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Ucraina. Il vero motivo di rottura tra Italia e Francia
di Alberto Fazolo
Nel 2024 l’Italia ha assunto la presidenza del G7. La Meloni ha deciso d’indire a Kiev il primo vertice dell’anno, per sfruttare la concomitanza con il secondo anniversario dell’inizio dell’Operazione Militare Speciale lanciata dalla Russia sul territorio ucraino.
Con l’occasione la Meloni ha stipulato con Zelensky una serie di scellerati accordi bilaterali in ambito militare, dell’energia, per la ricostruzione. Tutte cose che non è chiaro come verranno pagate.
Anche se la cosa non ha costi economici diretti immediati, la Meloni ha anche impegnato l’Italia a sostenere l’ingresso dell’Ucraina nella UE e nella NATO. Dato che l’attuale crisi è prevalentemente determinata dalla possibilità che la NATO si prenda anche l’Ucraina, impegnare l’Italia a insistere su quella linea, significa legare indissolubilmente il nostro paese alla guerra.
La Meloni ha condizionato il destino dell’Italia senza nemmeno consultare il Parlamento. Lei che fino a quando non è diventata Premier si atteggiava da sovranista, ora si dimostra essere la più atlantista dei politici europei, soprattutto perché si ostina a portare avanti una linea ormai abbandonata da chiunque altro. Gli stessi USA hanno interrotto gli aiuti all’Ucraina e puntano a un cambio di strategia, cosa che comunque va in collisione con gli interessi della UE.
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Ops, la censura! Chi l'avrebbe mai detto
di Il Chimico Scettico
Quasi mi viene da sorridere. In tempi ormai lontani, quando CS era sui social, accadde una cosa. Un giorno aprii la pagina e mi resi conto che tutti i post contenenti un link a questo blog erano spariti. Era il 12 dicembre 2019 e il blog aveva appena raggiunto 100.000 visualizzazioni ("Che caso!" disse Starbuck). Per due giorni successe anche su twitter. Per alcuni mesi fu impossibile postare su facebook un link a questo blog. Poi tutto finì, senza mezza parola, senza mezza comunicazione da parte della piattaforma. Non sono mai stato propenso a tirar fuori "Complotto! Censura!" senza avere in mano solide evidenze e non lo feci, sposando come prima ipotesi che il tutto fosse un prodotto del generico giro di vite "contro le fake news" che aveva reso gli algoritmi più stringenti (una cosa grave di suo).
Poi però qualcuno ci volle mettere la firma: qualcuno degli "amici che gestiscono i social" di Roberto Burioni, qualcuno che aveva a sua volta cari amici tra chi mandava avanti il facebook italiano. "La scienza (lascienza) non è democratica", dalla teoria alla prassi, prove tecniche.
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Transnistria e Moldova, un altro fronte di guerra?
di Enrico Vigna
Le politiche guerrafondaie e di scontro del governo sottomesso ai diktat occidentali e della NATO, stanno chiudendo la piccola repubblica della Pridnestrovie in una situazione pericolosa e molto delicata, da qui la richiesta ufficiale di aiuto del Parlamento di Tiraspol, per l’unificazione alla Russia come forma di autodifesa. Ma in caso di conflitto, c’è un fattore che potrebbe essere un detonatore che investirebbe e incendierebbe a domino, anche i paesi vicini: la base militare di Kolbasna sotto protezione russa, dove si ipotizza vi siano anche armamenti nucleari.
Nell’ultimo anno la “zelenskaya di Chisinau” Maia Sandu, invece di cercare forme e proposte di negoziazione e conciliazione con la regione orientale, ha intensificato azioni, proposte di legge provocazioni continue e minacce, che stanno alimentando odio e tensioni altissime. Questo da un lato sta spaccando la popolazione in Moldova e incoraggiando forme di smembramento interno della stessa, come nelle regioni della Gagauzia e della Taracalia, dove è sempre più forte la volontà di distacco, oltre alla sempre più profonda avversità della componente russofona del paese.
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Mario Draghi, la competitività europea e i nuovi Mezzogiorni
di Guglielmo Forges Davanzati*
1 – L’economia europea perde posizioni nella competizione internazionale e sperimenta, al suo interno, una costante crescita delle divergenze regionali (l’impoverimento relativo del Mezzogiorno rispetto al Nord è parte di questa dinamica).
A Mario Draghi, come è noto, è stato affidato il compito di redigere il rapporto sulla competitività europea, che verrà ultimato verosimilmente a giugno prossimo. Nel discorso dello scorso 15 febbraio all’Economic Policy Conference di Washington (durante il conferimento del premio Paul A. Volcker Lifetime Achievement Award), che va letto insieme a quello a3ll’Ecofin del 24 febbraio, ne ha resi noti i fondamentali ingredienti.
Partiamo dalla diagnosi. L’ex Governatore della BCE formula due critiche. La prima è rivolta al modello della globalizzazione sperimentato negli ultimi decenni, che avrebbe portato squilibri commerciali in un contesto di crescente partecipazione agli scambi commerciali internazionali di Paesi che avevano punti di partenza, in termini di livello di sviluppo, molto diversi.
Draghi riconosce che le delocalizzazioni prodotte dalla globalizzazione hanno considerevolmente ridotto la quota dei salari sul Pil, creando ostilità in coloro che ne sono risultati danneggiati. Così come, contrariamente alle promesse, la globalizzazione non si è associata alla diffusione dei valori orientati al rispetto delle libertà individuali e della democrazia.
La seconda critica attiene alla politica economica e da qui origina la sua proposta.
Draghi osserva correttamente che l’Unione Monetaria Europea (UME) ha puntato, per la sua crescita, su un modello trainato dalle esportazioni, in una condizione di competizione fra i Paesi membri, che risulta perdente nel lungo periodo.
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Il problema russo non è sconfiggere l’Occidente ma cosa farne dopo
Intervista a Rostislav Ishchenko* a cura di Aleksey Peskov
Questa intervista al politologo Ishchenko dà un’idea molto sorprendente su come dall’altro lato della nuova cortina di ferro si percepisca con inedite preoccupazioni l’attuale crisi sistemica occidentale, che creerà un “vuoto da riempire” e un fardello. La Russia potrebbe dover affrontare le stesse questioni che gli USA hanno affrontato al momento del crollo dell’URSS. Traduciamo un’intervista al politologo Rostislav Ishchenko che dà un’idea molto sorprendente su come dall’altro lato della nuova cortina di ferro si percepisca con inedite preoccupazioni l’attuale crisi sistemica occidentale, che creerà un “vuoto da riempire” e un fardello di responsabilità globali.
Alla data del 24 febbraio, si sono compiuti esattamente due anni dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale (SVO). Allora sembrava a tutti che, anche se ci sarebbero state difficoltà, queste non sarebbero durate a lungo, gli aeroporti “intorno all’Ucraina” sarebbero rimasti chiusi inizialmente solo per una settimana. Si sbagliavano.
Poi intervennero i paesi occidentali, e anche lì l’orizzonte della pianificazione era calcolato in settimane, al massimo mesi: armiamo l’Ucraina, colpiamo la Russia con sanzioni, e tutto lì crollerà come un castello di carte. Ma si sbagliavano anche loro.
In due anni, la Russia ha potenziato i muscoli e allenato il cervello, mentre l’Occidente sta vivendo dissidi interni e gravi problemi economici. E a qualcuno viene l’idea, in questo momento, che ci convenga prolungare il conflitto, tipo: “aspettiamo – e l’Occidente crollerà da solo”. Sarebbe bello, giusto? Ma le speranze che, non appena i paesi occidentali si siano rotti, tutti i problemi della Russia finiscano all’istante, sono state dissipate nel corso di una conversazione con «Svobodnaya Pressa» («Stampa Libera») dal politologo, commentatore di MIA “Russia Today”, Rostislav Ishchenko…
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Contro la propaganda di guerra
di Michele Berti
Sul Quotidiano L’Adige, giornale pubblicato in Trentino, di venerdì 23 febbraio comparivano in prima pagina due contributi a firma Aldo Civico (antropologo) e di Domenico Quirico (famoso giornalista). Gli scritti pubblicati erano molto netti e preannunciavano in realtà un evento organizzato da EUcraina, l’associazione sponsorizzata da Giovanni Kessler, ex parlamentare europeo (anche ex obiettore di coscienza a questo punto…), dal 2011 al 2017 direttore dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) e nominato nel 2014 membro della commissione per la selezione del primo capo dell’Ufficio indipendente Anticorruzione dell’Ucraina.
Le espressioni erano secche ed erano tutte rivolte a convincere il lettore che l’unica soluzione è “battere Putin sul campo di battaglia” mandando più armi e risorse a Zelensky.
Sabato 24 febbraio dopo una giornata di riflessione e qualche mal di pancia, ho pensato di dover rispondere a questi signori, che ho definito “master of war”, con un piccolo contributo volutamente incisivo, che volevo venisse pubblicato nella rubrica delle lettere in cui il giornale dà spazio al dibattito dei lettori. Ho inviato il mio scritto al direttore e alla rubrica, ma visto che a oggi, 28 febbraio, nessun riscontro è arrivato, deduco che il direttore Depentori ha ritenuto di non pubblicare la mia lettera.
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L’affinità elettiva tra lobbying e cleptocrazia militare
di comidad
Il Sacro Occidente non ha mai preteso di essere perfetto e immune da critiche; si accontenta più modestamente di stabilire di essere meglio dei regimi dittatoriali che lo circondano e lo minacciano. Non è vero che noi pretendiamo di essere i buoni, è solo che gli altri sono cattivi e ci dobbiamo difendere, quindi siamo costretti a spendere per le armi. Andando al sodo, a questo si riduce l’essere occidentali: comprare armi. Potevano dirlo subito senza tanti preamboli inutili. Chissà quante armi ci siamo fatti sfuggire con queste perdite di tempo. Il governo tedesco finalmente si è svegliato accorgendosi della minaccia russa; perciò si è dato una mossa: prima si è comprato tanti caccia F-35 dagli Stati Uniti, poi nel novembre scorso ha concluso un contratto con Israele per acquistare il sistema di difesa antimissile “Arrow 3”, che le Industrie Aerospaziali Israeliane (IAI) producono insieme con la statunitense Boeing. La consegna del sistema antimissile è per il 2025, quindi giusto in tempo per fermare la prossima invasione russa. Il sistema “Arrow 3” ha funzionato benissimo contro un missilino balistico lanciato dallo Yemen, quindi è certo che funzionerà alla grande anche contro i missili ipersonici russi.
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La scuola e il silenzio su Gaza
di Paola Lattaro
Pisa non ha mostrato solo l’attacco vigliacco degli agenti di polizia ma anche il silenzio della scuola. La verità, scrive Paola Lattaro su Insegnare, la rivista del Centro di iniziativa democratica degli insegnanti, è che sulla facciata di ogni scuola, da mesi dovrebbe esserci un striscione con la scritta “Stop Bombing Gaza”, da mesi si dovrebbero portare avanti in aula iniziative per informare su quello che sta accadendo. Con che faccia gli chiederemo di realizzare l’ennesimo powerpoint di educazione civica? Come gli diremo ancora una volta che vogliamo sentire le loro voci? Pisa, in realtà, ha mostrato anche come tanti adolescenti vengono picchiati e arrestati, perfino resi orfani oppure uccisi. Accade in Palestina, da decenni.
* * * *
Le immagini delle studentesse e degli studenti manganellati a Pisa (e a Firenze e a Catania) per essere scesi in piazza a manifestare contro il genocidio che si consuma, indisturbato, nella striscia di Gaza, sotto gli occhi di un mondo complice, da riempiono le home dei social e i nostri discorsi. Ci fanno pensare che quella democrazia che tendiamo, ingenuamente, a dare per scontata, dove manifestare (pacificamente) un dissenso è un diritto sacrosanto, scontata non è; anzi: non gode esattamente di ottima salute (del resto i segnali ci sono tutti da anni).
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Á la guerre comme à la guerre
di Pasquale Vecchiarelli
Macron vuole mandare i militari sul campo, la Von der Layen non esclude la possibilità di una guerra in Europa, Scholz ha un piano per attaccare la Russia in quattro fasi e i servizi segreti italiani riferiscono sull’importanza di colonizzare l’Africa, investire in armi, e zittire gli antagonisti. E’ crisi nera della borghesia
Ci sono giorni che contano come anni per la velocità con cui si svolgono gli eventi ed è proprio questo il caso delle settimane appena trascorse. Dalle dichiarazioni di Trump, in cui ha annunciato di non voler più proteggere militarmente i membri della NATO che non contribuiscono adeguatamente alle spese militari dell’organizzazione più guerrafondaia della storia, si sono succedute una serie di prese di posizioni di leader europei, a partire da quello tedesco Olaf Scholz, che hanno rivelato l’intenzione, che probabilmente già covava sotto la cenere, di riconvertire la propria economia verso un’economia di guerra. Hanno fatto scalpore le parole di Macron e quelle della Von der Leyen, le cui bocche, come spesso accade a questi governanti, si beano nel pronunciare parole di morte. Genocidio, guerra, escalation, violenza e terrore, punizioni e sanzioni, missioni militari, morti sul lavoro e precarietà, queste le parole più pronunciate e che meglio descrivono il mondo in cui viviamo.
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Stati Uniti e Cina allo scontro globale
Intervista a Raffaele Sciortino
Dal n. 6 di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” in uscita nei prossimi giorni pubblichiamo in anteprima questa intervista a Raffaele Sciortino.
Per l’edizione inglese, in uscita in questi giorni, ha scritto un capitolo di aggiornamento che tiene conto degli sviluppi nel frattempo intervenuti.
Gli abbiamo rivolto alcune domande che cercano di cogliere i dati essenziali del mutamento di quadro, a partire ovviamente dal conflitto Russo-Ucraino e dalla situazione in Medio Oriente.
* * * *
Collegamenti: Dopo due anni di conflitto l’Occidente collettivo sembra avviato ad un serio scacco in Ucraina, per quanto gli obiettivi che perseguiva l’Amministrazione Biden siano nel complesso raggiunti: logoramento della Russia, compattamento della Nato, subordinazione dell’Europa, postura minacciosa verso la Cina. Possiamo aspettarci una svolta da qui alle elezioni Usa?
Bella domanda. Direi di no se per svolta si intende qualcosa che possa assomigliare anche alla lontana a un serio percorso negoziale voluto e condotto dall’attore decisivo, Washington. Non solo: neppure un’eventuale vittoria di Trump porterebbe probabilmente a una svolta effettiva, semmai a qualche mossa politica dal valore simbolico. La mostruosa macchina statale statunitense si è oramai sintonizzata sulla modalità guerra – che è riduttivo definire per procura – in quel quadrante strategico.
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Un keynesiano “tecnologico”
L’economia politica di Luigi Pasinetti
di Stefano Lucarelli
L’economista italiano sviluppò la teoria di Keynes approfondendo l’importanza del progresso tecnico. E il suo contributo alla scienza economica resta fondamentale
Luigi Lodovico Pasinetti è stato uno dei più importanti economisti italiani. Il progetto teorico che ha caratterizzato il lavoro intellettuale di questo 'signore' appare molto distante dagli obiettivi di ricerca che oggi dominano nei dipartimenti di scienze economiche. Pasinetti aspirava infatti alla costruzione di un paradigma economico alternativo essenzialmente fondato sul fenomeno della produzione e del cambiamento tecnologico, in contrapposizione al paradigma prevalente basato essenzialmente sul fenomeno dello scambio e sulla scarsità delle risorse naturali1.
Nelle note che seguono cercherò di mettere a disposizione dei lettori alcuni elementi sostanziali che emergono da quei lavori di Pasinetti che, nella mia esperienza di insegnamento, rappresentano dei passaggi formativi imprescindibili2.
Come per Keynes, anche per Pasinetti i problemi economici principali che occorre risolvere in una economia monetaria di produzione sono l’incapacità a provvedere a una occupazione piena e la distribuzione iniqua della ricchezza e del reddito. Ma, a differenza di Keynes, egli non limita la sua analisi agli effetti dei cambiamenti della domanda finale sull’occupazione e sulla distribuzione della ricchezza. Pasinetti, infatti, approfondisce anche gli effetti che il progresso tecnico può avere sui principali problemi economici, nella convinzione che il processo di produzione industriale implichi una applicazione continuativa nel tempo dell’ingegno umano per l’organizzazione e il miglioramento dei processi produttivi.
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Un patto di guerra
di Leonardo Mazzei
L’«Accordo di cooperazione sulla sicurezza tra Italia e Ucraina», firmato a Kiev il 24 febbraio da Zelensky e Meloni, è un fatto grave di cui ancora non è stata colta la portata.
Sia il governo, che la stampa mainstream, lo hanno presentato come un atto più simbolico che sostanziale. «Il nostro accordo – come quelli stipulati da Francia, Germania e Regno Unito – non sarà giuridicamente vincolante», ha detto il ministro Tajani il 22 febbraio alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato. Non vincolante? Ma allora a cosa serve? Per provare a capirlo, seguiamo ancora il discorso del titolare della Farnesina:
«Dal testo non derivano obblighi sul piano del diritto internazionale, né impegni finanziari. Non sono previste garanzie automatiche di sostegno politico o militare. Come quella dei nostri partner, anche la nostra intesa bilaterale non richiederà, quindi, la procedura di ratifica parlamentare».
Ma davvero possiamo credere a questa rassicurante melassa del Tajani? Evidentemente no. Chiaro che l’accordo firmato da Meloni è sulla stessa linea di quelli sottoscritti da Londra, Parigi e Berlino. Chiaro, infatti, che tutte queste iniziative sono state coordinate in ambito NATO e G7. Chiaro, infine, che non potendo far entrare adesso l’Ucraina nell’Alleanza Atlantica, questi accordi bilaterali dovrebbero offrire a Kiev una rete di protezione equivalente, anche se formalmente diversa.
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L'Europa è nuda. Le parole (importanti) di Mario Draghi a l'Ecofin
di Giuseppe Masala
Non si può non notare l'attivismo di Mario Draghi di quest'ultimo periodo. Il dinamismo del Grand Commis romano per la verità non sembra dettato dall'ambizione che lo spinge a ricercare altre super poltrone di grande potere ma piuttosto dalla volontà di salvare la creatura di cui è stato certamente uno dei massimi architetti. Ormai che l'Europa rischi di non sopravvivere non è più argomento per complottisti, ma un dato di fatto di cui si prende atto ai massimi livelli e infatti Draghi ne ha parlato apertamente il 24 Febbraio durante l'ultimo Ecofin tenutosi a Gend in Belgio, al quale è stato invitato nonostante non ricopra la carica di Ministro delle Finanze in nessun paese dell'Unione.
Certamente, il “saggio” Draghi non ha deluso le attese parlando in maniera schietta dei mali dell'Unione Europea. Innanzitutto colpisce che Draghi delinei una disamina che appunto fino a qualche tempo fa pochissimi avevano il coraggio di fare. L'Europa non può più contare: «sull'energia russa, sulle esportazioni cinesi e sulla difesa degli Stati Uniti.
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La costruzione di un sistema di guerra
di Alfonso Gianni
Da gennaio in poi stiamo assistendo a un susseguirsi di accordi di cooperazione in materia di sicurezza fra l’Ucraina e diversi stati europei, sia che facciano parte della Ue che no, e anche d’oltreatlantico. A partire dal 12 gennaio di quest’anno, tali accordi bilaterali, che più propriamente e realisticamente dovremmo chiamare di alleanza militare, sono stati firmati dalla Gran Bretagna, Francia, Germania, Danimarca e da ultimo Italia e Canada. Il tratto comune di questi accordi, che rivela apertamente la loro finalità, consiste nel riferimento a una collaborazione immediata e rafforzata tra le due parti con un sistema di risposta di emergenza in 24 ore da attivarsi su richiesta di uno dei due contraenti il patto in caso di un futuro attacco armato da parte della Russia. Infatti all’articolo 11, primo comma, dell’accordo fra Italia e Ucraina si legge: “In caso di futuro attacco armato russo contro l’Ucraina, su richiesta di uno dei partecipanti [ovvero Italia o Ucraina], questi ultimi si consultano entro 24 ore per determinare le misure successive necessarie per contrastare o scoraggiare l’aggressione”.
Per comprendere di quali misure si sta parlando, si può continuare a leggere il testo dell’accordo che impegna il nostro paese:
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Libera menzogna in libera guerra
Mentre c’è chi vive per uccidere e chi muore per la libertà, come sa chi per lei vita rifiuta
di Fulvio Grimaldi
Byoblu-Mondocane 3/16 in onda domenica 21.30. Repliche lunedì 9.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30, domenica 09.00
Mi sono permesso, nel titolo, di parafrasare, fino a cambiarne il riferimento ma non il senso, il verso di Dante sul sacrificio di Catone per la libertà sottratta da Cesare. Riferimento cambiato fino a un certo punto, però, visto che l’aviere dell’aeronautica USA proprio per la libertà di vivere del popolo palestinese, si è ucciso, facendosi liberare e purificare dal fuoco della sua involontaria, ma subita, complicità col male.
Non mi va di usare il termine cuore, per quella roba zuccherosa e scipita che s’è fatta di questo muscolo nelle mille e mille canzonette che ci avvelenano da Sanremo e da tutti i facili e ipocriti sentimentalismi letterari, cinematografici o formulati a voce. Così è diventata molesta, perfino e soprattutto e non da mo’, la parola amore e, per dirla tutta, la triade, abusata come nessun’altra mai, di cuore amore dolore. Alla larga! E’ l’abuso che si fa di certi elementi del linguaggio, pur integri alla nascita, che li degrada fino a svuotarli di senso. O a invertirlo. Pensate a cosa è stato fatto di “Bella ciao”…
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Genealogia dello Stato e del moderno potere politico
di Sandro Moiso
Carl Schmitt, La dittatura. Dalle origini dell’idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria, (a cura di Carlo Galli), Società editrice il Mulino, Bologna 2024, pp. 336, 29 euro
Nella cultura politica occidentale, fermamente segnata dai residui del moralismo cristiano, due sembrano ancora essere gli autori difficili da maneggiare, soprattutto a “sinistra”: Niccolò Machiavelli e Carl Schmitt. Lontani tra loro nel tempo e per collocazione politica e ideale, hanno contribuito con le loro opere, anche se il secondo era particolarmente restio a essere appaiato al primo, a fornire validi strumenti per la comprensione e la scomposizione dei meccanismi del Potere e dello Stato moderno nei loro elementi essenziali.
Inviso alla Chiesa il primo, le cui opere sono state per lunghissimo messe all’Indice, e al pensiero liberale e di sinistra il secondo, hanno avuto entrambi la capacità di mettere “scientificamente”, per quanto possa essere considerata scienza quella politica, a nudo gli snodi e le caratteristiche autentiche della gestione politica delle società organizzate intorno al modello statale.
Per Machiavelli, soprattutto nel Principe, l’elemento fondativo del poter, dello stato e della loro conquista e gestione è da ritrovarsi nella Forza ovvero nell’uso della violenza organizzata in funzione di tali fini. Per il secondo, a distanza di poco meno di cinquecento anni e dopo le rivoluzioni borghesi che hanno modificato l’assetto dinastico degli Stati moderni, si tratta, di definire gli stessi per mezzo delle categorie dell’eccezione e della decisione. O, per meglio dire ancora, dello stato di eccezione e della autorità basata sulla possibilità/necessità di decidere sullo e dello stato di eccezione. Così, nello svolgimento del discorso, chi scrive cercherà di cogliere il filo rosso che lega il ragionamento novecentesco di Schmitt a quello del cinquecentesco pensiero del teorico politico fiorentino.
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G7 in Italia: il nostro futuro nella gabbia digitale passa anche da Trento
di Konrad Nobile
L’implementazione dell’intelligenza artificiale e la sua applicazione nei più disparati campi dell’attività umana pare essere una ghiotta e desiderabile opportunità, talvolta una necessità, che il mondo deve seguire per il proprio bene e il progresso generale. Almeno questo è quello che sostiene una folta schiera di santoni televisivi, eminenti accademici, politici, scienziati e ricchi imprenditori.
“I rischi sono grandi, ma ne vale la pena”, ci dicono mentre la nuova intelligenza viene, passo dopo passo, sdoganata e data in piccole dosi alle masse.
E così, se Israele sfrutta nientemeno che un’intelligenza artificiale per aiutarsi nella sua guerra genocida (1), le industrie “civili” iniziano a sfornare nuovi smartphone integrati con l’IA e sempre più persone si cimentano nell’uso di sistemi come “ChatGPT” per generare testi o immagini, per trovare risposte o addirittura per avventurarsi in piccole truffe, come per esempio “scrivere” libri da rivendere in rete.
Alcune resistenze sono già state vinte, altre se ne vinceranno nel tempo e, pian piano, volenti o nolenti l’IA entrerà nelle nostre case, nelle nostre tasche e nelle nostre vite (e, chissà, forse pure nei nostri corpi), in un processo analogo a quello fatto a suo tempo da internet e dal digitale.
L’era dell’intelligenza artificiale è però solo ai suoi albori e la sua regolamentazione e strutturazione definitiva deve ancora essere messa a punto. Il tema di questa nuova frontiera è dunque centrale in tutti gli attuali summit internazionali e nei grandi vertici intergovernativi.
L’IA è stata addirittura l’argomento cardine dell’ultimo Forum Economico Globale e, tra i vari incontri del G7, che quest’anno vede spettare la presidenza all’Italia, ve ne sarà uno tutto dedicato a tale questione.
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Il nuovo, vecchio, rilancio della guerra ucraina
di Piccole Note
La disperazione dei neocon a cui non basta il "momento Navalny" per superare gli ostacoli del congresso Usa. Le nuovo, folli proposte per continuare la macelleria ucraina
Lo tsunami Navalny si è abbattuto su entrambe le sponde dell’oceano con effetti differenti. Se negli Usa l’effetto è stato attutito, salvo qualche intemperanza verbale verso Putin, in Europa ha avuto l’effetto della benzina sulle fiamme in via di estinzione della guerra ucraina, ravvivando l’incendio.
Guerra ucraina, la “disperazione” neocon
Al congresso Usa infatti i repubblicani fedeli a Trump sembrano aver resistito alle pressioni neocon per rilanciare la crociata anti-russa. E questa non è cosa da poco visto che la Camera dovrà decidere del nuovo stanziamento destinato all’Ucraina, o meglio dovrà decidere un nuovo finanziamento destinato alle aziende Usa che producono armi destinate all’Ucraina, come ha recentemente puntualizzato la Nuland, citata Ron Paul.
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La transizione energetica è impossibile nel capitalismo
di Raúl Zibechi
Il sistema capitalista è profondamente dipendente dai combustibili fossili ed è in agricoltura che quella dipendenza è decisiva. Quelli che sono in alto lo sanno, non possono e non vogliono sbarazzarsi del fossile: per questo promuovono una transizione energetica con cui consolidarsi in un periodo caos climatico. In questo senso, il capitalismo, scrive Raúl Zibechi, opera con le stesse modalità che mette in atto di fronte alle contestazioni del patriarcato e del colonialismo: cercando di legittimarsi con presunte politiche contro il maschilismo e il razzismo
Il capitalismo starebbe promuovendo una transizione energetica per consolidarsi in un periodo di crisi e caos climatico che può minacciare la sua [presunta] legittimità. In questo senso, opera con le stesse modalità che mette in atto di fronte alle contestazioni del patriarcato e del colonialismo: cercando di legittimarsi con presunte politiche contro il maschilismo e il razzismo, fingendo che il sistema condivida alcuni aspetti delle lotte femministe e di quelle dei popoli oppressi, con l’obiettivo di ritagliarsi un piccolo settore di fedeli che si incastonano al vertice della piramide del sistema.
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Al NYT hanno scoperto che gli “stupri di massa” erano solo propaganda
di Daniele Luttazzi
Anche in Italia i propagandisti pro-Netanyahu scrissero sui giornali e raccontarono in tv degli “stupri di massa” commessi da Hamas a Gaza il 7 ottobre. L’avevano letto sul New York Times, e la “notizia” era stata rilanciata dalla Bbc, dal Guardian, dalla Cnn, dall’Associated Press e da Reuters; ma quegli articoli sugli “stupri di massa” erano un falso. I co-autori di quei pezzi, lodati all’epoca dal caporedattore del Times Joe Kahn, erano Jeffrey Gettleman, Anat Schwartz e Adam Sella. Sabato scorso l’account Telegram @zei_squirrel ha aperto un vaso di Pandora: ha mostrato al mondo i like di Anat Schwartz a diversi post di propaganda sionista su X, fra cui uno che definiva i palestinesi “animali” che meritano un “Olocausto”; uno sui “40 bambini decapitati” (un altro falso); uno che invocava la trasformazione di Gaza in un “mattatoio”; e un altro che esortava i propagandisti di Israele a diffondere il paragone “Hamas è l’Isis” per spaventare l’opinione pubblica occidentale (t.ly/ntbMI).
Il Times ha aperto un’inchiesta interna sulla Schwartz poiché le norme aziendali vietano ai suoi giornalisti di “esprimere opinioni di parte, promuovere opinioni politiche, sostenere candidati, fare commenti offensivi o fare qualsiasi altra cosa che possa minare la reputazione giornalistica del Times”.
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Pisa: ipocrita sceneggiata di destra e “sinistra”
di Fabrizio Marchi
Voglio ribadire la mia solidarietà ai giovani liceali pisani che sono stati presi a manganellate dalla polizia. Dire – come hanno fatto alcuni esponenti del governo e del centrodestra – che gli agenti hanno reagito in quel modo perché sono stati provocati o presi a parolacce è ridicolo. Ogni domenica negli stadi poliziotti e carabinieri vengono insultati (e a volte anche fatti oggetto di lanci di oggetti di vario genere) e, anche se può essere fastidioso accettarlo, sono pagati anche per sopportare insulti, fischi e lazzi, perché il fine delle forze dell’ordine (così si chiamano non a caso) è il mantenimento e la salvaguardia dell’ordine pubblico, non caricare o pestare chi ti prende a parolacce durante una manifestazione, specie se si è in presenza di ragazzini che magari giocano a fare i duri e a incappucciarsi, ma sempre di ragazzini si tratta. E siccome è il grande che contiene il piccolo e non viceversa, le forze dell’ordine sono chiamate a svolgere la loro funzione con equilibrio e con le dovute proporzioni, cosa che a Pisa non mi pare sia avvenuta. Se anche quegli studenti avessero tentato di dirigersi in luoghi non autorizzati – perché questa è stata una delle risposte date da alcuni esponenti del centrodestra per giustificare quanto avvenuto – la polizia era sicuramente in grado di bloccarli senza ricorrere a una risposta così dura.
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La fiducia nelle istituzioni e i dividendi di guerra
di Fabio Vighi
‘La morte dell’Occidente non ci ha privato proprio di nulla di vivo ed essenziale e la nostalgia è quindi fuori questione.’ (Giorgio Agamben)
Anche se quasi nessuno lo vuole ammettere, il nostro “sistema” è obsoleto, e per questo si sta trasformando in “sistema chiuso”, ovvero totalitario. È altrettanto evidente che i pochi che continuano a trarre vantaggio materiale dal sistema capitalistico – il famigerato 0,1% – sono disposti a tutto pur di prolungarne l’obsoleta esistenza. Alla radice, il capitalismo contemporaneo funziona in modo molto semplice: si emette debito da una porta e lo si riacquista da un’altra grazie all’emissione di nuovo debito; un loop all’apparenza inattaccabile da cui origina la maggior parte dei fenomeni distruttivi con cui ci troviamo a convivere.
Gli esecutori del meccanismo sono una classe di funzionari-profittatori il cui principale tratto psicologico è la psicopatia. Sono talmente devoti al meccanismo da esserne diventati delle estensioni – come automi, lavorano indefessamente per il meccanismo, senza rimorso alcuno per la devastazione di vita umana che dispensa. La dimensione psicopatica (disinibita, manipolatoria, e criminosamente antisociale) non è però una prerogativa esclusiva della cricca finanziaria transnazionale, ma si estende a macchia d’olio sia sulla casta politico-istituzionale (dai vertici dei governi agli amministratori locali), che sull’apparato cosiddetto intellettuale (esperti, giornalisti, scrittori, filosofi, artisti, nani e ballerine). In altre parole, la mediazione politico-culturale della realtà è oggi interamente mediata dal meccanismo stesso. Chi entra nel sistema non solo deve aprioristicamente accettarne le regole ma, ipso facto, ne assume lo specifico carattere psicopatologico. Così, la folle oggettività capitalistica (il suo spietato congegno riproduttivo) diventa indistinguibile dal soggetto che lo rappresenta.
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Tempesta e bonaccia
di Gianni Giovannelli
Open pathway trough the slow sad sail
Trough wide to the wind the gates to the wandering boat
For my voyage to begin to the end of my wound
(Dylan Thomas)
(Apri un varco nella lenta, nella lugubre vela
Schiudi al vento le porte del vascello vagante
Perché inizi il mio viaggio verso la fine delle mie ferite)
(trad. Ariodante Marianni)
La guerra prende piede, cresce giorno dopo giorno, una vera e propria tempesta che non lascia intravedere momenti di tregua. In Ucraina non è solo un conflitto di trincea, uno scontro fra soldati per la conquista di aree territoriali e per la distruzione delle risorse del nemico. Non c’è dubbio che sia anche questo, come non c’è dubbio che al fronte muoiano, accanto ai militari di professione, migliaia e migliaia di soggetti rastrellati, costretti a indossare la divisa, o, anche, volontari vittime della propaganda nazionalista. Però non basta. Piovono bombe lanciate dai droni, cadono missili, la strage di civili prosegue senza sosta. I fabbricanti di armi si arricchiscono, godono di scandalose agevolazioni fiscali, vengono lautamente pagati con il denaro sottratto alla sanità, all’istruzione, alle pensioni, ai resti di welfare eroso. L’opposizione alla guerra, anche se proposta senza foga o quasi sottovoce, viene immediatamente equiparata a tradimento, diserzione, crimine contro le istituzioni. La chiamata alle armi è contagiosa. A Gaza ha preso la forma del massacro. Poco importa la qualificazione tecnico-giuridica, se si tratti di genocidio o meno. Rimane una carneficina, con le immagini di soldati felici di uccidere, consuete durante ogni strage della popolazione consumata da un esercito occupante, incitato dai comandanti a rimuovere ogni forma di scrupolo morale.
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Il NYTimes e la guerra della CIA
di Mario Lombardo
Le due tesi fondamentali su cui si è basata e in larga misura continua a basarsi la campagna di propaganda occidentale contro la Russia sono la natura “non provocata” dell’intervento militare lanciato quasi esattamente due anni fa e il semplice appoggio esterno dei paesi NATO al regime di Zelensky, ufficialmente contrari a una partecipazione diretta alle operazioni belliche contro Mosca. Un lungo articolo del New York Times, pubblicato nel fine settimana, ha smentito però entrambe le versioni, confermando sia la strettissima collaborazione tra gli Stati Uniti e, in particolare, la CIA e le forze ucraine sia la valanga di provocazioni orchestrate da Washington e Kiev almeno a partire dal colpo di stato neo-nazista del febbraio 2014.
È lo stesso giornale americano a convalidare ciò che i servizi segreti russi e il Cremlino avevano sostenuto alla vigilia dell’inizio della cosiddetta “Operazione Militare Speciale”. La CIA, assieme al britannico MI6, stava cioè trasformando a tutti gli effetti l’Ucraina in un centro nevralgico da cui pianificare e condurre operazioni destinate a colpire e indebolire la Russia.
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Il pantano dell’ultimo azzardo e i trent’anni contro la Russia
di Fabio Mini
Sull’anniversario dei due anni dall’invasione russa in Ucraina non dovrei scrivere nulla, sia per coerenza con quanto ho sempre sostenuto (la tragedia non è iniziata il 24 febbraio 2022), sia perché dopo due anni non vedo fatti sorprendenti da commentare in Ucraina rispetto a quanto succede altrove. Semmai merita una riflessione l’anniversario dei trent’anni (dal 1994) di destabilizzazione in Europa e allargamento della Nato ai danni della sicurezza russa, dei vent’anni di guerra di sovversione (dal 2004) da parte degli Stati Uniti in Ucraina e dei dieci anni (dal 2014) di guerra di repressione ucraina nei confronti dei suoi stessi cittadini russofoni. In questa prospettiva, la spedizione militare russa in territorio ucraino del 2022 appare per quello che veramente è stata e non per ciò che a essa è stato attribuito da chi voleva e ancora vuole la guerra in Europa contro la Russia e contro la stessa Europa. Non è stata un’invasione full scale (totale), unmotivated (immotivata), unprovoked (non provocata), illegal (illegale) e nemmeno criminal (criminale) come ci viene propinato. È stata una delle possibili risposte alla guerra voluta, preparata e sostenuta esattamente da chi la definisce con tali espressioni. Di fronte a un regime ucraino che con i presidenti Yuschenko, Turcynov e Poroshenko era palesemente nazista e antirusso, e con quello di Zelensky pronto a subire i diktat dell’estrema destra sostenuta dagli Stati Uniti e dall’Europa, la Russia aveva già lanciato chiari messaggi.
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