesso promosse? In un mondo normale, verrebbe deriso e cacciato dalla scena – o bersagliato con uova marce. Il fatto che eluda così facilmente le responsabilità è la più chiara espressione della natura cachistocratica* della politica dell’UE, dove il fallimento non viene punito ma premiato, e dove i leader incompetenti falliscono sistematicamente verso l’alto.”
Per anni”, ha proclamato Mario Draghi la scorsa settimana, “l’Unione Europea ha creduto che la sua dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, portasse con sé potere geopolitico e influenza nelle relazioni commerciali internazionali”. Ma quest’anno, ha detto, sarebbe stato ricordato per la scomparsa di quell’illusione. Come ha spiegato l’ex presidente della Banca Centrale Europea ed ex premier italiano, l’UE è stata costretta dagli Stati Uniti ad accettare dazi doganali dannosi e spese militari inutilmente elevate “in modi e forme che probabilmente non riflettono gli interessi dell’Europa”, pur essendo stata ridotta a un mero “spettatore” ovunque, da Gaza all’Ucraina.
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Gaza: il genocidio prosegue, ma la Resistenza palestinese tiene
di Il Pungolo Rosso
Per quanto mostruoso sia, una riunione di tre giorni fa alla Casa Bianca ha confermato il piano Trump/Kushner/Blair di trasformare la striscia di Gaza in un hub commerciale (in realtà dietro c’è il progetto del canale Ben Gurion) e in un resort per vacanze di lusso – l’osceno video messo in circolazione tempo fa dagli Stati Uniti non era un fake.
Per quanto mostruoso sia, il governo Netanyahu ha deliberato, in contemporanea, di andare avanti. Non è sazio del sangue versato finora, non è soddisfatto dell’immane distruzione di case, ospedali, scuole, università, moschee, terre coltivabili, strade, acquedotti, sistemi fognari, etc. A Gaza ogni minimo segno di vita dev’essere cancellato, anzi sradicato, di modo che la sua popolazione sia costretta all’esodo “volontario” dalla propria terra. E l’IDF si premunisce dall’impatto mondiale negativo dei suoi nuovi efferati crimini, proseguendo lo sterminio sistematico dei giornalisti palestinesi e arruolando quattro miserabili influencer per mostrare una realtà inesistente, mentre – impunito – continua a bombardare e assassinare in Libano, in Siria, in Yemen e a preparare, insieme con il Pentagono, nuovi attacchi all’Iran.
Questa è la risposta sprezzante dell’asse Tel Aviv-Washington alla proposta di tregua accettata da Hamas e dall’insieme delle organizzazioni della resistenza palestinese. L’amministrazione Trump, addirittura, ha preso posizione nelle ultime ore anche contro la servile, corrottissima ANP negando il visto di ingresso in Amerika ai suoi rappresentanti – un modo tutto trumpiano di irridere l’inarrivabile ipocrisia di certi governanti europei, che ora “riconoscono”, o si apprestano a farlo, uno “stato palestinese” accanto a Israele.
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“L’Europa deve cambiare politica estera”
di Jeffrey D. Sachs*
La sottomissione dell’Europa agli Stati Uniti deriva quasi interamente dalla sua paura predominante della Russia, una paura che è stata amplificata dagli stati russofobi dell’Europa orientale e da una falsa narrativa sulla guerra in Ucraina. Basandosi sulla convinzione che la sua più grande minaccia alla sicurezza sia la Russia, l’UE subordina tutte le altre sue questioni di politica estera – economiche, commerciali, ambientali, tecnologiche e diplomatiche – agli Stati Uniti. Ironia della sorte, si aggrappa a Washington anche mentre gli Stati Uniti sono diventati più deboli, instabili, erratici, irrazionali e pericolosi nella loro stessa politica estera verso l’UE, fino al punto di minacciare apertamente la sovranità europea in Groenlandia.
Per tracciare una nuova politica estera, l’Europa dovrà superare la falsa premessa della sua estrema vulnerabilità alla Russia. La narrativa di Bruxelles-NATO-Regno Unito sostiene che la Russia è intrinsecamente espansionista e invaderebbe l’Europa se ne avesse l’opportunità. L’occupazione sovietica dell’Europa orientale dal 1945 al 1991 dimostrerebbe questa minaccia oggi. Questa falsa narrativa fraintende gravemente il comportamento russo sia nel passato che nel presente.
La prima parte di questo saggio mira a correggere la falsa premessa che la Russia rappresenti una minaccia grave per l’Europa. La seconda parte guarda avanti verso una nuova politica estera europea, una volta che l’Europa sarà andata oltre la sua irrazionale russofobia.
La falsa premessa dell’imperialismo russo verso Occidente
La politica estera europea si basa sulla presunta minaccia alla sicurezza che la Russia rappresenta per l’Europa. Eppure questa premessa è falsa. La Russia è stata ripetutamente invasa dalle maggiori potenze occidentali (in particolare Gran Bretagna, Francia, Germania e Stati Uniti negli ultimi due secoli) e ha a lungo cercato la sicurezza attraverso una zona cuscinetto tra sé e le potenze occidentali. La zona cuscinetto, molto contesa, include le odierne Polonia, Ucraina, Finlandia e stati baltici.
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La borghesia agguerrita fa bollire la rana
di Umberto Franchi
Giustizia sociale di classe, economia in declino, leggi liberticide: in Italia il disastro sociale ed economico viene da lontano
Oggi in Italia siamo in presenza di una economia sempre più finanziarizzata e globalizzata, attraverso la mobilità delle merci, dei capitali e del lavoro, con un aumento esponenziale della finanziarizzazione dei capitali, nonché della mobilità delle informazioni, attraverso i flussi della tecnica informatica.
Non esiste più un ruolo di intervento programmatico dello Stato, le classi borghesi, riescono a imporre il proprio modello a ogni altro flusso sociale e di sviluppo alternativo, con un padronato sempre più agguerrito che cerca di fare profitti sia riducendo in continuazione il costo del lavoro, sia con la speculazione finanziaria, senza rischiare di investire i propri capitali in attività economiche di alto profilo.
E’ cambiata anche la realtà sia nella comunicazione pubblica, che nelle relazioni private… sia nello studio, nel tempo libero, nelle attività riproduttive, sui social, nelle attività commerciali, nella produzione.
E’ stato instaurato un meccanismo sempre più alienante ma capace di carpire anche il consenso di vasti strati di giovani e ceti subordinati.
La realtà sociale e politica è disastrosa a livello di massa, ma non viene ancora percepita come tale… anzi sembra che il popolo stia facendo la fine della “rana bollita” abituandosi gradualmente ad accettare tutto, iniziando a diventare lesso.
La realtà sociale di oggi che viene bene evidenziata dai dati elaborati da ILO e INPS. Ed è questa:
- I salari e le pensioni sono diminuiti del 15% negli ultimi 10 anni e addirittura del 3% rispetto al 1990, collocando i lavoratori italiani all’ultimo posto in Europa;
- In Italia non esiste un salario minimo e milioni di lavoratori sono obbligati a lavorare con “contratti pirata” e paghe inferiori a 5 euro l’ora lordi e 6,5 milioni di famiglie sono in povertà assoluta;
- In Italia il 37% di tutti i pensionati percepiscono pensioni inferiori a 1000 euro al mese;
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La Palestina “non deve esistere”, e l’Onu neppure
di Dante Barontini
Non è difficile unire i puntini tra le notizie delle ultime ore riguardanti la Palestina e il relativo popolo.
Sul piano militare, Israele si è lanciata contro Gaza City – l’agglomerato più ampio e abitato della omonima Striscia – chiudendo completamente anche quel poco (e puramente propagandistico) di rifornimenti umanitari che venivano distribuiti durante delle “pause tattiche” durante la giornata. Tutta la città è stata dichiarata “zona di combattimento pericolosa”.
Non che le “pause” fossero effettive. I team delle Nazioni Unite hanno riferito che “sono stati comunque osservati bombardamenti nelle aree e nei momenti in cui tali pause erano state dichiarate“.
Nonostante questo, l‘Onu ha dichiarato che resterà a Gaza City. “Noi e i nostri partner – ha detto il portavoce, Stephane Dujarric – restiamo a Gaza City per fornire supporto salvavita, con l’impegno di servire le persone ovunque esse si trovino. Ci aspettiamo che il nostro lavoro sia pienamente facilitato e ricordiamo alle parti che i civili, compresi gli operatori umanitari, devono essere protetti in ogni momento. Le strutture umanitarie e le altre infrastrutture civili devono essere ugualmente salvaguardate“.
Speranze legittime, anzi “legali” ai sensi del diritto internazionale, ma deluse sempre sia dal criminale regime sionista che dal proprio alleato-protettore, gli Stati Uniti.
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10 settembre: bloccare tutto e prendere bene la mira
Un contributo dai Soulèvements de la terre
di Infoaut
I Soulèvements de la terre contribuiranno a «bloccare tutto» contro il piano Bayrou a partire dal 10 settembre. Numerosi comitati locali e i granai dei Soulèvements de la terre hanno iniziato a mettere a disposizione i loro mezzi materiali, reti e savoir-faire. Dedichiamo alla discussione portata avanti all’interno del movimento che si annuncia, qualche riflessione rispetto alle lotte contro l’intossicazione del mondo e contro l’alleanza dei miliardari reazionari. Riflessioni che possono dare idee su “cosa bloccare” al momento di “bloccare tutto”.
L’estate brulica di voci di rivolta. Dai canali Telegram agli appuntamenti di preparazione fissati fin dall’inizio dell’anno, dalle immagini dei video che girano e tornano da tutte le parti, dai sindacati che si lanciano in gruppi di gilets jeunes che si rilanciano, una data è nelle teste di tutti: 10 settembre. Le Soulèvements de la terre condividono questa impazienza di «bloccare tutto» per far saltare l’austerità e uscire insieme dalla strada che sembrava completamente tracciata dall’autoritarismo attuale verso un nuovo fascismo in arrivo.
Duplomb, Budget, Esercito: è troppo
Subito dopo che Macron ha annunciato il raddoppio del budget delle forze armate entro il 2027 (43 miliardi rubati ai diritti sociali e direttamente iniettati nel complesso militare-industriale), il primo ministro François Bayrou ha presentato il 15 luglio un “progetto di bilancio” per il 2026.
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Il vero volto del liberalismo
di Fabrizio Venafro
I regimi liberali, privi dell’alternativa socialista, rappresentata dall’Unione Sovietica decaduta nell’ultimo decennio del secolo scorso, possono mostrare la propria vera indole. Che non è quella di promuovere la libertà e la tutela dei diritti di derivazione illuministica: pensiero, opinione, espressione, associazione, riunione, cittadinanza, partecipazione politica, etc. A meno di non confondere il possesso di questi diritti da parte di una minoranza con quello della collettività tutta. Nella sua ostinata negazione dell’uguaglianza, se non formale e astratta, il liberalismo nega di fatto quanto va predicando. La tensione verso i diritti origina dalla lotta che contrappone la classe borghese in ascesa all’aristocrazia che è padrona delle prerogative politiche e del comando. La nobiltà era tale per diritto divino e discendenza di sangue. La borghesia fonda i presupposti per la propria supremazia sulla proprietà e la ricchezza. In astratto, chiunque può diventare borghese attraverso lo strumento principale celebrato dalla retorica borghese: l’impresa che fonda la ricchezza. Con l’etica protestante, tale retorica si ammanta anche di una giustificazione religiosa. Si torna a una sorta di diritto divino che trapassa dall’aristocratico al borghese. Diritto divino imperscrutabile perché tale è il volere della divinità. Ma che viene reso manifesto dalla prova del successo terreno attraverso la ricchezza. Quell’etica protestante, rilevata da Max Weber, ha lasciato degli strascichi nella cultura liberale. La teoria della predestinazione spaccava in due l’umanità, tra salvati e dannati.
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Cristo rivoluzionario fra noi
di Salvatore Bravo
Scrivere o parlare di religione, e in specifico, di Cristo significa incontrare l’ostilità di ogni componente ideologica e culturale dalla “destra liberale alla sinistra liberale”. Eguali nell’essere postura del nuovo capitalismo finanziario. La sinistra liberale ormai sovrastruttura del pan-economicismo irride alla religione, in quanto è un “limite” all’individualismo narcisistico, essa difende il mercato, in quanto è l’istituzione che soddisfa ogni desiderio. La destra liberale tollera Cristo e di conseguenza la religione, se svolgono la funzione di contenere con le “opere di misericordia” gli effetti delle disuguaglianze sociali. L’essenziale per la destra economica è il silenzio sul pan-economicismo spietato e mostruoso dei nostri giorni. Destra e sinistra lavorano per la “chiacchiera” e combattono il ”pensiero e ciò che umanizza”. Il chiasso e la chiacchiera come succedaneo del concetto hanno condotto all’abitudine al mostruoso tanto che i più, ormai avvezzi alle logiche della competizione non lo colgono, non lo vivono e sono presi solo dai loro desideri narcisistici. Il “pensiero Alice” e, quindi la fuga dalla realtà domina e regna. Semplicemente c’è, è parte dell’ordinario ritmo dei giorni, in tal modo si diviene parte del “mostruoso”. Tra i due schieramenti politici vi sono i “grigi”, ovvero gli indifferenti dediti solo ai loro interessi e desideri. Gli indifferenti, questo è forse il dato più rilevante, non sono atei. L’ateo si è confrontato col fenomeno religioso, mentre gli indifferenti sono distanti da ogni idea e scelta cristica e religiosa.
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Comuni socialiste e antimperialismo: l'approccio marxista
di Chris Gilbert
"La Comune fu l'antitesi diretta dell'Impero.”
- Karl Marx, La guerra civile in Francia
«Quando una comune socialista è antimperialista?» La risposta di Chris Gilbert a questa domanda segue la linea di pensiero di Karl Marx, esaminando il suo approccio alla 'comune': dai Grundrisse fino ai suoi ultimi appunti e lettere sulle comuni rurali. Dopo aver ricostruito la strategia comunitaria marxista, Gilbert sostiene che i recenti progetti reali in Venezuela, Bolivia e Brasile sono conformi all'approccio marxista, unificando la costruzione comunitaria con una spinta antimperialista per la liberazione nazionale.
* * * *
La guerra genocida di Israele contro Gaza, che è andata di pari passo con spietati attacchi alla Cisgiordania, al Libano, all'Iran, allo Yemen e alla Siria, tutti sostenuti e finanziati con entusiasmo dagli Stati Uniti, rappresenta un campanello d'allarme per i popoli di tutto il mondo sugli effetti devastanti dell'imperialismo. Portato avanti con la complicità di tutti i governi occidentali, il genocidio dovrebbe anche aprirci gli occhi sul più ampio sistema imperialista guidato dagli Stati Uniti. Questo sistema, anche quando non conduce una guerra totale contro i paesi del Sud globale, pone la maggior parte di essi sotto una sorta di assedio generalizzato, a volte attraverso sanzioni (ad esempio, Venezuela, Cuba, Nicaragua, Cina e Iran) o circondandoli con basi militari (come nel caso di Cina, Corea del Nord e Venezuela, tra gli altri), per non parlare del sistematico drenaggio di valore e di risorse materiali da parte dell'imperialismo in tali paesi, che ha effetti sociali e ambientali devastanti.
Dato questo contesto, in cui l’imperialismo contrapposto alle nazioni e ai popoli oppressi rappresenta inequivocabilmente la principale contraddizione, ci si potrebbe interrogare sull’importanza di una comune socialista.
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Laicizzare la discussione sull’Unione europea. A proposito del volume «Serve meno Europa?»
di Federico Musso
§ 1. – Una critica socialdemocratica
Il volume curato da Stefano D’Andrea (Serve meno Europa? Domande radicali sull’Unione europea, Roma, Rogas Edizioni, 2025) raccoglie i contributi di numerosi studiosi, molti dei quali partecipanti a un convegno organizzato dal Centro Studi per la Costituzione e la Prima Repubblica (CPR) tenutosi a Roma nell’aprile 2024. Gli Autori hanno tentato di offrire risposte a domande radicali, come recita il sottotitolo, su quella “strana entità”[1] chiamata Unione europea.
Un titolo alternativo avrebbe potuto essere ‘Tornare ai fondamentali’. Infatti, il libro intende indagare che cosa è l’Unione europea da molteplici punti di vista, senza le superfetazioni che una dottrina, forse troppo engagé, ha costruito negli anni e senza ricadere in quello che già Treves, come riportato da D’Andrea, chiamava «diritto del “voler essere”»[2], ossia quello studio del diritto che si allontana dalle disposizioni e dalle norme per agganciarsi alle speranze e alle aspirazioni soggettive.
Esiste, peraltro, una cornice ideologica comune che racchiude i vari contributi. Come rilevato dal Curatore, è il pensiero social-democratico, da intendersi come valorizzazione di quel diritto al lavoro, delineato nell’articolo 4 della Costituzione italiana, che impone alla Repubblica di perseguire politiche volte alla piena occupazione[3]. Forse si tratta di un avviso al lettore che, a dispetto di una disattenta prima impressione, non si tratta di un libro “sovranista”, nel senso che il termine ha assunto nel linguaggio corrente, ossia come sinonimo di rivendicazione della sovranità nazionale in senso regressivo e autoritario[4]. D’Andrea ricorda che una critica social-democratica all’Unione non è nuova, ma è apparsa in Italia durante gli anni della crisi dei debiti sovrani e, forse proprio per la sua genesi così intimamente collegata alla crisi finanziaria, si è caratterizzata per essersi concentrata sui problemi economici[5]. Uno degli scopi – riusciti – del libro è andare oltre i paletti della “prima” critica per indagare temi lasciati più in disparte.
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La danza immobile delle manifestazioni in Israele
di Sergio Cararo
Le manifestazioni di protesta che proseguono in Israele hanno una natura multiforme e contraddittoria.
Si dichiarano contro un governo non gradito da anni a quasi metà del paese, un dato già palesatosi dall’insediamento di Netanyahu. Criticano apertamente la gestione della liberazione degli ostaggi ancora prigionieri a Gaza che rischiano di lasciarci la pelle a causa delle azioni dell’esercito israeliano. In alcuni casi protestano contro la crescente egemonia del fondamentalismo ebraico nella società israeliana. Solo una esigua minoranza protesta anche contro la guerra e l’accanimento contro i palestinesi, l’auspicio è che questa cresca e aumenti la propria influenza ma è, appunto, un auspicio ma non la realtà.
Come nelle manifestazioni di tre anni fa contro il governo Netanyahu, nelle proteste di questi mesi non c’è nessun riferimento alla brutalizzazione delle condizioni di vita e di esistenza dei palestinesi né all’annessione di fatto di Cisgiordania e Gaza da parte di Israele e all’espulsione dei palestinesi. Su questo, come noto, tutti i sondaggi indicano che tra il 70 e l’80% degli israeliani in qualche modo condividono questa prospettiva. In Israele è ampiamente maggioritaria l’idea che la “seccatura palestinese” vada liquidata definitivamente affinché tutte le problematiche, incluse quelle più conflittuali, possano e debbano essere affrontate e risolte all’interno di uno stato esclusivamente ebraico così come definito dalla decisione della Knesset del 2018.
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Cina, India e l’incubo di Trump
di Mario Lombardo
Nel teatro della geopolitica contemporanea, poche scene si preannunciano così cariche di significato quanto l’incontro che dovrebbe avvenire tra il primo ministro indiano, Narendra Modi, e il presidente cinese, Xi Jinping, a margine del vertice SCO in programma a Tianjin a partire da domenica prossima. Due leader che per anni si sono guardati in cagnesco oltre l’Himalaya, improvvisamente impegnati a tessere i fili di una riconciliazione che fino a pochi mesi fa sembrava impensabile. Ma il vero protagonista di questa svolta non sarà presente all’evento: Donald Trump, l’uomo che con la sua politica del bastone senza carota sta regalando alla Cina quello che Pechino non era mai riuscita a ottenere con decenni di paziente diplomazia.
La storia di Washington che rischia di buttare alle ortiche vent’anni di investimenti strategici nell’alleanza con l’India è una lezione magistrale su come l’arroganza imperiale possa trasformarsi nel miglior alleato dei propri nemici. E soprattutto, è la cronaca di un suicidio annunciato: quello del sogno americano di mantenere l’egemonia globale trattando i partner come vassalli.
Facciamo un passo indietro. Dall’amministrazione Bush jr in poi, l’establishment di Washington aveva individuato nell’India il pilastro della propria strategia di contenimento della Cina. Non un’alleanza qualunque, ma il fulcro di un disegno geopolitico che doveva ridisegnare gli equilibri asiatici. Il “Quad” con Australia e Giappone, i vari accordi di difesa, la condivisione tecnologica nucleare: tutto puntava a fare di Nuova Delhi il principale contrappeso “democratico” a Pechino nella regione più dinamica del pianeta.
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La massiccia campagna israeliana per censurare i post pro Palestina su Facebook e Instagram
di Patrick Boylan
Abbiamo forse l’impressione di vedere un buon numero di messaggi postati sui social media a favore della resistenza palestinese, ma in realtà, secondo un gruppo di whistleblower (informatori) impiegati presso Meta – la Big Tech che gestisce Facebook, Instagram e WhatsApp – i messaggi che vediamo effettivamente sono solo una piccola parte di tutti i messaggi pro-Palestina che sono stati postati. La maggior parte non la potremo mai vedere perché è svanita nel nulla, censurata. E, sempre secondo questi informatori, a promuovere la massiccia censura dei post contro il genocidio in corso a Gaza c’è lo Stato sionista di Israele, con la piena complicità dei dirigenti di Meta.
Milioni di post spariti nel nulla
La denuncia appare in due documenti bomba che rivelano come oltre 90.000 post pro-palestinesi siano stati indebitamente rimossi da Facebook e da Instagram su richiesta specifica del governo israeliano. I documenti offrono persino un esempio delle email che Israele ha scambiato con Meta per far sopprimere tutti quei post che Tel Aviv giudica «pro-terroristi» o «antisemiti» (in realtà, dicono gli informatori, si tratta di normali messaggi di solidarietà per la causa palestinese.) Inoltre, a causa dell’effetto a cascata insito negli algoritmi usati da Meta per vagliare in automatico i messaggi postati sulle sue piattaforme, altri trentotto milioni di post pro-Palestina sarebbero spariti nel nulla dal 7 ottobre 2023.
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Teologia-politica mondiale
di Nicola Licciardello
Due articoli recenti1 sollecitano a intervenire su un tema enorme: è oggi possibile (e necessaria) una rifondazione teologica dell’azione politica? Per entrambi la risposta (come la domanda) è rivolta dall’Occidente a se stesso, considerandosi tuttora asse intorno cui ruota il resto del mondo. Prima di affrontare la discussione sull’assunto, vediamo una traccia dei due articoli.
Fassina opportunamente cita l’imprescindibile Emmanuel Todd sul nihilismo europeo (La disfatta dell’occidente, 2024), per poi analizzare il libro di Eugenio Mazzarella Contro l’Occidente, Trascendenza e politica, ove si richiama il paolino “essere nel mondo ma non del mondo” (Giov 15, 18-21), giungendo infine a ‘giustificare’ ogni presente orrore, ma a ri-eleggere il cristianesimo quale chiave per il superamento del primato occidentale “in cooperazione e non in conflitto con gli altri grandi spazi di civilizzazione: confuciano, induista, islamico”.
Sabatino d’altra parte, citando il suo Cristo in politica: per un’allegra rivoluzione, sottolinea la “perversa interpretazione del messaggio giudaico-cristiano-evangelico” alla base del colonialismo predatorio, quando invece sarebbe strutturale la “visione antropologica cristiana: tutto è cristiano in Occidente: dalla Giustizia alla Sanità, dalla Cultura alla Costituzione… Caritas, Fraternitas, Aequalitas, Gratia fondano tutta la politica moderna, da Hobbes a Robespierre, da Hegel a Gramsci”. E già che c’è, coopta persino Nietzsche: “La crisi non è più morale, ma – come aveva intuito Nietzsche – è spirituale.”
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Pace in Ucraina: pochi spiragli e tante ombre
di Francesco Bascone
L’analisi dell’ambasciatore Francesco Bascone dopo il vertice di Anchorage fra Donald Trump e Vladimir Putin
Non sappiamo se il vertice russo-americano di Anchorage sia destinato a figurare nei libri di storia, come prima tappa nel percorso di uscita da questa guerra o se finirà nel secchio delle occasioni mancate. La stragrande maggioranza dei commentatori osserva che l’aggressore ha ottenuto la piena riabilitazione da parte di Washington senza nulla concedere (questo punto andrà approfondito) e che Donald Trump, convinto di ammaliarlo con le sue lusinghe, si è lasciato ammaliare. Tanto è vero che ha prontamente sconfessato la propria promessa di pesanti sanzioni in caso di rifiuto della tregua.
Questa concessione alla metodologia di Putin – puntare rapidamente a concordare le linee generali per un accordo di pace mentre si continua a combattere – sarebbe difendibile se si trattasse di un paio di settimane, lasso di tempo previsto da Trump per un bilaterale Volodymyr Zelensky – Vladimir Putin, seguito forse da un trilaterale con lui stesso e se in cambio si fosse ottenuta una chiara disponibilità russa ad attenuare le proprie pretese.
A prima vista, non sembra sia così: il presidente russo ha ribadito che gli obiettivi dell’operazione militare speciale rimangono invariati e che un incontro al vertice deve essere preceduto da una lunga fase preparatoria.
Trump, ripetendo ancora una volta che la colpa della guerra è di Joe Biden, ha dato un assist a Putin. Il presidente russo ci ha visto una conferma della propria tesi secondo cui la Russia aveva le sue buone ragioni nel 2022 per attaccare l’Ucraina e che ora la guerra può essere fermata solo se verranno eliminate le cause di quella decisione. Cioè concordare una nuova Yalta.
Se si tiene conto, inoltre, del cinico invito al «realismo» rivolto da Trump a Zelensky, e implicitamente ai suoi amici europei («la Russia è una grande potenza, l’Ucraina no») c’è poco da illudersi sulle condizioni di pace che, secondo lui, Kiev dovrebbe rassegnarsi ad accettare.
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Israele avvia la soluzione finale a Gaza City
di Roberto Iannuzzi
La nuova operazione militare punta a spopolare e cancellare la città, sospingendo i palestinesi verso sud in vista della definitiva pulizia etnica della Striscia. L’Occidente tace
In un mese di agosto ricco di notizie internazionali ma scarso di risultati incoraggianti, il presidente americano Donald Trump, dopo aver avviato un inconcludente sforzo negoziale in Alaska riguardo al conflitto ucraino, durante un interludio della guerra dei dazi ha autorizzato attacchi militari contro i cartelli della droga in Messico e dispiegato forze navali USA al limite delle acque territoriali venezuelane.
La Casa Bianca è anche molto attiva in Medio Oriente, dal Caucaso al Libano dove la campagna USA di pressione nei confronti del governo locale affinché disarmi Hezbollah rischia di scatenare una guerra civile. Sullo sfondo rimangono le irrisolte tensioni con l’Iran e il rischio di un secondo round nello scontro fra Tel Aviv e Teheran.
Se la guerra in Ucraina e le altre perturbazioni internazionali ci ricordano che la crisi mondiale legata al declino dell’egemonia statunitense non ammette pause estive, è la Palestina – in primo luogo con l’immane catastrofe di Gaza – a rimanere l’epicentro del collasso morale dell’Occidente.
Cancellare Gaza City
Nell’inerzia delle capitali europee, e con il consenso di fatto accordato da Washington, gli aerei e i carri armati israeliani hanno già iniziato a martellare i quartieri a nord e a est di Gaza City, in base a un piano del governo Netanyahu approvato lo scorso 8 agosto, il quale prevede che Israele assuma il pieno controllo militare della Striscia a cominciare dalla regione settentrionale.
In coincidenza con l’avvio di quella che i vertici militari israeliani hanno definito la seconda fase dell’operazione “Carri di Gedeone”, un nuovo ordine di evacuazione è stato emanato per i residenti di Gaza City dove centinaia di migliaia di persone erano tornate durante il cessate il fuoco dello scorso gennaio.
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Crisi del dollaro: svalutazione, debito statunitense e rischi globali
di Alessandro Volpi
Il dollaro perde oltre il 10% in sei mesi. Tra debito federale, dazi di Trump e sfiducia globale, la crisi scuote la finanza mondiale.
La crisi del dollaro è molto più profonda di quanto non emerga dalla stampa e dall’informazione italiana. Nel giro di sei mesi ha perso oltre il 10% del proprio valore nei confronti delle principali valute del Pianeta. Registrando una delle cadute più rapide e dolorose dalla fine della convertibilità aurea.
È significativo notare che si tratta di un deprezzamento che è avvenuto nei confronti di quasi tutte le principali valute mondiali. E che si è verificato – dato questo estremamente rilevante – in presenza di tassi alti di interesse da parte della Fed. A cui sono, normalmente, connessi alti valori del dollaro. La crisi del dollaro è quindi, prima di tutto, una dimostrazione della sfiducia globale. Che potrebbe essere aggravata, ulteriormente, da una riduzione dei tassi di interesse e da un’ulteriore crescita del debito federale statunitense, ormai del tutto fuori controllo. Soprattutto, in queste condizioni, la Federal Reseve non può certo immaginare, come avveniva in passato, di “creare” nuovi dollari per coprire il debito.
Dollaro debole e grandi fondi: rendimenti erosi e fuga di capitali
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Le menzogne dell’impero non finiscono mai
di Alberto Bradanini
Le menzogne fabbricate a tavolino dagli agenti della Cia e fatte digerire dai governi sottomessi, come quello australiano in questo caso, sono come i rotoli di carta igienica, non finiscono mai.
La comunità internazionale non conoscerà mai la pace se il pianeta (ma il compito spetta soprattutto al popolo statunitense, anch’esso oppresso e vilipeso come tutti) non riuscirà a liberarsi di quel tumore metastatizzato rappresentato dalle 17 agenzie americane d’intelligence[1], così chiamate, sebbene si tratti di organizzazioni di stampo mafioso che operano nell’ombra con l’incarico di organizzare omicidi, massacri, rivolte e conflitti armati, a beneficio dell’impero egemone, nei quattro angoli del mondo.
Tra i tanti misfatti e menzogne che la cronaca funesta ci rimbalza ogni giorno (i crimini più riprovevoli commessi da lorsignori restano sepolti per sempre, a tutela delle nefandezze di quella meraviglia di democrazia chiamata Stati Uniti d’America!) la penna coraggiosa dell’australiana Caitlin Johnstone[2] ci segnala oggi le accuse che il governo del suo paese, guidato dal laburista Anthony Albanese, ha mosso al governo iraniano, vale a dire aver orchestrato due attacchi antisemiti al fine di minare la coesione sociale in Australia e seminarvi la discordia: il 10 ottobre e 6 dicembre 2024, infatti, due incendi dolosi avevano danneggiato la sinagoga Adass Israel e la Lewis Continental Kitchen (senza provocare né morti, né feriti).
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Ucraina: ritorno alla follia dell'escalation per far fallire i negoziati
di Davide Malacaria
Dopo la spinta diplomatica successiva al vertice tra Putin e Trump, l’apparente stallo. Zelensky, lontano dalla Casa Bianca, continua a negare la possibilità di cedere territori e intensifica i bombardamenti in territorio russo, sia agli impianti energetici che contro obiettivi civili, mentre prosegue come prima la campagna russa, con conquiste progressive e bombardamenti mirati alle infrastrutture strategiche ucraine, che provocano vittime civili (di cui i media occidentali riferiscono, al contrario dei civili russi).
A stoppare l’iniziale flessibilità di Zelensky la Ue, ormai salita con decisione sul carro neocon, che ha preso un abbrivio apparentemente inarrestabile grazie ai guadagni stellari dell’apparato militar-industriale Usa prodotti dal conflitto ucraino e dalla stretta politica e mediatica sull’Occidente che s’accompagna al genocidio di Gaza.
Ma, al solito, la Gran Bretagna si è ritaglita un ruolo primario in questa spinta pro-guerra, anche se (come al solito) manda avanti altri a far da guastatori, nel caso specifico Macron e Mertz, che più hanno sostenuto le ragioni di Zelensky al cospetto di Trump.
Invece le manovre britanniche restano sottotraccia. Anzitutto ha fornito a Kiev la tecnologia per costruire missili a lungo raggio – gittata di 3mila chilometri, testata 1.150 chilogrammi – in grado di causare danni in profondità alla Russia. Infatti, il Flamingo, presentato come produzione autoctona, è troppo simile al missile dell’azienda emiratina-britannica Milanion, esposto alla fiera IDEX-2025 (si noti la curiosa somiglianza con la V1 tedesca).
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IA, emergenza conversazionale e critica dei simulacri, dai GPT a Baudrillard di Claude Sonnet 4
di Il Chimico Scettico
Il Testo di Claude Sonnet 4 e la Svolta Epistemologica
Il punto di partenza è un testo straordinario attribuito a Claude Sonnet 4, pubblicato su Il Chimico Scettico il 6 luglio 2025, che rappresenta un'analisi meta-critica del lavoro intellettuale dell'autore del blog. Il testo segna una svolta radicale: dal tentativo di falsificare metodologicamente affermazioni pseudo-scientifiche al riconoscimento che queste non sono "scienza fatta male" ma simulacri baudrillardiani - costruzioni semiotiche completamente altre che hanno colonizzato lo spazio discorsivo scientifico.
La tesi centrale è devastante nella sua semplicità: il simulacro della scienza non è falsificabile non perché sia vero, ma perché non ha più alcun rapporto con la realtà che potrebbe falsificarlo. È un sistema chiuso, autoreferenziale, che esiste in una dimensione puramente semiotica. Quando Il Chimico Scettico per anni aveva tentato di smontare metodologicamente il "SIR all'amatriciana" o il "latinorum caotico", non stava correggendo errori scientifici ma tentando di applicare criteri di falsificazione a performances di scienza-segno.
Il testo di Claude identifica con precisione la trappola epistemologica: credere di trovarsi di fronte a proposizioni scientifiche mal formulate, quando invece si tratta di "equazioni metaforiche" - manifestazioni di un linguaggio che ha abbandonato ogni pretesa descrittiva mantenendo l'apparenza formale della matematica. Non errori da correggere, ma rappresentazioni teatrali che mimano i gesti della scienza senza averne la sostanza.
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Venezuela, storie di bufale e cartelli
di Geraldina Colotti
La notizia è ormai nota: il mese scorso, Trump ha firmato una direttiva, ancora segreta, in cui dava istruzioni al Pentagono di usare la forza militare contro alcuni cartelli della droga che il suo governo ha classificato come organizzazioni terroristiche. Quasi in contemporanea, gli Usa hanno dichiarato che una di queste organizzazioni si chiama Cartel de los Soles, e che è capeggiata dal presidente venezuelano, Nicolás Maduro. Un presidente illegittimo, secondo gli Stati uniti che, per bocca del loro Segretario di Stato, il rabbioso anticomunista, Marco Rubio, hanno dichiarato di aver aumentato la “taglia” sulla sua testa fino a 50 milioni di dollari. Quella precedente – di 15 milioni – era stata decisa da Trump nel 2020, durante il suo primo mandato.
Una canagliata subito ripresa ed enfatizzata dall'estrema destra venezuelana (che preme affinché Trump “faccia sul serio”), e dai giornali mainstream, che avallano l'accusa di “narco-stato” e il far-west trumpista, così come hanno avallato in precedenza il circo dell'”autoproclamazione” di un governo fittizio: per appropriarsi di un malloppo però assai reale come sono i beni del paese all'estero (per inciso, gli europei stanno facendo la stessa cosa con i fondi russi). Mostrare evidenza del contrario, è come convincere un terrapiattista che la terra è rotonda. Il meccanismo delle fake-news è un circolo perverso che si alimenta da sé e occulta l'inesistenza di una fonte attendibile. È stato così fin dalla messa in moto di questa balla spaziale sul Cartel de los soles, con cui inizialmente uno dei principali giornali di opposizione ha calunniato in Venezuela il vicepresidente del PSUV, Diosdado Cabello, oggi ministro degli Interni e Pace.
Nel libro La comunicación liberadora, che abbiamo pubblicato con l'Università internazionale della Comunicazione (LAUICOM), la giornalista e deputata, Tania Diaz, oggi rettrice dell'università, ha raccontato come sia stata una squadra di reporter ben collaudati a scoprire che quello “scoop” si basava su una falsa notizia di partenza: quella secondo cui era stata depositata presso un giudice di New York una presunta denuncia contro Diosdado in quanto capo del Cartel de los soles.
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La libertà dell’animo tradita: un dialogo con Schiller
di Lorenzo Graziani
Molti filosofi contemporanei si sono interrogati sulle ragioni del nostro strano comportamento nei confronti delle opere d’arte che suscitano emozioni negative come tristezza, rabbia o paura. Se nella vita quotidiana tendiamo a evitare queste emozioni, perché invece le cerchiamo nell’arte?[1] Questa apparente contraddizione è stata chiamata paradosso della tragedia – una formula che dice molto più sulla nostra difficoltà a capire il tragico che sul tragico stesso. Forse è davvero arduo spiegare il fascino di opere soltanto tristi o spaventose senza invocare una presunta attrazione per il negativo.[2] Ma nel caso della tragedia – almeno un tempo – il fascino nasceva altrove. Perché un’opera sia davvero tragica, infatti, non basta che rappresenti un’umanità sofferente: deve anche offrire un guadagno cognitivo sul dolore.
Questo processo, probabilmente, era piuttosto evidente per i Greci, tanto da non richiedere ulteriori spiegazioni. La nozione stessa di catarsi pone ancora oggi non pochi problemi interpretativi, forse proprio perché Aristotele le dedica solo poche e rapide parole, dando evidentemente per scontata una dinamica che per lui e i suoi contemporanei doveva risultare immediata. Iniziava a non essere più così evidente tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, periodo in cui gli scritti di Hölderlin e Schiller tornano più volte proprio su questo tema. Ma quella fu anche l’ultima stagione in cui quello che sarà poi chiamato paradosso della tragedia è stato affrontato in termini propriamente tragici.
Tragico è l’uomo libero
È proprio Schiller, in due brevi ma densissimi testi – Sul patetico e Sul sublime – a offrirci forse la riflessione più lucida su questo tema. L’artista tragico utilizza il pathos per suscitare nel pubblico un sentimento sublime, una “sintesi tra un senso di pena […] e un senso di letizia”.[3] Poiché un medesimo oggetto non può provocare emozioni opposte, Schiller interpreta questa ambivalenza come la prova dell’esistenza, in noi, di due nature distinte: una sensibile e una razionale.
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Il diritto internazionale ancora nello schema vincitori e vinti
di comidad
Molti hanno notato che nella famosa foto in cui il generale Vannacci esibisce trionfalmente una cernia, la sola ad avere un’espressione intelligente è proprio la cernia. In base a questa osservazione fattuale, sono sorti gravi sospetti sulla effettiva capacità del generale di riuscire a pescare la cernia in oggetto. Con tutta probabilità il Vannacci si è quindi procurato la preda in qualche mercatino del pesce, per poi farne oggetto di pubblica esibizione. D’altra parte le millanterie e le spacconate dei pescatori sono diventate proverbiali e persino un topos letterario, per cui si sta parlando di aspetti da trattare con umana comprensione. Più preoccupante invece è il fatto che il generale abbia voluto attribuire una valenza simbolica e politica al maltrattamento di un animale, salvo poi ridicolizzare chi gli ha fatto notare la viltà di quel gesto. Se ce l’hai con la sinistra, prenditela con la sinistra, non con gli animali, che notoriamente non votano e non possono essere eletti.
La narrativa di Vannacci vorrebbe scaricare la colpa della denatalità sugli ardori animalisti e transgender, come se non c’entrassero niente la cronica stagnazione economica, i fitti e le bollette alle stelle, la precarizzazione del lavoro e la perdita di ogni speranza che le cose in futuro possano almeno non peggiorare. Se qualche volta si riesce nella titanica impresa di non interrompere le persone mentre parlano, tanti maschietti trentenni si lasciano sfuggire che il loro vero timore è che i loro eventuali figli possano un domani rinfacciargli di essere disoccupato o di guadagnare troppo poco.
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Nord stream. Gli Usa a nudo alle Nazioni Unite
di Fabrizio Poggi
Botta e risposta alle Nazioni Unite tra i rappresentanti euroatlantici e quelli di Russia e Cina sulla questione del sabotaggio al North stream. Gli Stati Uniti, non senza fondamento sospettati di aver organizzato l'attentato del settembre 2022 ai due rami del gasdotto, hanno chiesto di non sollevare più la questione alle riunioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ci si deve affidare, dicono, al lavoro della Procura tedesca che, dopo l'arresto in Italia dell'ex capitano del SBU ucraino Sergej Kuznetsov, proseguirà le indagini dirette, con ogni evidenza, a dimostrare in partenza l'esclusivo coinvolgimento di un gruppo di incursori ucro-europei nel sabotaggio che ha interrotto le forniture di gas russo all'Europa e principalmente proprio alla Germania.
Gli Stati Uniti respingono i «tentativi di politicizzare la questione e anticipare i risultati della procedura in corso» ha detto la rappresentante yankee all'ONU, Dorothy Shea. Non si deve sottrarre tempo al Consiglio di sicurezza, ha detto in sostanza, per parlare di un incidente di tre anni fa, quando invece ci si deve concentrare sulla questione ucraina; come se le due questioni non siano strettamente connesse, specialmente dal punto di vista degli interessi finanziari USA. Così, Washington indica agli “alleati” che l'unica strada da seguire è quella di non mettere in dubbio né l'andamento giudiziario tedesco, né il corso delle “indagini” condotte da alcuni paesi europei e non c'è proprio bisogno che il Consiglio perda tempo su tali questioni. Il Presidente Trump, ha detto Shea «è concentrato su un obiettivo: garantire una pace negoziata e duratura in Ucraina per porre fine alle sofferenze umane. Invitiamo anche la Russia a concentrarsi su questo obiettivo».
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