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J.-P. Sartre e la tragedia di Oreste nel Novecento
di Fernanda Mazzoli
Una prima proposta di approfondimento rivolta a quanti – muovendo dalla lettura di «Les mouches» – siano interessati a sviluppare un dialogo per aprire un varco nell’odierna soffocante cappa culturale-politica che asfissia intelligenze e coscienze
Da Argo a Parigi la strada è lunga, gli inciampi numerosi e le deviazioni di percorso ancora di più. Gli dèi dell’Olimpo scompaiono, le vendette scolorano, madri e sorelle invecchiano, perdendo cupa grandezza e trepida pietà. Eppure, Oreste continua il suo viaggio, sospinto dalle Erinni e da troppi interrogativi irrisolti, e una sera del giugno 1943 calca le scene di un teatro parigino, vestendo i panni del protagonista nel dramma di Sartre Les mouches. Fuori, un altro dramma tiene avvinta la città: l’occupazione nazista.
Duemila anni e più di cammino lungo le vie della cultura occidentale lo hanno non poco segnato: ha perso qualche radice e non poche convinzioni e più che cercare gli assassini del padre sta cercando se stesso, ma per potere dire sono deve prima di tutto fare e dunque è alla ricerca di un’azione e dal momento che tutt’intorno e anche dentro il teatro ci sono i Tedeschi, allora non può che uccidere Egisto, usurpatore del trono di Agamennone.
È così che, nel quadro narrativo offerto dal mito, nell’opera sartriana filosofia e politica si mescolano e si compenetrano, lasciando aperte tante questioni che ancora oggi, anzi oggi più che mai, ci incalzano. La stessa impasse su cui si conclude il testo offre un fertile terreno alla ricerca.
La breve presentazione che segue non pretende di essere uno studio critico, e tanto meno esaustivo, della pièce del filosofo e scrittore francese, quanto, piuttosto, di stimolare l’approfondimento di alcuni temi che, a partire da Les mouches, investano diverse sensibilità culturali e campi del sapere.
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Parola a Sahra Wagenknecht: un’intervista
di Redazione
Vi proponiamo il contenuto di un’intervista uscita oggi sul Corriere della Sera a firma di Mara Gergolet.
* * * *
Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca.
Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del polacco Gazeta Wyborcza e del francese La Croix, alle 18. Sulla porta è ancora appesa la targa del suo precedente partito, la Linke. Tailleur rosso, orecchini d’argento che si muovono come piccoli pendoli quando non è d’accordo, accentuando il dissenso, il ginocchio scoperto come davanti alle telecamere. Si conferma quel che sembra in tv: a metà tra una ieratica figura anni Cinquanta e un’attrice austera, dal fascino naturale, dotata di compostezza, controllo e dialettica superiori: non a caso nei dibattiti tv spesso domina su tutti.
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Europa 1914 – 2024. Di nuovo i sonnambuli?
di AntonGiulio De' Robertis
Alla vigilia della Prima guerra mondiale il sentimento dominante in Europa, il “topos”, era quello della improbabilità della guerra. Un sentiment che le spregiudicate prese di posizione di molti governanti europei tendono a riproporre
In queste settimane si è tornati a parlare di un libro del 2013 di Christopher Clark sulla genesi della prima guerra mondiale, “I Sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra”, nel quale i leader che portarono i loro paesi in guerra vengono definiti sonnambuli. Cioè attori che incedevano irresistibilmente verso una meta di cui non erano pienamente consapevoli.
Lo studio analizza la dinamica che portò allo scatenamento della Grande Guerra da parte di paesi le cui società, fino ai più alti vertici, rimasero legate fino all’ultimo al topos della “improbabilità della degenerazione” in un conflitto generale della pur grave crisi Austro-Serba.
Oggi la guerra russo-ucraina rischia di provocare una dinamica analoga perché per tutta la seconda metà del 900 e i primi decenni di questo secolo ha dominato la convinzione diffusa, cioè il topos, della impossibilità di un conflitto fra potenze dotate di armi nucleari per l’enormità delle distruzioni che essa comporterebbe e alle quali non sfuggirebbe neanche l’ipotetico vincitore.
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Belgrado 25 anni dopo: Gaza, attentato di Mosca, pacifinti, Assange, stato di polizia
di Fulvio Grimaldi
Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi per “Spunti di riflessione”
Il ringhio del bassotto: Belgrado, 25 anni dopo (con Fulvio Grimaldi)
https://www.youtube.com/watch?v=KkCLVOAsvJk
A Belgrado, quando l’Europa ha mutilato se stessa per la voglia USA di sfondare la porta jugoslava, e poi serba, verso l’Eurasia.
All’ONU un voto che sembra per una tregua Gaza, ma è per salvare la pelle al mostro bellicista nelle elezioni che devono sancire la guerra degli isolani anglosassoni ai continenti-mondo.
A Londra, magistrati di una corte che definiscono alta (High Court), ma che si sa popolata da cortigiani al servizio del sovrano, hanno ripetuto il rito col quale se l’erano cavata tempo fa: richiesta agli USA di fornire garanzie su alcuni punti sollevati dalla difesa di Julian Assange con riferimento al trattamento praticato dagli USA sui propri carcerati (vedi Guantanamo, Abu Ghraib, Alcatraz….). Assicurazioni già richieste e a suo tempo ottenute.
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Terza Guerra Mondiale? Attenzione al fattore “disperazione”
di Giulia Bertotto
“Terza guerra mondiale?” è la domanda che ci stiamo facendo da diverse settimane e “Il fattore Malvinas” è la risposta, -anzi l’incognita- che si sono dati Daniele Burgio, Massimo Leoni, Roberto Sidoli (“Terza guerra mondiale? Il fattore Malvinas”, L’AD Edizioni 2024) in un’ordinata e dettagliatissima analisi sulla convivenza con la consapevolezza atomica dal 1945 a oggi; un libro francamente irrinunciabile se non si vuole rischiare di saltare in aria senza almeno aver compreso come siamo arrivati a questo punto.
I fatti raccontati si sono succeduti mentre i due grandi blocchi atlantico e russo detenevano questa forza devastante, innanzitutto l’espansione della NATO verso Est dopo la Caduta del Muro, le promesse fatte a Gorbaciov mai mantenute e anzi le provocazioni imperialiste con le sue esercitazioni alle periferie di Mosca e le continue adesioni al Patto Atlantico.
1945-2024. Gli USA al governo del mondo: dai microbi allo spazio (anche virtuale)
Dal 1945 a oggi l’America ha sempre guardato fisso l’obiettivo di conservare il proprio dominio finanziario, la supremazia militare, l’egemonia ideologica sul mondo intero, impedendo la crescita di potenziali economie rivali e competitori bellici.
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Il bello e il brutto del brutto
di Sebastiano D'Urso
Nel complesso panorama contemporaneo di visioni e previsioni distopiche non poteva non irrompere il brutto. È stato ed è sempre lì in agguato, pronto a imporsi a tutti noi. Tuttavia, non si tratta del solito brutto a cui fanno riferimento gli esteti e le estetiche di ogni epoca e luogo. Non è l’amorfo che banalizza l’immagine della realtà che ci circonda. Non è l’anarchico che si contrappone o se ne frega dello stile, o del sedicente tale, della propria epoca. Neanche l’arabesco, esotismo importato spesso per soddisfare gusti momentaneamente stravaganti. Non è l’arbitrario di chi si crede più importante degli altri tanto da far quel che vuole. Non è l’asimmetrico che irrompendo nella realtà la contraddice e la rappresenta allo stesso tempo. Non è l’assenza di carattere che, quando è molto diffusa diventa, al contrario, caratterizzante. Non è neanche il banale contrario di quella originalità tanto ricercata e poi ostentata da risultare forzata. Non è il buffo che trova il giusto riscatto nell’ilarità che provoca. Né il camp che fa dell’esagerazione la cifra della sua affermazione. Nemmeno il caricaturale che deformando la realtà concorre a costruirne le fattezze.
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Cibernetica o barbarie!
di Stefano Borroni Barale*
Dal n. 6/2024 di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” pubblichiamo questo articolo di Stefano Borroni Barale con importanti proposte di lotta per il mondo della scuola
Rifiutare la formazione obbligatoria è un poderoso primo passo. Siamo pronti per il successivo?
“Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.” – Filippo Tommaso Marinetti, “Manifesto del Futurismo”, 1909
La transizione digitale (1) a marce forzate, iniziata con lo stanziamento l’anno scorso di 2,1 Miliardi di euro per l’acquisto di laboratori e aule “digitali” entra ora nel vivo, con un programma di formazione dei docenti mastodontico. È la fase che l’ex Ministro Bianchi aveva definito “riaddestramento” del corpo docente (2). Per fortuna questo passaggio sembra risvegliare almeno una minoranza di docenti dal loro torpore: giungono echi di ribellione da alcuni collegi docenti (quello del Liceo Socrate, così come dell’IIS Di Vittorio Lattanzio, a Roma), che fortunatamente hanno rigettato il programma di formazione al digitale previsto dal D.M. 66.
L’impressione, però, è che manchi ancora una visione d’insieme, anche tra queste minoranze critiche. Certo, abbiamo compreso che i piani di formazione ministeriali (Piano Nazionale Scuola Digitale – PNSD e Piano Scuola 4.0, per citare solo gli ultimi) hanno dell’innovazione tecnologica un’idea talmente antidiluviana che vi si possono scorgere elementi di una retorica “neo-coloniale”, quella che poneva al centro l’uomo bianco, maschio e cristiano pronto a salpare per conquistare e sottomettere la natura selvaggia e incolta grazie alla forza della tecnologia, portando –grazie a questa– la civiltà “in salsa digitale”.
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Il riarmo europeo tra contrasti fra paesi e crescita dell imprese belliche
di Domenico Moro
Sembra passato molto tempo da quando la transizione ecologica era al centro del dibattito della Ue, oggi le preoccupazioni green hanno lasciato il passo alla spinta a potenziare la difesa europea. Nel recente Consiglio europeo – il consesso che riunisce i capi di governo europei – l’attenzione è andata tutta alla questione militare e alla guerra.
Tuttavia, le spaccature sono evidenti tra i 27 Paesi che compongono la Ue, e che faticano a trovare una posizione unitaria specialmente sul finanziamento del riarmo ritenuto necessario per affrontare la Russia di Putin. Tale difficoltà è dovuta alla disomogeneità degli interessi nazionali, sui quali pesa la posizione geografica, più o meno vicina all’epicentro della crisi bellica, cioè all’Ucraina, ma anche l’orientamento politico generale. Ad esempio mentre Pedro Sanchez, primo ministro spagnolo, afferma che “non bisogna spaventare troppo i cittadini con discorsi di guerra”, l’omologa estone, Kaja Kallas, sostiene che “occorre prepararsi anche a una guerra sul terreno”, riecheggiando le recenti dichiarazioni del presidente francese, Macron, secondo il quale non è da escludere l’invio di truppe di terra in Ucraina.
La spaccatura non è solo sulla percezione della imminenza della guerra. Anche se quasi tutti i Paesi sono più o meno d’accordo sul potenziamento dei loro apparati bellici, sono però spaccati in due sulle modalità di finanziamento del riarmo. La spaccatura esiste anche tra la Commissione europea, guidata da Ursula von der Leyen, che propone di istituire un centro di spesa comune per acquisire munizioni e armi da inviare all’Ucraina, e Olaf Scholz, il cancelliere tedesco, che lo ritiene inutile.
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L’anarco-comunismo di Pietro Kropotkin
di Salvatore Bravo
Pietro Kropotkin1 con la sua storia e biografia di anarchico-comunista testimonia che la classe sociale di appartenenza non è un destino; non è la gabbia ideologica alla quale il soggetto umano deve necessariamente adattarsi e plasmarsi. L’essere umano è libero, può scorgere le contraddizioni che scuotono e muovono la totalità dell’assetto sociale per immaginare e ipotizzare, a partire dalle condizioni contingenti, un sistema sociale altro, in cui il soggetto umano non è un mezzo ma il fine. L’umanesimo è in tale centralità dell’essere umano, che con la prassi risolve le condizioni reificanti che umiliano la natura umana. In una realtà sociale segnata unicamente dal profitto, tale è il capitalismo, ogni soggetto umano rischia di diventare “il corpo doloroso” che vive e pone relazioni di violenza non riconosciute. L’anarchico e comunista russo Pietro Kropotkin al di là delle leggi che determinano la storia secondo la visione marxista, in primis, valuta eticamente e quindi politicamente il sistema capitalistico, per poter progettare il suo superamento con il metodo scientifico e marxista. Senza lo scandalo etico non c’è politica e non c'è pensiero, ma solo tatticismo e adattamento omologante.
Di nobili origine decise di abbandonare la propria condizione privilegiata nella Russia ottocentesca per progettare e pensare l’esodo dal capitalismo. Il dominio con le sue strutture gerarchiche nega la natura libertaria dell’essere umano. Il capitalismo con la sua struttura proprietaria improntata all’accumulo infinito di profitto è la “compiuta peccaminosità realizzata”.
Il capitalismo ha incorporato la tecnica grazie alla quale produce una quantità di merci che il mercato non riesce a smaltire e pur di tenere alti i prezzi delle merci distrugge ciò che potenzialmente potrebbe soddisfare i bisogni del popolo.
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Le 3 ipotesi sulla matrice della strage di Mosca
di Pino Arlacchi
Le reazioni alla strage di Mosca sono, com’è ovvio, le più diverse e sono determinate dall’andamento di una guerra in corso. Siccome ci sono pochi dubbi sul fatto che l’attentato sia stata opera di killer addestrati, armati e protetti da un’entità superiore, le ipotesi sui mandanti si restringono a tre:
La matrice islamica autonoma
Il piccolo gioco. L’ISIS nella sua versione afghano-pakistana avrebbe agito in piena indipendenza da altre possibili fonti per colpire un suo nemico storico, la Russia, nel momento in cui esso è impegnato in una guerra quasi-civile contro un paese affine sostenuto dall’ intero Occidente.
Questa ipotesi è al momento la più diffusa, perché sostenuta dai pochi dati di fatto finora a disposizione, ma non reggerà a lungo. Chi conosce un po' l’ISIS-K sa che si tratta di ciò che resta di un esercito sconfitto in Siria da 5-6 anni, le cui risorse gli consentono di condurre attacchi in loco, contro i Talebani dell’Afghanistan, che stanno finendo di distruggerlo. È assai improbabile che i suoi combattenti siano stati in grado di intervenire così lontano senza un supporto esterno.
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“Kiev, Usa e britannici dietro l’attentato di Mosca a opera dell’Isis”
a cura di Dante Barontini
Come prevedibile, con il passare dei giorni si irrigidisce la contrapposizione tra i vertici russi e il corrispettivo euro-atlantico sull’attribuzione della responsabilità dell’attentato al Crocus City Hall di Mosca.
Ieri, in un’intervista, il capo del Servizio di sicurezza federale russo (FSB, l’ex Kgb) Alexander Bortnikov ha ammesso che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Ucraina sono responsabili dell’attacco al municipio di Crocus.
“Crediamo che questo sia vero. In ogni caso, stiamo parlando delle informazioni fattuali di cui disponiamo. Questa è un’informazione generale, ma [questi paesi, ndr] hanno una lunga storia di questo tipo“, ha detto dopo aver partecipato a una riunione allargata del consiglio dell’ufficio del procuratore generale.
Bortnikov ritiene che l’Ucraina abbia cercato di dimostrare anche ai suoi alleati-protettori, visibilmente sfiduciati nelle sue possibilità di “vittoria”, di essere abbastanza capace.
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"Bersagli legittimi". La Russia passa ufficialmente a una nuova fase del conflitto
di Marinella Mondaini
Adesso si fa sul serio, la Russia sta passando a una nuova fase.
A Mosca le indagini proseguono e poco fa le dichiarazioni del presidente Putin, del capo del Consiglio di Sicurezza russo Nikolaj Patrušev, del direttore dell’FSB, Nikolaj Bortnikov e del Procuratore Generale della Russia Igor Krasnov, hanno confermato la versione ufficiale della mostruosa strage al Crocus City Hall. Il numero dei morti è spaventoso: 139 persone, 82 feriti, 40 persone sono morte per arma da fuoco, le rimanenti sono morte per il fuoco appiccato dai terroristi o per il soffocamento da monossido di carbonio. Due persone sono rimaste vittime di ferite da taglio uno dei terroristi brandiva un coltello proprio come se seguisse le istruzioni dell’ex comandante dello Stato Maggiore congiunto dell’Esercito degli Stati Uniti il generale a quattro stelle Mark Milley, il quale, ricordo, il 5 dicembre scorso ha affermato che “gli ucraini dovrebbero lavorare nelle retrovie russe per garantire che ogni russo non dorma sonni tranquilli, sapendo che gli verrà tagliata la gola”.
Il capo dell’FSB Bortnikov ha confermato anche “dietro questo atto terroristico c’è l’Ucraina” e ha dichiarato che “tutti i coloro che commettono crimini contro la Russia e i cittadini russi, diventano bersagli legittimi”.
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La tua auto ti controlla
di David Moscrop
Il cosiddetto «Internet delle cose» è pieno di spie automatizzate. La raccolta dati, ora integrata nella progettazione delle nuove macchine, è più pervasiva che mai e sta dando vita a un nuovo mondo fatto di sorveglianza e collusione aziendale
Nel caso pensiate che la rete di sorveglianza capitalista impostaci da aziende canaglia e governi complici non fosse abbastanza distopica, la notizie è che vostra auto potrebbe ora spiarvi e vendere i dati che ha raccolto alle compagnie assicurative tramite LexisNexis.
La settimana scorsa, il New York Times e altri hanno scritto che alcuni veicoli della General Motors (Gm) stavano raccogliendo dati sui conducenti – in alcuni casi all’insaputa del proprietario – che le compagnie di assicurazione potevano, e lo hanno fatto, utilizzare per adeguare (cioè aumentare) i premi assicurativi. Il programma Smart Driver di Gm non è l’unico nel suo genere. Altre case automobilistiche offrono servizi simili, il che può sembrare innocuo (Wi-Fi in auto, fantastico!), ma in realtà è insidioso, dal momento che finisci per «acconsentire» a essere spiato per il profitto della casa automobilistica.
La distopia del capitale
Nel 2023, la Mozilla Foundation ha pubblicato una ricerca in cui affermava che le auto erano un «incubo su ruote per la privacy» e «la peggiore tipologia di prodotti per la privacy».
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Il futuro ha avuto inizio esattamente 25 anni fa
di Vincenzo Costa
Il futuro inizio' 25 anni fa, il 24 marzo 1999.
Senza mandato dell'ONU, facendosi beffe delle riserve russe, lasciando attonito l'intero mondo, la NATO bombardo' per mesi la Serbia, facendo un numero altissimo di vittime civili: sotto le bombe umanitarie della NATO perirono 2.500 civili, 89 bambini, ci fu un numero enorme di feriti, un inferno di distruzione.
Fu un gesto unilaterale, privo di legittimità, guidato nel nostro paese dalla "sinistra".
L'opinione pubblica occidentale fu drogata, come al solito, i servizi segreti inglesi, che sempre ci offrono un bel menu di notizie inventate, fecero come sempre il loro sporco lavoro. I soliti cretini del "diritto umanitario" trovarono argomenti, i marxisti per Pelosi e per la Nuland schierati come sempre, a dimostrazione che si può essere marxisti e cretini.
Ma il resto del mondo guardo', capi che lo stesso trattamento riservato alla Serbia sarebbe stato riservato man a mano a tutti gli altri.
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Chi vuole la guerra
di Carlo Lucchesi
Il completo asservimento alla causa degli USA della quasi totalità dei media del nostro paese e, per quanto si può conoscere, dell’intero Occidente, pone questioni delle quali chi non intende soggiacere insieme a loro dovrebbe discutere a fondo e tentare di risolverle. Parto da quella apparentemente meno importante, vale a dire le forme della manipolazione informativa. Queste si sono fatte sempre più sporche. Nella carta stampata, sapendo che il lettore scorre rapidamente i titoli e seleziona così i pochissimi pezzi da leggere, è proprio al titolo che è affidato il compito di veicolare il messaggio truffaldino tanto che il testo sottostante può anche dire cose diverse o non parlare affatto di quello che il titolo aveva annunciato. I “secondo voci raccolte…” (di chi? e chi le ha raccolte?), oppure “come racconta…” (e si cita un presunto testimone sconosciuto al mondo), o ancora le interviste a persone che hanno palesemente in odio la Russia e non vedono l’ora di attribuirle tutti i mali del mondo, presenti e futuri, le inchieste come collage di pezzi di agenzia ritagliati a misura per rendere credibile il palesemente falso, la classificazione di “buono” per chi sta con l’Occidente, qualunque misfatto compia, e di “cattivo” per chi non sta con l’Occidente, ed è cattivo sempre e comunque e nutre le peggiori intenzioni immaginabili anche se non ha mai profferito parola che possa renderle minimamente verosimili: tutto questo è stato ed è il pane quotidiano del nostro giornalismo accanto alla sistematica denigrazione di chiunque abbia l’ardire di provare a ragionare su ciò che sta accadendo. Ovviamente, una volta che i fatti dimostrino via via la falsità della narrazione (dalla malattia di Putin allo sfascio della Russia fino alla trionfale controffensiva ucraina passando attraverso decine di anticipazioni fasulle), non seguono né smentite, né correzioni di rotta. Anzi, per ogni bolla che scoppia se ne soffia un’altra magari più grande.
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Andare oltre l’inferno planetario
di Gennaro Avallone
In questi giorni esce in libreria per Ombre Corte Oltre la giustizia climatica. Verso un’ecologia della rivoluzione, di Jason Moore e a cura di Gennaro Avallone. Siamo felici di condividere l’Introduzione al testo di Gennaro Avallone, per cui ringraziamo la casa editrice e l’autore
L’inferno planetario
“Non è l’Uomo, ma è il Capitale il responsabile dell’inferno planetario”. È questa una delle affermazioni al centro di questo libro. La frase contiene tre concetti fondamentali per comprendere il mondo in cui viviamo e le sfide che dobbiamo affrontare. Il primo si riferisce a quello di Uomo, un’astrazione che ha accompagnato l’intera modernità in contrapposizione all’altra, quella di Natura, legittimando, in base a tale polarità, la superiorità degli esseri umani definiti civili (l’Uomo) su tutte le altre forme di vita, umane comprese, identificate come selvagge (la Natura). Il secondo concetto è quello di capitale, il rapporto socio-ecologico che ha plasmato il mondo dalla fine del 1400, costruendolo come un enorme magazzino di forme di vita di cui disporre e forme di vita da annullare, fino alla loro estinzione, se inutili o di ostacolo alla sua riproduzione. Il terzo concetto è quello di inferno planetario. Con esso, si individuano due processi. Il primo si riferisce agli effetti del riscaldamento globale e del cambiamento climatico in corso, che stanno trasformando parti del pianeta in luoghi totalmente ostili alla vita umana e ad altre forme di vita a causa delle alte temperature, della riduzione della fertilità dei suoli e della siccità, fino alla mancanza di accesso all’acqua potabile. Il secondo processo riguarda il fatto che per una parte dell’umanità, costituita da alcuni miliardi di persone, e per una molteplicità di vite animali, la vita sul pianeta è strutturalmente una sofferenza, dovuta ai processi di devastazione ambientale e svalorizzazione economica e culturale e alle profonde disuguaglianze socioecologiche che caratterizzano il globo.
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Gaza. Il carattere performativo della violenza israeliana
Patrizia Cecconi intervista il prof. Angelo Stefanini
Il prof. Angelo Stefanini[i] medico, accademico, fondatore del CSI (Centro di Salute Internazionale) e già direttore dell’OMS per i Territori Palestinesi Occupati, lo scorso 20 febbraio ha partecipato a un convegno a Palazzo d’Accursio a Bologna che aveva per tema il cessate il fuoco a Gaza. La Comunità ebraica e altre associazioni di italiani di religione ebraica hanno protestato vivamente perché hanno ritenuto lesiva della libertà di uccidere di Israele la richiesta di cessare il fuoco! Il convegno si è comunque svolto e l’intervento del prof. Stefanini, inerente l’ambito sanitario, è risultato pari a un pugno nello stomaco per chiunque abbia una coscienza e, con essa, una sensibilità umana e il necessario senso critico per interpretare la realtà nonostante la vergognosa manipolazione mediatica.
La relazione del prof. Stefanini aveva per titolo “Gaza: la guerra agli ospedali” e, a distanza di un mese, abbiamo deciso di intervistarlo proprio sul contenuto di quella relazione che, per quanto scioccante, risulta meno grave di quanto successo in seguito come se, avendo testato la possibilità di agire impunito, Israele avesse scientemente deciso di non avere più limiti nel procedere allo sterminio indisturbato di decine di migliaia di civili, utilizzando anche armi fornite dai paesi che, con disgustosa ipocrisia, mentre lo riforniscono di strumenti micidiali, lo invitano ad ammazzare “un po’ di meno”.
Col prof. Stefanini ci siamo conosciuti alcuni anni fa proprio nella Striscia di Gaza dove, con funzioni diverse, seguivamo l’équipe cardio-chirurgica del dr. Luisi del PCRF che operava i bimbi con seri problemi cardiaci che non potevano uscire dalla Striscia di Gaza sotto l’assedio israeliano, ora sotto le bombe o sotto le macerie.
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ISIS, l'alibi (troppo) perfetto dell'occidente
di Clara Statello
L’Isis K ha mostrato quella che dovrebbe essere la definitiva conferma della matrice islamista dell’attentato terroristico di Mosca. Nella tarda serata di sabato, Amaq News, l’agenzia stampa affiliata allo Stato Islamico, ha pubblicato un video registrato dagli stessi terroristi degli attimi terribili del massacro alla Crocus City Hall. Il filmato, nella sua versione integrale, è stato rilanciato sul canale Telegram del blogger ucraino dissidente Anatoly Shary, ma se ne sconsiglia la visione per la sua mostruosità.
Il commando irrompe in una sala, sparando deliberatamente sui civili. Sgozza un uomo per terra, assicurandosi di non lasciare sopravvissuti. Dopo di che, uno dei terroristi si mostra alla camera gridando “inshallah” e “allahu akbar”. E’ la firma indiscutibile dell’Isis, la conferma della versione Occidentale, che scagiona Kiev da ogni sospetto di coinvolgimento.
In un’intervista rilasciata al Tempo, il politologo statunitense Edward Luttwak ( lo stesso che poche settimane fa affermava in TV che non esistono civili a Gaza, legittimando così lo sterminio di massa di bambini palestinesi) spiega che l’Occidente non sta assolutamente in nessun modo attaccando Mosca.
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Armiamoci e partite!
di Gianandrea Gaiani
La Russia si rafforza, l’Ucraina si dissangua al momento senza prospettive e gli Stati Uniti appaiono sempre più lanciati verso il disimpegno dalla guerra indipendentemente dall’esito delle elezioni di novembre. In questo contesto il Consiglio Europeo del 22 e 23 marzo non ha fornito segnali di discontinuità rispetto all’impegno a sostenere Kiev fino alla riconquista dei territori perduti.
Le concrete difficoltà a produrre con costi e tempi ragionevoli le armi e munizioni necessarie all’Ucraina ma anche a un’Europa sempre più debole e con le forze armate in continuo e progressivo calo di effettivi, sono state esorcizzate dalla determinazione, da tempo in discussione, a utilizzare alcuni miliardi di euro prelevati dai rendimenti degli assetti finanziari russi congelati in Europa dopo l’inizio della guerra.
Per il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ”usare i profitti straordinari” derivanti dal congelamento degli asset della Banca Centrale Russa, circa 3 miliardi di euro l’anno, per ”armi e munizioni” da inviare all’Ucraina sarebbe ”un grande passo avanti”. Del resto, ha aggiunto, si tratta di ”profitti inattesi” che finora sono stati incamerati dalle società di clearing, e che lo Stato belga, dove ha sede Euroclear, tassava, ”quindi l’Ue li può usare” per fornire armi a Kiev.
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Mentre
di Giorgio Agamben
Per liberare il nostro pensiero dalle panie che gli impediscono di spiccare il volo è bene innanzitutto abituarlo a non pensare più in sostantivi (che, come il nome stesso inequivocabilmente tradisce, lo imprigionano in quella «sostanza», con la quale una tradizione millenaria ha creduto di poter afferrare l’essere), ma piuttosto (come William James ha suggerito una volta di fare) in preposizioni e magari in avverbi. Che il pensiero, che la mente stessa abbia per così dire carattere non sostanziale, ma avverbiale, è quanto ci ricorda il fatto singolare che nella nostra lingua per formare un avverbio basta unire a un aggettivo il termine «mente»: amorosamente, crudelmente, meravigliosamente. Il nome – il sostanziale – è quantitativo e imponente, l’avverbio qualitativo e leggero; e, se ti trovi in difficoltà, a trarti d’impaccio non sarà certo un «che cosa», ma un «come», un avverbio e non un sostantivo. «Che fare?» paralizza e t’inchioda, solo «come fare?» ti apre una via d’uscita.
Così per pensare il tempo, che da sempre ha messo a dura prova la mente dei filosofi, nulla è più utile che affidarsi – come fanno i poeti – a degli avverbi: «sempre», «mai», «già», «subito», «ancora» - e, forse – di tutti più misterioso – «mentre».
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Comunisti e stato
di Pierluigi Fagan
(Qualcuno si domanderà dell'attualità e senso di questo post rispetto ai discorsi che qui sviluppiamo da tempo. Va letto, purtroppo, per scoprirlo)
Il rapporto teorico e pratico tra comunisti e Stato è assai problematico.
La concezione dello Stato nello sviluppo del lavoro teorico di Marx ed Engels è di lenta e mai ultimata precisazione. Ma la linea principale vedeva l’idea di impossessarsi dello Stato con la forza per poi far deperire lo Stato per lenta autodemolizione nella fase della “dittatura del proletariato”, in favore di un modello finale che Marx idealizza nella Comune di Parigi (1871).
Ma la Comune durò scarsi due mesi, era una città non uno Stato come dimensioni e complessità di funzioni. Lenin rimarrà strettamente ortodosso nel perseguimento della strategia marxiana, ma la prematura morte portò poi a Stalin dove si realizza l’esatto contrario, la creazione di uno Stato totalitario, burocratico e poliziesco.
E tuttavia, va osservato, Marx idealizzava su una comunità di 1,8 milioni di parigini neanche alle prese con responsabilità di governo di un ente nazionale esteso, invisi certo ai poteri di mezza Europa, che per due mesi fecero baldoria producendo mito e speranza, ma Stalin guidava una nazione assediata non solo dagli europei (tra cui poi i nazifascisti) ma dagli anglosassoni con americani sempre più rilevanti, ma anche famelici giapponesi, per più di trenta anni, con una estensione territoriale immensa e con tra 150 e 200 milioni di abitanti.
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Lettere dal Sahel XIII
di Mauro Armanino
Impostori di sabbia
Niamey, 21 gennaio 2024. Eppure il cambiamento era dietro l’angolo. Il mondo vecchio stava scomparendo e bastava una spallata per buttarlo giù. Erano gli anni operai delle assemblee, delle 150 ore retribuite in fabbrica per la licenza media e il testo faro di don Milani ‘Lettera a una professoressa’. Il terrorismo e le manipolazioni della sedicente rivoluzione proletaria. Il sospetto, col tempo, che tutto fosse giocato d’avanzo e che l’italico Paese, colonia degli Stati Uniti Vaticani, divenne preda scelta di manovre eversive delle stragi che avrebbero insanguinato banche, piazze, treni e stazioni. Credevamo che il cambiamento fosse una questione di stagioni.
Lo stesso accade da questa parte del mondo che si suole chiamare Sahel. Una spallata al mondo antico, nato, nutrito e perpetuato dal neocolonialismo, espressione della globalizzazione del mondo come mercato unico. I militari, non casualmente, hanno preso il potere con colpi di stato in vari Paesi dell’Africa Occidentale, Centrale e altrove, spesso. Alcuni si sono camuffati da civili per perpetuarsi. Promettono pure loro un mondo nuovo, liberato da corrotti, faccendieri, venduti agli stranieri e dunque traditori della patria.
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Salario minimo? Timeo Danaos et dona ferentes
di Carlo Formenti
L’Italia è l’unico Paese europeo che abbia registrato una contrazione dei salari reali nel trentennio 1990-2020; è anche il Paese che vanta il poco invidiabile record di una percentuale a due cifre di working poor (nel 2019 i lavoratori in condizioni di povertà erano l'11,8% del totale); è infine il Paese in cui i lavoratori che percepiscono una retribuzione oraria inferiore agli otto euro e mezzo l'ora sono più di un milione (1,3). Non sono forse tre buone ragioni per fissare un salario minimo legale, provvedimento che ci viene fra l’altro sollecitato dall'Europa? Savino Balzano, sindacalista pugliese (di Cerignola, città natale di Di Vittorio, precisa orgogliosamente) già autore di libri (1) sulle problematiche del lavoro e collaboratore de La Fionda, non è convinto che questa sarebbe la soluzione giusta per migliorare le condizioni di una delle classi lavoratrici più tartassate del mondo occidentale, e spiega le ragioni di tale opinione in un pamphlet dal titolo Il salario minimo non vi salverà, appena uscito da Fazi Editore.
Il salario minimo, sostiene, potrebbe essere l'ultima di una lunga serie di trappole che, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, hanno collaborato a ridurre progressivamente il potere contrattuale dei lavoratori italiani, fino a ridurlo praticamente a zero. Descrivendo le tappe di questa via crucis, l'autore prende le mosse da Luciano Lama, la vestale del moderatismo sindacale che, con parole degne di Menenio Agrippa, spiegò agli operai che l'impasse del lungo ciclo di lotte del decennio 60/70 era l'inevitabile esito di una stagione di rivendicazioni "estremiste", alimentate dall'illusione di fare del salario una variabile indipendente. Purtroppo, ammoniva Lama, appellandosi alle "leggi" dell'economia canonizzate dagli esperti al servizio della Confindustria, il capitalismo conosce una sola variabile indipendente, vale a dire quel profitto che, ove costretto a scendere al di sotto di un "ragionevole" minimo, provoca crisi, disinvestimenti, chiusure di imprese, licenziamenti.
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Bisogna essere contro la guerra o anche contro le sue radici?
di Alessandra Ciattini e Federico Giusti
Nonostante la censura, molti analisti e soggetti politici stanno da tempo prendendo posizione contro gli attuali conflitti, che potrebbero sfociare nell’“ultima guerra mondiale”. Purtroppo, essi non si pongono spesso il problema del perché questo sistema economico e sociale inevitabilmente genera guerre e conflitti, finendo col sostenere un astratto e inefficace pacifismo.
Nel panorama politico e mediatico internazionale appaiono, ormai da tempo insieme ai propagandisti di regime, molti soggetti che prendono posizione contro la guerra in Ucraina, contro il genocidio di Gaza, contro lo smisurato incremento delle spese per le armi, sempre più sofisticate. Pur apprezzando, con qualche distinguo, questa posizione politica, vorremmo qualcosa di più. In particolare urge comprendere perché, sempre più, le questioni internazionali si risolvano con la violenza, demonizzando nella forma più semplicistica e grottesca gli avversari, e adoperandosi per persuadere le masse, ormai inerti e quasi rassegnate, alla necessità della guerra, magari non più diretta dagli Stati Uniti ma portata avanti da un “finalmente autonomo” esercito europeo. A questo scopo l’Ue dovrà dotarsi di forze di intervento rapide, dei migliori armamenti disponibili sui mercati, di strumenti informatici e tecnologici avanzatissimi, ricorrere all’intelligenza artificiale e ai sistemi tecnologici guidati a distanza. E probabilmente la guerra diventerà ancora più spietata.
Questi aspetti sono documentati dagli ultimi dati, forniti dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), i quali attestano una riduzione della spesa sociale nei paesi Ue e, allo stesso tempo, il potenziamento della ricerca a fini di guerra e della spesa militare nel suo complesso.
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Merito e diseguaglianza nelle riflessioni sulla scuola di Antonio Gramsci
di Salvatore Cingari*
Abstract. Il saggio ricostruisce l’utilizzo da parte di Gramsci del tema del “merito” nel suo discorso sulla scuola e l’educazione. Negli scritti pre-carcerari la critica ai privilegi delle classi più abbienti viene svolta sulla base di una rivendicazione dei meriti dei tanti soggetti di famiglie proletarie impossibilitati a coltivarli e farli valere. Nei Quaderni dal carcere tale posizione viene inserita nel quadro di uno Stato Nuovo, in cui la classe dirigente viene selezionata su un corpo sociale interamente messo in grado di partecipare cognitivamente all’autogoverno del lavoro. Vengono anche segnalati significativi parallelismi con i concetti bourdesiani di habitus e riproduzione.
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1. Premessa: il problema del merito oggi e nella storia del pensiero politico
La scuola come fondamentale leva per sollevare i ceti popolari oltre la subalternità è un tema già più volte trattato in passato dalla letteratura su Gramsci1. Qui però si vuole affrontare la questione da una specifica angolatura: il leader comunista come considerava il problema del «merito» e come lo inseriva nella sua più generale visione dell’eguaglianza (o perlomeno in ciò che di essa traspare dietro il suo marxismo per lo più non normativo)? Per quanto riguarda la meritocrazia, mi limito a ricordare come questa sia diventata negli ultimi anni una parola chiave per comprendere l’egemonia neoliberale2. Thomas Piketty, in Capital et ideologie, ha sottolineato come tale lemma sia sempre più utilizzato perché nei sistemi politico-sociali che dichiarano formalmente l’uguaglianza dei diritti, si va aprendo in modo crescente una grande diseguaglianza sostanziale, con la conseguente necessità di doverla giustificare3. Nancy Fraser, in un saggio dal titolo esplicitamente gramsciano, Il vecchio muore e il nuovo non può nascere, sostiene che il liberalismo ha sostituito il concetto di giustizia sociale con quello di meritocrazia4.
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